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COMMENTO DELLA SECONDA LETTERA AI CORINTI

Ultimo Aggiornamento: 04/03/2012 22:30
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16/02/2012 14:31
 
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LO SPLENDORE DEL GLORIOSO VANGELO DI CRISTO

L’apostolo: voce umana di Dio. Il vero apostolo di Gesù, che vive in ascolto dello Spirito del Signore, che si lascia muovere da Lui in ogni cosa, è voce umana di Dio. Da questa verità scaturiscono due impegni: il primo obbliga ogni apostolo del Signore ad essere sempre, in ogni momento solo voce di Dio, portatore sulla terra della sua volontà, della sua parola, del suo amore, della sua carità. Il secondo vuole invece che venga sempre e comunque, in ogni circostanza, difeso il suo ministero, il suo apostolato. Non difendere il ministero dell’apostolo del Signore equivale a non difendere Cristo Gesù; a volte anche a dire che, in fondo, quello che l’apostolo dice non riguarda Cristo Gesù, o che il Cristo Gesù dell’apostolo non è il vero Cristo, il vero Messia, il vero Inviato di Dio per la salvezza del mondo intero. Poiché Cristo e l’apostolo sono vitalmente uniti, missionariamente una cosa sola, se viene meno l’apostolo, anche Cristo viene meno e se si disprezza la parola dell’apostolo si disprezza anche la Parola di Cristo Gesù. Da questo principio, che è poi verità evangelica, nasce l’obbligo per l’apostolo di essere sempre vera voce di Cristo, ma anche per tutti gli altri di difendere l’apostolo di Cristo, per difendere Cristo che parla ed agisce per mezzo del suo strumento umano.
Camminare secondo la carne. Camminare secondo la carne ha un significato ben preciso nell’antropologia paolina: seguire la carne e i suoi desideri, le sue concupiscenze e la sua superbia che sono contro Dio, sono abolizione di Dio nella vita di una persona. Camminare secondo la carne non significa però non vivere nella carne, nel corpo. Finché siamo su questa terra dobbiamo vivere in questo corpo di peccato, ma dobbiamo anche superare il peccato nel nostro corpo attraverso la preghiera, l’acquisizione delle virtù e quel dominio di sé che è frutto dell’opera dello Spirito Santo dentro di noi. Possiamo noi superare il peccato che milita in noi? Lo possiamo se lo vogliamo; lo possiamo se mettiamo in atto tutti quei mezzi di grazia e di verità, di prudenza e di saggezza, di temperanza e di fortezza che sono a portata di mano, perché sono opera dello Spirito Santo dentro di noi.
Le armi di Paolo. Le armi di Paolo per distruggere il peccato in sé e attorno a sé sono ben note: la sua forza è lo Spirito del Signore nei suoi santi sette doni, nei suoi frutti. Lo Spirito Santo è il creatore in noi della vita di Cristo Gesù, è il datore di ogni dono celeste; è colui che infonde nella nostra anima la grazia santificante e ogni grazia attuale perché noi possiamo vincere le insidie del male che militano nelle nostre membra, ma anche agiscono dall’esterno sotto forma di tentazione, di suggestione, di concupiscenza, di attrazione. Tutto è possibile quando lo Spirito Santo abita e dimora in noi. Perché vi dimori lo Spirito è necessario che vi facciamo dimorare la Parola di Cristo, che cresciamo nel compimento della volontà di Dio. Ma è proprio dello Spirito farci vivere la Parola, è proprio della sua azione muoverci di volontà divina in volontà divina, fino alla perfetta realizzazione in noi di essa. Invocandolo nella preghiera, ascoltandolo nel silenzio, fuggendo con orrore il male, attaccandoci sempre al bene è possibile piacere al Signore. È certezza: chi vuole, può vincere il mondo e ogni peccato del mondo, nel proprio corpo, fuori del proprio corpo. Chi vuole però deve attingere la forza dallo Spirito Santo e deve rivestire le armi della sua potenza, che sono amore e verità, sincerità e volontà di bene.
