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COMMENTO DELLA SECONDA LETTERA AI CORINTI

Ultimo Aggiornamento: 04/03/2012 22:30
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24/02/2012 18:47
 
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PATERNI TIMORI

[19]Certo, da tempo vi immaginate che stiamo facendo la nostra difesa davanti a voi. Ma noi parliamo davanti a Dio, in Cristo, e tutto, carissimi, è per la vostra edificazione.
Ancora un altro pensiero da chiarificare. Qualcuno, o tutti, leggendo la Lettera, avrebbero potuto immaginare che Paolo abbia fatto un discorso così lungo, per difendere il suo operato dinanzi a loro.
Paolo non ha queste preoccupazioni. Lui non ha nulla da difendere davanti agli uomini. La sua coscienza, il suo ministero, ogni sua opera egli l’ha sempre compiuta dinanzi a Dio e dinanzi a Lui egli ora parla.
Per essere più precisi egli parla davanti a Dio in Cristo. Davanti a Dio significa che il tribunale è uno solo e anche il giudice è uno solo.
Il tribunale è quello di Dio, il giudice è lo stesso Dio. Egli attualmente ha parlato ai Corinzi come se fosse dinanzi al tribunale di Dio per ricevere la sentenza eterna sulla sua vita.
È come se Dio lo avesse convocato in giudizio per rendere a lui ragione delle sue opere, di ogni sua opera, non solo nei confronti dei Corinzi, ma di ogni altro uomo, che lui ha incontrato nel suo ministero apostolico.
In Cristo ha un altro significato. Egli si giustifica, o parla dinanzi a Dio, non secondo la verità degli uomini, il loro pensiero, la loro volontà. Non è la legge degli uomini il codice morale e spirituale della sua coscienza, è invece quella di Cristo.
È la volontà di Cristo, la parola di Cristo, i desideri di Cristo, i pensieri di Cristo la sua legge, la norma che guida la sua coscienza, che governa i suoi pensieri, che dirige la sua volontà, che mette in moto i suoi sentimenti. Secondo questa legge egli parla e sull’osservanza e nel compimento della verità del Signore Gesù Cristo egli sarà giudicato.
Questa è l’unica norma, l’unica legge che un uomo dovrebbe avere sempre dinanzi ai suoi occhi, fissa nel suo cuore, impressa nella sua coscienza, Secondo questa legge noi saremo giudicati, secondo questa legge noi dobbiamo anche vivere ed operare.
Se Paolo non dovrà essere giudicato secondo la legge dei Corinzi, o degli uomini, perché parla dinanzi a loro dell’osservanza della legge di Cristo, di cui egli è uno scrupoloso osservante?
Lo fa non per discolparsi, ma per edificare i Corinzi. Lo fa per insegnare loro che c’è una legge suprema alla quale ogni uomo deve obbedienza, anche a costo di perdere tutti gli uomini e tutto il mondo.
Lo fa per insegnare ai Corinzi che i loro desideri, la loro volontà, i loro sentimenti non possono essere norma per nessuno. Ogni uomo deve porsi dinanzi a Dio, in Cristo, e agire dinanzi a Dio secondo la legge di Cristo Gesù.
Come ogni uomo deve essere rispettato nella sua obbedienza a Dio, così si deve sentire obbligato in coscienza a rispettare la volontà di Dio negli altri.
È nel compimento della volontà di Dio per quanto ci riguarda e nel rispetto della stessa volontà per quanto riguarda gli altri che la salvezza nostra e del mondo si compie.
Nessuno pertanto deve farsi legge per gli altri, nessuno deve assoggettarsi alla legge dei fratelli. Dio è il Signore e nessun altro.
È questa l’edificazione che Paolo vuole dare ai Corinzi. Nessuna giustificazione da parte sua, nessuna difesa. C’è solo un insegnamento grande che lui deve dare e deve farlo attraverso il racconto della sua vita, svelando alcuni particolari che lo hanno investito durante il suo lunghissimo apostolato a favore del Vangelo e anche della loro salvezza.
[20]Temo infatti che, venendo, non vi trovi come desidero e che a mia volta venga trovato da voi quale non mi desiderate; che per caso non vi siano contese, invidie, animosità, dissensi, maldicenze, insinuazioni, superbie, disordini,
Questo versetto si può scomporre in due parti:
Temo infatti che, venendo, non vi trovi come desidero e che a mia volta venga trovato da voi quale non mi desiderate.
