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COMMENTO ALL'APOCALISSE

Ultimo Aggiornamento: 13/12/2011 13:22
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13/12/2011 13:16
 
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INTERMEZZO: IL POPOLO DI DIO ALLA PROVA

1 Vidi poi un altro angelo, possente, discendere dal cielo, avvolto in una nube, la fronte cinta di un arcobaleno; aveva la faccia come il sole e le gambe come colonne di fuoco. 2 Nella mano teneva un piccolo libro aperto. Avendo posto il piede destro sul mare e il sinistro sulla terra, 3 gridò a gran voce come leone che ruggisce. E quando ebbe gridato, i sette tuoni fecero udire la loro voce. 4 Dopochè i sette tuoni ebbero fatto udire la loro voce, io ero pronto a scrivere quando udii una voce dal cielo che mi disse: «Metti sotto sigillo quello che hanno detto i sette tuoni e non scriverlo».
5 Allora l'angelo che avevo visto con un piede sul mare e un piede sulla terra,
alzò la destra verso il cielo
6 e giurò per Colui che vive nei secoli dei secoli;
che ha creato cielo, terra, mare, e quanto è in essi: «Non vi sarà più indugio! 7 Nei giorni in cui il settimo angelo farà udire la sua voce e suonerà la tromba, allora si compirà il mistero di Dio come egli ha annunziato ai suoi servi, i profeti».
8 Poi la voce che avevo udito dal cielo mi parlò di nuovo: «Và, prendi il libro aperto dalla mano dell'angelo che sta ritto sul mare e sulla terra». 9 Allora mi avvicinai all'angelo e lo pregai di darmi il piccolo libro. Ed egli mi disse: «Prendilo e divoralo; ti riempirà di amarezza le viscere, ma in bocca ti sarà dolce come il miele». 10 Presi quel piccolo libro dalla mano dell'angelo e lo divorai; in bocca lo sentii dolce come il miele, ma come l'ebbi inghiottito ne sentii nelle viscere tutta l'amarezza. 11 Allora mi fu detto: «Devi profetizzare ancora su molti popoli, nazioni e re».
11.1 Poi mi fu data una canna simile a una verga e mi fu detto: «Alzati e misura il santuario di Dio e l'altare e il numero di quelli che vi stanno adorando. 2 Ma l'atrio che è fuori del santuario, lascialo da parte e non lo misurare, perché è stato dato in balìa dei pagani, i quali calpesteranno la città santa per quarantadue mesi. 3 Ma farò in modo che i miei due Testimoni, vestiti di sacco, compiano la loro missione di profeti per milleduecentosessanta giorni». 4 Questi sono i due olivi e le due lampade che stanno davanti al Signore della terra. 5 Se qualcuno pensasse di far loro del male, uscirà dalla loro bocca un fuoco che divorerà i loro nemici. Così deve perire chiunque pensi di far loro del male. 6 Essi hanno il potere di chiudere il cielo, perché non cada pioggia nei giorni del loro ministero profetico. Essi hanno anche potere di cambiar l'acqua in sangue e di colpire la terra con ogni sorta di flagelli tutte le volte che lo vorranno. 7 E quando poi avranno compiuto la loro testimonianza, la bestia che sale dall'Abisso farà guerra contro di loro, li vincerà e li ucciderà. 8 I loro cadaveri rimarranno esposti sulla piazza della grande città, che simbolicamente si chiama Sòdoma ed Egitto, dove appunto il loro Signore fu crocifisso. 9 Uomini di ogni popolo, tribù, lingua e nazione vedranno i loro cadaveri per tre giorni e mezzo e non permetteranno che i loro cadaveri vengano deposti in un sepolcro. 10 Gli abitanti della terra faranno festa su di loro, si rallegreranno e si scambieranno doni, perché questi due profeti erano il tormento degli abitanti della terra.
11 Ma dopo tre giorni e mezzo, un soffio di vita procedente da Dio entrò in essi e si alzarono in piedi, con grande terrore di quelli che stavano a guardarli. 12 Allora udirono un grido possente dal cielo: «Salite quassù» e salirono al cielo in una nube sotto gli sguardi dei loro nemici. 13 In quello stesso momento ci fu un grande terremoto che fece crollare un decimo della città: perirono in quel terremoto settemila persone; i superstiti presi da terrore davano gloria al Dio del cielo.
14 Così passò il secondo «guai»; ed ecco viene subito il terzo «guai».

