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COMMENTO ALL'APOCALISSE

Ultimo Aggiornamento: 13/12/2011 13:22
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13/12/2011 13:10
 
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ALLA CHIESA DI SMIRNE

8 All'angelo della Chiesa di Smirne scrivi:
Così parla il Primo e l'Ultimo, che era morto ed è tornato alla vita: 9 Conosco la tua tribolazione, la tua povertà - tuttavia sei ricco - e la calunnia da parte di quelli che si proclamano Giudei e non lo sono, ma appartengono alla sinagoga di satana. 10 Non temere ciò che stai per soffrire: ecco, il diavolo sta per gettare alcuni di voi in carcere, per mettervi alla prova e avrete una tribolazione per dieci giorni. Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita.
11 Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese: Il vincitore non sarà colpito dalla seconda morte.

vv. 8–11. La comunità cristiana di Smirne aveva dovuto ripetutamente soffrire da parte dei giudei persecuzioni e insidie, di cui più tardi fu vittima anche il vescovo Policarpo. Questi, al momento di subire il martirio (nel 156 d.C.), disse di avere servito Cristo per 86 anni.

Non è quindi da escludere che al momento della redazione di questa lettera Policarpo fosse già un membro responsabile della comunità di Smirne.

Il Signore glorificato parla in qualità di primo e ultimo (1,17-18) che è risorto dalla morte. Nessuna parola di biasimo è rivolta alla comunità, ma solo espressioni di elogio. In mezzo alle angustie e alla povertà essa è veramente ricca. Deve tollerare le calunnie e le ingiustizie dei giudei, che con il loro comportamento ostile hanno dimostrato di non essere il popolo di Dio, ma piuttosto la sinagoga di satana, ossia la collettività del diavolo. L’Israele di Dio è costituito esclusivamente da coloro che confessano la loro fede in Cristo (Gal 6,15-16; Rm 2,28). La comunità dovrà affrontare ancora altre sofferenze: alcuni dei suoi membri saranno gettati in carcere. Questa persecuzione, suscitata dagli uomini è opera del diavolo, ma Dio rimane padrone della situazione e vuole mettere i suoi alla prova (Gb 1,6ss); però solo per breve tempo, come è suggerito dall’indicazione di un periodo di dieci giorni (Dan 1,12.14; Gen 24,55). Perciò bisogna essere fedeli fino alla morte. A coloro che concludono con la morte la loro confessione di fede è promessa la corona della vita (Gc 1,12).

Secondo un’antica concezione, gli dèi della luce avevano in testa delle aureole o corone. In paradiso i beati saranno adorni di queste aureole (3,11; 4,4.10; 12,1; 14,14). Coloro che saranno stati fedeli fino alla fine riceveranno il dono della vita che nessuno potrà più togliere loro. Essi infatti non andranno incontro a nessuna sofferenza per la "seconda morte". Questa espressione, che proviene dal giudaismo, indica l’esclusione dalla risurrezione dei morti, o la risurrezione per la condanna e l’invio nella dannazione eterna (20,6.14; 21,8). Tutti gli uomini devono passare per la morte corporale, ma i vincitori non saranno toccati dalla morte eterna, anzi, risusciteranno e passeranno alla vita incorruttibile. Questa promessa deve ravvivare il coraggio e la costanza dei cristiani che sono messi alla prova affinché rimangano fedeli fino alla fine.

 

 

ALLA CHIESA DI PERGAMO

12 All'angelo della Chiesa di Pèrgamo scrivi:
Così parla Colui che ha la spada affilata a due tagli: 13 So che abiti dove satana ha il suo trono; tuttavia tu tieni saldo il mio nome e non hai rinnegato la mia fede neppure al tempo in cui Antìpa, il mio fedele testimone, fu messo a morte nella vostra città, dimora di satana. 14 Ma ho da rimproverarti alcune cose: hai presso di te seguaci della dottrina di Balaàm, il quale insegnava a Balak a provocare la caduta dei figli d'Israele, spingendoli a mangiare carni immolate agli idoli e ad abbandonarsi alla fornicazione. 15 Così pure hai di quelli che seguono la dottrina dei Nicolaìti. 16 Ravvediti dunque; altrimenti verrò presto da te e combatterò contro di loro con la spada della mia bocca.
17 Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese: Al vincitore darò la manna nascosta e una pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all'infuori di chi la riceve.

