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Meditazioni per le festività (di Mons.Riboldi)

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    00 14/08/2011 08:40

    Solennità dell’ASSUNZIONE AL CIELO DI MARIA S.MA

    La Solennità di Maria Assunta in Cielo è posta al centro di un tempo di riposo, di vacanza, almeno per chi può, e dà il via, in ogni modo, ad un momento di gioia: una gioia ed una festa, che se si fermasse solo allo svago e al riposo, a poco gioverebbe.

    La Chiesa ha posto al centro del ferragosto questa solennità, per farci alzare lo sguardo ... e sono tantissime le comunità che sanno cercare la gioia vera, meditando questo grande Mistero, che ci riguarda da vicino.

    Tutti sappiamo di essere quei figli che il Padre ha creato e vuole, per quell'Amore che lo ha spinto a darci vita e anima, a ritrovare i vicini a Lui, durante, ma soprattutto dopo la prova difficile sulla terra: una prova, che trova la sua suprema espressione nella morte, che non è il segno della fine, ma un vero esame, attraverso cui, se siamo diventati degni del Paradiso - cioè capaci di amare - si passa all'incontro con il Padre, che è Amore.

    La morte è come dare un addio, in ogni senso, a tutto ciò che di mortale ci era servito per vivere, per rivestirci di un 'corpo celeste', come lo definisce S. Paolo ... se ne saremo degni.

    Per questo la Chiesa definisce la morte 'transito', ossia passaggio dalla terra al cielo, 'cambiando abito': il corpo, che non si consumerà più.

    Ma tutti anche sappiamo, che l'amore del Padre, dopo il nostro peccato originale, in cui per superbia Lo abbiamo rinnegato e ci siamo condannati al doloroso esilio, che è diventata la vita, non ha mai rinunciato ad averci con Sé, e questo suo grandioso desiderio lo ha attuato con il dono del Figlio Gesù, che con la Sua passione e morte ha tolto il peccato del mondo e ci ha riaperto le porte del Cielo.

    Però la morte di ciascuno di noi rimane: torneremo 'poveri', ma per assumere quell'aspetto, che Dio da sempre ha riservato a chi torna a Lui.

    È duro il passaggio da questa vita, attraverso la morte, alla vita eterna. È davvero deporre tutto ciò che è terreno, con il corpo, ma per poter fare spazio al nuovo che, se ci 'lasceremo salvare', avremo in Cielo ... come intona dolcemente il canto che dedichiamo a Maria e che è pieno di nostalgia del Cielo: 'Andrò a vederla un dì, in Ciel Patria mia ... '

    Scrive oggi, nella Festa dell'Assunta, S. Paolo ai Corinzi:

    "Fratelli, quando questo corpo mortale si sarà vestito d'immortalità, si compirà allora la parola della Scrittura: 'La morte è stata inghiottita nella vittoria. Dov'è, o morte, il tuo pungiglione?'. Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la Legge. Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo". (1 COL 15,54-57)

    Chi di noi, trovandosi a Lourdes, la sera, durante la processione dei flambeaux, non sente la nostalgia del Cielo? Quante volte quell'inno 'Andrò a vederla un dì...' risuona come un profondo anelito e desiderio di Paradiso, per il peso delle responsabilità che tutti abbiamo, le sofferenze, che a volte sembrano schiacciarci ...

    Dovremmo alimentare tutti, oggi, questa nostalgia di Cielo, per distrarre la nostra voglia di terra, che inganna, e finalmente alzare gli occhi dov' è Maria, che ci attende.

    "Ma - osservava Paolo VI - proprio nella festa dell'Assunzione, a volte siamo gente occupata dai desideri e dagli affari di questo mondo, come se noi altro non dovessimo cercare e amare. Così non siamo più spiriti veramente religiosi, che conoscono la contingenza radicale delle cose presenti, e non siamo più allenati ad estrarre i valori superiori, che sono quelli morali, connessi con il nostro destino eterno, valori umani, che a volte sono a noi prodighi di valori utili, ma non definitivi.

    Ecco allora che il ricordo dell'Assunzione di Maria fa risuonare nelle nostre anime, quasi come uno squillo di trombe celesti, una chiamata che parte di Là, dall'altra riva del tempo, oltre il quadro del nostro mondo naturale: quella dell'eternità e della vita soprannaturale nella sua pienezza.

    Così l'Assunzione ci obbliga con suadente invito a verificare se la via che ciascuno di noi percorre è rivolta verso il sommo traguardo e a rettificarla decisamente verso di essa.

    Nessuna età, come la nostra, è stata tentata di 'temporalismo', cioè di amore alle cose presenti, come se queste fossero gli unici e sommi beni da conseguire.

    Ed è forse per questo che la Provvidenza ha disposto che la verità dell'Assunzione ci fosse proclamata proprio in questo tempo.

    Dobbiamo alzare perciò le nostre teste. Dobbiamo guardare in alto, verso l'orizzonte dell'altra vita, che già risplende nella luminosa figura di Maria.

    Maria ci chiami. Maria ci dia la fede nel Paradiso e la speranza di raggiungerlo.

    Maria ci aiuti a camminare per la via di quell'amore che a quel beato termine conduce.

    Maria ci dia la sapienza e la povertà di spirito che tenga liberi i nostri cuori e agili i nostri animi per la ricerca dei beni eterni. 'Difendici, o Maria, dal nemico invisibile e raccogli la nostra anima nell'ora della morte!''. (15 agosto 1961)

    C'è nella parola ispirata di Paolo VI il richiamo a vivere sempre con i piedi a terra e il cuore là dove non esiste più la morte: il Cielo.

    È possibile? Credo che sia davvero un errore grande quello di avere anima e cuore talmente attaccati alle cose della terra, che inevitabilmente passano.

    Incontravo un giorno una persona, che non nascondeva la sua amarezza. Era una persona adulta. Mi accostai e le chiesi la ragione del suo malessere:

    'Vede, Padre, nella vita ho avuto tutto, dalla salute alla ricchezza. Ma ci sono momenti, come questi, in cui mi chiedo: 'ma poi? Quando verrà il momento di lasciare questa terra, che mi resterà? Io che non ho pensato o creduto ad altro, che a ciò che avevo? Poi improvvisamente mi chiese: 'Ma lei non sente il vuoto?'

    'No, non ho nulla sulla terra a cui aggrapparmi. So che tutto è momentaneo, passa, a cominciare dalla salute. Chiamato dal Signore ho fatto dono della vita a Lui e al servizio al prossimo. La mia vita è sempre un camminare, con le opere, verso l'incontro con Dio che mi ha scelto, mi ama e per il quale ho lasciato tutto e sono quello che sono. La morte? Fa paura a tutti, però ho tanta fiducia, perché per me vivere è Cristo'.

    Mi guardò con tanto stupore e curiosità e mi chiese: 'Mi insegni come si fa a guardare in alto e dare senso alla vita?'

    'Semplice: il cuore rivolto al Cielo, il resto per le cose in terra, operando con amore e giustizia. E se vuole un consiglio, cominci a privarsi di tanti beni, scegliendo i poveri'. La lasciai piangente.

    La incontrai dopo un certo tempo, ma era tutto cambiato nella sua vita. Mi disse solo: 'Grazie! Ho seguito il suo consiglio: ho gustato l'aria del Paradiso, che è diversa dall'afa mortale della terra'. Papa Giovanni XXIII, il Papa del sorriso, il Papa buono, che tutti abbiamo amato ed ammirato per la sua semplicità profonda, così consigliava di festeggiare 1'Assunta:

    "La vita terrena non è fine a se stessa: essa si concluderà in cielo. Passa la giovinezza, cadono sogni e progetti; si avanza il vespro accompagnato da delusioni e nostalgie, ma il cristiano non si abbandona alla disperazione. L'anima ha dei diritti indiscutibili e preminenti sul corpo e per essa occorre disciplinare le passioni, rinunciare alle seduzioni mondane.

    L'unica soggezione a Dio è il segreto della felicità vera e della pace.

    La solennità dell'Assunzione così intesa accende nei nostri cuori gli entusiasmi santi che la nostra religione sa suscitare nei popoli e nei singoli.

    Sono felice, lo confesso, di avere una Mamma così. Una Mamma tanto bella, che niente ha potuto imbruttire, ma solo la luce e la gloria di Dio hanno circondato. Sono orgoglioso, o Maria, che Tu sia la nostra Mamma. Sai, Maria, che nel nostro mondo è tanto facile 'sporcarci di terra'. Da piccolo, mamma, a sera, quando tornavo sporco dai giochi, sapeva come 'farmi nuovo, pulendomi' e poi mi diceva: 'Adesso davvero assomigli a mio figlio!'. Fa, o Maria, che nelle mie immancabili mancanze, tu possa trovare la via 'per ripulirmi', così che io possa sentirmi dire: 'Adesso davvero sei mio figlio!' e con Te cantare il Magnificat:

    "L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore ...

    Ha soccorso Israele suo servo, ricordandosi della Sua Misericordia,

    come aveva promesso ai nostri Padri ... (Lc. 1,39-55)

    Antonio Riboldi – Vescovo –
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    00 18/08/2011 08:43

    XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

    Voi chi dite che io sia?

    Vorrei fare precedere la riflessione, partendo da un incontro, avuto pochi giorni fa. Chi mi stava davanti, per un colloquio a tu per tu, era un giovane uomo, che ha fatto una drammatica esperienza da terrorista, seguita da tanti anni di carcere. Nel racconto della sua vita, terribile, neppure lui riusciva a capire le ragioni delle sue scelte e così le spiegava:

    'Forse la mia giovinezza inquieta, forse la mia voglia di fare qualcosa per cambiare la società, forse la mia mancanza di quella fede che lei ha e la rende sereno, nonostante, credo, le tante difficoltà che ha incontrato nel corso della sua vita ... non lo so. Da lei - le sembrerà incredibile - vorrei avere una mano per trovare risposta ad un problema, che per me è diventato ora molto serio, essenziale, ossia trovare la ragione di questa vita: una vita che sento oggi come un bene grande, ma di cui non ho saputo o voluto cercare il bello. Forse lei, come tanti altri, che ho conosciuto e conosco, avete trovato la giusta ragione della vita nell'essere cristiani, seguaci di quel Gesù, che a me è sconosciuto, come non esistesse, ma che ora sembra affacciarsi alla mia vita come Qualcuno che potrebbe dare un volto al bene della vita stessa. Qualcuno o qualcosa deve esserci che avvalori il senso dell'esistenza. Non è possibile che vivere significhi vagare senza senso, andando incontro ad esperienze che portano da nessuna parte o peggio solo al vuoto dell'anima. Ma le chiedo - e me lo diceva con commozione - che è mai questo Gesù che, nonostante i nostri incredibili sbagli, si presenta nella nostra vita per trascinarci con Lui? Chi è Costui che ha questa forza di attrarre al punto da farti intuire che senza di Lui non si può vivere felicemente, e neppure decentemente?'

    Sgranava queste parole con il tono accorato di una preghiera. Ed ogni parola era una domanda sussurrata, che si rivolgeva, neppure lui sapeva, a chi? Una domanda che però cercava una risposta, che è il segreto della vera vita, o se vogliamo il 'tesoro nascosto' della vita.

    Faceva persino meraviglia che questa domanda venisse da un uomo, sulla cui bocca, fino a poco tempo fa, c'erano ben altre parole e, nel cuore, ben altri sentimenti.

    'Chi è Gesù?' - Gli ho risposto - 'è semplicemente il Figlio di Dio, Egli stesso Dio. Il Padre ce lo ha mandato per immenso amore a noi uomini, sacrificandolo perché, dalla nostra grettezza, dai nostri errori, dalla nostra stupida e crudele violenza, dal nostro guscio fatto di superbia, morendo a tutto questo, con la Sua Grazia, potessimo rientrare in comunione con il Cielo di Dio, che è solo pace, gioia, amore, serenità, voglia di fare il bene.'

    E viene spontaneo rivolgersi a tutti: 'Se Gesù è tutto questo immenso dono del Padre fatto a noi, perché tanta ignoranza o silenzio su di Lui?'

    Tutti sappiamo bene che, delle persone che ci stanno a cuore, non solo desideriamo conoscere tutto, come fossimo perennemente abitanti nel loro cuore, ma ci sono sempre presenti nella mente e più ancora nella vita, come se fossimo una cosa sola.

    Quante volte ho avuto il dono di essere vicino a persone di ogni stato ed età, per le quali 'vivere era Gesù', come afferma S. Paolo. Non c'è bisogno che ci dicano come Gesù sia il senso della loro vita, perché lo si vede dai loro gesti, dalla bontà, dall'umiltà, dalla profonda serenità.

    Hanno la sicurezza che ebbe S. Pietro, quando Gesù chiese agli apostoli chi fosse per loro.

    Racconta il Vangelo:

    "Essendo Gesù giunto nella regione di Cesarea di Filippo, chiese ai suoi discepoli: 'La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?'. Risposero: 'Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti'. Disse loro: 'Voi chi dite che io sia?'. Rispose Simon Pietro: 'Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente'. E Gesù: 'Beato te, Simone, figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io dico a te: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra, sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra, sarà sciolto nei cieli'. Allora Gesù ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che lui era il Cristo". (Mt. 16, 13)

    E' stata la presentazione ufficiale agli apostoli - e quindi a noi - di chi è Gesù, da tanti ritenuto solo un profeta, anche se dotato del dono dei miracoli.

    'Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio': una rivelazione non pienamente compresa dagli Apostoli. Lo sarà dopo la discesa dello Spirito Santo, e da quel momento Egli diventerà davvero, per loro, 'il Tutto', che spiegava la loro chiamata, 'il sommo Bene' da comunicare a costo della vita, con il martirio, a tutto il mondo. E ci si commuove, leggendo le lettere di S. Paolo, fermato da Gesù sulla via di Damasco, mentre stava cercando i discepoli del Maestro, per arrestarli. Sono lettere in cui si intravede chiaramente come abbia poi totalmente amato, Colui che lo aveva prescelto, fino a dire l'indicibile ­forse per noi - : 'Per me vivere è Cristo'.

    È la stessa risposta che mi diede mamma, innamorata di Gesù, che non faceva passare giorno senza ricevere la S. Comunione, dicendomi: 'Senza Cristo la mia vita, come mamma che deve educarvi alla fede, sarebbe impossibile'.

    Fa davvero male, anche solo pensare che ci sono tanti battezzati, e quindi 'dimora di Cristo, loro cibo e bevanda per la vita dello spirito', che non riescono neppure a concepirne la reale Presenza tra noi o hanno una conoscenza superficiale, che non ha nulla a che fare con il vero amore. Siamo forse troppo lontani da quello che oggi scrive S. Paolo apostolo ai Romani: "O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i Suoi giudizi e inaccessibili le Sue vie! Infatti chi mai ha potuto conoscere il pensiero del Signore? O chi mai è stato Suo consigliere? O chi gli ha dato qualcosa per primo, sì che abbia il contraccambio? Poiché da Lui, grazie a Lui, e per Lui sono tutte le cose". (Rom. 11, 33-36)

    Sono di grande aiuto le parole di Paolo VI, innamorato di Cristo, per risvegliare anche in noi un amore, forse troppo sopito, per Gesù.

    “Il mondo dopo avere dimenticato e negato Gesù, lo cerca. Ma non vuole cercare quale è e dove è. Lo cerca fra gli uomini mortali, ricusa di adorare il Dio che si è fatto uomo e non teme di prostrarsi servilmente davanti all'uomo che si fa dio. Ma da questa inquietudine degli spiriti laici e ribelli prorompe fatale una confessione di Dio assente: di Te abbiamo bisogno.

    È una strana sinfonia di nostalgici che sospirano a Cristo perduto; di pensosi che intravedono qualche evanescenza di Cristo; di generosi che da Lui imparano il vero amore al prossimo; di sofferenti che sentono la simpatia per l'uomo dei dolori; di delusi che cercano una parola ferma, una pace sicura; di onesti che riconoscono la saggezza del vero Maestro; di convertiti che infine confidano la loro avventura spirituale e dicono la loro felicità per averLo trovato. L'ansia di trovare Cristo si insinua anche in un mondo avvinto nel materialismo, ma che non vuole soffocare. 

    O Cristo, nostro Mediatore, Tu ci sei necessario per venire in comunione con Dio Padre, per diventare

    con Te, che sei Figlio unico, Suoi figli adottivi. Tu ci sei necessario, o Fratello primogenito del genere umano, per ritrovare le ragioni della fraternità fra gli uomini, i fondamenti della giustizia, i tesori della carità, il sommo bene della pace. Tu ci sei necessario, o grande Paziente dei nostri dolori, per conoscere il senso della sofferenza e per dare ad essa valore di espiazione e redenzione".

    È una stupenda confessione di chi era Gesù per Paolo VI, ed un insegnamento per scoprire davvero in Gesù il vero senso profondo della vita, la vera via alla vita, per non correre il rischio di andare per strade che portano al nulla e che ad ogni passo altro non fanno che farci sentire il peso di una vita sbagliata.

    Con tutto il cuore preghiamo Gesù:

    "Gesù, dolce memoria, che dà la vera gioia del cuore, molto più del miele e di ogni cosa dolce, è la tua Presenza. Niente si canta di più soave, nulla si ode di più lieto,

    nulla si pensa di più rasserenante, che Gesù Figlio di Dio.

    Gesù, speranza di chi si converte, quale misericordia per chi ti invoca! Quanta bontà per chi ti cerca. Che sarai per chi ti trova?

    Non vi è lingua capace di narrare, né parola in grado di esprimere cosa sia l'amore di Gesù. Gesù, sii tu la nostra gioia; Tu il guadagno che ci attende.

    Sia in T e la nostra gloria, sempre e per tutti i secoli."

    Antonio Riboldi – Vescovo –
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    00 29/08/2011 22:05

    XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

    LA CROCE: amore e dolore nella vita

    Se c'è una cosa, che salta subito agli occhi nel nostro mondo, è il tentativo di allontanare il dolore dalla vita. Si è insofferenti ad ogni piccolo disagio, basta un nulla o una contrarietà per mandarci in crisi. D'altra parte il mondo, che ci assedia, vuol apparire come una grande fiera, che si è riempita di ogni prodotto per allontanare il dolore, fino alla droga, che è davvero un affare miliardario, che contagia quanti si illudono di evadere dalla lotta necessaria della vita, credendo al 'sogno' di un momento che ha come unico frutto la distruzione lenta della vita stessa, senza dare a questa una ragione, che mostri la sua bellezza: una bellezza che necessariamente richiede fatica e dolore, come tutte le cose che hanno valore.

    C'è poi una sofferenza, una croce, che è la malattia, a volte dolorosa: basta visitare un ospedale per accorgersi che la sofferenza è di tanti, ma tanti: alcuni con problemi che la medicina può eliminare, altri con una sofferenza che non ha fine e li accompagna fino alla morte. A volte è una sofferenza così devastante che fa desiderare la morte ... al punto che ora si parla di eutanasia, ossia la fuga dal dolore nella morte.

    E c'è una sofferenza interiore, che ha mille motivazioni: il più delle volte è causata dall'atteggiamento di chi ci sta intorno - che forse neppure se ne accorge - ma fa tanto male. E c'è infine la sofferenza nel mondo, da chi muore di fame a chi per la violenza, o per tante altre cause.