È un timore questo che deve sempre accompagnare l’uomo di Dio. È il timore che non si faccia mai abbastanza per compiere in tutto la volontà di Dio.
È questo un timore giusto, santo. Dobbiamo fare tuttavia una differenza. Per quanto riguarda la persona di Paolo, il suo agire, si tratta di un timore di mancata perfezione. Egli teme che i Corinzi non lo trovino perfetto in ogni cosa, non però secondo la misura della loro fede, o secondo la loro volontà, o i loro pensieri, ma secondo la volontà di Dio.
Teme cioè che qualcuno possa pensare che Paolo ancora non è perfetto secondo Dio. Questo timore deve spingerci ogni giorno a realizzare la volontà di Dio secondo la regola della più alta perfezione. Dobbiamo osservare la volontà di Dio anche nei più piccoli precetti. Ogni parola del Vangelo deve essere da noi vissuta, osservata, crescendo in una intensità di amore sempre più grande, anzi procedendo di amore in amore e di verità in verità, sempre sorretti e guidati dallo Spirito di santificazione che è stato riversato nei nostri cuori.
Per quanto invece attiene al timore di Paolo nei confronti dei Corinzi, non si tratta del raggiungimento della perfezione assoluta, di una vita interamente santa ancora non ottenuta, quanto di non trovarli liberi da alcuni peccati che sono la negazione stessa della fede cristiana.
Ci sono, infatti, nella fede cristiana, alcune cose che manifestano perfezione e Paolo è nella perfezione, ma anche alcune cose che rivelano la nostra appartenenza al mondo e non più a Cristo, svelano il nostro vivere secondo la carne e non invece secondo la legge e l’amore di Cristo Gesù.
che per caso non vi siano contese, invidie, animosità, dissensi, maldicenze, insinuazioni, superbie, disordini,
Tutte queste cose rivelano che i Corinzi, o coloro che nella comunità le compiono, sono ancora sotto la carne e non sotto lo Spirito di Dio. Queste opere sono dell’uomo secondo Adamo e non dell’uomo secondo lo Spirito, rigenerato e fatto nascere da lui a vita nuova.
Questi vizi citati da Paolo manifestano una sola realtà: la totale assenza dell’amore di Cristo nei loro cuori; rivelano il pieno loro ritorno nella carne.
La carne è egoismo; la legge di Cristo è amore, dono della propria vita a Dio e in Dio ai fratelli.
Contese, invidie, animosità, dissensi, maldicenze, insinuazioni, superbie, disordini altro non sono che manifestazioni dell’egoismo che governa la mente e il cuore dell’uomo che gli fa ricercare solo se stesso, mettendosi contro gli altri, anzi volendo e desiderando che gli altri siano tutti per lui.
Paolo teme che ancora queste cose non siano del tutto sparite dai loro cuori e dalla vita bene ordinata di una comunità che ha scelto la legge di Cristo per vivere e per operare. Ora è proprio della legge di Cristo consumarsi per amore, darsi agli altri perché attraverso il suo sacrificio possano offrire a Dio il culto in spirito e verità che il Signore domanda e vuole da ogni uomo.
Ogni buon pastore deve spendere interamente tutta la sua azione missionaria a liberare i cuori da questi vizi. Quando un cuore si libera dall’egoismo e da tutti quei frutti di male che l’egoismo produce, nella comunità inizia a splendere il sole della verità e della grazia, il sole della giustizia e della santità.
Se invece un pastore lascia che questi vizi crescano, abbondino e si moltiplichino nella comunità che egli regge nel nome di Cristo, egli altro non fa che dichiarare la morte spirituale della comunità. Ed è vera morte spirituale perché è un ritorno alla carne, alla concupiscenza, all’egoismo, alla superbia e ad ogni altro peccato che distrugge, mina alle fondamenta l’edificio cristiano che si regge e si costruisce, si eleva solo dalla distruzione di questi peccati e dall’immissione nel nostro cuore dell’amore di Cristo, vissuto sullo stesso modello di Cristo, che si umiliò, annientando se stesso fino alla morte e alla morte di croce.
[21]e che, alla mia venuta, il mio Dio mi umilii davanti a voi e io abbia a piangere su molti che hanno peccato in passato e non si sono convertiti dalle impurità, dalla fornicazione e dalle dissolutezze che hanno commesso.