vv. 12–17. Pergamo era l’antica capitale del regno degli Attalidi. Era una città ricca di templi, uno dei quali era dedicato a Zeus, un altro al dio risanatore Asclepio, al quale venivano molti pellegrini in cerca di aiuto del dio. Fin dal 29 a.C. era stato eretto un tempio ad Augusto e alla dea Roma. In questo ambiente la comunità cristiana doveva avere vita difficile. Il Signore glorificato che le parla si definisce come il giudice che ha la spada affilata a due tagli (1,16; 2,16). Egli conosce l’ambiente nel quale vivono i suoi fedeli: il luogo in cui fioriscono i culti pagani, in cui l’imperatore riceve onori divini, e in cui i confessori di Cristo sono perseguitati, è la sede del trono di satana. Non è facile, in una città come questa, attestare con fermezza il nome di Cristo e non rinnegare la fede in lui. Ma la comunità non si è lasciata fuorviare dalle pressioni esterne: neppure quando uno dei suoi membri, che era un fedele testimone del suo Signore, era stato ucciso. La morte di Antipa dev’essere stata un fatto sporadico con cui gli avversari volevano intimorire i cristiani. Le grandi persecuzioni per la chiesa devono ancora venire. La loro condotta coraggiosa merita altissime lodi, che tuttavia trovano un limite in un difetto che va menzionato: all’interno della comunità vi sono alcuni che condividono la dottrina di Balaam. Costui era stato chiamato un tempo da Balac, re dei Moabiti, per maledire gli Israeliti (Nm 22-24), ma in epoche successive il giudaismo vide in lui semplicemente l’istigatore all’idolatria (Nm 31,16). Egli avrebbe spinto le Moabite a fornicare con gli Israeliti (Nm 25,1ss). Egli è il tipo di quegli eretici che inducono a commettere i due peccati principali: quello di mangiare le carni sacrificate agli idoli (1Cor 8-10) e quello di darsi alla fornicazione (1Cor 6,12-20). I Nicolaiti ne imitano l’esempio (2,6). I seguaci di Balaam e i Nicolaiti non sono dunque due gruppi diversi, ma, come Balaam in passato sedusse gli Israeliti, così ora i Nicolaiti con le loro dottrine hanno fuorviato dalla fede alcuni membri della comunità di Pergamo. Essi sostengono che i cristiani non devono separarsi dal mondo dei pagani, ma continuare a partecipare al loro modo di vita. Questa etica libertina deriva dallo gnosticismo che era penetrato nelle comunità non soltanto di Efeso (2,6) e di Pergamo, ma anche di Tiatira (2,20.24). Se non si convertiranno, il Signore stesso interverrà con il suo potere di giudice e punirà i malvagi con la spada della sua bocca (19,11.15). Ma la promessa della salvezza futura è per coloro che si manterranno fedeli. Essi riceveranno la manna nascosta.

Secondo la tradizione giudaica il profeta Geremia, prima della distruzione di Gerusalemme, aveva messo al sicuro l’arca dell’alleanza e tutte le cose in essa contenute, fra le quali anche una brocca piena di manna (2Mac 2,4-8). Si sperava che alla fine dei tempi Dio avrebbe nuovamente nutrito il suo popolo con la manna, come aveva fatto anticamente nel deserto. Chi sarà vincitore potrà aver parte a quel dono del tempo della salvezza. Non è altrettanto facile spiegare l’immagine della pietra bianca. Probabilmente ci si riferisce all’uso molto diffuso di portare amuleti per proteggersi dal male, sui quali era scritto un nome magico e segreto. Chi aveva con sé uno di tali amuleti e conosceva il significato delle parole che vi erano scritte era protetto contro gli spiriti del male. L’immagine usata qui da Giovanni deriva con ogni probabilità da questo genere di concezioni. Naturalmente le è stato dato un altro contenuto: infatti il nome nuovo scritto sulla pietra bianca conosciuto solo da chi lo riceve è il nome di Cristo (19,12). Soltanto chi crede in lui, chi si tiene saldo al suo nome (v. 13) e lotta con coraggio nella battaglia della tribolazione finale, conosce il nome nuovo che gli dà aiuto e forza.

