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GESU' CRISTO: SIGNORE DEL COSMO E DELLA STORIA

Ultimo Aggiornamento: 10/12/2012 16:01
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10/12/2012 15:58
 
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Gesù al centro della storia: il programma dell’intero pontificato di Giovanni Paolo II

 

Giovanni Paolo II ha fatto scoprire al mondo vessato dalle dittature e dalla povertà la vera signoria di Cristo. Egli proponendo instancabilmente Cristo ed avendo cieca fede in Lui, ha potuto abbattere i muri che dividevano l’occidente libero da quello dei regimi nazional-socialisti. Egli, grazie ad una fede certa, ha potuto abbattere muri che si pensava impossibile abbattere. Il suo metodo è sempre stato quello di parlare al mondo di Cristo, come il Signore che sa parlare al cuore dell’uomo. Cristo parla all’uomo. Parla al dittatore che pensa di poter cambiare il mondo con il proprio potere, e parla al perseguitato che nonostante atroci sofferenze morali e corporali ha fede in Cristo, nella sua silenziosa vittoria. Alla fine Cristo trionfa sempre e le sofferenze non sono un’obiezione quanto semmai la condizione misteriosa attraverso cui Cristo stesso può davvero trionfare. Non c’è spiegazione razionale nella sofferenza. Vi è semplicemente imitazione di Cristo, assunzione su di sé del dolore e certezza che alla fine il bene non può che trionfare.

È nella sua prima enciclica, la Redemptor hominis, che Giovanni Paolo II parla di Gesù Cristo «redentore dell’uomo», «centro del cosmo e della storia». «A Lui - scrive Giovanni Paolo II - si rivolgono il mio pensiero e il mio cuore in questa ora solenne, che la Chiesa e l’intera famiglia dell’umanità contemporanea stanno vivendo». La Redemptor hominis, promulgata il 4 marzo 1979, a pochi mesi dall’elezione di Karol Wojtyla a Pontefice, segna e determina le linee guida e il programma dell’intero pontificato del Papa polacco. All’inizio la riflessione si concentra sulla realtà della Chiesa; il Papa si pone nel solco del magistero del Vaticano II e dei suoi più immediati predecessori, Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo I, e mette in luce il mistero della redenzione in Gesù Cristo, fondamento della realtà ecclesiale e «stabile principio e centro permanente» della sua missione.

La Chiesa cioè, è chiamata a portare Cristo redentore all’uomo, che solo nel Verbo incarnato può trovare la luce che illumini il suo mistero; Giovanni Paolo II non parla qui dell’uomo astratto, ma reale, concreto e storico. Un uomo che, nel mondo contemporaneo, «vive sempre più nella paura», minacciato dal frutto stesso «del lavoro delle sue mani, del suo intelletto, delle tendenze della sua volontà»: da un progresso senza leggi etiche, dallo sfruttamento della terra senza una razionale e onesta pianificazione, da una tecnica che spesso è in contrasto con il suo progresso morale e spirituale, da una civiltà materialista che lo rende schiavo e da un totalitarismo che nega i suoi diritti naturali, in particolare quello alla libertà religiosa. A queste a volte drammatiche situazioni si deve aggiungere la ingiusta e sempre più vasta separazione del mondo in ricchi e poveri, generata dall’ «abuso della libertà, che è legato proprio a un atteggiamento consumistico non controllato dall’etica. Un atteggiamento che limita anche la libertà degli altri, cioè di coloro che soffrono rilevanti deficienze e vengono spinti verso condizioni di ulteriore miseria e indigenza».

A tutte queste situazioni, a queste “paure” e sfide, il Santo Padre risponde nell’enciclica proponendo Cristo Gesù Signore del cosmo e della storia, Cristo Gesù come la risposta alle necessità dell’uomo contemporaneo. «Cristo rivela pienamente l’uomo a se stesso» scrive Giovanni Paolo II nella Redemptor hominis. Il Cristianesimo, quindi, non è una dottrina, un insegnamento filosofico, ma è un avvenimento, e cioè un incontro con il Figlio di Dio, con Colui che può dare senso alla vita. Alle problematiche, quindi, che da secoli investono l’umanità, Giovanni Paolo II propone come risposta non una rivoluzione sociale, bensì la presenza di Cristo compagno e amico dell’uomo.

