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COMMENTO ALL'APOCALISSE

Ultimo Aggiornamento: 13/12/2011 13:22
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13/12/2011 13:17
 
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LA DONNA, IL DRAGO E LE DUE BESTIE
(12,1–13,14)

LA DONNA E IL DRAGO

1 Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. 2 Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto. 3 Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; 4 la sua coda trascinava giù un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. Il drago si pose davanti alla donna che stava per partorire per divorare il bambino appena nato. 5 Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e il figlio fu subito rapito verso Dio e verso il suo trono. 6 La donna invece fuggì nel deserto, ove Dio le aveva preparato un rifugio perché vi fosse nutrita per milleduecentosessanta giorni.
7 Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, 8 ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. 9 Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli. 10 Allora udii una gran voce nel cielo che diceva:
«Ora si è compiuta
la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio
e la potenza del suo Cristo,
poiché è stato precipitato
l'accusatore dei nostri fratelli,
colui che li accusava davanti al nostro Dio
giorno e notte.
11 Ma essi lo hanno vinto
per mezzo del sangue dell'Agnello
e grazie alla testimonianza del loro martirio;
poiché hanno disprezzato la vita
fino a morire.
12 Esultate, dunque, o cieli,
e voi che abitate in essi.
Ma guai a voi, terra e mare,
perché il diavolo è precipitato sopra di voi
pieno di grande furore,
sapendo che gli resta poco tempo».
13 Or quando il drago si vide precipitato sulla terra, si avventò contro la donna che aveva partorito il figlio maschio. 14 Ma furono date alla donna le due ali della grande aquila, per volare nel deserto verso il rifugio preparato per lei per esservi nutrita per un tempo, due tempi e la metà di un tempo lontano dal serpente. 15 Allora il serpente vomitò dalla sua bocca come un fiume d'acqua dietro alla donna, per farla travolgere dalle sue acque. 16 Ma la terra venne in soccorso alla donna, aprendo una voragine e inghiottendo il fiume che il drago aveva vomitato dalla propria bocca.
17 Allora il drago si infuriò contro la donna e se ne andò a far guerra contro il resto della sua discendenza, contro quelli che osservano i comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù.
18 E si fermò sulla spiaggia del mare.

Tutti sono d’accordo nel considerare il cap. 12 molto importante, però non è facile comprendere la sua funzione nella dinamica dell’intero libro.

Il sottofondo biblico è massiccio, come sempre: Gen 3,15 (il protovangelo), Is 7,14 (la vergine che partorisce un figlio maschio), Is 66,7 (la nuova Gerusalemme che genera il popolo messianico), Dan 7,7 (l’immagine del drago), Dan 10,13 (la guerra dell’arcangelo Michele), e molti altri. Dunque una vera e propria sovrapposizione di passi, che però ci lasciano intravedere chiaramente che ci troviamo di fronte a un nuovo esodo.

E questa è già un’importante indicazione: Giovanni vuole comunicarci un messaggio di liberazione, un passaggio totale dalla schiavitù alla libertà.

I personaggi principali, presenti in scena dall’inizio alla fine, sono due: la donna e il drago. Giovanni li chiama "segni". Nel linguaggio di Giovanni il segno è una realtà presente nella storia, visibile, sotto gli occhi di tutti, ma che per essere compresa e letta in profondità deve essere "decifrata"; ci si può imbattere in un "segno" senza accorgersene, o dandogli una lettura superficiale e scorretta. Il primo segno è una donna che sta per partorire, soffrendo, un figlio maschio. Chi è questa donna? Israele? La Chiesa? Maria? Siamo già abituati allo stile di Giovanni che sovrappone le immagini e le include l’una nell’altra. La donna è innanzitutto Israele che genera il Messia "destinato a governare le genti con una verga di ferro". La donna è la Chiesa, in balìa della persecuzione. La donna è Maria, madre del Messia e immagine della Chiesa che partorisce nel dolore (Gv 19,25-27).

Il secondo segno è il drago identificato con il demonio.

In breve, la donna e il drago "rappresentano da una parte la Chiesa nella sua dimensione trascendente e terrena, che storicamente dà alla luce il suo Cristo; dall’altra, una forza antagonista di origine demoniaca e di carattere dissacratore che, incarnandosi in fatti e personaggi storici, perseguita la Chiesa" (U. Vanni). Il punto essenziale è l’affermazione della vittoria di Cristo e della conseguente libertà del cristiano: una libertà che non è ancora completamente sottratta agli attacchi del maligno, ma che tuttavia porta in sé una reale possibilità di vittoria.