Pena solo medicinale. La Chiesa è il grembo dei peccatori. La Chiesa ama i peccatori. Li ama perché li ama Dio. Come Dio ha dato la vita in Cristo per noi, empi e peccatori, così la Chiesa deve dare la vita, versare il suo sangue, divenire sacrificio gradito al Signore per la loro salvezza. La Chiesa è voce di Cristo, voce del Padre, per invitare ogni peccatore a conversione, a penitenza, per chiamare ogni uomo alla fede al Vangelo. “Convertitevi e credete al Vangelo”: è questo il grido che la Chiesa deve far sempre risuonare nel mondo. Una volta che è avvenuta la conversione, essa deve aiutare i suoi figli, i santi di Dio, a crescere nella santità e per questo tanti sono i mezzi che il Signore ha posto nelle sue mani. Assieme ai mezzi di grazia e di verità, ha anche affidato alla Chiesa la correzione, l’esortazione, il richiamo, e infine anche la giusta pena. La pena nella Chiesa è sempre medicinale, è l’estremo rimedio da offrire al peccatore perché continui il suo cammino di santità, abbandonando per sempre il peccato, per crescere di grazia in grazia fino alla perfezione. La pena si giustifica dalla gravità spirituale, gravità eterna ed irrimediabile, che è la dannazione eterna. Se una piccola pena temporale ci fa superare la pena eterna, che è perdita eterna di Dio e tormento eterno nell’inferno, che questa pena ben venga, anzi che venga sempre. La Chiesa vi ricorre per amore, per amore della salvezza di chi si è smarrito e ogni altra via per farlo ritornare sul sentiero della grazia e della verità è divenuta infruttuosa. Tuttavia bisogna essere sempre prudenti nel donare una pena, specie se questa alla fine risulterà un allontanamento più grande. In questo occorre tutta la saggezza e la prudenza della Chiesa, tutto il suo amore di madre che genera figli a Dio, valutando caso per caso le vie, le forme, i modi concreti di intervento, perché la medicina che si vuole dare risulti efficace. Questo però non significa che non bisogna intervenire energicamente per affermare la verità di Cristo, per difendere la sua grazia, per proteggere i cristiani da ogni errore. In questo ci è di sommo aiuto la differenza che ormai è prassi nella Chiesa tra errore e errante. L’errore è sempre da combattere; l’errante è sempre da amare e ogni intervento su di lui deve nascere dalla carità, che è carità di salvezza, di giustificazione, di santità.
Credere nella potenza della Parola pronunciata. Il predicatore del Vangelo deve avere una certezza nel cuore, più che una certezza. Deve avere una fede ferma, risoluta, forte, incrollabile. Deve egli credere nella potenza della Parola da lui pronunciata. La Parola che egli annunzia, o dice, non è parola di uomo, è parola di Dio. Essa possiede la stessa forza creatrice della Parola eterna del Signore. Essa può quindi conquistare un cuore, convertirlo, aprirlo alla verità e alla grazia, incamminarlo verso la vita eterna. Nulla è impossibile alla Parola di Dio, tutto è invece possibile. Se il predicatore della Parola cammina sulle vie del mondo con questa certezza, con questa fede, egli farà in modo che nessuna parola profana più uscirà dalla sua bocca, farà invece sì che solo Parole di Dio sgorgheranno dal suo cuore. Ma per questo è necessario che Dio sia nel suo cuore e Dio vi abita se lui fa dimorare la Parola di Cristo Gesù. Il cuore si ricolma del Vangelo, nel cuore ricolmo del Vangelo abita il Signore, dal cuore in cui abita solo Dio e nessun altro, usciranno solo Parole di Dio, Parole di verità, Parole creatrici della santità nel cuore degli uomini.