 

 

ALLA CHIESA DI TIATIRA

18 All'angelo della Chiesa di Tiàtira scrivi:
Così parla il Figlio di Dio, Colui che ha gli occhi fiammeggianti come fuoco e i piedi simili a bronzo splendente. 19 Conosco le tue opere, la carità, la fede, il servizio e la costanza e so che le tue ultime opere sono migliori delle prime. 20 Ma ho da rimproverarti che lasci fare a Iezabèle, la donna che si spaccia per profetessa e insegna e seduce i miei servi inducendoli a darsi alla fornicazione e a mangiare carni immolate agli idoli. 21 Io le ho dato tempo per ravvedersi, ma essa non si vuol ravvedere dalla sua dissolutezza. 22 Ebbene, io getterò lei in un letto di dolore e coloro che commettono adulterio con lei in una grande tribolazione, se non si ravvederanno dalle opere che ha loro insegnato. 23 Colpirò a morte i suoi figli e tutte le Chiese sapranno che io sono Colui che scruta gli affetti e i pensieri degli uomini, e darò a ciascuno di voi secondo le proprie opere. 24 A voi di Tiàtira invece che non seguite questa dottrina, che non avete conosciuto le profondità di satana - come le chiamano - non imporrò altri pesi; 25 ma quello che possedete tenetelo saldo fino al mio ritorno. 26 Al vincitore che persevera sino alla fine nelle mie opere,
darò autorità sopra le nazioni;
27 le pascolerà con bastone di ferro
e le frantumerà come vasi di terracotta,
28 con la stessa autorità che a me fu data dal Padre mio e darò a lui la stella del mattino. 29 Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese.

vv. 18–29. Tiàtira era una città di scarsa importanza, in cui vivevano soprattutto artigiani e commercianti (At 16,14). Questa piccola comunità è la destinataria della più lunga delle sette lettere. Nelle parole introduttive viene attribuito a Cristo il titolo di Figlio di Dio, che evidentemente anticipa la citazione del salmo 2 ai vv. 26-27. La comparsa maestosa del Signore glorioso è descritta con tratti che ricordano la visione della vocazione (1,14-15). I suoi occhi penetranti scrutano ogni cosa (v. 23). Egli sa in quale ambiente si trova la comunità e la loda per tutto il suo comportamento: per l’amore, la fedeltà, l’assistenza prestata ai poveri e la costanza paziente. È messo in risalto il progresso: le opere buone più recenti sono infatti più numerose delle precedenti. Merita invece un secco rimprovero per la tolleranza dimostrata verso la donna Gezabele. Come Balaam fungeva da tipo dell’eresia di Pergamo (2,14-15), così la moglie straniera del re Acab è vista come il modello di una falsa profetessa introdottasi nella comunità. Gezabele aveva perseguitato Elia (1Re 16,31ss; 21,25) e si era data all’idolatria e alla fornicazione (2Re 9,22). Il suo nome serve qui per designare una donna che pretendeva indebitamente di essere profetessa, ma era in realtà una seduttrice. Anch’essa, come i Nicolaiti, condivide l’opinione gnostica secondo cui il cristiano può praticare senza scrupoli la fornicazione e prendere parte ai banchetti sacrificali agli idoli nei templi pagani. Questi due esempi di etica libertina sono ripetutamente indicati come le pericolose conseguenze della dottrina gnostica (2,14; 1Cor 6,12-20; 8-10). Accondiscendere a questa dottrina significa rinnegare Dio e servire le potenze del male e i demoni (1Cor 10,20-21). Per questo motivo il Signore assume qui un atteggiamento così severo contro la falsa profetessa che non vuole convertirsi. Ormai non rimane altro che annunziare il castigo: il letto della fornicazione diventerà un letto di dolori. A coloro che seguono la sua dottrina lassista e che senza scrupoli violano il matrimonio e si accompagnano alla prostituta è ancora offerta l’occasione di allontanarsi dalle opere di questa donna. Altrimenti avranno una grande tribolazione. Il giudice divino ucciderà con una pestilenza i figli di Gezabele, ossia i seguaci della profetessa. In questo castigo tutte le comunità riconosceranno la divina potenza del Cristo: anch’egli, come Dio, scruta l’intimo degli uomini e rende a ciascuno secondo le sue opere. Egli penetra con lo sguardo e riconosce questa eresia come un pericoloso gioco con le potenze sataniche. Quando mettevano da parte le norme etiche, quando si muovevano senza preoccupazione nel mondo pagano della tarda antichità, quando andavano nei templi dei pagani o frequentavano le prostitute, gli gnostici intendevano difendere la vera libertà. Ma la comunità viene messa in guardia contro tali pericolose deduzioni, derivanti dalle speculazioni gnostiche su satana e le potenze del male. Lo stato di perfezione dei beati non è ancora una realtà (2Tm 2,18), quindi bisogna attendere con fedeltà e costanza finché il Signore venga. Perciò: "Resistete, finché non verrò" (v. 25). A questo appello seguono le parole della vittoria. Colui che vince, rimanendo fedele a Cristo, parteciperà al regno di Dio e dominerà con Cristo sui popoli pagani. La stella mattutina che il vincitore riceverà dalle mani del Cristo è il simbolo del potere. Alla base di questa immagine c’è probabilmente l’idea diffusa secondo cui Venere era simbolo del potere, la più alta dignità del quale era nelle mani dell’imperatore di Roma. Se questa è l’interpretazione della stella mattutina, essa si adatta bene al nostro contesto: il segno del dominio non è dato ai grandi di questo mondo, ma a coloro che rimangono fedeli al loro Signore. Ed essi devono esercitare questo potere insieme con Cristo. La lettera finisce con un’esortazione ad ascoltare quello che lo Spirito dice alle chiese.