    Davvero non si può pensare di avere una vita esente dal dolore. Si deve imparare ad amministrarlo come un'occasione di amore, come è nella vita di tanti credenti. E, diciamoci la verità, non c'è modo migliore di esprimere l'amore, che partecipando silenziosamente al dolore di chi ci è vicino.

    È una grazia.

    Se leggiamo la vita di tanti santi noti o di fratelli e sorelle, che vivono nel dolore, meraviglia la loro serenità, come se soffrire fosse un dono, che è il frutto dell'amore, che non pone limite alla sofferenza. Quante volte io stesso, nel difficile compito di parroco o vescovo, per varie ragioni, mi sono trovato a sperimentare la durezza della croce ... a volte si piange silenziosamente, ma mai viene meno la voglia di dare tutto, perché che amore sarebbe se non ci si fa carico delle sofferenze del gregge?

    L'ho provato duramente nella notte del terremoto a S. Ninfa. Dopo dieci anni di tanta fatica nel ricostruire chiesa e comunità, potevamo con i confratelli gioire. Una gioia che durò pochi giorni, svanita in pochi secondi con il terremoto, che distrusse tutto: l'unico valore rimasto in piedi era il condividere il dolore della comunità, non solo, ma spendersi per dare conforto.

    Così il dolore non divenne disperazione, ma si trasformò in amore, che era la sola forza che ci sosteneva e confortava la comunità.

    Gesù, oggi, mette in chiaro cosa significa seguirLo, ossia vivere di fede, che è il dono per poter amare.

    "Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno. Ma Pietro lo trasse in disparte e cominciò a protestare dicendo: 'Dio te ne scampi. Signore. questo non ti accadrà mai! '.

    Pietro è categorico e sembra non voler lasciare spazio neppure ad una risposta.

    Ma quando si ama e non si conoscono le ragioni della sofferenza dell' altro, ci si comporta tutti come Pietro: un atteggiamento di amore umano, incapace di entrare in quello ampio, divino, che ha piani

    diversi dai nostri.

    "Ma Gesù, voltatosi, disse a Pietro: 'Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini! '.

    Allora Gesù disse ai suoi discepoli: 'Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me la troverà. Quale vantaggio infatti avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero e poi perderà la propria anima? O che cosa potrà dare l'uomo in cambio della propria anima?" (Mt 16, 21-26)

    Sembra davvero un discorso duro ... e lo è!

    Gesù stesso, che pronuncia queste parole, sarà il primo a conoscere la durezza del dolore, il dramma della croce, tanto che nell'orto degli ulivi, quella notte sudò sangue e pronunciò parole che hanno tutto il senso di voler quasi allontanare la croce: 'Padre, se possibile, passi da me questo calice, ma si faccia non la mia, ma la tua volontà '.

    Che grande esempio dell'uomo che soffre e cerca di sfuggire, ma poi accetta per amore, perché sa che è dal suo amore, fatto dono totale, che verrà un bene immenso per tutti e arriverà fino a noi.

    Un altro esempio ci viene da Maria SS. ma, che segue Gesù nel suo cammino verso il Calvario.

    Assiste all'agonia del Figlio sulla croce, dove viene donata a noi come Mamma: 'Donna, ecco tuo figlio! '. Divino! Davvero siamo rinati al Cielo, grazie ad un amore incredibile, che sboccia dal dolore. Ci si commuove contemplando come il dolore si fa oceano di amore: un amore per noi.

    Il profeta Geremia, esperto nella sofferenza, così dialoga con Dio:

    "Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto forza e hai prevalso. Son diventato un oggetto di scherno ogni giorno: ognuno si fa beffa di me.

    Quando parlo devo gridare, devo proclamare: 'Violenza! Oppressione!'.

    Così la parola del Signore è diventata per me motivo di obbrobrio e di scherno ogni giorno. Mi dicevo: 'Non penserò più a Lui, non parlerò più in Suo Nome!'.

    Ma nel mio cuore c'era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa: mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo". (Ger. 20, 7-9)

    Commentava Paolo VI: "Portare la croce: che significa? Ci sono tante persone che seguono Cristo, che ne ascoltano la parola, che ne ammirano le opere prodigiose, e dicono: 'Ti seguirò ovunque andrai '. Uguali erano le parole degli apostoli poche ore prima: 'Se necessario morire per te, non ti rinnegherò' (Mt. 26,35) Ma poi ... tutti i discepoli, abbandonato Lui, fùggirono”.

    Gli apostoli, quelli fedeli, i più cari, più istruiti, quelli che avevano giurato fedeltà, quando si trattò di seguirLo per quella ignominiosa Via della Croce, tutti furono assenti.

    Seguire il Signore fino alla croce è un privilegio ed è un atto singolare, che si affianca a quell'unico che arrivò sul calvario, Giovanni, forse il più giovane degli apostoli, quello che 'Gesù prediligeva'. Giovanni arrivò fino sul Calvario, non ebbe né vergogna né paura: fu là sotto la croce, accanto a Lui, a condividere il pianto di Maria, Sua Madre, e delle donne ...

    La croce è la stazione di arrivo dell'infinito amore di Dio per noi uomini. Parte dalla croce, per gli uomini, un'onda di bontà, che arriva a tutte le anime per salvarle. In altre parole, nella croce si è compiuto il Mistero della Redenzione. È la Redenzione che ha il segreto dei grandi destini umani: senza quella croce il genere umano è perduto; con la croce, tutto il genere umano è salvo.

    Tutti ne siamo interessati, tutti siamo guardati da Cristo dall' alto della croce.

    Ci guarda, ci chiama, ci ama: noi crediamo che i nostri destini sono concentrati nella croce di Cristo.

    (15 aprile 1960)

    Posso immaginare il dolore, le sofferenze di ogni tipo, che appartengono a quanti mi stanno leggendo. Vorrei farmi vicino per condividere, ma soprattutto per aiutare a far diventare tesoro quello che sembra castigo.

    Tutti portiamo la nostra croce, a volte con tanta fatica. Con la fede e l'amore può diventare un grande tesoro, come la Croce di Gesù, diversamente è solo dolore, senza speranza, e può diventare disperazione.

    Dono a tutti, che mi leggete, una preghiera di don Tonino Bello.

    "Madonna santa, fa' che io sia ferito dalle piaghe di Gesù Cristo.

    Dammi le stigmate, ma non come le fessure che hanno colpito la pianta della mano, o dei piedi di S. Francesco d'Assisi o di altri santi.

    No, dammi le stigmate e i segni di questa mia compassione, di questo mio soffrire per Te, come è accaduto ai piedi della croce."

    E io voglio assicurare quanti, leggendomi, sono colpiti dalla sofferenza, che avranno un posto privilegiato nella mia preghiera e nel mio cuore, che sia per loro come un non sentirsi nella maledetta solitudine.

    Antonio Riboldi – Vescovo –

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    00 09/09/2011 22:34

    XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

    La difficile regola del PERDONO

    La Parola di Dio, oggi, mette in discussione un atteggiamento diffuso, che è veramente il contrario del Vangelo. Conosciamo tutti la nostra fragilità umana, capace di offendere e pronta a sentirsi offesa, poco disposta a quella medicina che è la comprensione e il perdono.

    Basta un nulla, a volte, per renderci nemici o estranei.

    La frase più diffusa, in questi casi, è 'me la pagherai'.

    Chi non si è trovato nella situazione di offendere, forse senza calcolare le conseguenze, o di essere offeso? Viviamo a contatto l'uno con l'altro ed è facile farsi uscire dalla bocca una frase non ben pronunciata o travisata, per creare un vero muro di divisione tra di noi.

    L'uomo, nella sua fragilità, in questo senso 'pecca' spesso verso il fratello.

    Facile, invece, rompere un dialogo già spesso difficile ed a volte impossibile sanare lo squarcio causato dall'incomprensione. Siamo davvero fragili!

    Se le incomprensioni possono rovinare i rapporti personali, fa ancora più impressione constatare come l'intolleranza, le ingiustizie o gli attriti tra le nazioni, causino guerre, che hanno un prezzo di dolore incalcolabile per l'umanità.

    È scandaloso quanto le varie nazioni spendano in armamenti, per costruire strumenti di morte sempre più devastanti.

    È come se il veleno di satana, iniettato sui progenitori, dopo la creazione, continui a moltiplicarsi.

    Se quanto si spende per la guerra fosse applicato per una equa distribuzione delle ricchezze e la pace tra i popoli, credo che avremmo un benessere generale, che sarebbe come un pezzo di Paradiso tra di noi. Ma non è così. Sembra che nell'uomo si annidi e domini la voglia di contrasto e non l'aspirazione all'amore.

    Per fortuna non è così per i Santi o per i cristiani veri, che hanno un cuore grande, capace di assorbire il male che ricevono, trasformandolo in occasione per manifestare la bellezza del perdono.

    La medicina all'immane male, che è la vendetta, la dà Gesù:

    "Gesù disse ai suoi discepoli: 'Se il tuo fratello commette una colpa, va' e ammoniscilo fra te e lui

    solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolta neppure costoro, dillo all'assemblea; e se non ascolterà neanche l'assemblea, sia per te come un pagano o un pubblicano".

    Una prova che Dio esige amore e perdono, l'abbiamo nel momento in cui noi ci avviciniamo al Signore nel Sacrificio della S. Messa, che è l'espressione visibile dell' Amore di Dio, senza se e senza ma .... Ma chiede lo stesso a noi, al punto che, se non vi è totale amore tra di noi, chi odia o non perdona il fratello non può accostarsi alla S. Comunione, segno visibile della nostra UNIONE.

    La S. Comunione è come la confessione pubblica che ci vogliamo bene e che non vi sono divisioni con alcuno, in noi.

    Scriveva 1'Apostolo Paolo ai Romani: 'Fratelli,. non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole: perché chi ama il suo simile ha adempiuto alla legge. Infatti il precetto: 'Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare' e qualsiasi altro comandamento, si riassume in queste parole; 'Amerai il prossimo tuo come te stesso'. L'amore non fa nessun male al prossimo: pieno compimento della legge è l'amore". (Rom. 13,8-10)

    Un grande esempio ce lo ha dato Papa Giovanni Paolo II, dopo l'attentato in piazza S. Pietro, dove fu miracolosamente preservato dalla morte. Guarito, chiese di poter far visita in carcere al suo attentatore,

    Alì Agcà, portandogli il segno del suo totale perdono.

    E potremmo estendere lo sguardo a tantissimi martiri che, sull'esempio di Gesù, perdonavano chi li

    torturava o uccideva, e a tanti tra di noi capaci di perdonare anche il tradimento.

    Sono la testimonianza che nel mondo, anche oggi, non c'è solo voglia di vendetta, ma esiste il grande bene del perdono.

    Diceva il beato Giovanni Paolo II: "Atteggiamenti di conversione, di pentimento, si manifestano all'esterno: è il fare penitenza. Fare penitenza vuol dire ristabilire l'equilibrio e l'armonia rotti dal peccato, cambiare direzione anche a costo di sacrifici. Una catechesi sulla penitenza è inderogabile in

    un tempo come il nostro, nel quale gli atteggiamenti dominanti nella psicologia e nel comportamento sociale sono così in contrasto con il valore del pentimento: l'uomo contemporaneo sembra fare più fatica che mai nel riconoscere i propri sbagli e a decidere di tornare sui suoi passi per riprendere il cammino dopo aver rettificato la marcia; egli sembra molto riluttante a dire 'me ne pento' o 'mi dispiace'; sembra rifiutare istintivamente tutto ciò che è penitenza".

    L'uomo moderno non ha più la capacità di riconoscere il male e lo stupore del perdono, cioè sia il riconoscere il proprio sbaglio - vera Grazia di Dio! - Sia l'essere pronto a ristabilire la comunione con il fratello, nella Grazia del perdono. Insomma, avere la capacità del 'ritorno', affidandosi al perdono, come figli prodighi.

    "In verità vi dico: 'Tutto quello che legherete sopra la terra, sarà legato anche in Cielo e tutto quello che scioglierete sulla terra, sarà sciolto anche in Cielo'.

    In verità vi dico: 'Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei Cieli ve la concederà. Perché dove due o tre sono riuniti nel mio Nome, Io sono in mezzo a loro". (Mt. 18, 15-20)

    Parole chiare, quelle che Gesù ci rivolge sul perdono.

    Sappiamo tutti, per esperienza, come sia facile scontrarsi e, a volte, senza quasi accorgersene, offendere: è nella debolezza della nostra natura, ma Dio chiede che non ci sia mai e poi mai qualche ruggine nei nostri rapporti.

    Basterebbe pensare all'esempio di Dio stesso, in Gesù, Suo Figlio. Dopo una vita passata a trasmettere

    il Cielo e fare del bene a noi uomini - quanti miraco1i! Alla fine viene arrestato e crocifisso.

    In un momento così drammatico, come quello in croce, Dio dà l'esempio a tutti noi: 'Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno'.

    Non aveva offeso nessuno, anzi ... Lui era stato offeso.

    E tutti sappiamo che offendere Dio è cosa inaudita. Perché Dio è solo amore e non offende mai e neppure ci fa del male. Ama solo.

    Eppure, nonostante le nostre offese, Lui è sempre il Padre, che non chiude la porta al 'figlio prodigo', che, dopo aver dissipato tutti i beni ed aver preferito il mondo alla casa del Padre, ritorna.

    Anzi il Padre non si rassegna mai all'assenza di un solo figlio, 'lo attende sulla porta di casa' e, quando si accorge che sta ritornando, 'gli va incontro e gli mette le braccia al collo e invita tutti a fare festa': la festa del perdono. Incredibile quanto Dio ci voglia bene!

    Proviamo a pensare a quante volte, nel sacramento della Penitenza, ci accade lo stesso, come al figlio

    prodigo. A noi, che ritorniamo a Lui, pentiti, il sacerdote si fa “padre” e rimette ogni colpa. Questo è

    Dio. E se Dio è così nei nostri riguardi, chiede a noi di essere come Lui verso i nostri fratelli.

    Non più dunque il sentimento di 'me la pagherà' o il togliere il saluto, come se chi ci ha offeso non fosse più nostro fratello! Sono sentimenti e atteggiamenti inconcepibili per noi, che in Dio siamo fratelli e che dovremmo imitarLo, perché quello che Lui ci perdona è mille volte più grave, di quanto noi dobbiamo perdonare ...

    Non resta che meditare ed affidarsi alla Parola del profeta Ezechiele: Così dice il Signore: Figlio dell'uomo, io ti ho costituito sentinella per gli Israeliti: ascolterai una parola dalla mia bocca e tu li avvertirai da parte mia. Se io dico all'empio: Empio tu morirai e tu non parli per distogliere l'empio dalla sua condotta, egli, l'empio, morirà, per la sua iniquità, ma della sua morte chiederò conto a te. Ma se tu avrai ammonito l'empio della sua condotta, perché egli si converta ed egli non si converte, egli morirà per la sua iniquità, tu invece sarai salvo. (Ez. 33, 7-9)

    Non ci resta che pregare per ottenere quella generosità di cuore, non solo per non recare offesa al prossimo, ma ancor più per donare amore a chi ci fa del male.

    In altre parole, mettere in pratica la Parola del Padre nostro:

    "…RIMETTI A NOI I NOSTRI DEBITI, COME NOI LI RIMETTIAMO AI NOSTRI DEBITORI".

    Antonio Riboldi – Vescovo
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    Credente
    00 10/09/2011 22:13

    Costruttori di riconciliazione

     

    di Mons.Riboldi

    Ricordo una scena di quando ero parroco in Sicilia. Nella quotidiana guerra che la mafia combatteva, cercando di imporsi e vendicarsi, gruppo contro gruppo, in una spirale che tendeva a crescere e mai a diminuire, un giorno, venne ferito gravemente uno di loro.

    Andai a visitarlo in ospedale. Intuendo che per lui era vicino l'incontro con Dio, lo esortavo a prepararsi degnamente, incominciando dal pentimento e dal perdono a chi lo aveva colpito.

    La risposta fu secca: 'Se la mia sorte sarà la morte, lo perdonerò; se invece sopravviverò, lo ucciderò'. Una risposta agghiacciante, che nulla ha a che vedere con la legge del perdono e dell'amore, donata dal Vangelo e che riflette la fedeltà di Dio al Suo Amore per l'uomo: una fedeltà pagata con il duro prezzo della morte di Suo Figlio sulla croce. In altre parole, di fronte alle nostre tante offese, che sono sempre immense, perché rivolte, senza alcuna ragione, ad Uno che non ha confini nell'amore, Dio risponde sempre con la sua fedeltà, pronto sempre al perdono. È la follia del Cuore di Dio, un Dio talmente innamorato della sua creatura, che fa della riconciliazione la gemma più preziosa ... sempre che noi riconosciamo le nostre colpe e siamo disposti a 'ritornare' a Lui, chiedendo perdono.

    Noi viviamo quotidianamente tanto vicini gli uni gli altri, in famiglia, sul lavoro, ovunque, che è facile urtarsi, offendersi. Impossibile, finché viviamo su questa terra, pieni di debolezze, come siamo tutti, non inciampare, non urtarci, non andare incontro ad incomprensioni e offese, capaci di bruciare in un istante ogni rapporto di serenità tra di noi.

    La vita è come un camminare su una strada piena di cocci; ci si ferisce continuamente reciprocamente. Si può tranquillamente affermare che vivere insieme è una continua battaglia, in cui a volte si è vincitori e a volte perdenti.

    Dovessimo legarci al dito tutti i torti che riceviamo, avremmo in pochi giorni le mani impossibilitate a muoversi, perché sovraccariche di corde, tutti! Perché i torti si ricevono, ma si fanno anche agli altri! Non solo, ma, se ogni offesa che riceviamo dovesse essere ricambiata con un distacco da chi ci offende, estraniandolo dall'amore, presto rimarremmo soli, estremamente soli, noi che da Dio siamo stati creati con il desiderio e la ragione di amare ed essere amati ... sarebbe l'autodistruzione totale dell'umanità: se chi ci offende fosse da considerarsi 'come morto' nel nostro cuore, la nostra vita - di ciascuno - diventerebbe un cimitero.

    Ci avverte oggi il Siracide: "Il rancore e l'ira sono un abominio: il peccatore li possiede. Chi si vendica avrà la vendetta del Signore ed egli terrà sempre presenti i suoi peccati. Perdona l'offèsa del tuo prossimo e allora per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati.

    Se qualcuno conserva la collera verso un altro uomo, come oserà chiedere la guarigione al Signore? Egli non ha misericordia per un uomo simile e osa pregare per i suoi peccati?

    Egli, che è soltanto carne, conserva rancore: chi perdonerà i suoi peccati?

    Ricordati della tua fine e smetti di odiare; ricordati della dissoluzione e della morte e resta fedele ai comandamenti". (Sir. 27,28)

    Gesù sulla croce dovrebbe suggerire a tutti il valore della Misericordia. Non aveva certamente né detto, né commesso alcunché da farsi perdonare, quando era tra noi ... anzi, in quei tre anni, altro non aveva fatto che del bene, come solo Lui sa fare ... e aveva insistito, nonostante la nostra natura fragile, a imitarLo nella bontà.

    Fino a quando assunse totalmente la nostra condizione, addossandosi tutti i peccati dell'umanità, - e chi mai potrà calcolarli? I miei, i vostri ... - Non fu facile per Lui, il Santo dei Santi, la Bontà infinita, che si era espressa nel farsi uno di noi, Figlio dell'Uomo, andare incontro alla Passione.