L’apparizione dell’angelo possente, che consegna a Giovanni un piccolo libro "aperto", fa da contrasto con la scena precedente; lì lo scatenarsi delle forze del male, qui l’assicurazione che il compimento del piano di Dio è vicino. A Giovanni viene consegnato un libro aperto, ma il suo contenuto non viene raccontato. Si conclude dicendo che Giovanni profeterà "di nuovo" sui popoli, le nazioni e i re. L’aggiunta dei tuoni sottolinea l’autorità divina. Nell’Antico Testamento infatti la voce di Dio viene a volte paragonata al rombo del tuono: "Il Signore tuonò dal cielo, l’Altissimo fece udire la sua voce" (Sal 18); "Il Signore ruggisce dall’alto, fa sentire il tuono dalla santa dimora" (Ger 25,30).

E il numero sette può indicare pienezza e definitività. Possiamo dunque considerare il fragore dei sette tuoni come una "sigla" che vuole sottolineare la parola dell’angelo: "Non vi sarà più alcuna dilazione di tempo" e "il mistero di Dio sarà allora compiuto": questa parola di Dio è definitiva e irrevocabile. Questa scena serve come introduzione alla settima tromba, cioè il centro della grande rivelazione.

Sembra che, ad ogni tappa fondamentale del suo discorso, Giovanni senta il bisogno di ancorarsi all’autorità divina e ribadire che l’ordine di profetare e di scrivere gli viene, appunto, da tale autorità. L’Apocalisse s’è aperta con la visione di un libro (cap. 5) "scritto dentro e fuori e sigillato con sette sigilli". Ora la stessa immagine ritorna, ma con alcune varianti importanti: il libro è piccolo, è aperto, il suo contenuto non è più un mistero che per essere compreso richiede la morte-risurrezione di Gesù.

È certo che Giovanni ha presente la scena descritta da Ezechiele (2,8–3,3), una drammatizzazione di quanto Geremia – a sua volta aveva già detto molto brevemente: "Trovate le tue parole, le divorai" (15,16). Nel libro che Dio consegna a Ezechiele ci sono lamentazioni, pianti e guai (2,9), e tuttavia quando il profeta lo mangia sente in bocca "qualcosa di dolce come il miele" (3,3). La parola di Dio è salvifica anche quando minaccia. Giovanni, riprendendo il passo di Ezechiele, precisa che il libro è allo stesso tempo dolce e amaro: dolce perché il popolo di Dio rimane protetto e la salvezza è vicina; amaro perché la salvezza passa attraverso la tribolazione. Il gesto di mangiare il libro ha un significato molto chiaro nelle visioni di Ezechiele: la parola di Dio deve penetrare nell’intimo del profeta, deve diventare la sua vita, il suo tormento e la sua consolazione: "Non essere ribelle come questa casa ribelle, apri la bocca e mangia quello che ti porgo" (2,8). Il profeta, prima di essere inviato ad annunciare la Parola, è invitato a metterla in pratica, ad essere diverso dal popolo: non ribelle, ma obbediente. È così anche per Giovanni. Chi intende diffondere la parola di Dio deve prima di tutto assimilarla.

Prima di darci, con lo squillo della settima tromba, l’annuncio tanto atteso dell’inaugurazione del regno di Dio (11,15-18), Giovanni ci presenta un ultimo quadro che fa parte di quel meccanismo di differimento che abbiamo già incontrato. Non è facile precisare il senso di questo quadro, ma con ogni probabilità vuole svelarci il mistero contenuto nel "piccolo libro", il libro dolce e amaro (10,8-10). L’atto di misurare (Ez 40,3.5.35.47; 41,13) indica distinzione o separazione o, meglio ancora, preservazione: ciò che è misurato è sottratto e preservato. Il tempio, l’altare, gli adoratori simboleggiano il popolo di Dio rinnovato, cioè la comunità cristiana.