 

 

ALLA CHIESA DI SARDI

1 All'angelo della Chiesa di Sardi scrivi:
Così parla Colui che possiede i sette spiriti di Dio e le sette stelle: Conosco le tue opere; ti si crede vivo e invece sei morto. 2 Svegliati e rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire, perché non ho trovato le tue opere perfette davanti al mio Dio. 3 Ricorda dunque come hai accolto la parola, osservala e ravvediti, perché se non sarai vigilante, verrò come un ladro senza che tu sappia in quale ora io verrò da te. 4 Tuttavia a Sardi vi sono alcuni che non hanno macchiato le loro vesti; essi mi scorteranno in vesti bianche, perché ne sono degni. 5 Il vincitore sarà dunque vestito di bianche vesti, non cancellerò il suo nome dal libro della vita, ma lo riconoscerò davanti al Padre mio e davanti ai suoi angeli. 6 Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese.

vv. 1–6. Sardi era stata la capitale di Creso, il ricco principe dei Lidi. Nel primo secolo dopo Cristo aveva ormai un’importanza molto limitata. La comunità viene severamente rimproverata da Cristo. La sua condotta non ha nulla di lodevole, perché la comunità è viva solo di nome, ma in realtà è morta. Il rimprovero riguarda il fatto che dinanzi al tribunale di Dio la misura di opere richiesta non è stata trovata piena. Bisogna svegliare i membri addormentati e moribondi della comunità. Se però la comunità non si sveglia, il Signore la sorprenderà nel sonno, presentandosi inaspettatamente come giudice. L’immagine del ladro nella notte, usata per indicare l’improvvisa venuta dell’ultimo giorno, viene applicata a Cristo (Mt 24,43-44; 2Pt 3,10; ecc.). Poiché nessuno conosce l’ora, è necessario attenderla vegliando. Ma alcune persone di Sardi non hanno macchiato le loro vesti: non si sono date alle dissolutezza (Gd 23) e per ricompensa vivranno in comunione con il Signore glorioso, vestite di bianche vesti. L’abito splendente è il segno delle apparizioni celesti (Mc 9,3; 16,5; At 1,10) e sarà dato ai beati perfetti. Coloro che rimangono fedeli fino alla vittoria riceveranno questa ricompensa. La promessa conclusiva riprende ancora una volta l’immagine delle vesti bianche che alludono all’esistenza trasfigurata dei giusti nel mondo celeste, e aggiunge che i loro nomi non saranno cancellati dal libro della vita. Nel libro della vita sono segnati i nomi di coloro che avranno la cittadinanza celeste nella vita eterna (13,8; 17,8; 20,12.15; 21,27).

L’assicurazione della salvezza futura è infine convalidata da una parola del Signore (Mt 10,32; Lc 12,8): dinanzi al tribunale di Dio e alla corte di giustizia del cielo, Gesù confesserà i nomi dei suoi fedeli. Questa confessione di Gesù significa la ricompensa per la fedeltà dimostrata, la salvezza e la difesa nel giudizio finale.