    Ricordiamo tutti la notte dell'agonia nel Getsemani. Sudò sangue e pregò il Padre: 'Se possibile, passi da me questo calice, ma, non la mia, ma la Tua volontà sia fatta '.

    E poi si consegnò a chi era venuto, tradendolo, a catturarlo ... e fu davvero un continuo dolore, un perdere tutto, fino alla beffa, all'essere schiaffeggiato dai soldati, al ricevere sputi - segno di massimo disprezzo - all' essere rivestito come un pagliaccio delle vesti di porpora,"facendosi gioco di Lui, incoronandolo di spine: 'Ecco il vostro re! '. Nessuna compassione nel caricarlo della croce, nessuna quando cadeva sotto il peso della croce. E alla fine lo hanno crocifisso sul Calvario, dove si punivano i delinquenti più gravi e pericolosi.

    Davvero venne calpestata ogni briciola della sua dignità e senza alcuna ragione, perché Lui non aveva offeso nessuno, anzi, era venuto per pagare tutte le nostre offese a Dio e ai fratelli.

    È davvero incredibile che ci sia Qualcuno, Dio, che voglia 'pagare' le nostre offese, anziché, come facciamo noi, rispondere ad offesa con offesa: è la grande lezione del perdono.

    Un perdono che noi sperimentiamo nel sacramento della Riconciliazione. È lì, se abbiamo davvero un cuore contrito, che Lui è Padre che accoglie 'il figlio prodigo'.

    Oggi Gesù ci insegna tutto questo nel Vangelo:

    "Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: 'Signore, quante volte dovrò perdonare a mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?'. E Gesù gli rispose: 'Fino a settanta volte sette!. A proposito il regno dei cieli è simile ad un re che volle fare i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fossero venduti lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva e saldasse così il suo debito. Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa.

    Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito.

    Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui, che gli doveva cento denari e afferratolo lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo:

    Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone ciò che era accaduto.

    Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito, perché mi hai pregato. Non dovevi anche tu avere pietà del tuo compagno, come io ho avuto pietà di te? E sdegnato il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli fosse restituito tutto il dovuto. Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello". (Mt. 18,21-35)

    Una grande testimonianza del perdono ci fu data dal beato Giovanni Paolo II. Ricordiamo tutti l'attentato in piazza S. Pietro: se non morì fu un vero miracolo, come lui stesso affermò. Quando poté volle andare a visitare il suo attentatore, Alì Agcia, in prigione, per confermargli il suo perdono. La storia, se da una parte racconta vendette atroci, dall'altra mostra in tanti la bellezza del perdono. Ed è a questa bellezza che dovremmo guardare quando ci sentiamo offesi, e pronti anche a non aver paura a chiedere perdono, quando ad offendere siamo stati noi.

    Oggi prego Maria SS. ma: "E' facile pensarti, Madre dolorosa, confusa tra la gente che seguiva tuo Figlio sulla via del Calvario.

    'Quel povero uomo', come era considerato dalle pie donne, che non riuscirono a trattenere la loro naturale tenerezza verso chi soffriva.

    'Quel maledetto condannato' per coloro che lo consideravano solo un delinquente senza dignità. Nessuna pietà per il condannato: la vergogna, la morte doveva gustarle fino in fondo.

    Purtroppo i prezzi della nostra cosiddetta giustizia vanno pagati fino in fondo.

    La nostra giustizia, Maria SS. ma, qui sulla terra, a volte non conosce pietà né amore.

    Ma Gesù ha cambiato questa logica perversa. Lui, maledetto dagli uomini, si lascia maledire senza opporre resistenza. Sulle Sue spalle sa di portare tutti i peccati del mondo e di quelli che lo maledicono. La Sua è una giustizia diversa: è fedeltà a noi, figli del Padre e che il Padre non rinuncia ad amare fino a caricare le nostre colpe sulle spalle del Suo Figlio, Amore come Lui.

    E così Gesù, tuo Figlio, stringe la croce come fosse il cuore degli uomini, da non abbandonare mai, ma da salvare. 'Non sono venuto - dirà tuo Figlio e lo dice oggi a noi - a giudicare il mondo, ma a salvarlo 'E ancora: 'Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva" per questo: 'Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno '.

    Non mi rimane, cara Madre, che mettermi in ginocchio e riconoscente dire Grazie al Padre, al Figlio, allo Spirito d'Amore e a Te, per tanto amore vissuto e condiviso."

    [Modificato da Credente 10/09/2011 22:15]
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    00 18/09/2011 14:44

    XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

    Facciamoci trovare quando Dio chiama

    C'era un tempo, quando si era più poveri: una povertà dignitosa, che creava spazi alla vita interiore e, quindi, a Dio. Uno spazio che era come farsi trovare quando Dio ci cerca.

    E sappiamo tutti che nessuno ha avuto il dono della vita senza uno scopo.

    Dovremmo sapere tutti che questo grande dono deve contenere un'infinita ricchezza, che si costruisce giorno per giorno, e, alla fine di questa esperienza terrena, sarà la sola ricchezza che porteremo con noi.

    Ed è davvero triste vedere come troppi non si fanno trovare, quando Dio passa e chiama, vanificando il dono della vita ricevuto. Ha ragione il profeta Isaia quando afferma:

    "Cercate il Signore, mentre si fa trovare; invocatelo, mentre è vicino.

    L'empio abbandoni la sua via, e l'uomo iniquo i suoi pensieri: ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona.

    Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri e le vostre vie non sono le mie vie - oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie; i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri". (Is. 55,6-9)

    Ed ogni uomo, tutti, noi compresi, abbiamo 'dentro' la storia di questo cercare o non cercare, di questo invocare o non invocare. Di fatto siamo in realtà ciò che abbiamo cercato o non cercato. Tutti! In proposito, ad un grande artista, che ebbi modo di incontrare, il maestro Carlo Maria Giulini, una sera, chiesi se era cosa buona tale ricerca.

    Così rispose: 'Quasi sempre noi sentiamo parlare di Dio dai sacerdoti, dalla Chiesa. Poche volte lo sentiamo dalla gente comune. Quella che mi offre è una buona occasione per confrontarci. Sarà interessante sapere con quale linguaggio le persone, che lei incontra o ha incontrato, si esprimono in proposito. Sapere che cosa è rimasto in loro della educazione dall'infanzia. Cosa di più interessante si è offerto loro. Saper quali sono stati i cammini verso o lontano dalla fede. È certo che Dio passa vicino ad ogni uomo, chiama, indica la via che dà il vero senso alla vita. Ma oggi è veramente saggio ciò che si insegna?'

    C'è un momento in cui Dio passa e chiama a diventare 'operai nella Sua vigna'.

    Quante persone ho avuto modo di incontrare che, nella vita, erano come dei 'disoccupati' o lontani da ogni ricerca di Dio e, all'improvviso, - vera Grazia! - Hanno sentito il richiamo di Dio e la loro esistenza è cambiata totalmente, mettendosi sulle orme del Signore.

    Così parla Gesù, oggi:

    "Il regno dei cieli è simile ad un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori, per la sua vigna.

    Accordatosi con loro, per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna.

    Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza disoccupati e disse loro: 'Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò'. Ed essi andarono.

    Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto.

    Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse: 'Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi '. Gli risposero: 'Perché nessuno ci ha presi a giornata'.

    Ed egli disse loro: 'Andate anche voi nella mia vigna'.

    Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: 'Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi'.

    Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro.

    Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero un denaro per ciascuno. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone, dicendo: 'Questi ultimi hanno lavorato un'ora e li ha trattati come noi, che abbiamo sopportato tutto il peso della giornata e il caldo'.

    Ma il padrone. rispondendo a uno di loro disse: 'Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene: ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. Non posso fare delle cose mie quello che voglio? Oppure tu sei invidioso, perché io sono buono? Così gli ultimi saranno i primi e i primi ultimi". (Mt. 20, 1-16) È facile, leggendo la vita di chi sta vicino, vedere realizzarsi la parabola delle chiamate di Dio. Avvengono in tempi diversi della vita: alcuni da giovani, altri addirittura da anziani.

    Dio non ha orari nel chiamarci: attende solo che noi gli diciamo di sì.

    Ho avuto modo di conoscere questa varietà di chiamate di tanti.

    Ricordo un grande sacerdote, che per 40 anni si era disinteressato a Dio: era un dissipato, ma sentiva fortemente che non era nella verità della vita, quel suo essere 'disoccupato'.

    Finché trovò qualcuno che colse il suo disagio e lo indirizzò a guide spirituali, che lo aiutarono a ritrovare la vigna del Signore.

    Descrive bene il suo percorso nella famosa poesia Riamato l'Amor, l'Amor vuol tutto.

    "E venne il giorno che in divin furore,

    la verità di Cristo mi costrinse a giustiziar e libri e scritti e carte: o sì che quello fu un gran bel stracciare!

    Allor che quanto m'ea il più del male ridotto fu a un lacerato ammasso, mi sentì lieve in libertà felice.

    Ed ecco repentino a me salire dal fondo del fracasso della strada un patetico annuncio e me ben noto: Strascèe? ...Ehi straccivendolo... Egli pesta passo per passo all'ultimo gradino ingombra il sacco sopra la stadera:

    per poco prezzo quella roba tolse.

    Il cittadino accendere della sera mi trovò solo a ripensare il tempo l'anima mia posta nell'eterno,

    mestizia forse, non tristezza colse". (Clemente Rebora)

    Per qualche estate, veniva alla Sacra di S. Michele, per riposare. Lo accompagnavo nelle brevi passeggiate. Non parlava mai, ascoltava, come avvolto in un silenzio, che riempiva della meravigliosa novità che scopriva nella vita, gli anni trascorsi a sperimentare il 'vuoto'.

    E non fu così, forse, la storia di S. Francesco, quando, assecondando l'invito di Dio, da ricco e spensierato che era, si spogliò di tutto, sposando quella che chiamava 'Madonna Povertà', ed era la grande ricchezza di seguire Cristo?

    Ma se vogliamo capire la storia di tanti - e nella mia vita di pastore ho avuto la grazia di conoscerne tanti davvero - cogliamo la verità di questa parabola: Dio chiama alla Sua vigna in ogni tempo, senza mai stancarsi.

    Forse è la vostra storia ... diversamente si rischia di restare 'disoccupati sulla strada della vita'. Afferma il grande Papa del sorriso, Giovanni XXIII:

    "Iddio mi ha creato, eppure non aveva bisogno di me; eppure l'ordine dell'universo, l'ambiente che mi circonda, tutto insomma, esisterebbe senza bisogno di me.

    Perché dunque mi credo io così necessario a questo mondo? Chi sono io, se non una formica, un granello di arena? Perché dunque mi faccio sì grande davanti a me stesso?

    A che sono io in questo mondo? Per servire Dio.

    Dunque la mia vita deve essere del tutto consacrata a Lui: a compiere i Suoi voleri, del tutto e per sempre. Quindi, quando non penso a Dio, ma al mio amor proprio, divento un servo disobbediente. Servo di Dio: qual bel titolo, quale mansione bellissima è mai questa!".

    Così sono i 'disoccupati' che sanno attendere Chi li chiama.

    Ma oggi, guardandoci attorno, in questa società, che continua a costruirsi idoli senza anima, destinati all'insoddisfazione, si ha come la sensazione che troppi non cerchino più Dio.

    Eppure questa mancanza di desiderio di Dio, diventa un vuoto, un 'disagio' che si fa sentire.

    Non resta che chiedere di avere un cuore sempre all'erta, attento all'invito a seguirLo nella Sua

    Vigna.

    SeguirLo è la spiegazione della serenità di tanti: una serenità che non è generata dalle cose materiali, ma dalla gioia di vivere nella vigna del Signore.

    La stessa gioia, che si rifletteva sempre sul viso di don Clemente Rebora, ed era il frutto di

    quell'essersi sbarazzato dell'inutile raccolta di : Strascèe.

    Così, ancora scriveva, in proposito, don Clemente:

    "Speravo in me stesso, ma il nulla mi afferra. Speravo nel tempo, ma passa, trapassa.

    Speravo nel ben che verrà sulla terra, ma tutto finisce travolto in ambascia. Ho peccato, sofferto, cercato, ascoltato

    la voce dell'amor che chiama e non langue: ed ecco la speranza: la Croce.

    Ho trovato Chi prima mi ha amato e mi ama e mi lava nel sangue che è fuoco. Gesù, l'Ognibene, l'Amore infinito, 1'Amore che dona l'amore,

    l'Amore che vive ben dentro nel cuore".

    Antonio Riboldi – Vescovo –
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    Coordin.
    00 24/09/2011 10:53

    XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

    La bellezza di essere sempre veri

    Capita a tutti, credo, di sentire giudizi o commenti sulle persone che sono vicine o che incontriamo o frequentiamo. È molto difficile, per non dire impossibile, che qualcuno si salvi da un errato giudizio verso qualcuno.

    Siamo portati, per difetto, a vedere il male più che ammirare il bene che vi è in tutti noi.

    E tante volte sottolineiamo appunto ciò che riteniamo male, ma difficilmente siamo attenti al bello che è in tanti, anche perché a volte è difficile distinguere in una persona cattiveria o semplicemente un modo di comportarsi o le conseguenze del carattere.

    Purtroppo anche noi cristiani, che dovremmo avere occhi puliti nel valutare il comportamento del

    Prossimo, ricordando la Parola saggia di Gesù: 'Non giudicate e non sarete giudicati', di fatto lasciamo che i nostri occhi siano appannati dalla prima impressione, che si ha di qualcuno, dai pregiudizi, che albergano in noi e nella società che ci circonda, dall'opinione pubblica modaiola e 'gregge'.

    Del resto sappiamo anche quanto sia difficile, per ciascuno, riconoscere fino in fondo se in noi prevalga la bontà o la leggerezza nel giudicare noi stessi e gli altri - quante volte inganniamo noi stessi sulle vere motivazioni che ci spingono ad agire!

    Eppure il vero dialogo, o se volete la vera convivenza, dovrebbe avere le sue basi sulla verità e la compassione verso gli altri ... e anche verso se stessi, consapevoli di essere tutti 'grandi' nel destino, ma, pur sempre creature limitate.

    Tutti facciamo esperienza della nostra fragilità, che ci porta a volte, anche se non vogliamo,ad essere ed apparire quello che non vorremmo - quando siamo consapevoli e alla ricerca della verità.

    E ci fa tanto male che altri vedano in noi quello che non siamo o non vogliamo essere.

    Tutti aspiriamo ad essere, più che giudicati, compresi, conosciuti nelle nostre vere aspirazioni, e soprattutto amati, soprattutto nei momenti difficili, in cui abbiamo bisogno di comprensione e non di giudizi errati o senza spazio all'amore.

    Dice oggi il profeta Ezechiele:

    "Voi dite: 'Non è retto il modo di agire del Signore'. Ascolta, dunque, popolo d'Israele: non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra? Se il giusto si allontana dalla giustizia per commettere l’iniquità, a causa di questa muore: ed egli muore appunto per l’iniquità che ha commesso. Ma se l'ingiusto desiste dall'iniquità, che ha commessa, e agisce con giustizia e rettitudine, egli fa vivere se stesso. Ha riflettuto e si è allontanato da tutte le colpe commesse; egli

    certo vivrà e non morirà". (Ez. 18, 25-28)

    Capitava spesso a Gesù di trovarsi a parlare davanti ad una folla, che ripeteva i nostri stessi sbagli e

    giudizi. C'era chi si riteneva giusto, come i farisei. Loro, almeno in apparenza, osservavano la Legge, fino a spaccare - esternamente - il pelo! Tanto da arrivare a giudicare persino Gesù, il Giusto per eccellenza, da loro considerato un peccatore, perché guariva in giorno di sabato!

    Una pretesa da folli, assomigliavano al primo figlio, di cui parla il Vangelo oggi. La loro è una giustizia di forme, priva di amore. Non solo giudicavano spietatamente gli altri, ma addirittura stabilivano la condanna a morte per chi aveva sbagliato.

    Ricordiamo il fatto dell'adultera, colta in fragrante reato. Viene portata da Gesù, trascinata da una folla, che attraverso la condanna della donna, mira alla condanna di Gesù.

    Tutto dipendeva da quello che il Maestro avrebbe risposto.

    E questa è davvero ipocrisia, mascherata con un falso desiderio di giustizia.

    Gesù inizialmente risponde con il silenzio, come se il caso non lo riguardasse ... crea uno spazio 'vuoto', da riempire con calma e riflessione, per poi semplicemente riportare tutti alla realtà: “Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra”.

    È impressionante la scena evangelica successiva ... tutti, dai più anziani ai più giovani... se ne andarono. Quella dei farisei è una terribile ipocrisia, che possiamo trovare anche oggi in tanti casi, che generano solo tante, ma tante sofferenze.

    Ricordo un fatto personale. Un giorno su 'Il Mattino', giornale napoletano, uscì un articolo, che cercava di mostrare come la mia battaglia alla camorra fosse finta e di fatto un modo per difendere i camorristi. Chiamai il direttore del giornale, che si scusò, mettendo la testata a mia disposizione, per

    affermare la verità ... rinunciai, anche se simili attacchi ed accuse, fanno un grande male.

    Per Gesù la giustizia è altra cosa, cosi come ogni virtù. Giustizia è un atto di amore da parte del Cuore di Dio, che sostiene la nostra volontà ed attende una risposta che sia amore, non apparenza.

    Può sembrare duro questo affidarsi all'Amore, che ci mette alla prova.

    Venne chiesto una volta a Madre Teresa di Calcutta: 'Se rinascesse, rifarebbe la stessa vita?' Tra lo sbigottimento generale, rispose: 'Oggi sapendo quanto può essere duro fare la volontà di Dio, sarei tentata di dire di no'. Nell'assemblea ci fu un vero smarrimento. Non si aspettavano queste scarne parole della Madre, che evidenziavano la durezza della croce. Ma dopo alcuni istanti di silenzio totale, improvvisamente Madre Teresa, sorridendo, sorprese tutti … “ma sapendo quanto Dio mi voglia bene e quanto gliene voglio io, credo Gli direi nuovamente di sì”. Vi fu un applauso scrosciante ed entusiasta dei giovani presenti.

    Che il nostro sia il tempo del “Sì”, per chi è veramente discepolo di Cristo, dovrebbe essere chiaro per tutti. Il mondo sfacciatamente evidenzia la sua mostruosa faccia di falsità.

    Inganna, offrendo ciò che non è bello agli occhi, non solo di Dio, ma di ogni uomo, tanto più se uomo di fede, illudendoci che la vera felicità sia in suo possesso: falsità, inganno, menzogna.

    È coinvolgente per noi il Vangelo di oggi, stretti come siamo dalla volontà di restare fedeli a Dio e la tentazione continua di 'non considerarlo' o, Dio non voglia, voltargli le spalle ...

    Scrive l'evangelista Matteo:

    "In quel tempo Gesù disse ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: 'Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli: rivoltosi al primo disse: 'Figlio, và oggi a lavorare nella vigna'. Ed egli rispose: “Sì, signore” ma non andò.