Il cortile esterno non è misurato, cioè non è sottratto e preservato, ma lasciato in balìa della violenza dei persecutori. Si tratta della comunità giudaica? O più semplicemente di una parte della chiesa che Dio lascia in balìa della persecuzione? La frase "È stato concesso ai pagani di calpestare la città santa" sembra alludere alla distruzione di Gerusalemme e alla profanazione del tempio (Lc 21,14). Di chiunque si tratti qui, è certo che le forze del male hanno un sopravvento, ma limitato nel tempo: quarantadue mesi, cioè tre anni e mezzo, la metà di sette. Tre anni e mezzo è la durata della persecuzione di Antioco Epifane, descritta nel libro di Daniele, cap. 8: divenne, nella tradizione apocalittica, la durata tipica di ogni persecuzione. In questo quadro di lotta, ecco le figure dei due testimoni, la cui identificazione costituisce il principale problema dell’intero brano. Dapprima Giovanni si accontenta di direi che sono "profeti" e che il loro compito è la "testimonianza". Poi, dopo una lunga parentesi esplicativa, la narrazione riprende dicendo che i due testimoni, dopo aver esaurito il tempo della loro testimonianza, sono vinti e uccisi dalla "bestia che sale dal mare". Ritroviamo quest’ultima immagine nel cap. 13: simboleggia le forze demoniache che trovano la loro incarnazione storica nello stato pagano che si fa adorare. I due testimoni sembrano davvero sconfitti. Una sconfitta pubblica e festeggiata da tutto il mondo: "Gli abitanti della terra fanno festa e per la gioia si scambiano doni, perché i due profeti hanno infastidito gli abitanti della terra" (v. 10). Ma anche questo trionfo è effimero: tre giorni e mezzo. Poi la potenza di Dio li fa risorgere, e un grande terremoto fa crollare la decima parte della città, e fa perire settemila persone. I due testimoni di Dio sembravano sconfitti, ma in realtà sono vittoriosi.

La conclusione, a differenza di altri quadri analoghi (9,2 1), è positiva: i superstiti "diedero gloria a Dio" (v. 13).

I cadaveri dei due testimoni rimangono esposti nella pubblica piazza della "grande città": l’espressione fa pensare a Roma (16,19; 17,18; 18,10.16.18.19.21). Ma una successiva indicazione ("dove il loro signore fu crocifisso") fa pensare a Gerusalemme. E subito dopo ci dice che "simbolicamente" si chiama Sodoma o Egitto. Ci troviamo così di fronte a una sovrapposizione di indicazioni che si sottraggono a una collocazione precisa e circoscritta, e orientano verso uno schema, una cifra teologica: la corruzione, il paganesimo, l’ostilità a Cristo: tutte cose che non appartengono a un luogo solo, ma che trovano, di volta in volta, la loro incarnazione storica in questa o in quella società, in questo o in quell’altro luogo.

Un discorso simile va fatto anche a proposito dei due testimoni. Giovanni ci offre parecchi indizi per identificarli. L’immagine dei due ulivi e dei due candelabri rinvia a Zaccaria 4,1-14. Per Zaccaria i due ulivi sono Giosuè e Zorobabele, i due capi, l’uno politico e l’altro religioso, della comunità giudaica nel ritorno dall’esilio babilonese. Ma Giovanni, pur avendovi alluso con chiarezza, non vuole che ci leghiamo troppo a queste due figure: interrompe la citazione e offre altre indicazioni. "Un fuoco esce dalla loro bocca". L’immagine fa ricordare 2 Re 5–12: è la storia di Elìa che per due volte fece scendere il fuoco dal cielo. Qualche commentatore pensa anche a Geremia (5,14), là dove si dice che la parola di Dio è un fuoco e il popolo legna da ardere.