*****

vv. 1–6. Giovanni, che si trova sulla terra, alza lo sguardo verso il cielo e vi scorge un grande segno. Per la concezione apocalittica il segno nel cielo è un fenomeno assolutamente straordinario che determina il corso degli eventi finali (Mt 24,30; Ap 15,1). Appare l’immagine della regina del cielo, vestita di sole, in piedi sulla luna e con una corona di dodici stelle sul capo. Il numero delle dodici stelle significa che essa rappresenta le dodici tribù che compongono il popolo di Dio. Nell’antico Oriente si personificavano spesso i popoli e le città con figure femminili. Parlando della figlia di Sion l’Antico Testamento si riferisce a volte alla città di Gerusalemme e altre volte alla sua popolazione (Is 1,8; Ger 4,31; ecc.). La donna che Giovanni vede nel cielo è incinta: deve dare alla luce il Messia (v. 5). Siccome questi è Gesù di Nazaret, potrebbe sembrare ovvio riconoscere nella regina del cielo Maria, madre di Gesù. A qualcuno sembra impossibile armonizzare questa interpretazione con il v. 17 in cui la donna appare non solo come la madre del Messia, ma nello stesso tempo come la madre dei credenti. E di conseguenza essa impersona il vero Israele, il popolo di Dio dell’antica e della nuova Alleanza, da cui è venuto Cristo, e al quale appartengono tutti coloro che osservano i comandamenti e sono fedeli alla testimonianza di Gesù (v. 17). Ma come abbiamo già detto, Giovanni sovrappone le immagini e le include l’una nell’altra, per cui questa regina del cielo è nello stesso tempo Israele, la Chiesa e Maria, madre del Messia e della Chiesa, che partorisce nel dolore (Gv 19,25-27).

Compare però nel cielo anche un altro segno, cioè un drago, nemico della donna e del suo bambino che sta per nascere. Il suo aspetto spaventoso è descritto nel modo tradizionale.

Il colore rosso, usato anche in Egitto e a Babilonia per dipingere i mostri tenebrosi, ne indica i propositi omicidi.

I mostri del caos hanno molte teste (Sal 74,14). Sulle sue sette teste il drago ha dieci corna (Dan 7,7). Su ogni testa sta un diadema. Questa indicazione probabilmente accenna già al rapporto tra il drago e la bestia che apparirà adornata di diademi (13,1). Il drago spazza via con la coda un terzo delle stelle del cielo gettandole sulla terra. Questa frase, che ricorda Dan 8,10, mostra l’enorme potenza del mostro. Egli si introduce anche nell’ordine celeste e lo sconvolge. Poi si colloca dinanzi alla donna per inghiottirne il figlio, appena nascerà.

La donna partorisce un figlio maschio, il quale, in qualità di Messia, dovrà pascolare i popoli con una verga di ferro, ossia giudicherà i pagani (Sal 2,9; Ap 2,27; 19,15). Il figlio nato dalla donna è immediatamente sottratto alla presa del drago e rapito presso Dio. Ma la donna è ancora esposta all’ostilità del drago. Ella può tuttavia fuggire nel deserto dove trova un luogo preparatole da Dio e dove viene nutrita per 1260 giorni (= tre anni e mezzo; cf. 11,2–3; 12,14; 13,5). Come il popolo d’Israele un tempo nel deserto aveva sperimentato la fedeltà e la provvidenza di Dio, così anche la comunità cristiana troverà alla fine dei tempi nel deserto un luogo di rifugio sicuro preparatole da Dio.

vv. 7–12. Si presenta ora un poderoso campione che lotta contro il drago. Entra in scena Michele, il protettore di Israele, del popolo di Dio (Dan 10,13.21; 12,1; Gd 9). Michele esce con le sue schiere angeliche per dichiarare guerra al drago. E questi soccombe e non trova più posto in cielo. Dietro questa frase c’è la concezione secondo cui satana aveva la sua sede nel più basso dei cieli; ora l’ha persa: viene cacciato definitivamente dal cielo e precipitato sulla terra. Così si decide la sconfitta del drago, che non potrà mai più tornare nel mondo superiore (Lc 10,18). Con la venuta del Messia il regno di satana è sconfitto (Mt 12,28-29; Gv 12,31; 16,11; 1Gv 3,8; ecc.). Ora che è stato precipitato dal cielo, egli è smascherato come il maligno, il diavolo, satana. Egli cerca di sedurre tutta la terra, ossia tutti gli uomini (Mc 13,21-22) e di distoglierli dall’obbedienza a Dio.

Alla sconfitta del drago segue un inno celeste nel quale viene messo in risalto il significato della vittoria per la comunità cristiana. Giovanni ode un inno in cui ha avuto inizio il regno di Dio e del Messia (7,10; 11,15). A loro spetta ogni autorità, la salvezza e la potenza, e non ai potenti della terra che esercitano il loro ufficio come strumenti del drago (cap. 13). La schiera dei perfetti, che in cielo loda Dio, si sente fraternamente unita ai cristiani che devono ancora affrontare lotte e tentazioni. La chiesa trionfante del cielo ha già visto la caduta di satana, perciò contempla fin d’ora la vittoria della chiesa militante sulla terra. La morte espiatoria dell’Agnello (1,5; 7,14) e la Parola alla quale i credenti hanno reso testimonianza conferiscono ai fedeli una tale forza da poter resistere vittoriosamente agli assalti di satana. Essi erano disposti a dare la vita e ad affrontare la morte; ma chi perde la vita per amore di Cristo la troverà (Mc 8,35) e la conserverà per la vita eterna (Gv 12,25). Anche la fedeltà dei testimoni è dunque oggetto dell’inno; infatti se essi saranno saldi nella lotta contro satana entreranno nel regno di Dio e parteciperanno alla gloria celeste. I cieli e tutti quelli che vi abitano, ossia gli angeli, sono incitati a unirsi al giubilo per la vittoria (Sal 96,11). Ma il compimento finale non è ancora venuto: bisogna ancora che l’ultima battaglia sia combattuta sulla terra. Per questo l’inno di vittoria si conclude con un lamento che allude forse al terzo "guai!", che mancava (8,13; 9,12; 11,14). Il diavolo è sceso sulla terra controvoglia. E ha ancora a disposizione poco tempo, e poiché lo sa, imperversa con furore rabbioso. Ma il suo destino è ormai segnato.