    Rivoltosi al secondo gli disse lo stesso. Ed egli rispose: 'Non ne ho voglia, ma poi, pentitosi, ci andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre? Dicono: 'L'ultimo',

    E Gesù disse loro: “In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano davanti nel Regno di Dio. E' venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli”. (Mt. 21, 28-32)

    Una bella lezione per tutti noi e sulle nostre scelte che, a volte, assomigliano alla risposta del primo figlio. Scrive con efficacia Paolo VI:

    "Il grande fallo di tanti cristiani moderni è l'incoerenza e la mancanza di fedeltà alla Grazia, ricevuta nel Battesimo e successivamente in altri sacramenti, e agli impegni solenni e salutari, assunti verso Dio, verso la Chiesa nella celebrazione di un patto, di una alleanza, di una comunione di vita soprannaturale, che non mai avrebbe dovuto essere trascurata o tradita. Quale grande vantaggio di avere tenuto fede lealmente a quegli impegni che danno senso, virtù e merito alla vita cristiana" (1974)

    Gesù ci aiuti ad essere sempre nella vita testimoni viventi della fede e dell'amore a Lui, distinguendoci da questo mondo, che non ha più riferimenti e non sa più 'volare alto', poiché si affida a ciò che non lascia spazio alla Grazia.

    “O Divin Redentore, che hai amato e ami la Chiesa e per essa hai dato te stesso,

    al fine di santificarla e farla comparire innanzi a Te, risplendente di gloria,

    rendi, questa tua Chiesa, Una nella tua carità,

    Santa nella partecipazione alla tua santità.

    Sia ancora oggi, nel mondo, vessillo di salvezza per gli uomini,

    centro di unità di tutti i cuori, ispiratrice di santi propositi.

    Che i suoi figli, lasciata ogni divisione e indegnità,

    le facciano onore, sempre e ovunque,

    affinché tutti gli uomini, che ancora non le appartengono,

    guardando ad essa, trovino Via, Verità, Vita,

    e in Te siano ricondotti al Padre, nell'unità dello Spirito Santo".

    Antonio Riboldi – Vescovo –
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    00 01/10/2011 09:44

    XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

    Inizia il mese del Rosario

    C'è una preghiera, che è come il racconto della vita di Gesù, contemplata da tantissimi, uomini, donne, giovani e anziani, nella recita del S. Rosario.

    Sappiamo tutti come è facile trovare nelle mani o addosso questa coroncina, come a ricordarci che Maria, la dolce Mamma, davvero si prende cura di tutti noi.

    Una preghiera semplice, che un tempo, e mi auguro per molti oggi, chiudeva la giornata delle famiglie, che si radunavano per la recita del S. Rosario.

    Nella mia famiglia, anche quando ero diventato prete, era papà che sentiva di essere 'il sacerdote', che anima il Rosario ... così come, quando c'era ancora la nonna materna, era lei che, non solo ci voleva tutti vicini, ma commentava con semplice profondità i Misteri del Rosario.

    Una teologia spicciola, ma saggia, che la diceva lunga sulla fede e la conoscenza della nonna. Era una recita così sentita, che ci coinvolgeva tutti, non solo gli adulti, ma anche noi adolescenti. Era davvero una catechesi pregata, quella recita del S. Rosario.

    Diceva Paolo VI: “Il Rosario è un'educazione alla pietà religiosa, più semplice e popolare e allo stesso tempo più seria e più autentica, insegna ad unire l'orazione con le comuni azioni della giornata, santifica le vostre amicizie, vi abitua a unire le parole della preghiera al pensiero, alla riflessione sui Misteri del Rosario e questi si presentano come quadri e come scene, come racconti, l'uno dopo l'altro, e ricordano un po' l'incantesimo delle sequenze cinematografiche, per voi tanto interessanti; vi portano alla visione fantastica dei fatti ricordati dai Misteri, alla storia della vita di Gesù e di Maria, e alla comprensione delle più alte verità della vostra religione: l'Incarnazione del Signore, la sua Redenzione e la vita Cristiana presente e futura. È una scala il Rosario e voi salite insieme adagio, adagio, andando in su, incontro alla Madonna, che vuol dire incontro a Gesù. Perché anche questo è uno dei caratteri del Rosario, ed è il più importante, il più bello di tutti, e cioè, il Rosario è una devozione che, attraverso la Madonna, ci porta a Gesù.

    È Gesù Cristo il termine di questa lunga e ripetuta invocazione a Maria. Si parla di Maria per arrivare a Gesù. Ella lo ha portato al mondo. Ella è la Madre del Signore. Ella ci introduce a Lui, se noi siamo devoti a Lei". (maggio 1964)

    La recita del S. Rosario era la preghiera del tempo libero del grande beato Giovanni Paolo II.

    Lo ricordo un giorno, in visita alla Sacra di S. Michele. Dopo la visita all'abbazia, che credo molti conoscano, non potendo l'elicottero atterrare sui dorsali della Sacra, per il grande vento, fu costretto a scendere in macchina.

    Lo accompagnai, felice di stare insieme e poter scambiare con lui qualche parola.

    Il beato si raccolse in se stesso e mi pregò di fargli compagnia nella recita del S. Rosario. Essendo il tragitto abbastanza lungo, insieme, senza perdersi in parole, recitammo i Misteri gaudiosi e dolorosi. Alla fine mi salutò con un grazie, che esprimeva non solo riconoscenza, ma tanto affetto. È proprio vero che i santi sono, con la loro vita, una scuola di santità, anche ... viaggiando! Abbiamo bisogno che la Mamma ci aiuti.

    Un tormentato e famoso scrittore di spiritualità, Peguy, paragonava il Padre nostro e l'Ave Maria a dei 'vascelli' naviganti vittoriosamente verso il Padre. Dobbiamo tentare anche noi questa impresa. E non si dica che, così facendo, strumentalizziamo la preghiera, il culto alla Vergine, la religione in favore di nostri bisogni o fini temporali.

    Non può essere considerata una strumentalizzazione, il vivere l'orazione come una confessione dei nostri limiti, dei nostri bisogni, della nostra fiducia di ottenere dall'Alto ciò che, con le nostre forze, non possiamo conseguire, anzi.

    Non ce lo ha forse insegnato Gesù stesso? 'Chiedete e vi sarà dato '.

    Non ultimo, la recita del S. Rosario, per chi vi ha confidenza, eletto quasi a dialogo con la Vergine, ci mette al passo con Lei, ce ne fa subire il fascino, ci incoraggia a seguirne l'esempio educatore e trasformante. È davvero una scuola di vita cristiana.

    Ma vi è anche tanta gente che oggi ha sostituito il rosario con i gingilli della moda, nell'intento di apparire esteriormente, ma svuotando quello che più conta: il cuore.

    Non è così delle persone semplici, anche giovani, che vedono nel S. Rosario, che portano con sé, una forma di presenza nella vita della Vergine, come un segno di appartenenza a Maria.

    Direi di più, come a ricordarsi che c'è viva e attenta Chi ha cura di noi in Cielo: la Mamma celeste. Mi ha colpito un giorno, in aereo, un signore distinto. Uno che apparentemente apparteneva alla cosiddetta alta società. Ad un certo punto, meravigliandomi, mi chiese di recitare con lui il S. Rosario ... 'in cielo!'. Quello che più mi colpì fu la devozione e la fede, il suo raccoglimento. Questo esempio è l'affermazione che la Mamma è amata da tanti, senza distinzione.

    Dovremmo dialogare con Lei più spesso, soprattutto oggi, con la semplicità profonda del Santo Rosario: un dialogo che si distingue dalle chiacchiere del mondo e ci fa sentire il sapore del Cielo. Con Maria, oggi, vogliamo meditare la Parola di Dio, dal Vangelo di Matteo:

    "Gesù disse ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: 'Ascoltate quest'altra parabola:

    C'era un padre, che aveva una vigna e la circondò con una siepe. Vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l'affidò ai vignaioli e se ne andò.

    Quando fu il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto. Ma quei vignaioli presero i servi e uno lo bastonarono .. l'altro lo uccisero, l'altro lo lapidarono.

    Di nuovo mandò altri servi, più numerosi dei primi, ma quelli si comportarono nello stesso modo. Da ultimo mandò anche il proprio figlio, dicendo: 'Avranno rispetto di mio figlio'. Ma quei vignaioli, videro il figlio e dissero tra di loro: 'Costui è l'erede: venite, uccidiamolo e avremo poi l'eredità. E, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l'uccisero'

    Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a questi vignaioli?

    Gli risposero: 'Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli, che gli consegneranno i frutti a suo tempo". (Mt. 21, 33-43)

    È stata la storia del popolo eletto, che uccideva i profeti inviati da Dio per ammonirlo ed infine uccise il Figlio Gesù. Una storia di infedeltà e di non amore, che parrebbe incredibile se non vi fosse la testimonianza storica di tale comportamento del popolo eletto nell'Antico Testamento.

    Ma può anche essere 'letta' come un'altra storia: quella della Chiesa che ora e per sempre è e sarà la vigna del Signore.

    Una vigna difficile e meravigliosa da coltivare ma che, qualche volta, trova nei pastori stessi, che dovrebbero averne cura, peccato e miserie, come pure può essere per loro causa di difficoltà e persecuzioni. Basti pensare all'uccisione di tanti missionari, o anche solo delle incomprensioni o critiche, non sempre oneste, verso i pastori.

    Conosciamo tutti, soprattutto oggi, la difficoltà di lavorare nella vigna del Signore.

    Se un tempo la Chiesa, la famiglia di Dio, era davvero percepita dalle nostre famiglie come comunità a cui si apparteneva con impegno e gioia, oggi, spesso, la meraviglia della Presenza di Dio tra di noi è snobbata dagli stessi cristiani che, non solo non si ritrovano per l'Eucarestia, ma vivono come se la 'loro vigna' fosse un 'accessorio', di cui si può assolutamente fare a meno in questo mondo.

    Sì, è davvero faticoso lavorare in questa vigna .... ma anche entusiasmante!

    Ripenso, nonostante le innumerevoli difficoltà, all'immensa gioia sprigionatasi dalla Giornata Mondiale della Gioventù a Madrid. Incredibile come nella veglia, funestata da un forte temporale, tutti, a cominciare dal S. Padre, continuarono sereni, pur sapendo che avrebbero poi dovuto, almeno i giovani, riposare ... .in quel campo bagnato!

    E come non ricordare il Congresso Eucaristico di Ancona, che è stato punto di riferimento, riunendo - anche se a distanza - milioni di cristiani intorno all'Eucarestia?

    Se questi momenti speciali sono importanti, non possiamo dimenticare i tanti fratelli che sfidano la morte per riunirsi in preghiera, in Cina e in tante altre parti del mondo, dove per loro, cristiani, la vita non è davvero facile.

    Sono questi fratelli, che soffrono per vivere la fede in Gesù, che ci insegnano ad amare di più la nostra Chiesa. Guardando a loro dovremmo, tutte le volte che ci troviamo assieme, come la domenica, saper rinvigorire la consapevolezza di essere la vigna del Signore, che accoglie la salvezza donata dal nostro Redentore.

    Infatti fa male scoprire come in troppi cristiani sia scomparso l'amore alla Chiesa, 'loro famiglia divina', per cui non provano gioia stando insieme, anzi rifuggono ne rifuggono la compagnia.

    Sono tanti anni che il Signore mi ha chiamato alla Sua vigna, inviandomi in luoghi difficili, come il Belice, da parroco, o vescovo ad Acerra. Erano, allora, vigne da dissodare. Le ho amate con tutto il cuore e, a volte, - per contrastare il crimine organizzato - 'mettendo in conto' la stessa vita.

    Ma più era difficile donare tutto me stesso, più l'amore alla vigna diventava grande e la consapevolezza che la vigna era del Signore sempre più intensa: Lui operava e guidava, io ero solo un suo strumento e questa convinzione dava forza e serenità.

    Auguro a tutti di sperimentare lo stesso amore per le vostre Chiese, che devono sempre essere viste come 'famiglie divine' dove il Padre, non solo sta con noi, ma nella Parola e nei Sacramenti è vivo e Vivente, per farci crescere in Lui.

    Amiamoci tanto come Chiesa e preghiamo con il cuore, quando in lei tocchiamo la presenza del male, chiedendo a Gesù: 'Perdonali ... perdonaci ... non sappiamo quello che facciamo!'.

    Antonio Riboldi – Vescovo
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    00 07/10/2011 15:41

    XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

    L'invito al banchetto di Dio

    Ogni volta che celebro, soprattutto la domenica, anche se noto come la Chiesa parrocchiale sia sempre piena di fedeli (ma pochi i giovani!), soffro pensando all'assenza dei più che considerano la S. Messa, non come un meraviglioso invito alla Mensa di Dio, ma 'un di più', che comunque non merita particolare attenzione, rispetto a tante altre cose, ritenute davvero importanti nel giorno della festa.

    Viene da chiederci: quale posto occupa nel cuore dei cristiani il banchetto eucaristico, ossia la Messa? Sappiamo che nella vita dei santi e, per fortuna, di tanti, occupa il primo posto, ieri come oggi. Non mi stancherò mai di fare memoria della testimonianza di mia mamma. Aveva sette figli piccoli, ma ogni mattina, insieme alla sorella faceva tre Km. a piedi, alzandosi presto, per poter partecipare all'Eucarestia. E usava dire: 'Senza Comunione la mia giornata sarebbe come vuota, come se mancasse Qualcuno che è la forza e la gioia della vita: Gesù'.

    Ed esigeva che anche noi, una volta giunta la maturità, dopo la prima Comunione, non mancassimo mai alla Messa, digiuni, per poter ricevere Gesù.

    Ho avuto il dono di essere chiamato da Dio alla vita religiosa e, per obbedienza, al sacerdozio e, per volontà del grande Paolo VI, al ministero vescovile.

    Posso dire con serenità, ringraziando Dio, che la sorgente della mia vita religiosa e pastorale era l'Eucarestia, non solo per la S. Messa quotidiana, ma per la certezza del cuore che Gesù era vicino ­ora addirittura Presente, ogni istante, in una piccola cappella, nella mia abitazione. Ho come l'impressione - ma è verità di fede - di sentirmelo accanto, quando scrivo, come sto facendo, quando ricevo qualcuno o semplicemente leggo o penso. È il vero senso della mia vita, direi di più, è la grande forza e serenità della mia vita. Cosa sarebbe stata e cosa sarebbe senza l'Eucarestia? Un vuoto come la morte.

    Il Vangelo di oggi ci racconta come si possa rifiutare l'Eucarestia - quello che Gesù chiama il banchetto di nozze del figlio - per ragioni anche insulse, comunque secondarie, che diventano una sorta di disprezzo verso l'invito e Colui che chiama.

    "Il Regno dei Cieli è simile ad un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. Egli andò a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire. Di nuovo mandò altri servi a dire: ”Ecco, ho preparato il mio pranzo. Venite alle nozze” Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari, altri poi presero i suoi servi li insultarono e li uccisero. Allora il re s'indignò e, mandate le sue truppe, punì quegli assassini e diede alle fiamme le loro città. Poi disse ai servi: 'Il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni. Andate ora tra i crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete chiamateli alle nozze. Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali.

    Il re entrò per vedere i commensali e, scorto un tale che non indossava l'abito nuziale, gli disse: 'Amico, come mai hai potuto entrare qui senza abito nuziale?' E lo espulse dal banchetto.

    Gesù termina la parabola con una frase che, se da una parte contiene amarezza, dall'altra è un serio monito per tutti: “Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti”. (Mt. 22, 1-14)

    Nessuno di noi cristiani, credo, mette in discussione il privilegio di essere invitato alle nozze del Re. Se a queste nozze diamo un nome, ossia l'invito a far parte del Regno di Dio, facile accorgersi dei tanti rifiuti del Popolo eletto, nel primo tempo della sua travagliata storia. Non fu solo il rifiuto dei profeti - Isaia, Geremia, Osea ... ma addirittura il rifiuto del Figlio di Dio, Gesù, fino a crocifiggerlo. Ma era 'necessario' proprio quel rifiuto, perché con Gesù, il Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, la storia dell'umanità, la nostra storia, potesse diventare un meraviglioso “Si”.

    Ma bisogna entrare con fede nel grande Amore che Dio ha per noi, fino a farsi Dono quotidiano, se Lo accogliamo, nell'Eucarestia. Incredibile come la Sua Presenza reale, nel tabernacolo, venga tanto ignorata. E addolora, nonostante il 'saggio' motivo addotto, della difesa, vedere le porte delle chiese chiuse durante il giorno, quasi un 'mettere in prigione' Dio stesso.

    Verrebbe da dire: spalancate quelle porte! ... Forse si sentirebbe il sapore della bellezza della Presenza di Dio tra noi, anche solo guardandole.

    Ma ci rendiamo conto di questa Presenza tra noi di Dio in Gesù? Ne siamo convinti? E, ancora di più, siamo consapevoli dell'incredibile atto di amore che Gesù ci fa nella S. Messa e nella Eucaristia con la S. Comunione? Avete mai provato il brivido di quando tra le mani o sulle labbra ci si rende conto che in 'quel pezzo di pane' è il Corpo del Cristo quello che riceviamo?

    Tante volte, celebrando la Messa, in varie parti d'Italia, nel vedere la poca gente che oggi frequenta l'Eucarestia, mi assale un dolore come se il rifiuto fosse fatto a me.

    Da giovane servivo la S. Messa a un santo sacerdote. Ero colpito da come riuscisse a riempire ogni momento della Messa con un tale fervore, tanto che davvero ci si rendeva conto che lui vedeva Gesù e parlava con Lui. Era impressionante e comunicava a me la stessa passione.

    Come del resto ricorderete un'altra esperienza toccante, con la massa di fedeli che si recava a S. Giovanni Rotondo, da Padre Pio, per assistere alla sua Messa. L'Eucarestia era davvero sentita come una 'apparizione e presenza di Dio'.

    A volte mi domando: ma a Gesù non bastava essere venuto tra di noi, averci lasciato la Sua Parola, essersi sacrificato sulla croce, averci indicato il nostro futuro con la Sua Resurrezione?

    Per un Dio, che è Amore, non c'è un 'basta', ma solo la continuità del dono di Sé. È davvero grande il dono dell'Eucarestia, forse 'inconcepibile' per i nostri ristretti pensieri e poveri sentimenti ....

    Lo capiremo ed accoglieremo mai questo immenso Dono? Scrive Paolo VI:

    "L'Eucarestia è anzitutto comunione con Cristo, Dio da Dio, Luce da Luce, Amore da Amore, vivo e vero, personalmente e sostanzialmente. Agnello immolato per la nostra salvezza, amico e fratello, sposo, misteriosamente nascosto e abbassato sotto la semplicità delle apparenze eppure glorioso nella vita di Risorto che vivifica, comunicandoci i frutti del mistero pasquale.

    Non avremo mai meditato abbastanza sulla ricchezza che ci apre questa intima comunione di fede, di amore, di sentimenti con Cristo Eucaristico. La mente si perde, perché ha difficoltà a capire; i sensi dubitano, perché si trovano davanti a realtà note: pane e vino, i due elementi semplici del nostro cibo quotidiano. Eppure proprio il 'segno', con cui questa divina Presenza ci si offre, indica come dobbiamo pensarla: il pane e il vino, queste specie tanto comuni, hanno valore di segno.