I due testimoni hanno il potere di "chiudere il cielo" e questo fa di nuovo pensare a Elia (1Re 17,1). Ma il potere di cambiare l’acqua in sangue e di colpire la terra con ogni sorta di flagelli fa venire in mente Mosè e le piaghe d’Egitto (Es 7,17; 19,20). Ci accorgiamo, a questo punto, di trovarci davanti al medesimo fenomeno riscontrato per l’identificazione della "grande città": una sovrapposizione di indizi che si sottraggono a precise identificazioni. Alludono a figure precise, ma insieme se ne staccano. Giovanni ci presenta schemi, figure libere e sciolte, che possono incarnarsi in diversi volti storici: Mosè, Elia, Geremia, Giosuè e Zorobabele, e tanti altri. I due testimoni sono due figure che assommano in sé i tratti e le costanti di tutta una storia di profeti e di giusti dell’Antico e del Nuovo Testamento che trova la sua più completa realizzazione nella vicenda di Gesù Cristo. Scrive Ugo Vanni: "Chi sono, in concreto, queste figure emblematiche? L’autore le scioglie liberamente da qualunque limitazione cronologica e le sottrae a ogni identificazione esaustiva: dà degli "schemi" di personaggi. La chiesa di ogni tempo, mediante il suo discernimento sapienziale, potrà riempire questi schemi, dando loro un contenuto (nomi, circostanze, i santi, i maestri, ecc.) sempre nuovo".

Dunque, se anche Giovanni ha in mente fatti particolari (come la caduta di Gerusalemme, la persecuzione contro i cristiani da parte dell’impero romano, o altro), è però altrettanto vero che egli supera questi confini. Ci presenta uno schema perenne, nel quale continuamente rivive la vicenda del Cristo: morte e risurrezione. È uno schema che già i profeti e i giusti dell’Antico Testamento hanno vissuto, e che le comunità cristiane continuamente sono chiamate a rivivere.

*****

vv. 1–11. Giovanni non si trova più in cielo, ma sulla terra. Egli vede un angelo possente scendere dal cielo. Ha sul capo l’arcobaleno, e il suo volto è raggiante e luminoso. Le sue gambe si innalzano come colonne di fuoco; egli appoggia un piede sul mare e l’altro sulla terra. In mano reca un libretto aperto (cf. Ez 2,9), nettamente distinto da quello menzionato in 5,1 perché chi lo legge è un angelo e non Dio; il libro è aperto e non sigillato, ed è preso in consegna non dall’Agnello, ma da Giovanni (vv. 9-10). Il libretto è molto più piccolo e meno importante del libro dei sette sigilli. Le cose scritte nel libretto portato dall’angelo vengono raccontate in 11,1-13. L’angelo annuncia un messaggio: la fine del mondo è imminente. Il momento del giudizio e della redenzione (6,11) è vicinissimo. Qui si parla del giudizio di Dio come se fosse già avvenuto, perché non c’è alcun dubbio che egli porterà a compimento il suo progetto. I profeti possono quindi parlare di avvenimenti futuri come di fatti immutabili e irrevocabili: Dio infatti ha dato loro il gioioso annuncio della prossima distruzione delle potenze tenebrose e della salvezza della comunità cristiana. Questo futuro trionfo di Dio è talmente certo che riempie già adesso il presente, consolando e rinfrancando la chiesa con la predicazione profetica.

La voce celeste del Cristo si rivolge ancora una volta a Giovanni e gli dà l’ordine di prendere il libretto aperto dalla mano dell’angelo e divorarlo. Il libretto è dolce come il miele al palato (cf. Ez 3,3), ma nello stomaco diventa amaro. Il libretto è dolce e amaro allo stesso tempo: dolce perché assicura la protezione di Dio; amaro perché la via alla gloria passa necessariamente attraverso la perseveranza in mezzo ai dolori.

*****

Cap.11. vv. 1–14. La nuova scena comincia con l’invito a compiere un’azione simbolica. Giovanni riceve una canna con cui deve misurare il tempio, l’altare e gli adoratori che si trovano nel tempio. Il tempio, l’altare e gli adoratori saranno così preservati e non cadranno vittime dell’occupazione pagana. Il tempio è simbolo della comunità cristiana. Essa sarà preservata perché il popolo di Dio si trova sotto la protezione divina anche nel momento del terrore (7,1-8). D’altra parte è necessario che i testimoni del Cristo passino attraverso la sofferenza.

