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COMMENTO ALL'APOCALISSE

Ultimo Aggiornamento: 13/12/2011 13:22
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13/12/2011 13:22
 
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LE ORIGINI E LA CONCLUSIONE

1 Mi mostrò poi un fiume d'acqua viva limpida come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell'Agnello. 2 In mezzo alla piazza della città e da una parte e dall'altra del fiume si trova un albero di vita che dá dodici raccolti e produce frutti ogni mese; le foglie dell'albero servono a guarire le nazioni.
3 E non vi sarà più maledizione.
Il trono di Dio e dell'Agnello
sarà in mezzo a lei e i suoi servi lo adoreranno;
4 vedranno la sua faccia
e porteranno il suo nome sulla fronte.
5 Non vi sarà più notte
e non avranno più bisogno di luce di lampada,
né di luce di sole,
perché il Signore Dio li illuminerà
e regneranno nei secoli dei secoli.

La terza visione propone le idee principali già ribadite dalle prime due. La simbologia richiama chiaramente il cap. 2 della Genesi: il paradiso terrestre. Le origini della storia umana e la conclusione si ricongiungono. Ma la visione di Giovanni si ricollega a Gen 2 passando attraverso la rielaborazione che ne ha fatto Ezechiele (cap. 47): dal tempio scaturisce la sorgente di acqua viva che cresce fino a trasformarsi in un fiume maestoso, tra due rive di alberi lussureggianti.

C’è un’idea di fondo molto chiara: l’acqua scaturisce dal tempio, cioè da Dio. È da Dio che viene la vita e il mondo nuovo, non da altri.

Abbiamo detto che l’inizio e la fine si congiungono, le prime pagine della Bibbia fluiscono nelle ultime. La Bibbia si apre con il racconto di un paradiso perduto: Adamo ed Eva hanno perso la comunione con Dio, l’amicizia tra di loro e l’armonia con la terra. Gli uomini di fede che hanno scritto quelle antichissime pagine hanno compreso che il mondo così come oggi lo troviamo è un mondo decaduto, è la conseguenza del peccato. Per darsi una spiegazione hanno guardato indietro, verso il passato. La nostra pagina invece, che non solo conclude l’Apocalisse, ma la Bibbia intera, rovescia la prospettiva: non la nostalgia verso il paradiso perduto, ma la speranza verso un mondo nuovo che sta nascendo. Lo sguardo è in avanti, non all’indietro. Il mondo, così com’è, è frutto del peccato (questo l’Apocalisse lo dice con molto vigore), ma è anche un mondo in cui la forza della presenza di Dio sta operando. È un mondo che soffre nel travaglio del parto, e le crisi che l’attraversano sono momenti di crescita, e non semplicemente castighi per le molte idolatrie commesse. Un mondo degno dell’uomo non è un sogno svanito, anche se è vero che il peccato sembra sciupare ogni cosa. La conclusione a cui ci porta l’Apocalisse è questa: il mondo nuovo, il mondo degno dell’uomo non è un sogno, ma è una certezza. Il mondo nuovo è una realtà sicura come è sicura la promessa di Dio.

Il paragone con le prime pagine della bibbia può essere ulteriormente approfondito. Là un movimento che andava dalla pace al travaglio (dal paradiso terrestre alla fatica del lavoro, alla morte, alle lotte fratricide, al diluvio, alla schiavitù dell’Egitto ... ), e dall’universale al particolare (dall’intera umanità al popolo di Abramo). Qui invece è tutto alla rovescia: dal travaglio della storia umana alla pace di Dio, dalle comunità cristiane (a cui sono rivolte le sette lettere e l’intero libro) all’umanità intera.

Ma L’Apocalisse non è solo una visione di consolazione, neppure nelle sue pagine conclusive. È anche un drastico avvertimento. Dal mondo nuovo di Dio ci possono essere anche degli esclusi, dei quali l’Apocalisse tenta di tracciare una descrizione, quasi un elenco: una descrizione che però deve essere compresa alla luce di tutto il discorso apocalittico per non essere fraintesa. Che ci possano essere degli esclusi è ribadito con forza due volte: 21,8.27. Come si vede da questi due passi, le mancanze che l’uomo commette sono molte, ma ciò che è più importante capire è che tutte sono indicative di una scorrettezza più profonda, che possiamo chiamare "menzogna" o anche "idolatria". È qui la radice di tutto. Più volte l’Apocalisse ci ha fatto capire che la menzogna non è semplicemente la mancanza di sincerità, come il dire bugie, ma è una falsità esistenziale, un modo scorretto di impostare l’intera vita e la società: cioè una vita impostata su falsi valori, su ideali che pretendono servire l’uomo e in realtà lo distruggono, pretendono appellarsi alla verità, ma in realtà sono a vantaggio di interessi di parte, possono perfino presentarsi in nome di Dio, ma in realtà non fanno che idolatrare l’uomo. Tutto questo è la menzogna e l’idolatria, cioè una filosofia e un’impostazione pagana dell’esistenza.