    Segno di che? Anche qui nasconde la più grande realtà sotto le apparenze più umili e per questo a tutti accessibili. Questo sacramento è segno che Cristo vuol essere nostro cibo, principio interiore di vita per ciascuno di noi". (1969)

    E Giovanni XXIII così esprimeva la sua gratitudine:

    "Grazie o Dio. Molti ancora oggi sanno apprezzare la ricchezza infinita dell'Eucarestia. Ai piedi dell'altare si ritrovano piccoli e grandi della terra. E' la Comunione ad infondere coraggio, che nessun intervento o scienza dell'uomo può riuscire ad ottenere fra noi. Essa dona incomparabili energie che occorrono per il compimento del proprio dovere, per avere pazienza e operare il bene. Grazie, o Dio!".

    Dal Vangelo notiamo come, al rifiuto blasfemo di chi non sente il bisogno dell'amore di Dio, si oppone la semplicità del povero che vive ai margini dell'esistenza: creature che sentono il bisogno di essere amate. Sono loro, tante volte, anche oggi - la gente semplice - che sanno apprezzare la bellezza dell'Eucarestia e amano cibarsi di quel Pane, che noi uomini non sappiamo dare.

    Occorre sempre avere il cuore sgombro dal male, indossando 'la veste' adatta all'invito di Dio.

    Così canta la Chiesa nella Solennità del Corpus Domini:

    "E' certezza per noi cristiani: il pane si trasforma in carne e il vino in sangue. È un segno ciò che appare, nasconde nel mistero realtà sublimi.

    Ecco il Pane degli Angeli, Pane dei pellegrini,

    vero Pane dei figli: non deve essere gettato.

    Buon Pastore, Pane vero, o Gesù, pietà di noi.

    Nutrici e difendici, portaci ai beni eterni, nella Patria dei beati".

    Antonio Riboldi – Vescovo –
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    00 15/10/2011 19:21

    XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

    Convivere chiede SOLIDARIETÀ

    Il Vangelo di oggi mette in risalto una delle condizioni essenziali, che riguardano il bene comune. Parlare di bene comune in una società significa avere strutture organizzative, che esigono una spesa non indifferente. Proviamo a pensare al nostro Paese.

    Ogni città o paesino ha il suo Consiglio comunale, come ogni Provincia, ogni Regione ... ed infine un Parlamento, con due Camere: ministri, sottosegretari, deputati, senatori, ecc. Sono molte migliaia di persone in strutture che dovrebbero assicurare 1'ordinamento della giustizia e del bene comune.

    È di questi tempi il pensiero che, forse, sono troppe, ed occorrerebbe alleggerire il peso della spesa, accorpando Comuni di mille abitanti, abrogando le Province e diminuendo deputati e senatori.

    Se questo dovesse accadere forse davvero diminuirebbero le spese e, quindi, il carico delle tasse .... Con i mezzi di comunicazione che si hanno oggi è sicuramente possibile sostituire le persone con la tecnologia in vari ambiti, ma non è facile tagliare queste spese, senza incontrare l'opposizione - in alcuni casi davvero comprensibile, di migliaia di persone interessate in questi ambiti dell' amministrazione pubblica.

    Eppure una buona economia assomiglia a quella di una famiglia, che sa misurare le proprie entrate, vivendo al livello delle proprie possibilità.

    C'è stato un tempo - non lontano - in cui il benessere diffuso aveva dato l'illusione di poter vivere da ricchi. Basta vedere quanto abbiamo nelle nostre case di superfluo o di inutile e quanto consideriamo rifiuti e gettiamo. È la mentalità dell'usa e getta ...

    Per molti poi è difficile accettare le regole dell'economia e allora vi è quel fenomeno, davvero simile ad un 'furto', per cui si nascondono o mandano all'estero i propri capitali, per non dover essere soggetti alla tassazione.

    Ma si impone una norma di giustizia, se davvero abbiamo a cuore il bene della nostra società, e non mettiamo al primo posto solo il nostro benessere. È chiaro che partecipare alla vita di una società ha un prezzo, ma in compenso si possono avere quei servizi, dall'ordine pubblico alla salute, alla casa e al lavoro, che possono assicurare serenità - anche se in questo momento particolare di crisi, sembra un pò utopico parlare in questi termini!!!

    Del resto, tanto più fa male, in questa congiuntura generale, scoprire ogni giorno che chi dovrebbe essere zelante nel difendere il bene comune e la vita, non sa dare esempio neppure di onestà.

    Il Vangelo di oggi aiuta a riflettere anche su questo.

    "In quel tempo i farisei, avendo sentito che Gesù aveva ridotto al silenzio i sadducei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi.

    Mandarono dunque a lui i propri discepoli con gli erodiani a dirgli: 'Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dicci dunque il tuo parere: 'E' lecito o no pagare il tributo a Cesare?'.

    Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: 'Ipocriti, perché mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo'. Ed essi gli presentarono un denaro. Gesù domandò loro: 'Di chi è questa immagine e l'iscrizione?'. Gli risposero: 'Di Cesare'. Allora disse loro: 'Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (Mt. 22, 15-21)

    In altre parole: Gesù invita a pagare il tributo richiesto.

    Commenta Paolo VI, nell'Enciclica 'Chiesa e mondo':

    "Il bene della persona e della società umana e cristiana è strettamente connesso con una felice situazione della comunità. Perciò i cristiani, assieme con quanti hanno alta stima di questa comunità coniugale, si rallegrano sinceramente dei vari sussidi grazie ai quali gli uomini favoriscono oggi la formazione di una comunità di amore ed il rispetto della vita: sussidi che sono aiuto a coniugi e genitori nella loro preminente missione ... Però non dappertutto la dignità di questa istituzione brilla della identica chiarezza."

    In un'altra Enciclica, parlando del lavoro, così si esprime:

    "Necessaria all'incremento e al progresso umano, l'introduzione dell'industria è insieme segno e fattore di sviluppo. Mediante l'applicazione tenace della sua intelligenza e del suo lavoro, l'uomo strappa poco a poco i suoi segreti alla natura, favorendo il miglior uso delle sue ricchezze ...

    Ma su queste condizioni nuove della società si è malauguratamente instaurato un sistema che considerava il profitto come motivo essenziale dell'economia, la proprietà privata dei mezzi di produzione come diritto assoluto, senza limiti né obblighi sociali corrispondenti. Tale liberalismo senza freno conduceva alla dittatura. Non si condanneranno mai abbastanza simili abusi, ricordando ancora una volta solennemente che l'economia è al servizio di tutti. Ma se è vero che un certo capitalismo è stato fonte di tante sofferenze, di tante ingiustizie e lotte fratricide, di cui perdurano gli effetti, errato sarebbe attribuire all'industrializzazione stessa dei mali che sono dovuti al nefasto sistema che l'accompagnava. Bisogna, al contrario, per debito di giustizia, riconoscere l'apporto dell'organizzazione del lavoro (Populorum Progressio n. 22-24)

    È sotto gli occhi di tutti la gravità del momento: se da una parte assistiamo ad un arricchimento incredibile di pochi (e c'è da chiedersi se questo è lecito), abbiamo una massa sempre più considerevole di lavoratori che vedono la loro fatica ripagata con uno stipendio che, tante volte, non riesce a soddisfare le necessità della famiglia: uno stipendio che ha tutta l'aria di una 'elemosina" ben lontana dalla giustizia.

    La Chiesa si sente tanto vicina e non si stanca di alzare la voce, perché al lavoro svolto venga ridata quella dignità che gli spetta e, con la dignità, uno stipendio che abbia davvero il sapore della riconoscenza e della giustizia, per la collaborazione del lavoratore al bene sociale.

    Non si possono calpestare i diritti della persona che lavora, senza calpestare la persona stessa, che ha reso il servizio.

    Che dire di quanti vivono ai margini del diritto al lavoro, con qualche sussidio che mortifica la giustizia?

    Sua Santità Giovanni XXIII, il Papa buono, ebbe parole di fuoco al riguardo.

    "Rileviamo con tristezza - affermava - per usare le parole della nostra 'Mater et Magistra', che, mentre da una parte si mettono in accentuato rilievo le situazioni di disagio e si fa balenare lo spettro della miseria e della fame, dall'altra si utilizzano le risorse economiche per creare terribili strumenti di rovina e di morte.

    È un invito a chi detiene l'arte di formare l'opinione pubblica e, in parte, ne ha il monopolio, a temere il severo giudizio di Dio e anche quello della storia e a procedere cautamente con rispetto e senso di misura. Non poche volte nei tempi moderni - e lo diciamo con pena e con franchezza - la stampa ha cooperato a preparare un clima di avversione e animosità, di rottura.

    Uomini coperti di responsabilità, fragili e mortali, a voi guardiamo con ansia i vostri simili, prima fratelli e poi sudditi. Con l'autorità che ci viene da Gesù Cristo, vi diciamo: allontanate le suggestioni di forza; tremate all'idea di determinare una catena imponderabile di fatti, di giudizi, di risentimenti. Potere grande vi è stato dato, non per distruggere, ma per edificare; non per dividere, ma per unire; non per far scorrere fiumi di lacrime, ma per dare a tutti lavoro e sicurezza.

    Ecco le varie applicazioni di una bontà che si deve estendere in tutti i campi dell'umana convivenza. Questa 'bontà' è forza e dominio di se stessi, pazienza per gli altri, carità che non si estingue, che non si perde d'animo, perché vuole solamente il bene attorno a sé".

    Mentre scrivo passa davanti ai miei occhi la folla di chi disperato cerca un 'qualsiasi lavoro', il più delle volte perché deve mantenere una famiglia. Sa che è un suo diritto, prova a bussare a tutte le porte, ma la risposta è sempre la stessa: 'Siamo in crisi; ora non c'è posto!'.

    È duro non sapere che fare di fronte a tali problemi, anche perché ricordo le lacrime di papà, quando venne colpito alla gamba da una barra di acciaio infuocata ... e fu licenziato!

    Passarono mesi per poter ritrovare la possibilità di un lavoro, anche perché era ridotto ad essere zoppicante. Ma la volontà di dare alla famiglia - che era di sette figli piccoli, più mamma - era più forte del dolore.

    E lo guardavo con tristezza e orgoglio, ogni mattina partire in bicicletta, per trovare un qualsiasi lavoro, pur di portare a casa qualcosa che ci sostenesse. E questo per anni.

    E quanti, come papà, oggi si trovano nelle stesse condizioni?

    Non resta che operare e pregare, perché per tutti ci sia posto per la giustizia, per la semplice ragione che il lavoro è, per ogni uomo, giustizia e una società ben organizzata dovrebbe essere capace di attuare questo diritto, tanto più se la sua Costituzione proclama nello articolo: 'L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro .... ",

    L'uomo, ogni uomo o donna, ricordiamolo sempre, non ha così tante capacità, dono di Dio, per custodirle nel cassetto, ma per partecipare, tutti, senza eccezioni, allo sviluppo dell'umanità, oltre che per fare spazio alle proprie doti, dono di Dio.

    Che si avveri quello che Gesù disse: 'Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio " cioè date all'uomo quello che è dell'uomo, così che possa sentire e vivere la gioia di dare a Dio quel che è di Dio.

    Antonio Riboldi – Vescovo –
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    Coordin.
    00 25/10/2011 23:34

    XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

    LA MISSIONE, un impegno oggi necessario

    Fa bene, ed è oggi una grande necessità, celebrare in ottobre il mese 'dedicato alla missione' ...

    Cosa dire? Ci fu un tempo in cui, in questo giorno, si ricordavano solo i popoli non ancora evangelizzati. E ancora oggi tanta parte della umanità non conosce Gesù e la Sua Parola.

    Per portare Cristo a tutti, è davvero preziosa e grande l'opera di tanti missionari, che a volte vivono in condizioni difficili, altre volte, come in Cina, con il rischio o della galera o dell'essere uccisi.

    Sono i meravigliosi missionari 'di frontiera'.

    Ma il compito di fare conoscere Gesù e il Vangelo è solo compito di alcuni o è dovere di tutti?

    Non è forse vero che i nostri 'primi missionari' dovrebbero essere i nostri genitori, che ci fanno della vita un dono, che agli occhi del Padre ha una sola ragione: conoscerLo, amarLo , servirLo per poi alla fine, se saremo degni, gioire con Lui in Paradiso?!

    C'è una preghiera eucaristica che descrive in modo meraviglioso chi è Dio per ogni creatura.

    Suona così: "Noi Ti lodiamo e Ti benediciamo Dio, Onnipotente, Signore del Cielo e della terra, per Gesù Cristo venuto nel tuo nome: Egli è la mano che tendi ai peccatori, la parola che ci salva, la via che ci guida alla pace. Tutti ci siamo allontanati da Te, ma Tu stesso, o Dio nostro Padre, ti sei fatto vicino ad ogni uomo, con il sacrificio della croce".

    Credo che tutti almeno dovremmo sapere o credere che la nostra esistenza, l'esistenza di ogni uomo e donna, ha una sola ragione: è stata concepita dall' eternità dal Cuore del Padre, che ci ha affidati nel tempo ad una famiglia, con il solo scopo di ricambiare qui l'amore, raggiungere la santità e quindi tornare alla Sua e nostra Casa, che è la sola Casa vera per tutti.

    Qui, tutto è provvisorio, come nel viaggio di un pellegrino.

    Non ci stancheremo mai di dire che la ragione vera della vita non sono i soldi, tanto meno la superbia dell'apparire o del dominare, un'onorificenza o la celebrità effimera, ma la sola ragione, ripeto, è amare ed essere amati.

    Gesù, chiestogli quale fosse il più grande comandamento, rispose: "Nella vita amerai il Signore tuo Dio, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze. Il secondo comandamento è simile a questo: amerai il prossimo tuo come te stesso. Fà questo e vivrai!"

    Affermava il Santo Padre nella giornata missionaria dello scorso anno: "Il compito missionario non è la rimozione del mondo, ma trasfigurarlo attingendo la forza da Gesù Cristo".

    Ma - ripeto - il compito missionario riguarda solo chi non conosce Dio, e verso cui operano i nostri 'missionari', o riguarda ogni cristiano?

    Non è forse vero che ogni cristiano, nel suo ruolo, ha un compito che non può eludere, perchè è quello che lo fa partecipe della sua vera natura e origine?

    Impensierisce l'ignoranza di troppi fratelli e sorelle che, se va bene, a volte conoscono 'briciole' della Parola di Dio, quando invece questa dovrebbe essere il PANE che dà ragione alla vita, dono di Dio. Affermava Paolo VI, che non si stancava di viaggiare per il mondo, per portare con autorità il Vangelo a tutti, fino ai confini della terra:

    "Il popolo di Dio è un popolo missionario. Cristo avrebbe potuto chiedere al Padre suo, ed egli avrebbe messo a disposizione più di dodici legioni di angeli, per annunciare al mondo la sua redenzione. Invece Cristo ha conferito questo compito e questo privilegio a noi; a noi, gli infimi di tutti i santi che siamo davvero indegni di essere chiamati apostoli, di proposito, per annunciare la buona novella all'umanità. Egli non ha voluto servirsi di altre voci che della nostra.

    A noi infatti è stata data questa grazia di evangelizzare i pagani, con l'insondabile ricchezza del Vangelo. A noi poi spetta di proclamare il Vangelo in questo straordinario periodo della storia umana, un tempo davvero senza precedenti. Se mai ci fu un tempo, in cui i cristiani, più che in passato, sono chiamati ad essere luce che illumina il mondo, città situata su un monte, sale che dà sapore alla vita degli uomini, questo è indubbiamente il nostro tempo.

    Noi infatti possediamo l'antidoto al pessimismo, agli oscuri presagi, allo scoraggiamento e alla paura, di cui soffre il nostro tempo. E ciascuno di noi per il fatto di essere cristiano, deve sentirsi spinto a diffondere questa buona novella fino ai confini della terra. 'Non possiamo - dicevano i primi cristiani, - non parlare di ciò che abbiamo visto e udito' (At. 4, 20).

    Nessun cristiano - sia egli papa, vescovo, sacerdote, religioso o laico - può rinunciare alla sua responsabilità nei riguardi di questo dovere essenziale di cristiano. Ricorderete certamente l'insistenza con cui il recente concilio ecumenico ha inculcato questo punto: 'Ad ogni discepolo di Cristo - senza eccezione - incombe il dovere di spargere per quanto possibile la fede. Tutti i figli della Chiesa devono avere la viva coscienza della loro responsabilità di fronte al mondo, devono spendere le loro forze nell'opera di evangelizzazione' (Ad gentes, n. 23)

    Possono apparire parole dure e coraggiose, ma in effetti sono la missione che tutti i battezzati, che hanno coscienza della loro natura di figli di Dio, hanno! Un dovere che poi si rivela come un grande bene, il bene della verità del Vangelo e della vita, ai fratelli e le sorelle.

    'Guai a me non evangelizzassi' afferma l'apostolo. E difatti come si può essere davvero cristiani se non si conosce la parola di Dio che è la scuola di vita cristiana? Si può pensare di vivere ignorandola? Ed è forse questa pretesa assurda che porta a vivere disordinatamente. Solo la P AROLA educa alla vita, altre vie non ce ne sono, se non quelle di una religiosità a fior di pelle che genera pericolosa ignoranza.

    Conoscere e diffondere il Vangeli è diventato, dal Concilio Ecumenico in poi, la grande strada scelta dalla Chiesa. Sono tante le comunità o parrocchie dove vige 'la scuola della Parola'.

    Ricordiamo tutti la grande testimonianza del Card. Martini che, periodicamente e con fedeltà, nel duomo di Milano, invitava alla conoscenza profonda della Parola.

    Un duomo che si riempiva soprattutto di giovani, felici finalmente di conoscere Cristo, non solo a parole, ma in profondità. E la scuola della Parola ora è diffusa in ogni comunità.

    Ricordo, da ragazzo, come tante donne e uomini conoscevano il Vangelo in modo incredibile e non vi erano le tante possibilità di oggi.

    Così come ricordo come mamma alla domenica, prima di pranzo, chiedeva a noi figli quale tratto della predica della S. Messa ci avesse colpiti. Era vero culto della Parola.

    Così come la domenica pomeriggio, era considerato obbligo frequentare in parrocchia la dottrina della Chiesa, ossia il Vangelo!

    Ricordo, da vescovo, come durante l'anno liturgico sceglievo tempi adatti per incontrare in chiesa o all'aperto i miei fedeli, cercando insieme di entrare nel vivo della conoscenza della Parola.

    Era il momento atteso da tanti, perchè dava modo di conoscere Dio nella Parola, in modo familiare, simile allo stile di Gesù. Era una via per conoscere, amare e servire Dio.

    Alla fine più che invitare i fedeli erano loro a insistere per incontrarsi. Scoprivamo insieme la bellezza della Parola di Dio, che poi entra nelle coscienze a comporre il mosaico della santità.

    Quante mamme, oggi, ma quante mamme, si trovano a pregare per la fede della propria famiglia! Quanta gente soffre per la perdita di una fede consapevole e profonda!

    E, paradossalmente, quanta gente, nella onesta ricerca della verità, dice: 'Come invidio la sua fede!' Non rimane allora che convertirci alla missionarietà.

    Le comunità ecclesiali dovrebbero essere come quella che descrive l'apostolo Paolo ai Tessalonicesi: 'La Parola del Signore riecheggia per mezzo vostro non soltanto in Macedonia, nell'Acaia, ma la

    fama della vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, in modo che non abbiamo più bisogno di parlarne.' (Tess. 1,5-10)

    Non resta che pregare, perché questo richiamo alla missionarietà di ciascuno trovi spazio in voi e così la luce della Parola illumini i vostri passi.