Compaiono qui due testimoni con un compito profetico. Il loro abbigliamento indica che sono predicatori di penitenza, perché indossano vesti di sacco in segno di lutto. Quando avranno terminato di rendere la loro testimonianza, la bestia si leverà dall’abisso contro di loro. La bestia, è detto qui con le parole del libro di Daniele, li combatterà e li sconfiggerà. In Dan 7,21 si parla del re nemico, il siro Antico Epifane (175–164 a.C.), e della sua guerra contro il popolo di Dio. Nella letteratura apocalittica la bestia bellicosa dell’abisso è diventata un’immagine tipica per individuare l’avversario degli ultimi tempi. La bestia sconfigge i due testimoni e li uccide. Tutti si rallegrano di essere stati liberati dai due scomodi predicatori di penitenza e si scambiano regali per esprimere la loro gioia. Ma questa gioia maligna ha un brusco arresto. Dopo tre giorni e mezzo i cadaveri dei due testimoni sono richiamati in vita, e tutti quelli che assistono al fatto sono presi da terrore. Risuscitati dai morti, i due testimoni sono chiamati a salire in cielo. Dio non lascia nella morte i suoi testimoni, ma li richiamerà in vita per attirarli a sé. Nella miseria e nella tribolazione tutti coloro che mantengono la loro testimonianza sperimentano la fedeltà di Dio che li salva e li protegge.

 

 

LA SETTIMA TROMBA

15 Il settimo angelo suonò la tromba e nel cielo echeggiarono voci potenti che dicevano:
«Il regno del mondo
appartiene al Signore nostro e al suo Cristo:
egli regnerà nei secoli dei secoli».
16 Allora i ventiquattro vegliardi seduti sui loro troni al cospetto di Dio, si prostrarono faccia a terra e adorarono Dio dicendo:
17 «Noi ti rendiamo grazie,
Signore Dio onnipotente,
che sei e che eri,
perché hai messo mano alla tua grande potenza,
e hai instaurato il tuo regno.
18 Le genti ne fremettero,
ma è giunta l'ora della tua ira,
il tempo di giudicare i morti,
di dare la ricompensa ai tuoi servi,
ai profeti e ai santi e a quanti temono il tuo <nome,
piccoli e grandi,
e di annientare coloro
che distruggono la terra».
19 Allora si aprì il santuario di Dio nel cielo e apparve nel santuario l'arca dell'alleanza. Ne seguirono folgori, voci, scoppi di tuono, terremoto e una tempesta di grandine.

Abbiamo letto in 10,7: "Quando il settimo angelo farà udire il suono della sua tromba, allora sarà consumato il mistero di Dio". Giovanni ha differito ripetutamente il suono della settima tromba. Ma ora il momento è finalmente giunto. Il lettore però, tenuto tanto a lungo in sospeso, resta probabilmente deluso: una semplice scena celeste simile, nell’apparenza, ad altre già lette. Invece bisogna leggere attentamente per non perdere il significato profondo di questo brano. Esso è strutturato secondo uno schema: annuncio, risposta, visione. L’annuncio è questo: la regalità sul mondo appartiene al Signore. La risposta di ringraziamento: "Ti rendiamo grazie Signore, Dio onnipotente... La visione: "Il tempio del cielo si aprì e apparve l’arca dell’Alleanza...".

L’annuncio è semplice e lo potremmo esprimere con le medesime parole con cui Marco ha iniziato il suo racconto, riassumendo in forma lapidaria, l’intera predicazione di Gesù: "Il tempo è compiuto" (1,15). Un annuncio essenziale e atteso: è finito il tempo in cui le forze del male facevano da padrone nel mondo; la signoria del mondo è passata nelle mani del Signore Gesù.

