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Catechismo quotidiano

Ultimo Aggiornamento: 13/01/2013 14:39
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04/01/2013 15:56
 
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L'immersione nel tempo dell'uomo

«Il battesimo di Gesù è, da parte di lui, l'accettazione e l'inaugurazione della sua missione di Servo sofferente» (Catechismo, 536).
Anche gli storici più scettici riconoscono che Gesù si fece battezzare da Giovanni presso il Giordano. All'episodio si può applicare sia il criterio dell'attestazione molteplice, poiché è riportato da gran parte delle fonti del Nuovo Testamento e non soltanto dai vangeli, sia il criterio dell'imbarazzo. Come mai il Figlio di Dio, l'amato, su cui Dio ha posto il suo compiacimento, si fa battezzare con i peccatori da Giovanni? Il verbo baptízein significa soprattutto «immergere», «annegare». Con il battesimo, Gesù s'immerge nell'acqua che scorre col tempo per condividere in pieno la vita degli uomini, sino a farsene carico. Per questo il suo battesimo è evento trinitario: del Padre che ama il Figlio, dello Spirito che scende su di lui e del Figlio che s'immerge nella nostra umanità per redimerla.
A proposito dello Spirito: non s'incarna in una colomba, ma si rende presente come colomba. Il simbolo è stato interpretato in diversi modi: dalla colomba del diluvio (Genesi 8,8-12), allo Spirito che aleggia sulle acque all'inizio della creazione (Genesi 1,2), all'amata del Cantico dei Cantici (5,2) paragonata a una colomba. Forse l'interpretazione più pertinente proviene dalle Odi di Salomone 28,1: «Come le ali delle colombe sui loro piccoli… così le ali dello Spirito sul mio cuore». Comunque già Ambrogio di Milano precisa nel De Sacramentis (1,17) che lo Spirito discende «su Gesù non come una colomba vera e propria». Al centro del Battesimo c'è la voce che rompe i cieli e rivela la missione di Gesù, paragonata a quella del Servo nel primo canto d'Isaia: «Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui» (Isaia 42,1). Ma Gesù non è soltanto il servo sofferente; è il Figlio che attraverso il Battesimo redime l'umanità, facendosi carico dei peccati di tutti. Ad Abramo che non ha risparmiato il figlio che ama (Genesi 22,16), risponde Dio che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi (Romani 8,32).
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05/01/2013 11:52
 
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Vincere le tentazioni, come Gesù

«I Vangeli parlano di un tempo di solitudine di Gesù nel deserto, immediatamente dopo che ebbe ricevuto il battesimo da Giovanni: "Sospinto" dallo Spirito nel deserto, Gesù vi rimane quaranta giorni digiunando» (Catechismo, 538).
I quaranta giorni di Gesù nel deserto evocano quelli di Elia all'Oreb e, a ritroso, i quarant'anni d'Israele nel deserto, sino all'originaria condizione di Adamo prima e dopo il peccato. L'essenzialità di Marco, che non si attarda sul tipo di tentazione provata da Gesù (Marco 1,12-13), è approfondita nei vangeli di Matteo e di Luca con tre tentazioni esemplari. Le pietre da trasformare in pane, l'identità del Figlio di Dio e il potere sui regni del mondo (Matteo 4,1-11; Luca 4,1-13). Sono le principali tentazioni che colpiscono ogni figlio di Adamo: il profitto economico, la gloria e il potere.
Scontata è la risposta per cui Gesù ha superato le tentazioni perché è il Figlio di Dio. Ma nessuno degli evangelisti punta l'attenzione su questo dato di fatto. Piuttosto ha superato le tentazioni perché ha interiorizzato per quaranta giorni la Parola di Dio, per cui Gesù replica ogni volta a satana con la Sacra Scrittura. Purtroppo satana si rende conto della forza che Gesù riceve dalla Parola di Dio e anch'egli decide di citare la Scrittura. La replica finale che chiude la partita è la profonda interiorizzazione che Gesù fa dello Shemah: «Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto» (Deuteronomio 6,13 in Matteo 4,10).
La tentazione è vinta non con la Scrittura imparata a memoria – e satana la conosce meglio di noi – bensì con la sua assimilazione nel cuore e nella vita. Con acuta genialità M. Bulgakov ha rappresentato questa tentazione originaria nel Maestro e Margherita, ambientandola tra Mosca e il processo a Gesù. A chi non ha pazienza di leggere lo stupendo romanzo di Bulgakov, consigliamo di vedere non il banale The Last Tentation of Christ di M. Scorsese, ma The Devil's Advocate di T. Hackford, con l'impareggiabile interpretazione di Al Pacino: «Vanità, decisamente il mio peccato preferito» (J. Milton, Paradise Lost).