vv. 13–17. L’attentato del drago alla vita del bambino è fallito, ma egli riversa la sua ira contro la donna. Il suo furore è tanto più violento, proprio perché sa che gli è lasciato poco tempo. L’aiuto miracoloso di Dio salva la donna dalle minacce del mostro: le vengono date le due ali dell’aquila per poter fuggire nel deserto, dove sarà protetta. L’Antico Testamento usa spesso l’espressione figurata delle ali d’aquila per esprimere plasticamente la nuova forza conferita da Dio (Es 19,4; Dt 32,11; Is 40,31). La donna è custodita al sicuro in un luogo solitario, dove il serpente non può raggiungerla. Il serpente fa un ultimo tentativo per annientare la donna: le rovescia dietro un torrente d’acqua per affogarla. Ma la donna è aiutata dalla terra, presentata qui quasi come una persona che agisce. Essa apre la sua bocca e inghiotte in una vasta fenditura il torrente che il drago aveva rovesciato dalla bocca (cf. Nm 16,28ss)

Come un tempo la mano protettrice di Dio aveva condotto Israele dall’Egitto nel deserto difendendolo da tutti i suoi nemici, così anche la donna è al sicuro nel deserto. Ciò significa che Dio sosterrà e salverà la sua chiesa nella spaventosa desolazione (Mt 16,18). Il drago, non potendo più impadronirsi della donna, riversa la sua rabbia contro i superstiti della sua discendenza. Essa è costituita dai membri del popolo di Dio che sono figli della donna, come il Messia. Questa lotta riguarda la chiesa nel mondo intero: essa deve passare attraverso la persecuzione che le viene imposta prima della fine dei tempi (cap. 13).

 

 

LE DUE BESTIE

1 Vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna e sette teste, sulle corna dieci diademi e su ciascuna testa un titolo blasfemo. 2 La bestia che io vidi era simile a una pantera, con le zampe come quelle di un orso e la bocca come quella di un leone. Il drago le diede la sua forza, il suo trono e la sua potestà grande. 3 Una delle sue teste sembrò colpita a morte, ma la sua piaga mortale fu guarita.
Allora la terra intera presa d'ammirazione, andò dietro alla bestia 4 e gli uomini adorarono il drago perché aveva dato il potere alla bestia e adorarono la bestia dicendo: «Chi è simile alla bestia e chi può combattere con essa?».
5 Alla bestia fu data una bocca per proferire parole d'orgoglio e bestemmie, con il potere di agire per quarantadue mesi. 6 Essa aprì la bocca per proferire bestemmie contro Dio, per bestemmiare il suo nome e la sua dimora, contro tutti quelli che abitano in cielo. 7 Le fu permesso di far guerra contro i santi e di vincerli; le fu dato potere sopra ogni stirpe, popolo, lingua e nazione. 8 L'adorarono tutti gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto fin dalla fondazione del mondo nel libro della vita dell'Agnello immolato.
9 Chi ha orecchi, ascolti:
10 Colui che deve andare in prigionia,
andrà in prigionia;
colui che deve essere ucciso di spada
di spada sia ucciso.
In questo sta la costanza e la fede dei santi.
I falsi profeti al servizio della bestia
11 Vidi poi salire dalla terra un'altra bestia, che aveva due corna, simili a quelle di un agnello, che però parlava come un drago. 12 Essa esercita tutto il potere della prima bestia in sua presenza e costringe la terra e i suoi abitanti ad adorare la prima bestia, la cui ferita mortale era guarita. 13 Operava grandi prodigi, fino a fare scendere fuoco dal cielo sulla terra davanti agli uomini. 14 Per mezzo di questi prodigi, che le era permesso di compiere in presenza della bestia, sedusse gli abitanti della terra dicendo loro di erigere una statua alla bestia che era stata ferita dalla spada ma si era riavuta. 15 Le fu anche concesso di animare la statua della bestia sicché quella statua perfino parlasse e potesse far mettere a morte tutti coloro che non adorassero la statua della bestia. 16 Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; 17 e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. 18 Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: essa rappresenta un nome d'uomo. E tal cifra è seicentosessantasei.