Da questa nuova prospettiva sulla natura umana, originata dalla fede, nasce un “umanesimo autentico”, una concezione dell’uomo che ne sottolinei il valore e la dignità, e nel contempo anche il pericolo, sempre presente, di perdere la propria grandezza, nella dimenticanza della relazione con Dio ed esaltazione dell’autonomia umana. L’uomo realizza se stesso, la promessa contenuta nella sua natura, solo rispettando la verità di sé, quindi nel riconoscere la dipendenza dal Padre e nell’incontro con il Figlio.

Giovanni Paolo II, partendo da questa concezione, si pone in dialogo con le problematiche sociali, etiche e filosofiche del mondo contemporaneo, proponendo un nuovo umanesimo, fondato nella fede in Gesù Cristo, in cui emerge con forza la strenua difesa della vita, della libertà e della ragione dell’uomo.

La Redemptor hominis trovò suo compimento nella Dives in misericordia e nella Dominum et vivificantem, le due encicliche, rispettivamente sulla misericordia di Dio e sullo Spirito Santo, che completano la riflessione di Giovanni Paolo II sulle Persone della Santissima Trinità. La Dives in misericordia, firmata il 30 novembre 1980, inizia con queste parole: «Dio ricco di misericordia è colui che Gesù Cristo ci ha rivelato come Padre: proprio il suo Figlio, in se stesso, ce l’ha manifestato e fatto conoscere». L’amore misericordioso di Dio, cominciato già «nel mistero stesso della creazione» e continuato nell’esperienza di tradimento e perdono del popolo ebraico, viene pienamente svelato nel Figlio, Gesù Cristo, nella sua morte e resurrezione. Il figlio della parabola del “figliol prodigo” è visto come immagine dell’«uomo di tutti i tempi», cosciente di avere «sciupato» la sua figliolanza, di avere perso la sua dignità e la verità di sé; i beni perduti vengono restituiti dal Padre al di là di ogni giustizia in un abbraccio amoroso.

«Nella parabola del figliol prodigo non è usato neanche una sola volta il termine giustizia, così come nel testo originale non è usato quello di misericordia; tuttavia il rapporto della giustizia con l’amore, che si manifesta come misericordia, viene con grande precisione inscritto nel contenuto della parabola evangelica. Diviene più palese che l’amore si trasforma in misericordia, quando occorre oltrepassare la precisa norma della giustizia: precisa e spesso troppo stretta».

Giovanni Paolo II non si ferma ad una interpretazione dei testi biblici e a una riflessione teologica, ma presenta i risvolti sociali di questo rapporto fra amore misericordioso e giustizia. In una società in cui l’uomo è pieno di paura e inquietudine per «il male sia fisico che morale», che minaccia direttamente «la libertà umana, la coscienza e la religione», la «giustizia da sola non basta» a costruire la nuova «civiltà dell’amore»; occorre permettere «a quella forza più profonda che è l’amore di plasmare la vita umana nelle sue varie dimensioni».

Bisognerà aspettare il 1986 per l’enciclica Dominum et vivificantem, una vera e propria esortazione, in vista del Grande Giubileo dell’anno 2000, alla Chiesa occidentale, perché tenga in maggiore considerazione la terza Persona della Trinità, e al mondo, affinché accolga il dono dello Spirito Santo.

Lo Spirito Santo è un «dono di Cristo» e continua nella storia la Sua opera redentrice: «Tra lo Spirito Santo e Cristo sussiste, dunque, nell’economia della salvezza, un intimo legame, per il quale lo Spirito Santo opera nella storia dell’uomo come un altro consolatore, assicurando in maniera duratura la trasmissione e l’irradiazione della buona novella, rivelata da Gesù di Nazaret».