05/01/2013 15:58
 
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Satana è tentatore, Dio ci mette alla prova, noi dobbiamo resistere come Gesù quaranta giorni nel deserto tentato , dobbiamo essere forti, Gesù dacci forza e coraggio contro il maligno che ci tenta facendoci sembrare le cose più orribili del mondo belle.
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07/01/2013 12:46
 
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La fede e la sequela di Cristo

«Fin dall'inizio Gesù ha associato i suoi discepoli alla sua vita; (Cf Mc 1,16-20; Mc 3,13-19) ha loro rivelato il Mistero del Regno» (Cf Mt 13,10-17; Catechismo, 787).
Gesù non annunzia il Regno in astratto, né lo presenta con una sorta di piano ideologico, ma lo concretizza con la scelta dei suoi discepoli. Il breve racconto della vocazione di Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni è di una essenzialità sbalorditiva poiché tutto si regge sull'elezione per andare dietro a Gesù e diventare pescatori di uomini. Da una parte c'è la grazia dell'elezione, dall'altra la fiducia dei discepoli. Anzitutto la grazia: Gesù non s'informa prima sulle attitudini, le capacità e la costanza dei discepoli, ma li sceglie senza condizioni. Contrariamente a tutte le altre forme di sequela nel mondo antico, non sono i discepoli a scegliere il maestro per la sua capacità persuasiva, bensì è il Maestro che sceglie i discepoli. Il primato della grazia s'impone per la scelta di quelle persone e non di altre: non sono scelti gli altri pescatori che pure sono presenti, ma soltanto loro. Il primato della grazia trova risposta nella fiducia dei discepoli. In entrambe le scelte dei primi quattro discepoli l'accento è posto sull'avverbio "subito" che non lascia spazio a tentennamenti o a dilazioni. Giacomo e Giovanni non chiedono prima il permesso a Zebedeo, loro padre, per seguire Gesù, ma s'incamminano subito dietro a lui. Oggi è diventato di moda sostenere che «Gesù ha predicato il regno ed è nata la Chiesa», travisando peraltro l'affermazione di A. Loisy. Piuttosto Gesù ha predicato il Regno e sono nati i discepoli che, guidati dall'azione dello Spirito, formeranno la Chiesa. L'entusiasmo dell'inizio sarà messo a dura prova durante il ministero pubblico di Gesù e soprattutto in occasione della passione, quando tutti i discepoli lo tradiranno. Tuttavia quell'inizio sarà ancora più decisivo dopo la Pasqua, quando i discepoli torneranno al loro mestiere di pescatori, ma saranno nuovamente chiamati a seguire il Risorto. In questo binomio si decide il rapporto tra la nuova evangelizzazione e la trasmissione della fede, che è tale non soltanto nelle strategie, negli strumenti e nel linguaggio, ma anche nella sostanza. Perché il Risorto continua a evangelizzare anzitutto la sua Chiesa ponendola nella condizione della sequela.
07/01/2013 15:42
 