La bestia che sale dal mare è presentata nella sua fisionomia, in modo che il discepolo sappia identificarla e riconoscerla nelle molte forme storiche che essa assume. La domanda che il lettore deve porsi è questa: chi è la bestia? quali sono i tratti che permettono di identificarla?

La bestia è l’incarnazione storica del drago, il volto storico del demonio. Ne è la riproduzione fedele: lo stesso numero di teste e di corna (12,3; 13,1). Il drago le trasmette la sua potenza, il suo trono e la sua autorità (13,2). Tutta la terra, presa d’ammirazione per la bestia, si mise ad adorare il drago (13,4). È dunque chiaro: la bestia è l’agente terreno del drago, di satana. Ma, a ben guardare, la bestia è anche la scimmiottatura di Cristo, una specie di controfigura grottesca e demoniaca alla rovescia. A modo suo "muore e risorge" suscitando stupore e ammirazione negli uomini sprovveduti. Ha molte teste: colpita in una rivive nell’altra, e così la sua potenza pare indistruttibile. La sua potenza e la sua autorità si estendono su tutta la terra, come il regno di Dio. Ma si tratta di una potenza ricevuta da satana, non da Dio: è la potenza del dominio e della forza, non dell’amore e della libertà. Nel deserto Gesù ha respinto l’offerta di satana: "Ti darò tutta questa potenza e la sua gloria perché è stata data a me e la do a chi voglio; se dunque ti prostrerai davanti a me tutto sarà tuo" (Lc 4,6-7). Gesù l’ha rifiutata, la bestia invece l’ha accettata.

Per l’Apocalisse la bestia che sale dal mare è l’impero romano, non certo negli uomini che lo governano come tali, ma nella sua organizzazione, nel suo potere e nella sua idolatria.

Per decifrare il simbolo della "bestia che sale dal mare" occorre rifarsi al libro di Daniele. Lì si racconta di quattro bestie che "salgono dal mare": "Quattro bestie enormi, una diversa dall’altra, salivano dal mare. La prima era simile a un leone, con ali d’aquila; le vennero tolte le ali, fu sollevata da terra e fatta rizzare sui piedi come un uomo, e le fu dato un cuore umano. La seconda era simile a un orso: stava retta su un lato e aveva tre costole nella gola, fra i denti, e le dicevano: ‘Su, mangia molta carne’. La terza era simile a una pantera: aveva quattro ali d’uccello e quattro teste e le fu dato il potere. Infine ecco una quarta bestia terribile, spaventosa e forte; aveva denti di ferro, mangiava, stritolava e poi calpestava coi piedi ciò che restava; era diversa da tutte le bestie precedenti, e aveva dieci corna" (Dan 7,3-7).

Nella visione di Daniele le quattro bestie rappresentano quattro imperi ostili a Dio: l’impero babilonese, l’impero medio–persiano, l’impero di Alessandro e, infine, l’impero di Antioco IV Epifane (la bestia dalle dieci corna, la più terribile di tutte), persecutore di Israele.

Giovanni ha fuso in una sola le quattro bestie di Daniele, e questo significa che egli non pensava solo all’impero romano (l’incarnazione satanica del momento), ma a tutta la serie degli oppositori di Dio. La bestia che sale dal mare è una bestia dai molti volti. Si incarna sotto varie sembianze, di epoca in epoca, ma è sempre la medesima.

Le sue abituali manifestazioni sono: l’arroganza e la bestemmia, cioè l’intolleranza di Dio e la volontà di mettersi al suo posto (13,6), la pretesa di essere adorata, cioè la pretesa di un’adesione totale e incondizionata: non si pone al servizio dell’uomo, ma si erge come il valore supremo a cui l’uomo deve sacrificarsi (13,4); una volontà di dominio universale (13,7) che è il sogno di tutte le idolatrie dell’uomo, da Babele in poi; la persecuzione contro tutti coloro che ne ostacolano il dominio o, più semplicemente, che si sottraggono alla sua adorazione (13,7-8).

Il lettore avrà notato che tutta la narrazione è al passato, ma che alla fine passa, improvvisamente, al futuro: "L’adoreranno tutti gli abitanti della terra" (13,8).

Giovanni sa molto bene che la storia della bestia continua e che avrà il consenso degli uomini: tutti l’adoreranno. In realtà non tutti, ma soltanto quelli che non hanno il loro nome scritto "nel libro della vita" (13,8). È una prima crepa che mostra la debolezza della bestia: nonostante la violenza di cui dispone, non tutti si piegano ad adorarla. Inoltre deve essere chiaro che il dominio della bestia non è il segno che la storia sia sfuggita dalle mani di Dio, che le concede spazio per i suoi disegni e per un tempo determinato: "Le fu concesso (da Dio) di operare per tre anni e mezzo" (13,5), "le fu data (da Dio) la possibilità di fare guerra ai santi e di vincerli" (13,7a), "le fu data (da Dio) autorità su ogni popolo" (13,7b).