Non tutto conduce alla novità di Dio e alla Gerusalemme celeste. Soltanto la strada dei martiri, che sono coloro che rifiutano l’idolatria e impostano la vita sulla parola di Dio, vi conduce.

*****

vv. 1–5. Con la venuta della nuova Gerusalemme è tornato il paradiso anticamente perduto. Un fiume limpido come il cristallo sgorga dal trono di Dio e dell’Agnello (Gen 2,10-14; Ez 47; GI 4,18; Zc 14,8). Le sue acque donano la vita; ne deriva una crescita rigogliosa e un’abbondante benedizione. La fine dei tempi corrisponde ai tempi delle origini: l’albero della vita, che era al centro del paradiso terrestre (Gen 2,9; 3,22) verdeggia anche nel nuovo mondo di Dio (2,7; 22,14.19).

Siccome la visione si avvicina al testo di Ez 47,7.12, dove il profeta osserva le piante sulle due rive del fiume, forse l’albero della vita in questa pagina va inteso come un singolare collettivo: sulle due rive del fiume ci sono alberi della vita. Le loro radici attingono alle acque della vita del fiume e i rami fruttificano, con abbondanza paradisiaca, dodici volte all’anno. Le foglie danno guarigione ai popoli che accorrono (21,3), perché nel nuovo mondo di Dio non ci sarà più né malattia, né dolore, né morte (21,4). Secondo la promessa di Zc 14,11 nella città non vi sarà più nulla di maledetto, perché il peccato sarà stato definitivamente eliminato insieme al diavolo e alla morte. Il luogo della presenza divina nella nuova Gerusalemme non sarà più il tempio, ma il trono di Dio e dell’Agnello, e i suoi servi lo serviranno e avranno comunione con Dio e con Cristo. Sulla terra nessun uomo aveva potuto vedere Dio perché al cospetto della santità divina avrebbe dovuto morire (1,17). Ma adesso i servi di Dio, che portano il suo nome sulla fronte e sono quindi segnati come sua proprietà, possono vederlo com’è (Mt 5,8; 1Gv 3,2). Lo splendore di Dio li illumina in ogni tempo (21,23-25) ed essi parteciperanno al governo di Dio sull’universo (1,6; 5,10). Come la condanna che ha colpito i dannati rimane eternamente valida (20,10), così i beati regneranno con Dio e saranno con lui per tutta l’eternità.

 

 

CONCLUSIONE E AUTENTICAZIONE DEL LIBRO

6 Poi mi disse: «Queste parole sono certe e veraci. Il Signore, il Dio che ispira i profeti, ha mandato il suo angelo per mostrare ai suoi servi ciò che deve accadere tra breve. 7 Ecco, io verrò presto. Beato chi custodisce le parole profetiche di questo libro».
8 Sono io, Giovanni, che ho visto e udito queste cose. Udite e vedute che le ebbi, mi prostrai in adorazione ai piedi dell'angelo che me le aveva mostrate. 9 Ma egli mi disse: «Guardati dal farlo! Io sono un servo di Dio come te e i tuoi fratelli, i profeti, e come coloro che custodiscono le parole di questo libro. E' Dio che devi adorare».
10 Poi aggiunse: «Non mettere sotto sigillo le parole profetiche di questo libro, perché il tempo è vicino. 11 Il perverso continui pure a essere perverso, l'impuro continui ad essere impuro e il giusto continui a praticare la giustizia e il santo si santifichi ancora.
12 Ecco, io verrò presto e porterò con me il mio salario, per rendere a ciascuno secondo le sue opere. 13 Io sono l'Alfa e l'Omega, il Primo e l'Ultimo, il principio e la fine. 14 Beati coloro che lavano le loro vesti: avranno parte all'albero della vita e potranno entrare per le porte nella città. 15 Fuori i cani, i fattucchieri, gli immorali, gli omicidi, gli idolàtri e chiunque ama e pratica la menzogna!
16 Io, Gesù, ho mandato il mio angelo, per testimoniare a voi queste cose riguardo alle Chiese. Io sono la radice della stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino».
17 Lo Spirito e la sposa dicono: «Vieni!». E chi ascolta ripeta: «Vieni!». Chi ha sete venga; chi vuole attinga gratuitamente l'acqua della vita.
18 Dichiaro a chiunque ascolta le parole profetiche di questo libro: a chi vi aggiungerà qualche cosa, Dio gli farà cadere addosso i flagelli descritti in questo libro; 19 e chi toglierà qualche parola di questo libro profetico, Dio lo priverà dell'albero della vita e della città santa, descritti in questo libro.
20 Colui che attesta queste cose dice: «Sì, verrò presto!». Amen. Vieni, Signore Gesù. 21 La grazia del Signore Gesù sia con tutti voi. Amen!