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Facciamo in modo di trovarci preparati al momento finale della nostra vita, i dodici furono i primi discepoli gli apostoli, cerchiamo tutti di seguire il loro esempio, vi metto alcuni significati di apostolo, perchè tutti possiamo seguire l'esempio dei dodici ed esserlo in Cristo
apostolo = Chi diffonde un'idea, un messaggio morale, con abnegazione e impegno
quindi diffondiamo con abnegazione e impegno il suo messaggio ciò che ci ha lasciato detto e poi l'altro significato
Chi per primo evangelizza un paese, cerchiamo anche noi nel nostro piccolo di evangelizzare le persone a noi più vicine, anche se non siamo delle suore o preti, possiamo evangelizzare facendo conoscere Dio e la sacra bibbia,le sue parole,certo chi per prima evangelizza è la chiesa , ma anche noi possiamo seguendo l'esempio di Cristo e facendo conoscere ad altri la sacra bibbia, sopratutto seguire i suoi comandamenti, l'esempio di cristo,solo cosi possiamo evangelizzarci, seguendo i suoi comandamenti e pregando, bacioni
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08/01/2013 12:47
 
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I Dodici, trasformati dallo Spirito
«Fin dagli inizi della vita pubblica, Gesù sceglie dodici uomini perché stiano con lui e prendano parte alla sua missione» (Catechismo, 551).
Gesù attira intorno a sé molta gente: ognuno per i propri interessi, le ansie e le speranza che si porta dentro. Ma come per i primi quattro discepoli (Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni), non sono loro a scegliere il Maestro, bensì è lui che sceglie i Dodici. L'elenco dei Dodici è riportato in Marco 3,16-19, ma prima l'evangelista annota che Gesù sale sul monte, sceglie quelli che vuole affinché stiano con lui e comincino a predicare. Luca precisa che Gesù sale sul monte per trascorrere la notte in preghiera (Luca 6,11) e finalmente al mattino sceglie i Dodici. L'elenco si apre con Simon Pietro e si chiude con Giuda, il traditore. Fra gli eletti c'è un pubblicano, come Matteo, due abbastanza irascibili, come Giacomo e Giovanni, uno che non è disposto a credere per sentito dire, come Tommaso, uno zelota o guerrafondaio come l'altro Simone. A proposito del primo, Simon Pietro lo tradirà al canto del gallo; e l'ultimo, Giuda, è un delatore. Insomma ce n'è di tutto e di più; e se questo è il frutto di una notte in preghiera, c'è poco da sperare! Tutti mancano di costanza nella fede; e Gesù elogia la fede di quanti gli chiedono aiuto, ma non loda mai la fede dei Dodici. Partiti in missione, non riescono a cavare un ragno da un buco perché hanno dimenticato la condizione più importante per sconfiggere il male: la preghiera! Quando Paolo, da poco convertito, inizierà a consultare le colonne della Chiesa – Pietro, Giacomo e Giovanni – non sarà colpito dall'apparenza, bensì dal cuore; quanto a capacità oratorie, nemmeno a parlarne! Ci mancava proprio lui: un fariseo che interpreta la Legge in modo accomodante. A ognuno le conseguenze sullo strapotere della grazia rispetto alla costanza della fede o della fedeltà umana: «Gratuitamente avete ricevuto; gratuitamente date» (Matteo 10,8). Soltanto lo Spirito sarà capace di trasformare i Dodici in testimoni intrepidi di Gesù Cristo: ma bisognerà aspettare la Pentecoste.


08/01/2013 15:20
 
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Esatto preghiamo e affidiamoci a Cristo, seguiamo l'esempio di Cristo nell'amore , bacioni
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09/01/2013 11:43
 
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Tutta la sapienza delle parabole