In verità è un po’ misteriosa questa affermazione di Paolo. In che modo Dio avrebbe potuto umiliare Paolo e perché Paolo teme di essere umiliato da Dio dinanzi ai Corinzi?
L’umiliazione potrebbe essere una sola: quella di essere giudicato da Dio non irreprensibile nei loro confronti nella sua azione pastorale, missionaria.
A volte può capitare che un pastore sia di animo blando, non forte, non sicuro di sé. A causa di questa sua debolezza spirituale potrebbe indurre nell’errore gli altri, potrebbe indurli a pensare che in fondo la dirittura morale non sia poi tanto necessaria per essere dei buoni discepoli di Cristo Gesù.
A volte il missionario, o colui che regge una comunità, con il suo non intervento nel riprendere coloro che sbagliano, potrebbe far credere agli altri che tutto sia lecito, anche permanere o ritornare nei peccati di un tempo.
Qui Paolo enumera tre gravi peccati: l’impurità, la fornicazione, le dissolutezze. Sono, questi, vizi gravissimi che attestano che un uomo ancora non è sotto il regime della grazia, ma del peccato.
Non è sotto il regime della grazia perché ancora non si è liberato dalla sua condizione di un tempo, quando ancora non conosceva Cristo Gesù, ancora non era stato battezzato da acqua e da Spirito Santo, ancora non era stato rigenerato a vita nuova.
Quando si è nel regime della carne questi peccati sono vizi naturali all’uomo, sono l’espressione stessa della sua natura, che è concupiscente, sfrenata, senza regole sessuali.
Quando invece si passa sotto il regime dello Spirito questo non può più avvenire. Con la forza dello Spirito Santo bisogna entrare nel perfetto dominio di sé. Un uomo sa quando è governato dallo Spirito proprio dal fatto che riesce a governare, a superare, a vincere i moti della sua carne, ad avere un controllo perfetto della sua sessualità, che viene incanalata nella legge di Cristo, vissuta in tutto secondo la sua volontà.
Si piange solo per il peccato. Ma il pianto per il peccato potrebbe avere una duplice origine.
Perché si offende Dio che è la fonte di ogni bene, la luce eterna ed infinita che dona luce e vita ad ogni uomo. Dio è degno di ogni amore, è degno dell’offerta della nostra vita, è degno del nostro sacrificio. Chi ha il suo cuore in Cristo, vedendo il cuore di Cristo ferito dalle continue trasgressioni degli uomini, piange perché il cuore di Cristo è nel pianto, soffre perché il cuore di Cristo è nella sofferenza.
In qualche modo anche lui si sente responsabile del peccato del mondo, del male che arrecano al suo Signore e per questo anche lui è nel pianto. Questo è, però, un pianto di amore, un pianto di partecipazione alla sofferenza di Cristo, un pianto di crocifissione per Lui per amore, affinché il peccato venga espiato, cancellato, annullato.
L’altro pianto invece è un pianto di giustizia e non di amore, è un pianto di omissione, di mancata opera di evangelizzazione, di formazione, di educazione nella retta fede.
Questo pianto deve essere dolore per il peccato commesso. Questo pianto deve essere sigillato con il perdono da parte di Dio e con l’espiazione da parte nostra.
L’uomo di Dio deve avere sempre il santo timore di non dover mai incorrere in questo pianto. Deve sempre conservarsi puro e retto nella coscienza, vero in ogni parola che esce dalla sua bocca, forte in ogni decisione che serve per manifestare le esigenze del Vangelo della salvezza.
L’uomo di Dio può solamente piangere il pianto di Gesù su Gerusalemme. Gesù, il Giusto, il Santo, colui che è stato sempre mosso dallo Spirito del Signore non aveva nulla da rimproverarsi, la sua coscienza gli attestava la verità perfetta di ogni sua azione.
Lui pianse su Gerusalemme perché aveva rifiutato il dono di Dio, l’offerta della pace. Di questo pianto l’uomo di Dio deve sempre piangere. Dell’altro mai.
È questa l’attenzione che deve mettere in ogni sua opera.
Se i Corinzi non si sono convertiti non è certo per colpa sua. Egli ha dato veramente tutto quello che doveva dare. Tuttavia egli è uomo ed è proprio dell’uomo giusto e timorato di Dio pensare sempre di non dare mai abbastanza, di non fare mai alla perfezione ciò che il Signore ci chiede.
Questa umiltà ci preserva dalla superficialità, ci impegna a consumare veramente noi stessi per la causa del Vangelo.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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