Giunti alla fine della lettura di questo testo, è chiaro che l’Apocalisse è un libro dalle molte fisionomie. È una "rivelazione profetica", che svela alla comunità credente il senso profondo e nascosto delle cose che accadono. È una "lettera di ammonizione", che invita la chiesa a rimanere fedele alla propria tradizione, a stare salda di fronte alle difficoltà e a rifiutare energicamente le attrattive o le minacce del mondo. È un "vangelo", cioè la proclamazione di una notizia consolante e impegnativa, esattamente come il vangelo che Gesù ha annunciato nei villaggi della Galilea (Mc 1,5): "Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino" (ecco la notizia consolante); "Convertitevi e credete al vangelo" (ecco l’avvertimento impegnativo).

Il messaggio dell’Apocalisse (ad es.: 14,6) è appunto un messaggio di consolazione rivolto a ogni uomo di buona volontà e un avvertimento. La notizia consolante è la certezza che la parola del Cristo è vittoriosa e che i martiri sono i veri protagonisti della storia; che tutte le idolatrie e i miti che l’uomo va costruendo e che sono la causa delle guerre, delle contraddizioni e delle aggressioni sono destinati a crollare; che il mondo rinnovato e purificato è già pronto, al sicuro nelle mani di Dio. L’avvertimento impegnativo è il pressante invito ad abbandonare la città idolatra, le sue illusioni, il suo lusso sfacciato, la sua prepotenza.

Infine l’Apocalisse è un "libro liturgico", da leggere di fronte a un’assemblea radunata per l’ascolto e la preghiera, e che in essi ringiovanisce la propria speranza e trova la luce per comprendere i fatti che accadono e il coraggio per assumerne le conseguenze.

Le molte fisionomie dell’Apocalisse si ritrovano, tutte riunite, nel brano conclusivo.

Sorprende, anzitutto, l’insistenza con cui ricorre l’espressione "questo libro" (vv. 7.9.10.18.19): l’Apocalisse è nata come libro da leggere e da ascoltare. Si noti poi la frequenza con cui si sottolinea che le sue parole sono "profetiche" (vv. 7.10.18.19): parole cioè che svelano il senso profondo delle cose, il punto di vista di Dio.

"Parole fedeli e veritiere" e, di conseguenza, parole, da custodire (vv. 7.9), cioè da conservare e da praticare, e insieme parole da comunicare e svelare, da far conoscere a tutti ("Non sigillare le parole della profezia di questo libro": v. 10); parole che non ci appartengono, alle quali nulla si può aggiungere e dalle quali nulla si può togliere (vv. 18-19). Sono parole di Dio, e le parole di Dio non si toccano: ecco la conclusione che le diverse affermazioni dell’epilogo intendono dire al lettore.

L’Apocalisse è un libro autorevole perché libro di Dio. L’angelo accompagnatore garantisce che si tratta di parole degne di fede (v. 6), Giovanni attesta di averle realmente viste e sentite (v. 8) e lo stesso Signore Gesù interviene con tutto il peso della sua autorità: "lo, Gesù, ho inviato il mio angelo per testimoniarvi queste cose che riguardano le chiese" (v. 16). Le chiese non riconoscono altra autorità all’infuori del loro Signore Gesù: non esistono rivelazioni autorevoli al di fuori della sua (Gv 1,18) e se le sue parole profetiche di questo libro sono autorevoli è unicamente perché vengono da lui, parole che non aggiungono niente alla sua morte e risurrezione, ma semplicemente la spiegano.