    Antonio Riboldi – Vescovo –
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    Coordin.
    00 04/11/2011 22:56

    XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

    Vegliate, perché non sapete né il giorno né l'ora

    E' un tempo il nostro in cui pare non ci sia spazio al silenzio, alla riflessione. C'è solo spazio, troppo spazio alla agitazione. La vita diventa un continuo affannarsi, per riempirla di cose inutili e a volte dannose. Proviamo a chiederci quante ore passiamo davanti alla televisione, quante ore dedichiamo alle chiacchiere che a volte sono solo un inutile e dannoso rumore senza contenuto.

    C'è davvero poco tempo per riflettere. Ma una vita senza la compagnia del silenzio e della riflessione oltre che chiasso diventa causa di tanta confusione dello spirito. Non abbiamo tante volte sperimentato la delusione di avere bisogno di ascoltare o parlare di cose serie che riguardano la vita, non solo questa, ma quella eterna, trovando solo chi sta alla porta della nostra necessità e sta lì a sentire senza ascoltare?

    Sappiamo tutti, o dovremmo saperlo, come ogni attimo può essere quello del 'passaggio' della Sposo da seguire alla festa del Cielo. Per cui il Vangelo oggi offre la parola chiave della vita:

    "Vigilate, perché non sapete né il giorno né l'ora"

    Gesù nel Vangelo paragona la nostra vita a quella delle vergini invitate alle nozze, ossia la festa con lo sposo. E magistralmente descrive i due modi di attendere: il modo saggio e il modo stolto.

    Interessa molto questa pagina del Vangelo perchè suggerisce quello che dovrebbe essere lo stile di vita di tutti: "attendere, pronti a seguire lo Sposo che passa".

    Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola.

    "Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. Cinque di essere erano stolte e cinque sagge: le stolte presero le lampade, ma non presero con sé l'olio; le sagge invece insieme con le lampade presero anche l'olio in piccoli vasi.

    Poiché lo sposo, tardava, si assopirono tutte e dormirono. Ma a mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro! Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. E le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perchè le nostre lampade si spengono. Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi: andate piuttosto dai venditori e compratevene. Ora, mentre quelle andavano per comprare l'olio arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e cominciarono a dire: Signore, Signore, aprici. Ma egli disse: "In verità vi dico: NON VI CONOSCO! VEGLIATE dunque PERCHE' NON SAPETE NÉ IL GIORNO, NÉ L'ORA. "(Mt. 25, 1-13)

    Fa molto riflettere la parola 'vigilate'.

    E se guardiamo bene è la parola che quando si è saggi usiamo spesso, come atteggiamento deterrente a quanto può danneggiare vita e cose. Si vigila sulla casa perché, non solo sia in ordine, ma nessuno entri quando usciamo. Si vigila sulla salute - ed è un dovere sacrosanto, perchè la vita è un dono da difendere - ma tante volte, per seguire la moda o per insipienza, la mettiamo in pericolo. Si ha la sensazione, leggendo tante cronache del sabato sera che tanti, soprattutto giovani, tornino a tarda notte, tante volte in preda all'alcool o alla droga e finiscono con la macchina in un mucchio di macerie. All'improvviso senza avere avuto voglia o tempo di vigilare ....

    Quando si va in montagna si è molto vigili nel seguire le indicazioni o i sentieri, per non rischiare di perdere la via e finire male.

    E' un dovere dei genitori vigilare sulla condotta dei figli. Se si chiude un occhio sugli sbagli continui, sulle mode, sulle cattive compagnie, si ha il rischio di un giorno vedere i propri figli fuori strada, seguendo il male o compagnie che si dovrebbero evitare.

    Vigilare, credo, sia una grande virtù e necessità che accompagna la bellezza e la bontà della vita. Non c'è momento del giorno o azione che non esiga la vigilanza.

    Il segreto dei santi era quella vigilanza che è il faro che Dio ha posto in ogni uomo, rendendolo capace di 'vedere' ciò che è buono e ciò che è male. Non solo, ma avendo coscienza della fragilità della vita, lo aiuta ad evitare ciò che può renderlo ancora più debole. Leggendo la vita dei santi ci si meraviglia di quanto grande fosse la loro capacità di vigilare.

    Quando S. Francesco si accorse che la sua vita non era buona, colpito dalla Parola, si spogliò di tutto e divenne il santo che dovrebbe essere guida per tutti.

    Sappiamo tutti come il mondo ci educhi ogni giorno a non essere vigili.

    Quante volte si sente dire, di fronte a ciò che la coscienza retta condanna: "Ma che male c'è? Lo fanno tutti". Ma se si ha l'opportunità di guardare in faccia i propugnatori di tali indicazioni, è proprio negli occhi che vedi la vacuità della loro vita.

    Come, viceversa, non dimenticherò mai lo sguardo di persone che mi trasmettevano la loro santità fissandomi. Come quello del beato Giovanni Paolo II, con cui ebbi il dono di dialogare per più di un'ora in quella che noi vescovi chiamiamo 'visita ad limina': un incontro che era un conoscere da parte sua la vita della Chiesa, che si era stati chiamati a presiedere come vescovi.

    Qualcuno forse mi aveva descritto un poco fuori delle righe, per non so quale ragione.

    Il Santo Padre, contrariamente a come spesso appariva, con gli occhi quasi socchiusi, quel giorno tenne i suoi occhi aperti, quasi a volere leggere ciò che realmente ero.

    Mi facevo leggere con fiducia. Alla fine mi abbracciò dicendomi, 'Tornate presto: ho bisogno di sapere e voi avete il dono di trasmettere con lo sguardo la verità'. E fu sempre così nei nostri incontri.

    O gli occhi quasi socchiusi di Madre Teresa. Incontrandola cercai di leggere il suo cuore attraverso il suo comportamento negli incontri che aveva davanti a platee di giovani. Ogni parola detta con riflessione era uno sprazzo di ciò che davvero era: sguardo di santa.

    E lo stesso avviene in tanta gente semplice che sa trasmetterti la bontà, frutto di una continua vigilanza su se stessi. Insomma 'tutte vergini in attesa dell'arrivo dello Sposo', quando verrà.

    Così Paolo VI: "Il primo atteggiamento da prendere sembra a noi quello della vigilanza: una vigilanza attenta e serena, che non cede al sonno della consuetudine, dell'indifferenza, dell'ottimismo convenzionale, ma sa guardare la realtà dei fatti e alla realtà degli spiriti! ..

    Una vigilanza non sospettosa, ma umile e buona, che sa trarre motivo di esame di coscienza e stimolo a sempre migliori propositi da ogni fatto osservato. E finalmente una vigilanza che sa riconoscere gli aspetti positivi di questi movimenti spirituali e ciò che vi può essere di buono come insegna l'apostolo:

    "Esaminate ogni cosa e ritenete ciò che è buono".

    E il beato Giovanni Paolo II, rivolgendosi ai giovani, così li esortava:

    "Cari amici, vedo in voi le sentinelle del mattino. Nel corso del secolo che muore, giovani come voi venivano convocati in adunanze oceaniche per imparare ad odiare.

    I diversi messianismi secolarizzati, che hanno tentato di sostituire la speranza cristiana, si sono poi rivelati veri e propri inferni.

    Cari giovani, dicendo "sì" a Cristo voi dite "sì" ad ogni vostro più nobile ideale. Prego perchè Egli regni nei vostri cuori e nella umanità del nuovo tempo.

    Non abbiate paura di affidarvi a Cristo. Egli vi guiderà, vi darà forza, vi darà forza di seguirLo ogni giorno e in ogni situazione".

    A tanta gente che, a volte, vedendo noi cristiani attenti al bene e quindi vigilanti nella vita, ci gridano: "Aprite gli occhi al nostro tempo!", Rispondo: non venderemo mai la nostra veduta alla vostra cecità. Noi sappiamo dove andiamo: seguiamo il sentiero di Cristo che può apparire aspro. Ma sappiamo che ci attende la vetta del cielo. Meglio che andare per strade 'larghe e in discesa', che alla fine ti fanno trovare solo 'il deserto della vita', quel deserto che davvero manca di tutto, anche della prospettiva di amare la vita.

    Con Madre Teresa preghiamo:

    "Signore, quando credo che il mio cuore sia straripante di amore e mi accorgo, in un momento di onestà, di amare me stesso nella persona amata, liberami da me stessa.

    Signore, quando credo di avere dato tutto quello che ho da dare e mi accorgo, in un momento di onestà, che sono io a ricevere, liberami da me stessa.

    Signore, quando mi sono convinta di essere povera e mi accordo, in un momento di onestà, di essere ricca di orgoglio, di invidia, liberami da me stessa.

    E, Signore, quando il regno dei cieli si confonde falsamente con i regni di questo mondo, fa' che io trovi felicità e conforto in Te."

    Antonio Riboldi – Vescovo
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    Coordin.
    00 19/11/2011 08:28

    XXXIV Domenica del Tempo Ordinario – Cristo Re (Anno A)

    Solennità di Gesù Cristo. Re dell’Universo

    Tutti noi, se siamo sinceri, siamo sempre affannosamente in ricerca di qualcosa o QUALCUNO CHE SIA CAPACE DI FARCI FELICI, che è il solo senso del nostro vivere.

    Ma rischiamo di chiamare felicità qualcosa o qualcuno che tale non è o, se lo è, - come quando ci si ama - comprendiamo che non può donarci quella felicità integrale che ci attendiamo.

    Per capire questa sete interiore, basta guardare tante volte la gente che pare si abbarbichi a tutto e tutti, nella speranza di trovare la sorgente della felicità.

    Che la felicità sia il sale della vita di ogni uomo è scontato. L'uomo, tutti noi, che lo ammettiamo o no, siamo usciti dal cuore del Padre. Ed è logico che, essendo Sue creature, conserviamo nel profondo dell'anima la nostalgia di ciò che Lui è: la gioia, che è frutto di amore.

    Cercarla altrove è pura follia. Ma purtroppo noi la cerchiamo ovunque, dando nome di gioia a qualsiasi cosa ci capiti tra le mani.

    Non possiamo cancellare dalla vita ciò che Dio ci ha donato e desidera e opera perché, non solo la troviamo, ma ne partecipiamo, ossia la gioia dell'amore.

    Con il peccato originale i nostri progenitori, tentati, preferirono se stessi a Dio amore e vennero esclusi dal Paradiso. Come è vero quel grido di Dio nell'Eden: “Uomo dove sei?".

    Un grido, una ricerca appassionata, che si ripete anche oggi nel mondo e non sempre trova risposta.

    Si preferisce nascondersi agli occhi del Padre, ma non è sufficiente una foglia di fico ... e rimane l'amarezza dell'esilio dal Cielo ... a cui ha risposto e risponde il Padre con il più grande gesto di amore possibile: donandoci il Figlio.

    Incredibile amore del Padre verso di noi, e molte volte, quando lo medito, non ho parola per esprimere la mia confusione, come a dire: 'Ma è mai possibile che Dio, che non ha certo bisogno di noi, si sia abbassato tanto fino a donarci il Figlio Gesù, perchè spazzasse via ogni ombra di esilio e riaprisse le porte del cielo?'

    Fa sempre impressione e tanta commozione, ogni volta ci mettiamo di fronte al Crocifisso, sapere che quella croce ha una sola parola da comunicarci "TI VOGLIO BENE A QUALUNQUE COSTO".

    Ed è un dono a portata di mano di tutti: non solo, ma è la ragione stessa della nostra creazione.

    Oggi la Chiesa chiude l'anno liturgico, racconto della nostra redenzione - iniziato con l'Avvento del 2010 - con la SOLENNITA' DI GESU' RE DELL'UNIVERSO.

    Ma troppi ancora sanno poco o niente di Gesù, che invece dovrebbe essere il centro dei nostri pensieri. Ma perché così tanta ignoranza o indifferenza?

    Il nostro grande Paolo VI così risponde all' interrogativo: "Chi dicono che sia il Figlio dell'uomo?' (Mt.16,13) Questo interrogativo fatto da Gesù stesso, si presenta ancora agli uomini, a noi personalmente. 'Io, che penso di Gesù Cristo?'.

    Lo conosciamo forse perchè Egli vive con noi, in una civiltà plasmata dai suoi principi, da una religione? Lo conosciamo forse perchè la nostra educazione religiosa ci parlò di Lui? Eppure la domanda resta anche sulle nostre labbra, sovente senza risposta. La prima risposta è troppo grave: implica il nostro destino spirituale, E' troppo profonda e ineffabile. Conoscere Gesù e definirLo vorrebbe dire viverLo e sarebbe risposta fatta di gioia interiore. Ma la sua figura il più delle volte rimane vaga e sbiadita, cioè la nostra conoscenza di Gesù il più delle volte è rudimentale, frammentaria, incerta e forse anche fredda. Così i nostri stati di animo di fronte a Lui rimangono ordinariamente, un conoscerLo senza amarLo, un supporLo senza conoscerLo, un trascurarLo, dimenticarLo" .

    Ed è davvero inconcepibile che CHI dovrebbe essere il centro della vita, la fonte della gioia, la bellezza di una compagnia che fa sicuri i nostri passi, possa conoscere il pericolo di essere 'l'ultimo dei nostri pensieri'; un bene di cui non sappiamo cosa fame ... anche se Gesù ha detto di Sé: 'Io sono la VIA, la VERITA', la VITA',

    Sarà forse per la natura stessa dell'amore che, quando si fa vicino, fino ad essere segreto della serenità della vita, guida della vita, può essere, come la presenza di Gesù, talmente discreto, da passare inosservata ... soprattutto per chi è troppo affaccendato, indaffarato, chiassoso?

    Non dimentichiamo che è proprio dell'amore non fare chiasso, ma essere foresta che cresce; non imporsi, ma liberare; non possedere, ma donare ... nel silenzio e nella pace.

    Il Vangelo della solennità di Cristo Re, ce Lo presenta nella pienezza della sua regalità, che ci giudica sulla carità. Ci mostra come Gesù sempre si mette nei nostri panni in attesa di una risposta che non è solo rivolta a noi. ma è rivolta a Lui.

    "In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: 'Quando il Figlio dell'uomo, verrà nella sua gloria, con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri come il pastore separa le pecore dai capri e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sua sinistra. Allora il re dirà a quelli della sua destra: 'Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perchè ho avuto fame e mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi'

    Allora i giusti gli risponderanno: 'Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato e siamo venuti a visitarti?'. Rispondendo il re dirà loro: "In verità vi dico ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo dei miei fratelli più piccoli, lo avete fatto a me '.

    Poi dirà a quelli alla sua sinistra: "Via lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perchè ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 'ero forestiero e non mi avete ospitato; nudo e non mi avete vestito, malato o in carcere e non mi avete visitato'. Anch 'essi risponderanno: 'Signore, quando ti abbiamo visto affamato e non ti abbiamo dato da mangiare, o assetato o forestiero o nudo, o malato o in carcere e non ti abbiamo visitato?'. Ma egli risponderà: 'In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose ad uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me'.

    E se ne andranno, questi al supplizio eterno e i giusti alla vita eterna” (Mt. 25, 31-46).

    Il giudizio di Dio può sembrare duro, ma è fondato sulla carità. Un giudizio che noi ci costruiamo con la nostra condotta verso gli altri, giorno per giorno, con il nostro agire con amore o senza.

    E, onestamente, se c'è un a cosa che oggi si nota è proprio la mancanza di amore verso chi ha bisogno. E' stupendo sapere che ogni gesto di carità che noi facciamo - e ogni giorno se ne presenta l'occasione - non si ferma al povero, all'ammalato, all'emarginato, non si ferma alla persona che si incontra, ma Dio lo considera fatto a Lui stesso. Ne fossimo davvero coscienti sarebbe certamente diversa la nostra condotta verso chi tende a noi la mano. Ma rattrista vedere come manca questa consapevolezza e, quindi, rispetto, accoglienza, bontà, verso chi incontriamo nel bisogno.

    Con Paolo VI oggi con voi rifletto:

    "Dall'inquietudine degli spiriti laici e ribelli, dall'aberrazione delle dolorose esperienze umane, prorompe forte la confessione al Cristo assente: di Te abbiamo bisogno. E' una strana sinfonia di nostalgici che sospirano a Cristo perduto; di sofferenti che sentono la simpatia per l'uomo dei dolori; di delusi che cercano una parola ferma, una pace sicura: di onesti che riconoscono la saggezza del vero maestro; di convertiti che confidano la loro avventura spirituale e dicono la loro felicità per averlo trovato".

    E sempre con Paolo VI, preghiamo oggi Gesù Re e Signore dell'universo, nella cui mani e Cuore vogliamo essere tutti:

    "O Cristo, nostro unico mediatore, tu ci sei necessario; per venire in comunione con Dio Padre; per diventare con Te suoi figli adottivi. Tu ci sei necessario, o Redentore nostro, per scoprire la nostra miseria e per guarirla; per avere il concetto del bene e del male e la speranza della santità.

    Tu ci sei necessario, o Cristo, o Signore, o Dio-con-noi, per imparare l'amore vero e per camminare nella gioia e nella forza della carità lungo il cammino della nostra vita faticosa, fino all'incontro finale con Te, amato, con Te atteso, con Te benedetto nei secoli" (Quaresima 1955).

    Antonio Riboldi – Vescovo
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    Credente
    00 26/11/2011 12:54

    I Domenica di Avvento (Anno B)

    Tu, Signore, sei nostro Padre

    Per la Chiesa l'Avvento è Dio che vuole come riprendere il dialogo e l'offerta che ci ha fatto nella creazione, ossia ridiventare pienamente figli Suoi, tramite la venuta tra di noi del Suo Figlio Gesù. Ha atteso per tutto il Vecchio Testamento: un tempo molto lungo, proprio in preparazione di questo riprendere il dialogo con noi e la voglia di vederci ritornare a casa con Lui, dopo il rifiuto di Adamo ed Eva.

    La storia del Vecchio Testamento racconta i tanti tentativi del Padre per riportare gli uomini a Lui. Ed è davvero un segno incredibile di amore del Padre, offeso dai nostri progenitori, questo ricreare la nostra storia di amore con Lui.

    Vi è una domanda che dobbiamo porci, se siamo sinceri: 'E' possibile che un uomo, creatura di Dio, possa vivere lontano da 'casa' e, quello che è peggio, senza godere dell'amore del Padre?'

    Non mi stanco di ripetere che noi siamo nella creazione il frutto di un incredibile amore.

    Un amore che se accettato avrebbe significato pienezza della ragione del dono della vita e, nello stesso tempo, pienezza di gioia di avere con Dio la nostra vera e sola casa.

    Il mondo che viviamo porta tutti i segni del vivere senza Dio. A volte ha l'aspetto di un inferno insopportabile, al punto che tanti a volte rifiutano questo inferno ricorrendo a palliativi come la droga o il chiasso (e ce n'è tanto) che possono stordire, ma altro non fanno che allargare lo spazio dell' infelicità.

    Come figli, lo crediamo o no, tutti sentiamo o dovremmo sentire il desiderio di godere della gioia di vivere nella casa del Padre. Là e solo là è la nostra piena e profonda e duratura felicità.