«Gesù chiama ad entrare nel Regno servendosi delle parabole, elemento tipico del suo insegnamento» (Cf Mc 4,33-34; Catechismo, 546).
J. Jeremias, che di parabole se ne intendeva, ha ben sostenuto che chi approfondisce le parabole di Gesù si muove su un terreno sicuro dal versante storico. Gesù ha definito il Regno di Dio non in astratto o per concetti difficili, ma lo ha raccontato con le sue stupende parabole. Non sono favole, né allegorie o raccontini per bambini, ma le sue parabole aprono spiragli infiniti sulle relazioni tra Dio e gli uomini. Nessuno prima di lui ha raccontato il Regno di Dio in parabole e nessuno dopo di lui è capace di fare altrettanto. Le parabole dei vangeli gnostici sono un surrogato, peraltro mal riuscito, delle sue parabole riportate nei vangeli del Nuovo Testamento. Guai a moralizzarle perché si rischia di perdere per strada gran parte del loro contenuto. Veicolano prospettive sapienziali ed escatologiche, nel senso che sono capaci d'insegnare come affrontare le situazioni della vita quotidiana e di proiettarle verso l'incontro finale con Dio.
Di tutte le parabole, la più importante – per confessione di Gesù stesso – è quella del seminatore che getta il seme della Parola su diversi tipi di terreno (Marco 4,3-9). Per Gesù il Regno nasce e si sviluppa dove trova un terreno disposto ad accogliere il seme della Parola di Dio, sino a produrre il trenta, il sessanta e il cento per uno. Attenzione però: le parabole sono apparentemente semplici. Lo sono per chi diventa discepolo di Gesù, mentre restano oscure per coloro che non lo seguono. Altro che il Gesù analfabeta di alcuni studiosi, come D. Crossan! Si legga Il metodo parabolico di Gesù di J. Dupont, prima di emettere giudizi affrettati.
Quando rividi Vittorio Fusco, immerso nel ministero episcopale, gli confidai che di Gesù mi hanno sempre impressionato le parabole. Con la semplicità di chi ha scritto lo stupendo Oltre la parabola mi rispose: «Certo, qui Paolo non regge il confronto». Dovetti arrendermi! Nell'era degli iPad la nostra fede in Gesù può prescindere dalle sue parabole?


09/01/2013 15:09
 
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Seguiamo le sue parabole, non sbaglieremo mai, le sue parabole sono semplici ed umili che possono capire tutti, bacioni
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10/01/2013 09:20
 
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I gigli del campo e gli uccelli del cielo

«Dio ha creato il mondo per manifestare e per comunicare la sua gloria. Che le sue creature abbiano parte alla sua verità, alla sua bontà, alla sua bellezza: ecco la gloria per la quale Dio le ha create» (Catechismo, 319).
La parabola dei gigli del campo e degli uccelli del cielo (Matteo 6,26-30; Luca 12,24-28) permette d'identificare una delle principali fonti ispiratrici delle
parabole di Gesù: il creato; l'altra è la vita quotidiana degli uomini. Di fronte alle preoccupazioni per il domani, Gesù conduce i discepoli in aperta campagna, verso la contemplazione del creato. Negli uccelli del cielo e nei gigli dei campi contempla la provvidenza di Dio che li nutre e li riveste. Precisiamo che la sua non è una visione idilliaca della vita, né tanto meno bucolica, ma realistica e, con alcune parabole, drammatica. Sa bene che insieme al grano c'è la zizzania, che con il buon pastore ci sono i mercenari delle pecore e i vignaioli che cercano d'impossessarsi della vigna, mettendo a morte il figlio del padrone. Tuttavia nutre una fiducia sconfinata nel Padre che se si prende cura del creato, quanto più si cura degli uomini di poca fede. Ogni giorno chiediamo con il Padre Nostro che ci doni il pane quotidiano, ma siamo noi a procurarcelo non soltanto per il presente, ma anche per i futuro prossimo e remoto. L'impatto irriducibile della parabola non consiste nel darsi all'ozio perché tanto Dio si prende cura di noi, bensì nello spazio che offriamo alla sua provvidenza: un termine che abbiamo ormai bandito dal vocabolario della fede. Su I gigli dei campi e gli uccelli del cielo, è tornato S. Kierkegaard che ha saputo cogliere il nocciolo del problema ponendo l'accento sulle condizioni che poniamo continuamente alla nostra fede, destinata a restare sempre piccola e a non crescere mai: «Il giglio e l'uccello, i gioiosi maestri di gioia, sono la gioia stessa perché sono incondizionatamente gioiosi. Colui infatti la cui gioia dipende da determinate condizioni non è la gioia stessa, la sua gioia è nelle condizioni, è condizionata da esse».
10/01/2013 16:41
 