La conclusione della narrazione è impersonale (13,9-10). Non più narrazione, ma avvertimento: "Chi ha orecchi, ascolti!". In ciascuna delle sette lettere d’apertura ricorreva puntualmente l’invito: "Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese" (2,7.11.17.29; 3,6.22). Non si tratta solo di prestare attenzione a ciò che Giovanni scrive, ossia alla parola di Dio, ma più ampiamente di prestare attenzione al disegno di Dio che si fa strada attraverso gli avvenimenti. Un invito a saper leggere i segni dei tempi e a fare discernimento. Un invito soprattutto a non lasciarsi incantare o distrarre dalle apparenze. È l’invito di Gesù: "Chi ha orecchi per intendere, intenda" (Mc 4,9.23): un invito ad accorgersi della presenza del Regno e a comprendere le leggi del suo sviluppo.

Ascoltare significa saper leggere la storia, come hanno fatto i profeti e come ci sta insegnando Giovanni. Quando scopri l’arroganza e la bestemmia, l’intolleranza del dissenso, la pretesa di trasformarsi in dominio universale, allora non lasciarti incantare dagli aspetti affascinanti e positivi che pure possono esserci. Spingi lo sguardo più a fondo e ti accorgerai che questi aspetti positivi sono una maldestra controfigura di Cristo e che il loro scopo è quello di trarre in inganno.

Arroganza e idolatria, volontà di potenza e conquista: ecco i tratti visibili e ricorrenti, che il discepolo deve interpretare per riconoscere e identificare "la bestia che sale dal mare" e, nascosto dietro a lei, il drago che persegue un unico scopo: ostacolare il piano di Dio attraverso un suo piano che apparentemente lo imita.

Ascoltare significa risalire dalle manifestazioni alle radici, dalle apparenze alla realtà che cerca di nascondersi dietro di esse. Senza tuttavia dimenticare che la storia, qualunque cosa succeda, non sfugge mai dalle mani di Dio, e molte cose lo dimostrano. "Se uno uccide di spada, morirà di spada" (13,10): è una legge che segna la fine di tutti i tiranni e il crollo di tutte le idolatrie. Per questo a chi sa ascoltare è richiesto il martirio, cioè la resistenza non violenta: "Se uno è costretto in prigione, vada in prigione" (13,10). Cristo non ha creato nel mondo per i suoi uno spazio di sicurezza: se devi morire, morirai; Cristo non lo impedirà per te, come il Padre non lo ha impedito per lui; ma la tua prigionia e la tua morte sono il segno che il tuo nome è scritto nel libro della vita e che la potenza della bestia sarà sconfitta: "Qui sta la pazienza e la fede dei santi" (13,10).

Dopo la prima bestia che sale dal mare, ecco una seconda bestia che viene dalla terra. Assomiglia a un agnello, ma parla come un drago. È la sua prima caratteristica: è una potenza subdola e ingannevole, e le sue apparenze sono menzognere. Sembra di riudire l’avvertimento del Cristo: "Guardatevi dai falsi profeti, i quali vengono a voi in veste di pecore, ma nell’interno sono lupi rapaci" (Mt 7,15).

La sua seconda caratteristica è di essere in grado di compiere prodigi strabilianti, capaci di disorientare gli uomini e di trarli in inganno: fa scendere fuoco dal cielo e fa parlare la statua. Nel mondo antico era frequente sentir raccontare di statue di celebri santuari che parlavano e si muovevano. Il sorgere di falsi profeti che fanno prodigi per ingannare i credenti è un tratto tradizionale dei passi escatologici del Nuovo Testamento. In Mc 13,22 si legge: "Sorgeranno falsi profeti e compiranno segni e prodigi allo scopo di indurre in inganno, se fosse possibile, anche gli eletti".

La sua terza caratteristica è l’intolleranza: perseguita a morte tutti quelli che si rifiutano di adorare la prima bestia, e a tutti quelli che rifiutano di appartenerle impedisce di "comperare e vendere". Vuole, appunto, che tutti le appartengano, e per questo imprime ai suoi seguaci un marchio riconoscibile.

Il vocabolo greco usato per indicare il "marchio di appartenenza" (cháragma) era il termine burocratico corrente per designare il sigillo dei Cesari. È dunque già chiaro che si sta alludendo alla potenza romana. Ma la sua caratteristica più importante, il tratto che la individua, è di essere totalmente a servizio della prima bestia. Tutto ciò che fa è per rendere credibile la prima bestia e per indurre gli uomini a sottomettervisi. Le fa erigere una statua e poi impone che venga adorata. La pretesa di farsi adorare non è nuova per la Bibbia (e neppure per l’umanità): Nabucodonosor aveva già fatto altrettanto (Dan 3,5ss).

Queste sono dunque le sue principali caratteristiche. Nei capitoli successivi il mostro che viene dalla terra è designato come il "falso profeta" (16,13; 19,20; 20,10). È possibile individuarlo?

