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CONOSCIBILITA' DI DIO

Ultimo Aggiornamento: 26/01/2019 11:15
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02/09/2012 22:38
 
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A costituire la concezione cristiana di Dio, quale si è venuta storicamente svolgendo nel processo secolare dell'elaborazione teologica, concorsero in modo determinante le tradizioni culturali, ebraica e greca, situate tra loro in un rapporto che, secondo i casi, è di connessione e integrazione, d'incontro dialettico oppure di reciproca esclusione. Tratto essenziale di Dio nell'Antico Testamento è la sua assoluta trascendenza, che ha come conseguenza immediata la sua inconoscibilità. Sottratto in tal modo all'ambito della riflessione razionale, Dio si manifesta ciò non di meno in modo caratteristico, ovvero intervenendo nella storia umana, entro la quale divengono conoscibili i suoi atti e la sua volontà. Nella propria automanifestazione, Dio si rivela come creatore del mondo e unico signore della storia, da lui condotta verso i fini che si propone con sovrana libertà: nei confronti dell'uomo, Dio agisce facendogli grazia o giudicandolo, secondo che sia osservata o meno l'obbedienza alla sua volontà, che esprime il tipo autentico del rapporto dell'uomo con Dio. Una simile concezione di Dio costituisce non solo il naturale punto di riferimento della predicazione di Gesù, ma il presupposto altresì della teologia del cristianesimo primitivo: il Nuovo Testamento documenta il fatto che la persona e il destino di Gesù Cristo vengono interpretati appunto come il definitivo intervento rivelatore del Dio trascendente nella storia. Secondo la linea neotestamentaria, il problema teologico si pone alla Chiesa antica contemporaneamente come problema cristologico, ma l'innesto della concettualità greca nella problematica cristiana, che caratterizza la riflessione della Chiesa antica, se da un lato consente una formulazione rigorosa della fede cristiana nel Dio trinitario, porta d'altro lato con sé la possibilità dello sviluppo di una concezione di Dio sostanzialmente difforme rispetto a quella intesa dal pensiero biblico, giacché il presupposto fondamentale della conoscibilità razionale di Dio, implicato dall'impostazione speculativa greca del problema teologico, vanifica sia l'idea dell'assoluta trascendenza di Dio sia, conseguentemente, quella dell'unicità della sua rivelazione in un determinato punto della storia. In effetti, le concezioni di Dio elaborate sino al sec. XIV dalla teologia medievale si presentano legate in grandissima parte all'eredità del pensiero greco, e quindi convergenti nell'affermazione di fondo della continuità fra mondo naturale e Dio, che, sul piano gnoseologico, si traduce nell'asserzione della possibilità di una conoscenza naturale di Dio (per esempio, le prove dell'esistenza di Dio formulate da San Tommaso). Il pensiero medievale stesso esprime però anche una diversa posizione teologica – formulata nel modo più esplicito e conseguente da Guglielmo d'Occam – che costituisce un ritorno all'originaria concezione di Dio ebraica e neotestamentaria: l'obiettivo critico della teologia occamista è appunto il fondamento tanto ontologico (continuità tra mondo e Dio) quanto gnoseologico (conoscibilità naturale, o razionale, di Dio) della riflessione teologico-filosofica scaturita dall'elaborazione dell'eredità del pensiero greco, cui si contrappone nuovamente l'idea dell'assoluta trascendenza di Dio rispetto al mondo e alla ragione umana. Si può dire che nelle motivazioni teologiche di fondo del contrasto che oppone nel Medioevo tomismo e occamismo siano contenuti i termini essenziali delle differenti concezioni di Dio espresse nell'età moderna e contemporanea dal cattolicesimo e dal protestantesimo. Nel cattolicesimo, erede e continuatore del pensiero tomista, è ribadita la possibilità della conoscenza naturale di Dio, definita dogmaticamente nella Constitutio de fide del Concilio Vaticano I (1870) dove si afferma che “Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza attraverso le cose create, in forza del lume naturale della ragione umana”, e ciò sulla base del presupposto che esista un'analogia tra l'essere di Dio e quello del mondo (analogia entis). Legato storicamente all'occamismo, attraverso Lutero, ma soprattutto ponendosi come erede consapevole dell'esclusiva tradizione biblica, il protestantesimo nega, al contrario, la continuità e l'analogia tra mondo e Dio e l'accessibilità di Dio alla riflessione razionale che prescinda dall'incontro con la realtà storica di Gesù Cristo, nella quale consiste l'unica piena rivelazione divina: le asserzioni della teologia dialettica sull'assoluta trascendenza di Dio, sulla sua inconoscibilità naturale, sull'esclusività della sua rivelazione in un determinato punto della storia non solo riassumono il senso essenziale della concezione di Dio protestante, ma costituiscono il momento contemporaneo della riaffermazione conseguente della concezione biblica, entro la continua dialettica tra questa e l'eredità del pensiero greco che caratterizza lo svolgimento della concezione di Dio nella storia del cristianesimo. Sulla rivelazione di Dio in quanto Dio nascosto ha insistito K. Barth, con una ricerca teologica ricca di risultati e di profonde illuminazioni; inizialmente vicino a lui nella direzione della “teologia dialettica” è R. Bultmann, che ha poi seguito la via della demitologizzazione del Nuovo Testamento. Teilhard de Chardin vuole testimoniare, dal canto suo, che Dio si manifesta attraverso l'evoluzione del mondo creato dall'Alfa, punto da cui esso parte, fino all'Omega verso il quale tende. È da ricordare, infine, nell'ambito della moderna teologia della secolarizzazione, la corrente teologica della “morte di Dio” (Van Buren, Hamilton, Altizer, ecc.), che insiste sull'aspetto profano del mondo e sull'assenza di Dio da esso.
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