Non è pensabile un annuncio più semplice e più importante di questo. Giovanni ci aveva già detto che le forze del male (e quindi il loro apparente dominio) avevano i giorni contati (2,10; 9,5; 11,2). La consumazione del "mistero di Dio" (10,7), che la settima tromba doveva annunciare, è dunque questo: la regalità del mondo è passata nelle mani di Dio e del suo Messia. È l’equivalente della "lieta notizia" dei racconti evangelici. Sembra di intravedere, sullo sfondo, il Sal 2, che descrive un dramma in quattro scene: le genti tumultuano e i potenti complottano contro Dio ("congiurano contro il Signore e il suo Messia: gettiamo via i loro legami"); Dio, che siede nei cieli, si fa beffe di loro e poi, adirato, invia il suo Messia a mettere ordine ("Il Signore si fa beffe di loro e nel suo furore li sgomenta: ho stabilito il mio re in Sion, sul mio santo monte"); il re Messia si presenta, afferma la sua regalità e comunica l’ordine ricevuto da Dio ("Li spezzerai con scettro di ferro, come vasi di argilla li frantumerai"); infine il salmista invita i popoli a rinsavire e a sottomettersi al dominio di Dio ("E ora, sovrani, siate saggi, istruitevi giudici della terra; servite Dio con timore e con tremore esultate... Beato chi in lui si rifugia").

All’annuncio dell’avvento della regalità di Dio sul mondo, i ventiquattro anziani, che fanno corona al trono di Dio, rispondono con un gesto di adorazione e con un inno di ringraziamento. L’adorazione è il loro gesto abituale (4,10; 5,8.14). E l’inno di ringraziamento riprende e precisa il tema dell’annuncio: Dio ha manifestato la sua potenza e ha assunto il regno, ha vinto la ribellione dei popoli e ha giudicato i morti. Precedentemente (6,10) avevamo sentito il grido dei martiri: "Fino a quando, Signore, non farai giustizia, vendicando il nostro sangue?". Il grido dei martiri è ora esaudito: di qui il ringraziamento.

Nei capitoli precedenti Dio era costantemente definito "Colui che è, che era e che viene" (1,4; 1,8; 4,8): ora è detto semplicemente "Che sei e che eri". Dio ha mantenuto la promessa ed è venuto. Non c’è più un futuro da attendere. Il futuro è assorbito in un presente senza fine.

La visione dell’arca dell’Alleanza trova la sua origine in una pia credenza giudaica, secondo la quale Geremia nascose sul monte Nebo l’arca del Signore durante l’assedio di Gerusalemme. Quest’Arca era destinata a ricomparire "negli ultimi tempi" come segno della definitiva presenza di Dio. Così si legge nel secondo libro dei Maccabei (2,4-8): "Si diceva anche nello scritto che il profeta (Geremia), ottenuto un responso, ordinò che lo seguissero con la tenda e con l’arca. Giunto presso il monte dove Mosè era salito e aveva contemplato l’eredità di Dio, Geremia salì e trovò una caverna, vi introdusse la tenda, l’arca e l’altare degli incensi, e sbarrò l’ingresso. Alcuni del suo seguito tornarono poi per segnare la strada, ma non trovarono più il luogo. Geremia li rimproverò dicendo: "Il luogo deve restare sconosciuto, finché Dio non avrà riunito la totalità del suo popolo e si sarà mostrato propizio. Allora Dio mostrerà queste cose e si rivelerà la sua gloria"".

La visione dell’apparizione dell’arca significa dunque che il "compimento" di Dio non consiste semplicemente nella vittoria sulle forze del male nel giudizio, ma in una presenza divina nuova e definitiva, in una comunione senza rotture.

Il brano è dunque interamente dominato dall’idea del compimento: la regalità del mondo è passata nelle mani di Dio. Resta solo da raccontarlo storicamente, nel suo svolgimento terrestre.

*****

vv. 15–19. Quando il settimo angelo suonerà la tromba si compirà il mistero di Dio (10,7). Conformemente a questo annuncio, si odono inni di lode che esaltano la definitiva vittoria di Dio. In tal modo si anticipa il fatto che il Signore e il suo Messia (Sal 2,2) prendono possesso del regno. La cosa è talmente certa che se ne può parlare fin d’ora usando i verbi al passato (7,9-17; 10,7). I ventiquattro anziani aggiungono le loro voci all’inno e glorificano Dio perché ha assunto il potere. Dio stesso ha mantenuto la promessa che sarebbe venuto (1,8) e ora regna in un presente senza fine. L’apparizione dell’arca dell’Alleanza indica la presenza della grazia di Dio alla fine dei tempi. Dio è con il suo popolo.

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