Prima di provarci, osserviamo ancora che due diversi tratti della visione fanno pensare che Giovanni avesse davanti agli occhi il culto imperiale. Esso ha origini orientali, ma entrò anche nel mondo ellenistico (Alessandro Magno) e poi a Roma (I sec. d.C.). Lo si favorì per farne un vincolo unitario capace di unire insieme popoli tanto numerosi e diversi. Probabilmente il primo imperatore a pretendere, ancora in vita, onori divini fu Domiziano. Si compiaceva che il popolo in occasione delle grandi feste acclamasse lui e l’imperatrice al grido "Salve al nostro Signore e alla nostra Signora". Faceva iniziare le sue circolari imperiali con la formula: "Il nostro Signore e Dio ordina che sia fatto quanto segue...". In tutto l’impero si fece erigere statue, che dovevano essere venerate, e a Efeso si fece costruire un tempio grandioso.

A questo punto l’identificazione è abbastanza agevole. C’è chi pensa alla classe sacerdotale che, specialmente in Asia Minore, si poneva al servizio del culto imperiale e, quindi, al servizio dell’idolatria politica di Roma. Qualcuno pensa, più in generale, a una sorta di personificazione della propaganda. In ogni caso la seconda bestia è qualcosa che si pone totalmente al servizio della prima. È tutto ciò che si sforza di rendere credibile il potere idolatra. Infatti si sa che nessun potere idolatra si regge senza il potere di una filosofia, di una pseudo–religione, di una ideologia, e senza una ben orchestrata propaganda dei suoi veri o presunti progressi. E il progresso (= "i segni impressionanti") può anche esserci: ma quale? L’idolatria può creare vantaggi parziali, può creare le macchine, ma nessuna macchina può sostituire la libertà, l’amore, la fede.

La conclusione è che le "due bestie" vanno viste insieme e si chiariscono l’una l’altra. Insieme costituiscono la contraffazione di Dio e dell’Agnello (e della predicazione del vangelo) e insieme sono l’incarnazione storica del drago: esigono adorazione, pretendono un dominio universale, imprimono sui loro seguaci un marchio di riconoscimento (analogamente alla scena del sigillo degli eletti: 7,1-8). Insieme assumono la fisionomia dello stato pagano che si fa adorare. Insieme costituiscono un vero e proprio "schema di teologia politica" (U. Vanni).

Nel cap. 13 Giovanni interrompe due volte l’esposizione del simbolo per rivolgersi direttamente all’assemblea che legge e ascolta. Nella prima interruzione (13,10) i credenti sono invitati a perseverare nella pazienza e nella fedeltà a Dio: la violenza della bestia che domina il mondo è sotto il controllo di Dio ed è destinata a crollare. Nella seconda interruzione i credenti sono invitati a mettere in opera quella "sapienza" che viene loro dalla fede. Il mostro è un "numero d’uomo", è cioè iscritto nella realtà umana e storica, e va individuato. Sapiente è colui che comprende il simbolo, ne coglie le strutture che hanno rilevanza storica e poi intuisce dove e in chi queste si incarnano. Il simbolo, in forza dell’universalità che gli è propria, ha una possibilità illimitata di applicazioni concrete.

Sapiente è colui che sa scoprire il volto che esso assume nel preciso momento storico in cui si vive. È come se Giovanni dicesse: "Comprendete il simbolo (cioè lo schema di teologia politica) e scoprite dove e in che cosa oggi, nel vostro mondo, esso si incarna". Per aiutare la sua comunità nel discernimento sapienziale (cioè nel compito di individuare il volto che la bestia, o l’idolatria politica, assumeva in quel tempo), Giovanni ne nasconde il nome sotto la cifra 666. Quale nome vi si nasconde?

Secondo alcuni esegeti la cifra non indicherebbe un nome preciso, ma piuttosto una qualità: si tratta di un nome d’uomo debole e fragile; infatti la cifra che lo esprime risulta di tre sei, e questo significa che si tratta di una realtà imperfetta e impotente. Ecco allora il senso: il dominio della bestia è effimero.

Altri esegeti pensano diversamente. Il gioco di nascondere un nome sotto un numero era noto a giudei e greci: si sostituiva ciascuna lettera del nome con il numero corrispondente (allora i numeri venivano indicati con le lettere dell’alfabeto), si faceva la somma, e si sostituiva al nome la cifra che ne risultava. Il gioco era popolare al punto che su una parete di una casa di Pompei si legge: "Amo quella che ha il numero 545". In tal modo il nome della ragazza rimaneva sconosciuto, eccetto che agli amici che erano a conoscenza del numero. Si è notato che 666 è la somma esatta del nome Nerone Cesare, in lettere ebraiche (qui trascritte secondo il nostro alfabeto NJRWN QJSR).