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«Dio ha creato il mondo per manifestare e per comunicare la sua gloria. Che le sue creature abbiano parte alla sua verità, alla sua bontà, alla sua bellezza: ecco la gloria per la quale Dio le ha create»Quella è la ricchezza di Dio nella sua creazione e parola, ha creato noi affinchè lo amassimo, lode a Dio nell'alto dei cieli, gloria a Dio nell'alto dei cieli
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11/01/2013 10:13
 
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Il grano e la zizzania di oggi

«In tutti, sino alla fine dei tempi, la zizzania del peccato si trova ancora mescolata al buon grano del Vangelo» (Cf Mt 13,24-30 ; Catechismo, 827).
La parabola del grano e della zizzania o del loglio è di una permanente attualità. Ai servi del campo, pronti a impegnarsi per separare nel presente il grano dalla zizzania, il padrone chiede di attendere i tempi della mietitura, quando le parassitarie potranno essere separate dalle spighe di grano. Grano e zizzania sono nel cuore di ognuno, nella Chiesa a cui si appartiene e nel mondo in cui si vive ogni giorno. E come al solito si guarda più alla zizzania, che al grano! Tuttavia la parabola guarda al futuro in vista del presente, e non il contrario. In questione non è il momento finale della mietitura, bensì quello prolungato della contemporanea crescita tra grano e zizzania. E anche se non si possono separare, pena la perdita del bene che è in ciascuno, nella Chiesa e nel mondo, il grano si riconosce sempre e non va confuso con la zizzania.
La storia del cristianesimo ha visto un continuo pendolarismo tra una Chiesa di puri e perfetti e una Santa, ma bisognosa di fare sempre penitenza per i peccati dei credenti. A favore di una chiesa di perfetti si sono schierati i Montanisti, i Donatisti, i Catari, i Calvinisti e i Giansenisti: l'elenco può continuare sino ai nostri giorni. Ma la Chiesa continua a lasciarsi evangelizzare dalla parabola di Gesù, senza cedere a forme ideologiche di puritanesimo, né per inverso a espressioni di lassismo perché tanto, nel presente, grano e zizzania non si possono scindere.
Risalta così la questione capitale: come imparare a guardare il grano in mezzo alla zizzania e a confidare che non sia soffocato? La risposta più appropriata proviene dalla Gaudium et Spes che, citando la parabola di Gesù, commenta: «Se dunque ci si chiede come può essere vinta tale miserevole situazione, i cristiani per risposta affermano che tutte le attività umane, che sono messe in pericolo quotidianamente dalla superbia e dall'amore disordinato di se stessi, devono venir purificate e rese perfette per mezzo della croce e della risurrezione di Cristo» (nr. 37).


11/01/2013 17:02
 
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In tutti, sino alla fine dei tempi, la zizzania del peccato si trova ancora mescolata al buon grano del Vangelo, tutti dobbiamo fuggire alle occasioni di peccato come dice l'atto di dolore, e se pecchiamo confessarci e verremo di certo perdonati, perchè Dio è misericordia , amore
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12/01/2013 14:33
 
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La fede che genera i miracoli