    Fuori, quando va bene, c'è nostalgia e desiderio.

    Descrive bene il profeta Isaia tutto questo:

    Tu, Signore, sei nostro padre, da sempre ci chiami, nostro redentore.

    Perchè, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema? Ritorna per amore dei tuoi servi, per amore della tua tribù, tua eredità. Se tu squarciassi i cieli e scendessi! Davanti a te sussulterebbero i monti .... Orecchio non ha mai udito, occhio non ha mai visto che un Dio, fuori di te, abbia fatto tanto per chi confida in lui ... Ecco, tu sei adirato perchè abbiamo peccato contro di te da lungo tempo e siamo ribelli. Siamo divenuti tutti come cosa impura, come panno immondo sotto tutti i nostri atti di giustizia: tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento .. Ma tu, Signore, tu sei nostro padre: noi siamo argilla e tu colui che ci dà forma, tutti noi siamo opera delle tue mani" ( Is .. 63 e 64).

    Credo che Isaìa descriva proprio il cuore di chi vive senza conoscere la bellezza di avere il Padre e il desiderio di trovarLo.

    La risposta del Padre è donare il Figlio che ci riscatti e ci riapra la porta del cielo, ossia di casa nostra: farci ritrovare, con la fede, con la vita, la via di casa e con la casa la vera nostra dimora.

    Così descrive Paolo VI, nostra guida nell'Avvento, questo tempo davvero prezioso e santo, tempo di attesa della gioia di sapere che Dio è tornato tra noi, come uno di noi, caricandosi della nostra sofferenza, per riabilitarci a essere davvero figli Suoi, eredi del Paradiso.

    "Noi siamo nel periodo liturgico che precede la celebrazione del Natale, cioè la venuta del Salvatore del mondo, della Incarnazione del Verbo di Dio, di Colui che avrà nome Gesù, il Cristo, il Messia. Siamo nel periodo chiamato Avvento, che significa attesa, preparazione, desiderio, speranza dell'arrivo nel mondo, nel tessuto storico del popolo eletto e nel disegno universale della umanità, di Colui verso il quale, per secoli ed in mezzo alle più tormentate esperienze, si è tesa l'ansia della salvezza, la visione del Re vincitore, dell'instauratore della giustizia e della pace."

    "Sarà un bambino - profetizza Isaia - sarà un figlio della nostra stirpe, e sarà chiamato col nome di Consigliere ammirabile, Dio forte, Principe della pace."

    Ma vediamo tutti come il mondo ha saputo immediatamente mettere le mani su un Evento, il Natale di Gesù, facendone occasione di doni senza senso ed affìdando ai 'doni ed agli auguri' quello che possono dare, vanità, cancellando la bellezza del Natale.

    Ma se abbiamo fede, non possiamo mettere in secondo piano l'Evento che davvero ha rifatto l'umanità' dopo il peccato originale, colmando la perdita del Padre.

    E' troppo grande ciò che Dio ha compiuto con il Natale.

    Ci pensiamo davvero cosa significhi che Dio con Gesù, non solo ha aperto con la sua vita e morte le porte della Casa del Padre, ma ha fatto della nostra vita la “Sua casa, giorno e notte”.

    Era, la nostra vita, una casa senza perchè: da quando Gesù è con noi è diventata casa dove Lui chiede di vivere.

    Ricordo come da piccolo, quando iniziava l'Avvento, per noi era cominciare a cercare il muschio per fare il presepio. Volevamo in qualche modo che l'Avvento fosse così preparazione ad accogliere COLUI CHE E' LA SOLA RAGIONE DELLA NOSTRA VITA.

    C'era una attesa particolare per il Natale. Un'attesa giusta, perchè il Natale di Gesù ha cambiato letteralmente la nostra storia di figli di Dio.

    La storia di tornare ad essere, con il Figlio, figli dello stesso Padre. Non possiamo affidare la gioia del Natale ad 'altro' - che dipinge a suo modo e vive a suo modo il natale - che non sia Gesù, Figlio di Dio, Dio per sempre tra noi.

    E' allora necessario che riusciamo, in questo tempo particolare di Avvento, a far posto all'attesa del grande Evento, che è la vera festa, perché è il Natale di Gesù.

    Il resto può essere decoro, modo di esprimere che siamo con Gesù ridiventati famiglia di Dio, ma il decoro, la, festa esteriore, non deve cancellare 1'essenziale. Ci avverte il Vangelo:

    "Gesù disse ai suoi discepoli: 'State attenti, vegliate, perchè non sapete quando sarà il momento preciso. E' come uno che è partito per un viaggio dopo aver lasciato la sua casa e dato il potere ai servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vigilare.

    Vigilate, dunque, perchè non sapete quando il padrone di casa tornerà, se alla sera, o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino, perchè non giunga all'improvviso, trovandovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate". (Mc. 13,33-37)

    Dobbiamo avere paura o vestirsi delle vesti dell'attesa?

    Così Tonino Bello scriveva la non paura:

    "Alzatevi e levate il capo" sono i due verbi dell'Avvento. Sono le due luci che ci devono accompagnare nel cammino che porta al Natale.

    'Alzati' significa credere che il Signore è venuto sulla terra duemila anni fa per aiutarci a vincere la rassegnazione. "Alzarsi" significa riconoscere che se le nostre braccia si sono fatte troppo corte per abbracciare tutta intera la speranza del mondo, il Signore ci dona le sue.

    "Alzarsi", allargare lo spessore della speranza, puntando lo sguardo verso il futuro, da dove un giorno il Signore verrà nella gloria per portare a compimento la sua opera di salvezza.

    E levare il capo cosa significa? Fare un colpo di testa. Reagire. Muoversi. Essere convinti che il Signore viene ogni giorno, ogni momento, della nostra storia. Viene come ospite velato, e quindi bisogna saperlo riconoscere, ora nei poveri, nei sofferenti, negli ultimi. Significa, in definitiva, allargare lo spessore della carità."

    E allora non ci resta che andare incontro al Natale con la speranza dei pastori, degli umili.

    Questo tempo di Avvento è davvero una occasione per misurare quanto conta la presenza di Gesù tra di noi. Auguro che occupi il primo posto, perchè Lui solo può dare quella gioia che cantarono gli angeli sul luogo della Sua nascita.

    Auguro a tutti voi che con me viviate davvero con fede profonda, speranza certa e carità universale, questo tempo di Avvento, come manifestazione di quanto conta Gesù nella nostra vita.

    Buon Avvento!

    Antonio Riboldi – Vescovo –
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    Coordin.
    00 03/12/2011 23:48

    II Domenica di Avvento (Anno B)

    Giovanni Battista prepara la strada

    Essendo la venuta di Gesù, Figlio di Dio, davvero, il grande Evento per l'umanità che soffre, e tanto, dovrebbe suscitare in tutti gli uomini, la gioia dell'attesa.

    Così il profeta Isaia si fa interprete: "Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che è finita la schiavitù, è stata sconfitta la sua iniquità, perchè ha ricevuto dalle mani del Signore doppio castigo per tutti i suoi peccati ".

    Una voce grida: Nel deserto preparate la via al Signore, appianate nella steppa la strada del nostro Dio ... Sali su un alto monte tu che rechi notizie in Sion; alza la voce con forza tu che rechi notizie in Gerusalemme. Alza la voce, non temere; annunzia alle città di Giuda: Ecco il nostro Dio! Ecco il Signore Dio, viene con potenza, con il suo braccio egli detiene il dominio. Ecco, egli ha con sé il premio e i suoi trofei lo precedono.

    Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul seno e conduce pian piano le pecore madri. ( Is. 40, 1-11)

    Viviamo un tempo che è un mistero di iniquità e di nostalgia di Dio nello stesso tempo.

    Credo ci siamo posti tutti la stessa domanda di fronte ad un certo modo di pensare e di vivere.

    Da una parte si fa una grande professione di onestà, giustizia e amore, dall'altra siamo come circondati ed immersi in idee ed atteggiamenti, che contrastano con quanto professiamo.

    Al punto che non di rado si irride a ciò che è onesto, come se l'onestà, la trasparenza, la sincerità, la legalità, in ogni aspetto della vita, fossero caratteristiche di una civiltà superata, sostituita da un'altra che ha regole contrarie. Si fanno elogi alla fedeltà nell'amore, come un principio irrinunciabile, poi se ne accetta la fine, come una normale necessità, oppure si ricorre alla infedeltà e, quel che è peggio, giustificandola come segno di libel1à o di 'vero amore' e non come palese segno di ingiustizia ... o, di fatto, incapacità di vero amore.

    Si hanno parole di fuoco contro ogni forma di emarginazione, che confina a volte nella più nera miseria, annientando la dignità della persona, e poi si fa della conquista della ricchezza una idolatria, che non fa più arrossire, né indignare, pur sapendo che l'attaccamento al denaro è la radice di tante povertà.

    Non si sa più cosa comporre per inneggiare alla castità, che è l'abito celeste del cuore, che illumina atteggiamenti del corpo e scelte di vita, e poi sfacciatamente si innalzano altari a tutte le pornografie che irridono alla dignità.

    Non ultimo non c'è chi di noi non inneggi al grande comandamento dell'amore, che è il cuore di ogni vita, ma nella realtà quotidiana non si contano i peccati che commettiamo contro l'amore, magari verso familiari e vicini, senza contare che siamo ben lontani dal "farci prossimi" a chi dovrebbe, più di ogni altro, contare sul nostro amore: i più deboli e gli 'ultimi'.

    Potremmo continuare all'infinito questo elenco di 'doppiezze' che a volte sono purtroppo lo stile di vita di tanti e forse anche nostro: un terribile groviglio che impedisce di capire ed accogliere Dio che viene tra di noi con il Natale.

    Se sulla nostra strada non si affacciasse la bontà del Signore a rompere l'equivoco o la perversità dei nostri cuori, come prega la Chiesa: "Mostraci Signore la tua misericordia e donaci la tua salvezza", davvero sarebbe difficile svegliarsi dal sonno dell'anima.

    Per fortuna Dio si è sempre fatto vicino all'uomo, che tante volte è fumo di iniquità e nello stesso tempo di nostalgia di Dio: un mistero di sete di verità e di pericolose ombre di egoismo. L'uomo ha bisogno di amare e di essere amato: con tanta voglia di essere amato e di amare.

    E Dio, che ci conosce nelle profondità del mistero che siamo anche per noi stessi, si fa vicino, sempre, con la pazienza tipica di un Padre che trabocca di amore.

    Si accosta a noi con discrezione, nel silenzio, con pazienza, tanta pazienza, rispettando i limiti della nostra debolezza, la nostra incapacità a farci coinvolgere dalla luce, fino a mettere in fuga tutte le oscurità che sono in noi. Ma Dio non si rassegna alla nostra ottusità. Sa che abbiamo tanto bisogno di luce: abbiamo bisogno che Lui si faccia vicino, perchè senza di Lui è difficile sapere se il nostro vivere percorre il sentiero della gioia e della santità, o è un andare vagabondando senza mèta, senza senso.

    Dice l'apostolo Pietro nella seconda lettera:

    "Una cosa non dovete perdere di vista, carissimi: davanti al Signore un giorno è come mille anni e mille anni come un giorno solo. Il Signore non ritarda nell'adempiere alla promessa, come certuni credono, ma usa pazienza verso di voi, non volendo che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi. Il giorno del Signore verrà come un ladro: allora i cieli con fragore passeranno, gli elementi consumati dal fragore si dissolveranno e la terra con quanto c'è in essa sarà distrutta ... Perciò carissimi, nell'attesa di questi eventi, cercate di essere senza macchia, irreprensibili davanti a Dio, in pace". (2^ Lettera 3, 8-14)

    Diventa compito di tutti vivere l'Avvento, la stessa nostra vita, che è 'avvento' dell'incontro con Dio alla fine, dando uno sguardo alla nostra esistenza per controllare dove è diretta.

    Proviamo a volte, confusione, ma sentiamo anche il bisogno che qualcuno ci aiuti a trovare la luce. Come ha fatto Dio, inviando Giovanni Battista affinché preparasse la strada alla venuta di Gesù:

    Così inizia il Vangelo di Marco:

    "Inizio del Vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio. Come è scritto nel profeta Isaia: 'Ecco, io mando a voi il mio messaggero davanti a Dio, egli ti preparerà la strada. Voce di uno che grida nel deserto:

    Preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri”.

    Si presentò Giovanni a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorreva a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme ... E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano confessando i loro peccati ... E diceva: "Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale io sono degno di chinarmi per sciogliere i legacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma Egli vi battezzerà con lo Spirito Santo" ( Mc. l, 1-6)

    Ed è quello che dovrebbe essere il nostro compito in questo momento di Avvento.

    La Chiesa certamente ha il compito ora di invitarci alla preparazione del Natale. Ma saremo capaci di accogliere l'invito a 'farci battezzare in Spirito' per poter accogliere la venuta del Salvatore?

    Accogliamo l'invito di Paolo VI.

    "La Chiesa ci prepara al Natale ricordando quanto il Vangelo ci narra della prossimità dell'apparizione pubblica di Gesù, presentandoci il Battista in atto di annunziare il Messia.

    Cosa in realtà Giovanni diceva e faceva? Voleva predisporre gli spiriti dei suoi contemporanei, prodigandosi come per mettere a fuoco le anime dell'imminenza dell'incontro con Cristo, il quale, era in procinto di rivelare la sua presenza e la sua missione. Iddio, venuto dal cielo, incarnato, fatto Uomo, dà così principio al colloquio. Sono pronti gli uomini? Sono preparati? Lo sanno? Hanno maturato le condizioni interiori necessarie per cogliere il suono di quelle parole? Il senso di quelle parole?

    L'avviso di Giovanni suona così: bisogna rettificare la via per l'incontro con Dio. Quasi dicesse: badate, Egli può venire, passarvi vicino senza che voi ve ne accorgiate: e se non disponete bene le vostre anime e non volgete i vostri passi verso di Lui, l'incontro potrebbe mancare" (Enc. Ecc1esiam suam).

    Il rischio che Gesù rinasca tra di noi a Natale, e tutto finisca in una esteriorità senza senso, è grande. Facile farsi prendere dalle mille voci del consumismo che brucia la bellezza di Gesù che nasce tra noi. Occorre essere vigili come i pastori che nella notte di Natale vegliavano il gregge.

    In quel silenzio trova posto l'annunzio degli Angeli e la prontezza dei pastori a seguirli e trovare il presepio e con il presepio il Cielo vicino a noi.

    Viene da pregare: "Conducimi per mano, luce di tenerezza, fra il buio che mi accerchia, conducimi per mano. Cupa è la notte e io sono lontano da casa, conducimi per mano. Guarda il mio cammino: non pretendo di vedere orizzonti lontani, un passo mi basta.

    Un tempo ero diverso, non ti invocavo perchè tu mi conducessi per mano.

    Amavo il giorno lontano, disprezzavo la paura. L'orgoglio dominava il mio cuore, dimentica quegli anni. Sempre fu sopra di me la tua potente benedizione; sono certo che essa mi condurrà per mano, finché si spenga la notte e mi sorridano all'alba volti di angeli amati a lungo e per un poco smarriti" (Newman)

    Antonio Riboldi – Vescovo –
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    Credente
    00 09/12/2011 22:26

    III Domenica di Avvento (Anno B)

    Rallegratevi, il Signore è vicino

    Si sente e si vive, anche se meno chiassosa, quest'anno, per la crisi economica, la gioia nel sapere che Dio si fa vicino a ciascuno di noi nella solennità del S. Natale.

    Il Natale di Gesù ha un fascino particolare in tutti, ... come se, nascendo Gesù, Dio tra noi, si entrasse in una vita di speranza, quasi presagendo che, quel canto degli Angeli sulla capanna di Betlemme, 'Pace in terra agli uomini che Egli ama', possa davvero far rifiorire la speranza, in questo nostro tempo che ha davvero bisogno di nutrirsi di consolazione, di sicurezza, di gioia vera e profonda ritrovata.

    La Chiesa, accostandosi al Natale, oggi ci fa pregustare la grande gioia che Dio ci ha donato con Gesù. S. Paolo nella lettera ai Tessalonicesi, così ci invita a ritornare ad essere:

    "Fratelli siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, ed in ogni cosa rendete grazie: questa infatti è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi. Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie, vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono. Astenetevi da ogni specie di male. Il Dio della pace vi santifichi interamente e tutta la vostra persona, spirito, anima e corpo si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo. Degno di fede è colui che vi chiama: egli farà tutto questo" (1 Tes. 5,16-24)

    E' l'invito della Chiesa a noi, supponendo che per noi cristiani davvero il tempo di Avvento, ossia il desiderio che Gesù torni a nascere tra noi, sia un atto vissuto con fede e nella preghiera. Conosciamo tutti il rischio che questo tempo, anziché della gioia e del Natale di Gesù, si trasformi in una corsa a ciò che passa, la festa esterna, i regali ... magari accontentandosi di un fugace, seppur speriamo sincero, scambio di auguri. Ma augurio per cosa?

    Il rischio che si cerchi di soffocare il bisogno della gioia di Cristo e del suo Natale, trasformando tutto in chiassoso e fugace momento di allegria esteriore, che lascia poi il vuoto del cuore, è grande ed è difficile sfuggirvi, perchè è forte l'attrattiva della 'moda'.

    Bisognerebbe farsi riempire il cuore dai sentimenti del profeta Isaia, che così esprimeva la sua gioia: "Lo spirito del Signore è sopra di me, perchè il Signore mi ha consacrato con l'unzione, mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri, a fasciare le pieghe dei cuori spezzati, a proclamare la liberazione degli schiavi, a proclamare l'anno di misericordia del Signore. Io gioisco pienamente nel Signore: la mia anima esulta nel mio Dio, perchè mi ha rivestito delle vesti della salvezza, mi ha avvolto con il manto della giustizia, come uno sposo che si cinge il diadema e come una sposa che si adorna di gioielli" (Is. 61, 1-11).

    Sono davvero parole di profonda gioia quelle di Isaia che, al solo pensiero di vedere vicino Dio che viene esclama: "Io gioisco pienamente nel Signore".

    C'era un tempo, quando ero fanciullo, in cui gustavo la gioia della prossimità del Natale, nel cercare nei campi il muschio per preparare il presepio, che era il segno e il sapore della gioia che Gesù stava per venire tra di noi. Ma erano tempi in cui regnava la povertà e quindi c'era molto posto per tutto ciò che era il sacro.

    Era immensa contentezza cercare il muschio: ancora di più preparare il presepio, povero, come la grotta di Betlemme, ma capace di trasferirci nella serenità e pace del sacro Mistero.

    Suscita tanta, ma tanta tristezza, vedere come oggi, nelle nostre case, anziché quella gioia semplice, frutto della fede, che era nelle nostre famiglie, abbiano preso posto simboli del mondo: alberi e festoni, luci e Babbo Natale, decorazioni che nulla hanno a che vedere con la bellezza del semplice presepio.

    E' necessario rivitalizzare nuovamente la fede, oggi, con i suoi segni, semplici, ma profondi e veri, per ritrovare il giusto senso della vita, il suo valore più profondo, sorgente di pace e serenità vere. E' proprio la Pace che Dio dona, di cui tutti sentiamo nostalgia e bisogno. Un dono, che nulla può supplire.