 

 

ALLA CHIESA DI FILADELFIA

7 All'angelo della Chiesa di Filadelfia scrivi:
Così parla il Santo, il Verace,
Colui che ha la chiave di Davide:
quando egli apre nessuno chiude,
e quando chiude nessuno apre.
8 Conosco le tue opere. Ho aperto davanti a te una porta che nessuno può chiudere. Per quanto tu abbia poca forza, pure hai osservato la mia parola e non hai rinnegato il mio nome. 9 Ebbene, ti faccio dono di alcuni della sinagoga di satana - di quelli che si dicono Giudei, ma mentiscono perché non lo sono -: li farò venire perché si prostrino ai tuoi piedi e sappiano che io ti ho amato. 10 Poiché hai osservato con costanza la mia parola, anch'io ti preserverò nell'ora della tentazione che sta per venire sul mondo intero, per mettere alla prova gli abitanti della terra. 11 Verrò presto. Tieni saldo quello che hai, perché nessuno ti tolga la corona. 12 Il vincitore lo porrò come una colonna nel tempio del mio Dio e non ne uscirà mai più. Inciderò su di lui il nome del mio Dio e il nome della città del mio Dio, della nuova Gerusalemme che discende dal cielo, da presso il mio Dio, insieme con il mio nome nuovo. 13 Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese.

vv. 7–13. La città di Filadelfia porta il nome del suo fondatore, il re Attalo Il Filadelfo di Pergamo (159-138 a.C.). Anche questa comunità, come quella di Smirne, riceve soltanto elogi. Il Signore glorificato ha nelle mani la chiave di Davide (1,18) con cui aprirà la porta del palazzo celeste per far entrare la comunità di Filadelfia. Essa trionferà con lui su tutti gli avversari che ora la opprimono. Tra questi vanno ricordati particolarmente i giudei, i quali non meritano più il nome di giudei e di popolo di Dio (2,9) perché sono diventati nemici dell’Israele di Dio, che sono i cristiani. Le profezie, che parlano della sottomissione di re pagani, ora sono applicate ai giudei: il Signore in persona farà in modo che essi debbano comparire umiliati davanti alla comunità e gettarsi ai suoi piedi. Allora i giudei riconosceranno che egli l’ha amata e ne ha fatto il suo popolo. Essa ha seguito la parola del suo Signore che la esorta a una perseveranza paziente, e ha visto che nella comunione con Gesù le è stata data la forza di resistere (1,9). Per ricompensa egli la terrà lontana dall’ora della prova che deve venire su tutti gli abitanti della terra, ossia tutti gli increduli (6,10; 8,13;11,10; 13,8.12.14; 17,2.8).

Ciò che la comunità possiede deve tenerlo saldamente fino alla prossima venuta del Signore; infatti anch’essa potrebbe cadere e perdere la corona che è già pronta per lei. A chi vince sono presentate grandi promesse. Gesù farà di lui una colonna del tempio di Dio. Nel giudaismo erano chiamate colonne Abramo e gli uomini di Dio d’Israele; nella comunità cristiana primitiva, gli apostoli (Gal 2,9: Ef 2,19-22; 1Pt 2,5). I cristiani fedeli saranno inseriti nell’edificio della chiesa trionfante come colonne portanti che non si possono più togliere. Essi saranno segnati con il nome di Dio, come sua proprietà, e riceveranno il nome della città celeste di cui ottengono la cittadinanza. Come al principio del mondo tutte le cose hanno ricevuto un nome (Gen 1,5ss; 2,19ss), così alla fine dei tempi riceveranno un nome nuovo: la nuova Gerusalemme scende dal cielo (Ap 21; Gal 4,26; Eb 12,22). Nuovo è anche il nome messianico di Gesù (2,17; 19,12-13) che sarà dato ai vincitori. Essi saranno con Cristo ed entreranno con lui nella gloria eterna.

 

 

ALLA CHIESA DI LAODICEA

14 All'angelo della Chiesa di Laodicèa scrivi:
Così parla l'Amen, il Testimone fedele e verace, il Principio della creazione di Dio: 15 Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! 16 Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca. 17 Tu dici: «Sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla», ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo. 18 Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, vesti bianche per coprirti e nascondere la vergognosa tua nudità e collirio per ungerti gli occhi e ricuperare la vista. 19 Io tutti quelli che amo li rimprovero e li castigo. Mostrati dunque zelante e ravvediti. 20 Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. 21 Il vincitore lo farò sedere presso di me, sul mio trono, come io ho vinto e mi sono assiso presso il Padre mio sul suo trono. 22 Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese.