«Gesù accompagna le sue parole con numerosi "miracoli, prodigi e segni» (At 2,22), i quali manifestano che in lui il Regno è presente. Attestano che Gesù è il Messia annunziato» (Cf Lc 7,18-23; Catechismo, 547).
Gesù non si è limitato a parlare del Regno di Dio con le parabole, ma lo ha reso tangibile con i miracoli e, in particolare, con le guarigioni di quanti lo cercano per essere sanati. Tuttavia mentre altri taumaturgi del suo tempo, come Apollonio di Tiana, sceglievano i miracoli per garantire la loro autorità di "uomini divini", Gesù sposta decisamente l'attenzione sulla fede dei malati come condizione necessaria per essere guariti. L'espressione «la tua fede ti ha salvato» (Marco 5,34; 10,52), ripetuta più volte da Gesù, rinvia al primato della fede sui miracoli e non il contrario. Così non sono i miracoli a generare la fede, rischiando di produrre una visione magica della fede, bensì la fede in Gesù Cristo a causare i miracoli. Altrettanto significativo è l'ambito d'azione della fede così intesa: non riguarda soltanto la sfera interiore o intima della persona, bensì la coinvolge nella totalità, al punto che essere salvati per la fede equivale a essere sanati nel corpo e non soltanto nell'anima.
Spesso si pensa che la fede generata dai miracoli risulti più solida, mentre Gesù dimostra che non sempre i miracoli conducono alla fede. L'esempio dei dieci lebbrosi guariti (Luca 17,11-19), fra i quali soltanto uno torna da Gesù per ringraziarlo, dimostra che mentre la fede è capace di salvare, non sempre i miracoli conducono naturalmente alla fede.
Il percorso consequenziale dalla fede ai miracoli immette verso la manifestazione più visibile del regno di Dio. Di fronte ai discepoli di Giovanni Battista, che gli chiedono se egli fosse realmente il Cristo o bisognasse aspettare un altro, Gesù li rinvia alle guarigioni compiute (Luca 7,18-24). I sordi ascoltano, i ciechi vedono, gli storpi camminano e i lebbrosi sono guariti. In fondo, se la fede precede sempre i miracoli è perché è capace di guarire più di quanto si sia soliti pensare, mentre – strano a dirsi – non sempre i miracoli portano alla fede.


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13/01/2013 14:33
 
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La fede pungolata dall'incredulità

«La venuta del Regno di Dio è la sconfitta del regno di Satana… Gli esorcismi di Gesù liberano alcuni uomini dal tormento dei demoni» (Catechismo, 550).
Se per Gesù la fede precede e non segue i miracoli, l'avvento del regno di Dio si manifesta tra l'altro con la fiducia nella sconfitta del regno di satana o del maligno. A buon diritto, la guarigione dell'epilettico indemoniato, riportata in Marco 9,14-29, può essere definita come il miracolo della fede.
Dopo essersi rivolto ai discepoli senza risultati positivi, il padre del giovane epilettico chiede aiuto a Gesù: «Se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci». Ma Gesù lo rinvia alla fede: «Se tu puoi; tutto è possibile a chi crede». E il padre esprime la dimensione più realistica della fede: «Credo, aiutami nella mia incredulità». Così s'incontrano la compassione di Gesù per gli uomini e l'incredulità nella fede che accompagna chi trova in lui l'ultima speranza.
Più si avanza nella fede, tanto più si è accompagnati dal dubbio che la vittoria sul male non sia possibile, che il regno di satana sia a volte più forte di quello di Dio. L'esito positivo della guarigione dell'epilettico sconcerta i discepoli perché non erano riusciti a scacciare il maligno. Ma Gesù rivela che soltanto la preghiera è capace di sconfiggere il maligno. Per questo nella preghiera del Padre nostro i credenti chiedono di essere liberati dal maligno o dalla sfiducia che il male sia più potente del bene. Non si crede in Gesù Cristo una volta per sempre, ma ogni giorno la fede è pungolata dall'incredulità e dall'incertezza. Tuttavia l'incredulità autentica non s'identifica con il dubbio metodico, di cartesiana memoria, né con lo scetticismo universale, bensì con il senso del limite che si trasforma in richiesta d'aiuto. La preghiera è il respiro quotidiano della fede, senza la quale si è continuamente derisi dal maligno. Fede e incredulità sono inseparabili nella vita quotidiana. Senza l'incredulità, la fede è considerata acquisita e non avverte il bisogno della preghiera. E senza la fede, l'incredulità cade nella sfiducia che il male sia più potente del bene.
13/01/2013 14:39
 
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Dio agisce tramite la fede!
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QUELLO CHE AVETE UDITO, VOI ANNUNCIATELO DAI TETTI (Mt 10,27)
 
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