La verità dentro di noi riconosce la verità che è fuori di noi. Ognuno di noi è obbligato a riconoscere la verità, a camminare nella verità, a realizzare tutta la verità. Ma la verità non sempre viene a noi data direttamente, non sempre lo Spirito del Signore ispira la nostra mente, riscalda il nostro cuore, muove la nostra volontà. Spesso, molto di più di quanto non si pensi, la verità dello Spirito viene attraverso vie esterne a noi. Come facciamo a riconoscere la verità dello Spirito di Dio che viene dal di fuori di noi? La regola è semplice e di facile applicazione. Se in noi c’è il desiderio di conoscere la verità, se c’è una reale volontà per abbracciarla una volta conosciuta, se c’è anche la libertà del martirio dentro di noi, nel senso che siamo disposti a mettere al primo posto la verità della salvezza, anche a costo di perdere la nostra vita e tutto quanto oggi la circonda, affetti, amici, beni di questo mondo, realizzazioni terrene, se in noi c’è veramente un cammino nella povertà in spirito e quindi un abbandono a Dio che vuole fare di noi degli strumenti del suo amore, allora sapremo riconoscere sempre la verità che è fuori di noi. La riconosceremo perché noi siamo nella verità, la verità vogliamo, anche se non la possediamo in tutta la sua pienezza di luce e di bellezza soprannaturale. Se invece in noi c’è chiusura nel nostro io, se l’egoismo e il peccato governano la nostra vita e non vogliamo per nulla distaccarci da essi, che è poi il fine della verità che viene data a noi dall’esterno, anche se la riconosciamo come verità, non l’accogliamo; se poi non vogliamo convertirci, può anche capitare e di fatto capita che la combattiamo anche, con il rischio di peccare contro lo Spirito Santo e di compromettere per sempre la nostra salvezza eterna.
Autorità, quale? L’autorità nella Chiesa è sempre per la verità, mai contro di essa. La Chiesa ha il deposito della verità, deve custodirla, proteggerla, difenderla, consegnarla al mondo intero sempre nella sua bellezza originaria, deve però consegnarla non come l’ha ricevuta da Cristo, ma come lo Spirito Santo di Dio, di ora in ora, la fa maturare nel suo seno. È proprio dello Spirito Santo condurre la Chiesa verso la verità tutta intera. L’autorità della Chiesa è pertanto collaborazione con lo Spirito Santo di Dio perché la verità rimanga la verità di Cristo, perché essa mai divenga falsità, mai si trasformi in tenebra. L’autorità è saggezza, prudenza, fortezza, giustizia per difendere la verità, ma anche per diffonderla. Questa autorità viene dallo Spirito Santo e si deve esercitare nello Spirito Santo. Se manca lo Spirito Santo in un responsabile della verità (Papa, vescovi, sacerdoti, diaconi, ministri vari della parola, ordinati e non) c’è un distacco dalla verità, c’è anche un non esercizio dell’autorità. Non può esercitare l’autorità per la difesa della Parola o per la sua seminagione nei cuori colui che non possiede la verità nel suo seno, colui che non è guidato dallo Spirito Santo e dalla sua sapienza. C’è l’esercizio attivo dell’autorità nei confronti della Parola, della Verità e ce n’è uno passivo. L’esercizio attivo è quando direttamente si interviene per difendere la verità e per diffonderla. L’esercizio passivo invece è quando noi, attraverso il nostro non intervento, legalizziamo la falsità, l’errore, l’eresia, il buio etico e veritativo che regna nella comunità. Questo esercizio dell’autorità al passivo, al negativo, che è di non intervento, è deleterio per la comunità, sancisce la sua morte spirituale, legalizza il suo suicidio morale. Il non intervento è gravissimo peccato di omissione. Molte anime si perdono a causa di questa omissione. Si ricordi ciò che dice Ezechiele al c. 13: il non intervento fortifica il male e l’errore nella comunità, scoraggia e deprime quanti operano il bene. Che il Signore ci preservi da questa grave omissione. È un peccato che conduce alla morte eterna, perché ci rende responsabile di tutti i peccati che si commettono nel mondo. Chi vuole governare una comunità, chi è preposto a farlo, non deve mai confondere verità con carità. Costui deve essere fermo nella verità, dolce nell’amore, sapendo che c’è un silenzio colpevole che lo rende responsabile dinanzi a Dio. Il suo intervento circa la verità deve essere sia per quella immanente, sia per quella trascendente. La verità è verità e basta. Difenderla, annunziarla, proporla, esporla è il mandato di Cristo a tutti i suoi discepoli, anche se la responsabilità varia dagli uni agli altri.