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vv. 1–8. Il v. 18 del cap. precedente: "E il drago si fermò sulla riva del mare" vuole mettere in evidenza il nesso tra il cap. 12 e il cap. 13, ossia tra il drago satanico e la bestia. Quando l’uomo dell’antico Oriente parlava del mare senza altre precisazioni, intendeva il Mare Mediterraneo che si trovava ad occidente della regione. Ma al di là del mare c’è Roma. Appena il drago si ferma sulla spiaggia, ecco una nuova immagine. Dal mare, sulla cui riva opposta si trova la città dei sette colli dominatrice del mondo, si erge una bestia (Is 27,1; Gb 40,15–32). Il rapporto esistente tra la bestia e il drago viene spiegato nei vv. successivi; è chiaro però, fin dall’inizio, che si tratta di una bestia terribile, nemica di Dio e qui descritta con elementi ripresi da Dan 7. Come prima cosa si vedono le corna, che conformemente a Dan 7,7, sono indicate in numero di dieci, poi si vedono le sette teste. Nel mondo antico si immaginava spesso che i draghi mostruosi avessero sette teste (cf. 12,3). Sulle sue corna la bestia porta diademi come segni del suo potere regale, del quale vuole servirsi nella sua qualità di antagonista di Cristo (cf. 19,22). Sulle sue teste sono scritti nomi blasfemi che offendono l’onore di Dio. Si tratta evidentemente di titoli attribuiti a sovrani nel quadro del culto imperiale romano: eccelso, divino, figlio di dio, signore e dio, salvatore, ecc. Quando un uomo si fregia di questi titoli, Dio è bestemmiato. Giovanni passa poi a descrivere con più precisione la bestia. La frequente ripetizione "come" sta a indicare che i diversi paragoni non sono mai sufficienti a dipingere adeguatamente l’apparizione. In Dan 7,4-7 sorgono dal mare, una dopo l’altra, quattro grosse bestie (un leone, un orso, una pantera e un mostro terribile) che rappresentano i quattro successivi imperi mondiali; qui invece le quattro bestie menzionate da Daniele sono concentrate in un unico essere orrendo. Questa bestia rappresenta dunque senz’altro la potenza universale, l’impero romano, che abbraccia tutta la terra e al cui vertice si trova il Cesare al quale tutti devono rendere onori divini. Ma come si è potuto giungere a una tale concentrazione di potere? Giovanni risponde: perché il drago ha dato alla bestia la sua forza, il suo trono e il suo potere: l’Anticristo si presenta con i pieni poteri che ha ricevuto da satana (cf. 2Ts 2,9).

L’intronizzazione della bestia, compiuta dal drago, appare addirittura come il rovescio del conferimento della dignità regale all’Agnello (5,12). Bisogna notare che con questa immagine Giovanni non vuole presentare qualunque stato come satanico: egli parla nel quadro di una situazione concreta e si oppone alle pretese di uno stato, che non solo esige dai suoi sudditi l’obbedienza alle leggi e agli ordini delle autorità (Rm 13,1-7), ma richiede che si tributino onori divini al sovrano. Nel momento in cui lo stato romano avanza questa pretesa, esso diventa un’antichiesa, e il buon ordine viene pervertito in una minaccia satanica.

Da un lato ci sono il drago e la bestia, dall’altro Dio e l’Agnello. Chi otterrà la vittoria? I miracoli compiuti dalla bestia sembrano dimostrare senza possibilità di smentita la sua potenza e maestà divina. Una delle sette teste della bestia era stata colpita a morte, ma la sua ferita guarì suscitando la meraviglia del mondo intero. Anche in questo caso la bestia è descritta come antagonista dell’Agnello: fa la parodia della morte e risurrezione di Cristo (v. 14). L’immagine tradizionale del mostro a sette teste subisce qui una precisa interpretazione: le sette teste sono sette sovrani dell’impero romano (cf 17,9-10). Ma quale di loro è stato ferito mortalmente ed è tornato in vita? Poco dopo la morte di Nerone si raccontava una storia singolare e meravigliosa (cf. Svetonio, Nerone 57). In un primo tempo si credeva che Nerone non fosse morto, ma solo fuggito molto lontano, da dove sarebbe ritornato come condottiero di un esercito di Parti.

Questa leggenda del "Nero redux" si trasformò qualche tempo dopo nell’attesa del "Nero redivivus". Si diceva dunque che Nerone era morto, ma che sarebbe presto tornato dal regno dei morti per riprendere il potere. Giovanni ha utilizzato questo racconto, molto conosciuto tra il popolo, per attribuire le caratteristiche dell’atteso "Nero redivivus" all’apparizione apocalittica dell’Anticristo, morto e risuscitato da morte. Di fronte a questa grandiosa manifestazione il mondo intero rende omaggio al drago. Tutti devono inchinarsi davanti alla bestia e nessuno le può resistere. E la bestia rivela la sua vera identità proferendo orrende bestemmie contro Dio. Essa può fare a modo suo per quarantadue mesi (= tre anni e mezzo), e cioè durante l’ultimo periodo della tribolazione. Ciò che la bestia fa le è stato dato (da Dio). Ciò significa che Dio permette ciò che accade. Dio è infinitamente superiore al drago e alla bestia perché ha fissato loro un termine e un limite oltre il quale non potranno più imperversare. Alle parole malvagie e blasfeme della bestia seguono anche le azioni malvagie: la bestia fa guerra ai santi e li vince (Dan 7,21): le viene dato (da Dio) di esercitare il dominio su tutta l’umanità. Ancora una volta la bestia appare come l’antagonista dell’Agnello, il quale ha riscattato la sua comunità in ogni tribù, lingua, popolo e nazione (5,9; 7,9). I successi ottenuti dalla bestia impressionano tutti gli abitanti della terra (ossia i non credenti; cf. 3,10), al punto che tutti l’adorano. Soltanto gli eletti di Dio, i quali sono scritti fin dall’inizio del mondo nel libro della vita (3,5) dell’Agnello immolato (21,27; 17,8), riconoscono la seduzione satanica e non si uniscono al coro generale che canta le lodi della bestia.