La Sua effusione è vista come «nuova comunicazione salvifica di Dio», un «nuovo inizio in rapporto al primo, originario inizio del donarsi salvifico di Dio, che si identifica con lo stesso mistero della creazione».

Giovanni Paolo II sottolinea qui con forza il bisogno che ha il mondo di accogliere l’opera dello Spirito, che agisce nella Chiesa, per riconoscere il proprio peccato e i «segni e segnali di morte», come la corsa agli armamenti nucleari, l’indifferenza di fronte alla povertà, il mancato rispetto della vita, il terrorismo; per accettare il bisogno di redenzione e costruire una società più giusta.

 

 

Anche se una mamma dimenticasse il suo bambino, Dio non dimenticherà il suo popolo”: la risposta di Giovanni Paolo I ai problemi sociali della storia

 

Nel suo breve pontificato, il Santo Padre Giovanni Paolo I, nel messaggio letto per la recita dell’Angelus di domenica 10 settembre 1978, ha voluto spiegare che Dio, nonostante le tribolazioni dei popoli di tutto il mondo, non si dimentica mai di stare vicino all’uomo. Egli non risolve con la bacchetta magica i problemi, ma si premura di essere uomo accanto ad altri uomini, sofferente accanto ai sofferenti, tribolato accanto ai tribolati. «A Camp David, in America - spiegò in quell’occasione Giovanni Paolo I -, i Presidenti Carter e Sadat e il Primo Ministro Begin stanno lavorando per la pace nel Medio Oriente. Di pace hanno fame e sete tutti gli uomini, specialmente i poveri che nei turbamenti e nelle guerre pagano di più e soffrono di più; per questo guardano con interesse e grande speranza al convegno di Camp David. Anche il Papa ha pregato, fatto pregare e prega perché il Signore si degni di aiutare gli sforzi di questi uomini politici. Io sono stato molto ben impressionato dal fatto che i tre Presidenti abbiano voluto pubblicamente esprimere la loro speranza nel Signore con la preghiera. I fratelli di religione del Presidente Sadat sono soliti dire così: “C’è una notte nera, una pietra nera e sulla pietra una piccola formica; ma Dio la vede, non la dimentica”. Il Presidente Carter, che è fervente cristiano, legge nel Vangelo: “Bussate e vi sarà aperto, chiedete e vi sarà dato. Non un capello cadrà dalla vostra testa senza il Padre vostro che è nei cieli”. E il Premier Begin ricorda che il popolo ebreo ha passato un tempo momenti difficili e si è rivolto al Signore lamentandosi dicendo: “Ci hai abbandonati, ci hai dimenticati!”. “ No! - ha risposto per mezzo di Isaia Profeta - può forse una mamma dimenticare il proprio bambino? Ma anche se succedesse, mai Dio dimenticherà il suo popolo”. Anche noi - continuò Giovanni Paolo I - che siamo qui, abbiamo gli stessi sentimenti; noi siamo oggetto da parte di Dio di un amore intramontabile. Sappiamo che ha sempre gli occhi aperti su di noi, anche quando sembra ci sia notte. È papà, più ancora è madre. Non vuol farci del male; vuol farci solo del bene, a tutti. I figlioli, se per caso sono malati, hanno un titolo di più per essere amati dalla mamma. E anche noi se per caso siamo malati di cattiveria, fuori di strada, abbiamo un titolo di più per essere amati dal Signore».

Dio, insomma, (questo ha detto Giovanni Paolo I in uno dei pochi discorsi che ha pronunciato nel corso del suo breve pontificato) non risponde all’uomo con parole vacue o programmi di aiuto impossibili a realizzarsi, ma risponde donando il proprio infinito amore di padre che non dimentica nessuno dei suoi figli.

 

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Questa è la vita: che conoscano Te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo. Gv.17,3
 
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