Misura dell’amore in noi o fuori di noi? Siamo chiamati ad amare sempre. Ma qual è la misura dell’amore che dobbiamo riversare nel mondo? Questa misura è in noi, immanente al nostro cuore, o fuori di noi, trascendente ogni nostro sentimento? La misura del nostro amore non è in noi, è fuori di noi. La misura di ogni amore è il cuore di Dio Padre. Egli per amore nostro non ha esitato a dare il suo Figlio Unigenito e a darlo in una maniera cruenta, crocifisso, inchiodato al palo, considerato un reietto da Dio e un maledetto. Al sacrificio corporale si è aggiunto il sacrificio spirituale. Il Dio creatore e Signore dell’uomo, il Santo e il Giusto, fu condannato come un bestemmiatore. L’autore della vita fu crocifisso. Colui che è venuto per amare e solo per amare gli uomini, fu considerato e quindi giudicato uno che avrebbe fomentato odio e violenza, distruzione e negazione di ogni dignità umana. La misura del nostro amore è Cristo crocifisso. Noi lo riceviamo come dono dell’amore del Padre, dobbiamo farlo fruttificare e lo facciamo fruttificare salendo anche noi sull’albero della croce ed effondendo il nostro sangue per la salvezza dell’umanità. Chi non muore per i propri fratelli da salvare, da ricondurre a Dio, ancora non ha trasformato interamente la misura dell’amore di Cristo in servizio di salvezza. Ancora deve imparare come si ama, ancora non conosce l’abbondanza dei frutti dell’amore che Dio ha messo nel suo seno.
Andare agli altri sempre con il Vangelo. Il missionario di Cristo Gesù deve andare dai suoi fratelli solo con il Vangelo. Lui non ha altre verità da annunziare. Mai dovrà farsi irretire dai ragionamenti del mondo, né tanto meno annullare, o “usare” il Vangelo per le cose peccaminose di questo mondo. La sua parola dovrà essere una spada a doppio taglio: separare Dio e l’uomo, la verità e il peccato, il cielo e la terra, il bene e il male, il sacro e il profano, i pensieri dell’uomo e quelli di Dio. Se non farà questo, la logica del mondo lo conquisterà, lo distruggerà, lo ridurrà ben presto al silenzio. Il Vangelo è la forza del missionario. Il mondo farà di tutto perché il missionario lasci il Vangelo e prenda il suo giornale come criterio di lettura della storia e della verità di Dio.
Le parole della fede comprese dalla fede. Chi non è animato dalla fede, chi non vive di fede, non potrà mai comprendere le parole che nascono dalla fede, che sgorgano da un cuore che vive secondo la fede. Più grande è la misura della fede che abita in un cuore, più grandi sono le parole di fede che nascono da esso. Chi possiede una fede piccola, incipiente, non potrà mai comprendere colui che possiede una fede forte, adulta, matura. Questo spiega perché i santi sono sempre incompresi. Non sono compresi perché la chiave di lettura delle loro parole non è la loro fede, è la nostra. La nostra però è piccola e non può contenere la straordinaria grandezza della verità che sgorga dal loro cuore. Questo è il motivo per cui solo un santo può comprendere un altro santo; ma anche perché solo chi vuole divenire santo può camminare dietro un altro santo. Chi non vuole divenire santo entra in contrapposizione con il santo e lo ostacola nella sua verità, nella sua parola, nella sua santità. Così facendo diventa un inciampo per il santo, un tentatore, uno che lo pone in difficoltà, ma anche dimostra a se stesso e agli altri la poca santità che c’è nel suo cuore e soprattutto la mancanza di una fede adulta che non lo sostiene nel suo cammino verso Dio in compagnia dei santi.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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