Accanto al motivo del carattere profetico e autorevole del libro c’è un secondo motivo: la venuta del Signore Gesù. L’intera rivelazione dell’Apocalisse ha lo scopo di mostrare "ciò che deve accadere tra breve" (v. 7). L’espressione è presente in tutte le grandi svolte del libro, lo apre e lo chiude (1,1; 1,19; 4,1; 22,6). È un’espressione, che non indica soltanto la vicinanza temporale dell’evento, ma la sua necessità, la sua certezza: è certo che queste cose accadranno. Il grande evento imminente è la venuta del Signore Gesù: "Ecco, vengo presto", una promessa ripetuta tre volte (vv. 7.12.20). Di fronte a una tale promessa la preghiera dello Spirito, della Sposa e di ogni cristiano non può essere che questa: "Vieni!" (vv. 17.20). Questa identificazione tra il "tempo vicino" e la "venuta di Gesù" ci riporta al vangelo di Marco, e lo ricordiamo per sottolineare ancora una volta quanto l’Apocalisse sia un messaggio tradizionale. Il tempo compiuto e il Regno vicino si identificano con la stessa presenza di Gesù, la sua parola autorevole, la sua opera liberatrice, la sua morte e risurrezione; l’Apocalisse si chiude con un dialogo liturgico. In esso intervengono l’angelo e Giovanni, Gesù e l’assemblea.

L’Apocalisse è una parola che viene da Dio, una parola che scende dall’alto, e si conclude con una risposta della comunità, una risposta che sale dal basso. Si conclude con una invocazione: "Vieni, Signore Gesù". E con un atto di fede: "Amen". L’assemblea, che ha ascoltato e compreso, non chiede questo o quello, ma semplicemente che il Signore venga. Non c’è cosa più importante di questa. E non chiede che Dio modifichi il suo disegno, ma semplicemente che realizzi quanto egli stesso promette: "Vengo presto", "Vieni, Signore Gesù".

L’Apocalisse e la Bibbia intera si chiudono con una parola di completa sottomissione: "Amen".

*****

vv. 6–7. Cristo, le cui parole hanno trovato espressione nel messaggio di Giovanni (1,1), interviene per primo e conferma che Giovanni ha riferito in modo fedele e veritiero il messaggio che gli era stato affidato (19,9; 21,5). Colui che parla nei profeti è lo Spirito di Dio (1Cor 14,32), il quale manda il suo angelo per mostrare loro le cose che devono accadere tra breve (1,1; 17,1; 21,9). Non v’è contraddizione tra queste parole e il v. 16, dove è detto che Gesù manda il suo angelo perché le comunità ricevano la testimonianza; infatti Cristo è al fianco di Dio, per cui ambedue agiscono e operano insieme.

Giovanni è uno dei profeti che Dio ha scelto come servo (10,7; 11,18). Il tema del libro, che era stato annunciato nel prologo, viene ripreso nel brano conclusivo: le cose che devono accadere tra breve tempo (1,1.19; 4,1). Giovanni le ha viste e le ha scritte. Ed è "beato chi conserva le parole della profezia di questo libro" (v. 7).

vv. 8–9. Parla poi Giovanni, che ha udito le parole e contemplato le visioni. Si descrive ancora una volta ciò che era stato detto in 19,10. Giovanni vuole prostrarsi e adorare l’angelo che gli ha trasmesso le visioni, ma questi glielo vieta. Gli angeli sono semplicemente servi di Dio, come i profeti, e l’adorazione spetta soltanto a Dio. Tutti i credenti che custodiscono le parole di questo libro rendono omaggio a Dio, insieme con gli angeli e i profeti.

vv. 10–16. Cristo riprende nuovamente la parola e ordina a Giovanni di non apporre i sigilli al suo libro profetico. Mentre le apocalissi giudaiche erano sigillate per essere aperte e lette negli ultimi tempi (Dan 8,26; 12,4.9), l’imminenza della fine esige che Giovanni non tenga nascosto il suo messaggio, ma lo comunichi immediatamente alle comunità (1,3). La fine è vicina; la grande separazione degli uomini sta già cominciando (Dan 12,10). Adesso diventa chiaro chi appartiene al numero dei giusti o dei malvagi. Perciò gli iniqui e gli empi non hanno che da continuare per la loro strada, mentre i giusti e i santi praticano la giustizia e si santificano. Il Signore glorioso promette con le parole di Is 40,10 la sua prossima venuta. Allora egli sederà in giudizio e retribuirà ciascuno secondo le sue opere (2,23). Egli apparirà in tutta la sua sublimità e potenza. I titoli di alfa e omega, principio e fine, attribuiti a Dio (1,8; 21,6), ora sono attribuiti al Cristo glorioso (1,17; 2,8). Il Padre e il Figlio sono un solo Dio. Gesù viene a presiedere il giudizio universale (2Cor 5,10; Mt 16,27; ecc.). Beati quelli che sono pronti per quel giorno. Sono coloro che hanno lavato le loro vesti. Questa immagine (7,14) ricorda ancora una volta che i credenti hanno ricevuto il perdono e la purezza mediante la partecipazione alla morte espiatrice di Cristo. Essi avranno diritto all’albero della vita (2,7; 22,2) e potranno gustare la delizia del paradiso ritrovato.