vv. 9–10. Quest’ora di gravissima minaccia, che Giovanni descrive nella sua immagine, è imminente. Perciò egli esorta la comunità ad ascoltarlo, ad essere pronta e ad accettare la sofferenza. E se Dio vuole che i suoi testimoni siano uccisi di spada, bisogna che sopportino anche la morte.

vv. 11–12. La prima bestia era emersa dal mare (v. 1), la seconda viene dalla terra. Con tale espressione si indica qui l’Asia Minore. La seconda bestia ha due corna (Dan 8,3) come un agnello, ma parla come un drago. Questa immagine del drago allude forse al parlare astuto di satana (Gen 3). Gesù ha messo in guardia i discepoli dai falsi profeti, che si presentano vestiti da pecore, ma dentro sono lupi rapaci (Mt 7,15). La seconda bestia si mette al servizio della prima. Mette in opera tutti i mezzi per ottenere che si tributino onori religiosi al drago, e per ottenere questo compie grandi segni e prodigi, come un falso profeta (Mc 13,22). Dietro a questa figura di bestia, che viene identificata con il falso profeta (16,13; 19,20; 20,10), si nasconde un uomo.

Si potrebbe pensare a qualche personaggio dell’Asia Minore, di cui però non sappiamo nulla; ma è più giusto collegare la seconda bestia con l’intera classe sacerdotale dell’Asia Minore, cioè a tutti quelli che erano al servizio del culto imperiale. In ogni caso la bestia personifica il propagandista (o i propagandisti) del culto imperiale, che cercano di sedurre tuti gli uomini, e, se fosse possibile, anche i credenti. La seconda bestia esercita il suo potere per suo incarico e alle sue dipendenze portando tutti gli abitanti della terra, cioè tutti gli increduli (3,10), ad adorare la prima bestia, la cui ferita mortale era stata guarita.

Come abbiamo già detto, l’imperatore Domiziano, quando era ancora in vita, pretendeva onori divini dai suoi sudditi. Chi si opponeva a questa sua pretesa era severamente punito. Fece uccidere suo cugino, il console Flavio Clemente, e mandò in esilio sua moglie Domitilla, accusati di empietà: la loro colpa era di essersi rifiutati di riconoscere l’imperatore come dio. In Asia Minore costruì un grande nuovo tempio a Efeso, nel quale si doveva venerare l’imperatore davanti a una colossale statua di Domiziano. Nel libro dell’Apocalisse sono impliciti questi sviluppi del culto imperiale, dove la seconda bestia conduce un’efficace propaganda al servizio della prima.

vv. 13–18. La seconda bestia fa scendere fuoco dal cielo come un tempo aveva fatto Elia (1Re 18,38; 2Re 1,10ss). I miracoli servono al profeta menzognero come legittimazione della sua predicazione seduttrice. Il falso profeta riesce addirittura a infondere nell’immagine della bestia uno spirito di vita, e così essa stessa comincia a parlare e ad esigere da tutti di essere adorata. Chi si rifiuta viene ucciso. Si ripete ciò che era avvenuto al tempo del re Nabucodonosor (Dan 3,5-6). Il profeta del culto imperiale fa mettere un marchio sulla mano destra e sulla fronte di tutti coloro che hanno compiuto il dovere del culto all’imperatore. In tal modo essi sono segnati come proprietà della bestia (7,3) alla quale devono obbedienza incondizionata. Le due bestie si presentano come la contraffazione di Dio e dell’Agnello: allo stesso modo l’apposizione del marchio di proprietà sugli adoratori dell’imperatore è il rovescio dell’apposizione del sigillo sui 144.000 (7,1-8). Il termine greco usato per indicare il marchio (cháragma) è l’espressione burocratica corrente per designare il timbro dei Cesari. Chi osa rifiutare il culto all’imperatore, e non si lascia imprimere il suo marchio, è condannato alla rovina economica. Nessuno ha il permesso di commerciare con chi non porta il nome e la cifra della bestia. Per quanto riguarda il numero 666, in base all’alfabeto greco, non è stato possibile trovare il nome di nessun imperatore che offrisse un senso accettabile. Usando le lettere ebraiche per ottenere il totale 666 si può spiegare il numero come Neron Qesar (in ebraico NJRWN QJSR). Ma anche la parola greca therion, ossia bestia, dà il numero 666. Poiché in questo passo dell’Apocalisse si allude ad un mistero apocalittico è molto probabile che il numero 666 sia stato calcolato in base all’alfabeto ebraico. Ad ogni modo la soluzione Neron Qesar è quella che meglio si addice al contesto di tutto il capitolo.

 

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