vv. 14–22. La città di Laodicea, fondata da Antioco II nel III secolo a.C., è così chiamata dal nome di sua moglie Laodice. Era una città ricca e famosa per i suoi commerci, le sue attività bancarie e una scuola di medicina. Dopo un tremendo terremoto, che aveva raso al suolo la città nel 60-61 d.C., gli abitanti erano riusciti a ricostruirla senza aiuti di altri e riportarla rapidamente a un nuovo splendore. Le origini della comunità cristiana di Laodicea risalgono all’epoca dell’apostolo Paolo (Col 2,1; 4,13-17). Cristo si rivolge a questi credenti nell’esercizio della sua autorità divina: infatti soltanto Dio, il Dio dell’Amen (Is 65,16) è verace. Gesù è al suo fianco in qualità di testimone fedele e veritiero (1,5) e di origine della creazione (Col 1,1 5). Egli è la fonte e l’inizio di tutto ciò che esiste (Gv 1,1; Eb 1,3). L’idea della collaborazione alla creazione è usata qui per affermare che l’avvento di Cristo è valido per il mondo intero. Il Signore glorificato, che regna insieme con Dio sull’universo, rivolge un duro rimprovero alla comunità: essa infatti non è né calda né fredda e vive beatamente soddisfatta di sé. Per la sua tiepidezza, Cristo la rigetterà al momento del giudizio, così come si rigetta dell’acqua nauseabonda. Ma la comunità non è affatto consapevole della propria situazione: pensa di essere ricca, di aver acquistato dei tesori, è contenta e sicura di sé. E non vede che si trova invece in una situazione semplicemente miseranda: si è sistemata molto confortevolmente nel mondo, ma agli occhi di Cristo è povera, cieca e nuda.

Da questa constatazione deriva il triplice consiglio che le viene dato: comprare da Cristo dell’oro autentico, di quello che i poveri ricevono gratuitamente da lui (Is 55,1); di prendere da lui vestiti bianchi per nascondere la vergogna della sua nudità; e di farsi prescrivere da lui dell’unguento per gli occhi (con evidente allusione alla famosa scuola di medicina della città) per guarire la sua cecità. Queste raccomandazioni significano tutte e tre la stessa cosa: la vera ricchezza, la pienezza della salvezza e l’autentica guarigione si trovano soltanto in Cristo. Questo energico appello alla conversione, rivolto con tanta severità alla comunità soddisfatta di sé, non è altro che un’espressione dell’amore con il quale il Signore vuol risvegliare e richiamare la coscienza dei cristiani tiepidi e soddisfatti. Il Signore che parla così è quello stesso che sta per venire a pronunciare il suo giudizio. Egli bussa alla porta annunziando la sua prossima venuta (Gc 5,9; Lc 12,36). Quando sarà presente celebrerà con i suoi il gioioso banchetto del tempo della salvezza (Mc 14,25; Lc 22,29-30; Mt 8,11). In Oriente la mensa comune esprime una strettissima comunione (Mc 2,15-16; Lc 15,2; ecc.). Promettendo di cenare con coloro che ascoltano la sua voce, Gesù promette loro che saranno con lui nella gloria futura. Coloro che sono fedeli nella lotta, alla fine trionferanno con Cristo, prenderanno posto accanto a lui sul trono sul quale pronuncia il giudizio insieme a Dio (Mt 19,28; 1Cor 6,3), e parteciperanno alle sue funzioni di giudice e di sovrano (1,6). Il monito finale costituisce la conclusione delle sette lettere e sottolinea il comandamento rivolto a tutti di vegliare, di ascoltare e di essere pronti.

IL MESSAGGIO DELLE SETTE LETTERE

Le sette brevi dichiarazioni che il Signore glorificato rivolge alle comunità contengono una visione molto sobria della situazione della chiesa in Asia Minore: lodano la costanza, l’amore e la fedeltà e biasimano una vita cristiana tiepida e pigra. Quando in 1,3 si afferma che il Figlio dell’uomo glorificato si trova al centro dei sette candelabri, che vanno interpretati come le sette chiese (1,20), Giovanni intende dire che le comunità vivono in una dipendenza indissolubile con il loro Signore e che l’atteggiamento della chiesa dev’essere giudicato nella misura in cui è espressione dell’obbedienza al suo Signore. Si prendono in considerazione le opere (2,2.5.19; 3,15; ecc.) perché l’obbedienza alla parola predicata si dimostra nell’azione.

Per Giovanni la salvezza è ancora nel futuro. Ciò che riempie e determina il presente è proprio la sicura speranza rivolta al futuro. Chi resterà fedele al Cristo crocifisso, risorto e glorificato entrerà nella vita incorruttibile (2,7.10; 3,5), che non sarà più sotto la minaccia di nessuna morte (2,11).

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