I non credenti sono esclusi dalla cena del Signore e saranno esclusi dalla salvezza futura (21,8.27). Il cane è considerato un animale impuro (Dt 23,19; Mt 7,6; 15,26; 2Pt 2,22), così coloro che si sono macchiati di misfatti (21,8) sono chiamati cani, parola usata in Oriente in senso ingiurioso. I malvagi devono rimanere fuori, mentre la comunità festeggerà nella nuova Gerusalemme le nozze dell’Agnello.

Due brevi frasi in prima persona concludono le parole di Gesù. Egli ha mandato il suo angelo affinché la testimonianza di Dio trascritta nel libro giunga alle comunità (1,3). Egli è il consacrato di Dio.

Vengono applicate a Cristo due promesse dell’Antico Testamento:

1 egli è il Davide della fine dei tempi (Is 11,1ss; Rm 1,3; 2Tm 2,8), non soltanto la "radice" (5,5), ma anche la stirpe di Davide, non solo il figlio di Davide, ma anche il signore di Davide (Mc 12,35ss). In lui che è il re di tutti i re (17,14; 19,16) si adempiono tutte le speranze che erano state riposte sull’atteso re messianico;

2 egli è la fulgente stella del mattino. Nell’antichità la stella del mattino era considerata simbolo di dominio (2,28). È probabile che in questo passo vi sia una reminiscenza delle parole di Balaam, secondo cui una stella sarebbe sorta da Giacobbe (Nm 24,17). Dicendo dunque che Cristo è la fulgida stella del mattino si ripete ancora una volta che egli è il Messia promesso, il re di tutti i re, che ha nelle sue mani il dominio di ogni cosa.

v. 17. La comunità desidera il prossimo ritorno di Cristo. Prendono ora la parola lo Spirito, che si esprime per mezzo dei profeti (2,7), e la comunità redenta, che è la sposa (19,7-8; 21,2.9). Lo Spirito e la Sposa fanno propria l’invocazione che Cristo venga, e tutti coloro che ascoltano tale preghiera vi si associano. Chiunque abbia sete è invitato a ricevere gratuitamente l’acqua della vita. La fonte che scorrerà nella futura era della salvezza (21,6) fluisce già adesso e dà acqua vivificante. Chiunque si avvicini con fede riceve fin d’ora il dono della vita, che Cristo elargisce.

vv. 18–19. Giovanni parla ora per l’ultima volta per farsi garante (1,2) della testimonianza consegnata nel libro. Egli aggiunge un severo ammonimento: che nessuno ne alteri il contenuto. Le sue parole riecheggiano la forma di Dt 4,2 che rivendica la validità incondizionata di uno scritto: "Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando, e non ne toglierete nulla; ma osserverete i comandamenti del Signore Dio vostro che io vi do". Ai trasgressori di questo divieto è comunicata la pena corrispondente secondo la legge del taglione. Chi vi aggiunge qualcosa, e così falsifica il contenuto del libro, attirerà su di sé i flagelli che vi sono descritti; chi invece ne toglierà qualche parte perderà il diritto di partecipare alla gloria futura.

Con queste parole Giovanni afferma molto esplicitamente che la sua opera contiene una testimonianza che è ispirata dallo Spirito di Dio, tanto quanto lo sono gli scritti dei profeti dell’Antico Testamento, il cui contenuto non dev’essere alterato.

vv. 20–21. La promessa che Cristo fa ai suoi è ripetuta ancora una volta nel versetto di chiusura. Il Signore conferma la promessa di venire presto. La comunità da parte sua lo accoglie dicendo: "Amen, vieni Signore Gesù!". L’invocazione aramaica: "Maranà tha" (= "Signore nostro, vieni!": 1Cor 16,22; Didaché 10,6) viene qui tradotta in greco.

Un augurio di grazia, simile a quello con cui terminano le lettere di Paolo, conclude il libro. Come all’inizio del libro l’autore aveva salutato la comunità augurandole grazia e pace (1,4-6), cosi alla fine esprime il voto che la grazia rimanga con tutti. Questa invocazione è fatta per tutti i cristiani. Infatti il libro, che sarà inviato alle sette comunità dell’Asia Minore, è destinato ad essere letto nell’assemblea comunitaria.

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