    Affermava Paolo VI, con la sua passione per Gesù:

    "Ed ora vi dirò una cosa che tutti già conosciamo, ma che non meditiamo abbastanza nella sua fondamentale importanza e nella sua inesausta fecondità ed è questa: essere Gesù Cristo a noi necessario. Non si dica consueto il tema: esso è sempre nuovo. Non lo si dica già conosciuto, esso è inesauribile. "Tutto abbiamo in Cristo - afferma sant'Ambrogio - Tutto è Cristo per noi. Se vuoi curare le tue ferite, Egli è medico. Se sei ardente di febbre, Egli è la fontana. Se sei oppresso dall'iniquità, Egli è la giustizia. Se hai bisogno di aiuto, Egli è vigore. Se temi la morte, Egli è la vita. Se desideri il cielo, Egli è la via. Se sei nelle tenebre, Egli è la luce. Se cerchi cibo, Egli è l'alimento". Sì, Cristo è tutto per noi. Egli è dovere della nostra fede religiosa, bisogno della nostra umana coscienza. A Lui è legato il nostro destino, da Lui la nostra salvezza". (Quaresima 1955)

    Un efficace richiamo per tutti ad accostarci al Natale in questo Avvento almeno pregando la stessa fede: ossia riscoprire in noi la presenza di Dio che bussa alla nostra porta, perchè ci vuole bene e sa che la nostra vita, senza di Lui, non ha senso: è come quella mangiatoia nella grotta, ma senza di Lui. Bisognerebbe che tutti noi, a cominciare dai sacerdoti, dai religiosi, ci adoperassimo perchè la gente conosca profondamente Gesù, che oggi è tra noi e in noi, per sentire l'efficacia e la bellezza della Sua Presenza: una bellezza che mette in un angolo le cose di questo mondo.

    Occorre ritrovare nella Sua Presenza quella sorgente di serenità che il mondo non ha e non può donare. Quando Gesù era già tra noi, ma non si era ancora manifestato e nessuno sapeva che Dio era in mezzo al Suo Popolo, narra il Vangelo di oggi, che 'a fargli strada' fu il grande Giovanni Battista. Un profeta che lasciava interdetti e curiosi quanti andavano ad ascoltarlo.

    Così ce lo fa conoscere il Vangelo oggi: "Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perchè tutti credessero per mezzo di lui. Non era la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. E questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo. 'Chi sei tu? Egli confessò e non negò e confessò: lo non sono il Cristo. Allora gli chiesero: 'Che cosa dunque sei? Sei forse il Messia?'. Rispose: 'Non lo sono'. 'Sei un profeta?'. Rispose: 'No'. Gli dissero: 'Dunque chi sei? Perchè possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato? Che dici di te stesso?'. Rispose: 'Io sono voce di uno che grida nel deserto. Preparate la via al Signore, come disse il profeta Isaia' ... Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi c'è uno che voi non conoscete; uno che viene dopo di me, al quale io non sono degno di sciogliere il legaccio dei sandali". (Gv. 1,6-19-26)

    E' davvero commovente e stimola anche la nostra missione di annunciare che GESÙ è tra noi, perché troppi non Lo conoscono, anche se tutti portiamo il suo nome dal Battesimo.

    E' davvero mortificante che troppi non avvertano nella vita la Presenza di CHI, nell' esistenza di ciascuno e per ciascuno è 'la via, la verità, la vita'.

    Conosciamo tanti 'famosi', per mille motivi mondani, ma pochi conosciamo Gesù, Figlio di Dio. Quello che è peggio, è che, non conoscendoLo, praticamente impostiamo la vita sul nulla, perchè nessuno nella vita può prendere il posto di GESÙ.

    Mi stupì un giorno l'incontro con una persona che parlava tanto di sé e della conoscenza di persone importanti come fossero degli dèi, rammaricandosi di non essere come loro.

    Ad un certo punto gli chiesi: 'Può essere interessante che tu conosca tanti 'grandi' ma il problema è che loro però non sanno neppure chi sei e se esisti. Ma conosci Gesù? E' Uno che, conoscendoLo bene non si fa solo ammirare, ma entra come meravigliosa componente della vita. Insomma con Lui trovi la vera importanza della vita, il vero senso dell'esistenza'.

    Mi rispose: "Ma chi è? E come può essere valore della vita?'.

    E' triste che ci sia chi sa poco o nulla di CHI E' IL SENSO VERO DELLA VITA. La vita senza Lui perde il senso.

    Non ci resta in questo tempo di Avvento che riscoprire Gesù tra noi e in noi e a noi tocca avvertirne la Presenza.

    Scriveva Carlo Carretto, che credo tutti abbiate conosciuto o di cui avete sentito parlare: "C'è un punto che devo superare; se ho capito che Dio è persona, e se ho capito che Dio è il Messia e se ho capito che il Cristo è colui che deve venire, c'è ancora una cosa che devo superare.

    E ha dovuto superarla colui che Gesù stesso ha lodato, il Battista; anche lui ha dovuto superare questo estremo punto della nostra fede. Il Battista ha creduto che Gesù era il Messia: l'ha preparato; ha detto delle cose stupende ai suoi discepoli, in un atto di umiltà. "Lasciate me e andate da Lui, è necessario che io scompaia e che Lui cresca".

    E' quello che dovremmo essere e fare noi più ci accostiamo a Gesù, come è nella solennità di Natale. Che vi aiuti, anzi, che Gesù ci prenda per mano per conoscerLo meglio e farLo conoscere a tanti.

    Antonio Riboldi – Vescovo
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    Coordin.
    00 23/12/2011 13:15

    Natale del Signore

    Santo Natale: la gioia di sapere che Dio è tornato tra noi

    Il Natale riempie sempre il mondo di aria di serenità. Non se ne capisce forse la ragione, ma di fatto il Natale è sempre, per tutti, 'la festa dell'amore'.

    E' un fatto che a Natale il cuore si allarga, come avessimo trovato la gioia di stare insieme, come ragione del cuore. Natale ci insegna che l'uomo non è solo, ma ha bisogno di qualcuno che veramente lo ami e lui possa amare.

    Possiamo, come è nello stile del consumismo, fare della solennità del Natale, solo un motivo di festa terrena, una festa che dura poco, ma il NATALE ha il suo fascino, per un Evento, grazie al quale, anche se non ci crediamo, Dio fa pace con noi e ci riapre la Sua Casa.

    E' davvero incredibile, ma stupendo, che Dio, l'immenso, infinito, che non ha bisogno certamente di noi, che siamo poca cosa, possa riaprire le porte del Cielo, dopo che le aveva dovute chiudere per quel grande errore dei nostri progenitori che, cedendo al serpente preferirono l'affermazione del proprio egoismo alla dolcezza di accogliere l'amore del Padre ed essere sue creature.

    Ci si confonde anche solo pensare che Dio apre portarci a Casa, abbia riaperto il Cielo, mandando Suo Figlio tra di noi: ha vissuto con noi per fare esperienza di questa terribile vita di tutti i giorni che viviamo, come uno di noi, per poi DARE LA SUA VITA SULLA CROCE e riaprirci il Paradiso, la sola Casa in cui potremo trovare quella felicità e amore, totale ed duraturo, di cui abbiamo tanta sete.

    Incredibile, solo a pensarci, che il Padre abbia potuto pensare a noi, inviando il Figlio a provare in tutte le forme, tranne il male, quello che vuol dire vivere su questa terra, e, nello stesso tempo, additandoci la vita del Paradiso.

    Il bello del Natale è tutto qui.

    Immedesimiamoci nel semplice racconto evangelico, che è come una grande sinfonia divina.

    "In quel giorno un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento su tutta la terra. Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazareth e dalla Galilea, salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare con Maria sua sposa che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché per loro non c'era posto nell'albergo.

    C'erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l'angelo disse: 'Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: vi è nato nella città di Davide un Salvatore che è il Cristo Signore. Questo per voi un segno: troverete un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia”.

    E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste, che lodava Dio e diceva: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e Pace in terra agli uomini che Egli ama” (Lc. 2, 1-14)

    Si rimane sconcertati anche solo leggendo come, Chi è non solo il Creatore del mondo, ma l'Amore nella grandezza infinita di Dio, nel suo ingresso tra noi non scelse forme pompose, ma l'estrema nudità umana. Davvero Dio volle provare su di Sé quella povertà che è il grande sogno dell'amore, che si fa dono. Nulla trapela della Sua gloria infinita, se non il canto degli Angeli.

    Quello che colpisce è che nasce in solitudine, anche perchè Giuseppe, pur avendo cercato tra la gente un luogo degno della nascita di tale bimbo, come dice l'Evangelista Giovanni:

    "Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di Lui, eppure il mondo non lo riconobbe". (Gv.1, 1-18)

    Noi uomini siamo abituati a cercare un posto di prestigio ed è molto difficile conoscere la bellezza della umiltà. Ma Dio, pur essendo davvero, non solo il Tutto, ma Colui che dà senso al nostro niente, sceglie la via della umiltà e povertà, che sono, ancora oggi, la via delle anime che si sforzano di fare posto alla santità, alla gioia e all'amore, divenendo come 'una mangiatoia che accoglie' il Bambino.

    "Gesù, commenta Paolo VI, è venuto nel mondo come medico delle profonde malattie umane. Venne tra noi come il più povero di noi. La povertà di Cristo è il più stretto rapporto di vicinanza esteriore che Egli poteva offrire agli uomini. Gesù ha voluto mettersi all'ultimo livello sociale, affinché nessuno lo potesse credere inaccessibile. Ogni ricchezza temporale è in qualche modo divisione e distanza tra gli uomini. Ogni prosperità stabilisce un 'mio' e un 'tuo' che separa gli uomini e li unisce in un rapporto che, come non è comunione di beni, così tanto spesso non è comunione di spirito ... La povertà di Cristo ci appare allora sotto un aspetto meravigliosamente umano: essa è segno della sua amicizia, della sua parentela con l'umanità.

    E' quella umanità che lo incontrerà, abbassando i tanti muri che il benessere crea, e così lo incontrerà, lo capirà, lo avrà suo".

    Che la povertà vera ed in spirito abiti nel nostro cuore, per renderlo 'mangiatoia' dove trovano posto tutti i bisognosi: questa è la bellezza del Natale. Non solo, ma così, facendosi poveri per i poveri, la nostra vita si fa gioia, sperimentando la bellezza del donarsi, come avviene a Natale, e, speriamo, non solo in questa occasione.

    Il primo Natale a S. Ninfa, dopo il terremoto del gennaio 1968, lo celebrammo all'aperto tra le rovine del paese. Ma fu un sentirsi tutti più vicini, con un senso di comunità che creava gioia e speranza. Ricordo che quella notte, una notte in cui il cielo sembrava si fosse vestito di stelle, talmente era pulito, guardavamo verso il cielo e ci sembrava di essere anche noi a vivere in una mangiatoia. Ma il fatto di pensare al Natale di Gesù e quel sentirsi uniti come non mai, creò una atmosfera di amore e di gioia, che ha dato un sapore di serenità a tutti.. .eppure il terremoto ci aveva distrutto tutto, ed eravamo davvero poveri, ma con speranza.

    Sentivamo, davvero, guardando quel cielo stellato, come se Dio avesse voluto ricordarci così che ci voleva tanto bene, che un giorno sarebbe stato diverso.

    Oppure mi ricordo ragazzo, quando la mia famiglia era nella povertà assoluta. La vigilia, con papà, per racimolare qualcosa (eravamo 5 fratelli e papà e mamma) la sera della vigilia ci recavamo da una parente che aveva una macelleria, per vedere se le era rimasto qualcosa. Si 'metteva insieme' quanto era rimasto sulle ossa del prosciutto e con quelle poche cose si faceva Natale.

    Ma per noi ragazzi il momento più bello restava sempre la Messa di mezzanotte e subito dopo il deporre la statua di Gesù Bambino nel presepe, che era la grande attrazione di tutti.

    Quanto poco ci vuole per celebrare la vera gioia che Gesù dona a Natale!

    Oggi abbiamo forse tanto, ma la felicità è dove si sa vedere il 'tanto', nella vera gioia che ci viene dal sapere che Gesù, Dio, è con noi.

    Così fa risaltare la bellezza del Natale Giovanni XXIII:

    "Il Natale di Betlemme è umile, mite di cuore, povero e innocente. Egli è costruttore di pace, e, già per essa, si appresta al sacrificio estremo! Questa è la strada segnata da Gesù Cristo: questa l'incarnazione per ogni uomo; che accoglie il divino messaggio con prontezza di adesione ...

    Da Betlemme l'incoraggiamento all'applicazione del vivere sociale: sconfitta di ogni egoismo, intelligente conoscenza delle necessità altrui, trionfo della fraternità perfetta".

    Da qui il mio augurio a voi, che con me cercate la strada di Betlemme: quella vera, che ciascuno cerca con fatica, per arrivare al Mistero stupendo di sapere che Gesù, non fermandosi alle nostre miserie, cerca in noi 'la mangiatoia' dove trovare posto perché possa realizzarsi in pienezza la nostra stessa vita.

    Un grande ringraziamento a tutti per essere con me nella ricerca, come i Magi, a trovare Gesù e da Lui ricevere quella grande gioia che lui solo sa dare.

    Un augurio particolare per chi soffre, è malato, con la certezza che Gesù è particolarmente vicino, direi di casa con voi.

    Ricambio il grande affetto che mi donate ed è per me incoraggiamento nel continuare a servire la Parola di Gesù, fonte di vita.

    Con una promessa: in modo particolare sarete presenti nella Eucarestia che celebrerò nella notte di Natale.

    Vi voglio tanto bene ed auguro pace e gioia

    Antonio Riboldi – Vescovo –
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    Credente
    00 05/01/2012 00:02
    Epifania del Signore

    Solennità dell’Epifania: “Dio, Padre di tutti”

    Sappiamo che la Chiesa sottolinea in modo solenne i giorni che raccontano il cammino che Dio ha fatto e fa per la salvezza di tutti gli uomini, anche e soprattutto dopo il peccato originale.

    Subito, dopo la Sua nascita, attraverso il racconto della incredibile ricerca dei Magi, Gesù volle manifestare che se Lui era tra noi, non lo era per alcuni privilegiati, come il popolo ebraico, ma per tutta l'umanità, senza distinzione: un amore universale.

    Ogni uomo o donna diventa, con l'Epifania, un chiamato a fare parte del Regno di Dio.

    Con questa solennità, la Chiesa ci ricorda che Dio chiama tutti e rende possibile che tutti, ma proprio tutti, siano Suoi figli, cui è preparata la vera Casa, il Suo Regno.

    Per questo l'Epifania è Festa solenne: festa in cui tutti noi ci dovremmo sentire felici nel sapere che Dio ci invita a tornare da Lui, sapendo che Lui è Colui che ci cerca per primo.

    Il racconto dell'Epifania ha il sapore, per il modo come è narrato, di una meravigliosa fiaba, ma tale non è, perché è grande e reale Evento, quasi impossibile da pensare in questo mondo.

    Siamo talmente abituati a cercare 'stelle della terra', che sono le cose senza vita, o desideri che muoiono con noi, da non riuscire più ad affidarci alla delicatezza dell'amore che si fa cercare, cercandoci, ci guida come la stella dei Magi nella ricerca, per farsi trovare.

    Ma occorre alzare la testa in un mondo che fa di tutto per oscurare il cielo ... come fecero i Magi! "Nato Gesù a Betlemme, al tempo del re Erode, alcuni magi giunsero dall'Oriente a Gerusalemme e domandavano: 'Dov'è il re dei Giudei? Abbiamo visto sorgere la sua stella e siamo venuti per adorarLo'.

    All'udire queste parole, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. Riuniti tutti i sommi sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Messia. Gli risposero: 'A Betlemme di Giuda, perché così è scritto per mezzo del profeta: 'E tu Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero il più piccolo capoluogo di Giuda: da te uscirà infatti un capo che pascerà il mio popolo Israele'.

    Allora Erode chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme esortandoli: 'Andate e informatevi accuratamente del bambino e quando l'avrete trovato fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo'. Udite le parole del re essi partirono.

    Ed ecco la stella, che avevano visto al suo sorgere, li precedeva finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il Bambino. A vedere la stella essi provarono una grandissima gioia e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un'altra strada fecero ritorno al loro Paese". (Mt. 2, 1-12) C'è una ragione perchè la Chiesa dà tanta importanza alla Epifania. E' il giorno della chiamata fatta a noi per appartenere al Regno dei Cieli. Non più orfani senza domani, una condizione inaccettabile, che pone la triste domanda su che serva nascere se non c'è un domani a lungo termine, che dimostri che vivere qui non è solo provvisorietà - anche se tante volte viviamo proprio delle provvisorietà, come se la salute, il benessere, la fama e quanto vogliamo di terreno, potessero essere sufficienti a riempire un cuore che vuole altro.

    Se siamo onesti con noi stessi - e dovremmo esserlo per fare onore alla nostra natura di persone dotate di intelligenza e capacità di ricerca continua - tante volte lo stesso desiderio che ebbero i Magi, diventa il nostro. E' quella ricerca soprannaturale che poi nella fede ci mostra Gesù come fu contemplato dai Magi.

    Tanti fratelli, nella storia, e forse li abbiamo conosciuti da vicino, hanno vissuto il tempo della vita, accontentandosi e cercando ciò che è terreno, come se la terra potesse dare ciò che non ha.

    Ma per tanti, c'è stato e c'è un momento che, raggiunti dalla Grazia, li ha portati a mettersi alla ricerca del Messia, e la loro vita è cambiata totalmente e questo non solo per grandi santi, come S. Francesco d'Assisi, S. Ignazio di Loyola, ma per una moltitudine di sinceri e veri cristiani.

    Ne ho conosciuti parecchi! Ricordo la vicenda di un uomo che a lungo si era completamente disinteressato della vita spirituale, convinto che a lui bastassero le gioie di quaggiù.

    Ma ci fu un momento in cui la Grazia fece cadere la scena illusoria su cui aveva impostato la vita e gli mostrò la luce. "Sono felice, mi diceva, adesso vivere è altro, sa di immensità del cielo e quello che è bello, in un mondo di finti amori e amici, si affaccia il volto del Padre che è davvero l'AMORE".

    D'altra parte, per la nostra stessa natura, non possiamo trovare la felicità in ciò che il mondo ci offre con ostinatezza. Tutto alla fine lascia l'amarezza e nulla riesce a rendere felici nelle profondità del nostro essere, così, poiché Dio continua con pazienza ed incessantemente a bussare alla nostra porta, viene il momento in cui si sente la voglia di alzare gli occhi e di trovare la sorgente della vera felicità. Credo che questa sia la storia di tanti che mi leggono!

    Basta avere il desiderio, l'ansia della ricerca, come quella dei Magi, e c'è sempre una stella che fa strada. Ma poi bisogna avere il coraggio di uscire dal chiasso e come i Magi provare a vedere e vivere la vita come ricerca di una gioia che ci appartiene.

    "Uno degli aspetti - affermava Paolo VI - oggi più considerati della festa della Epifania, è quello della universalità del cristianesimo. Cioè, dopo il Natale, la Chiesa si domanda: per chi è venuto Gesù Cristo? E risponde: per tutti gli uomini. Non era Ebreo il Signore? E non era il popolo ebraico un popolo chiuso nella sua razza e nella sua religione? Sì, ma è appunto questo l'aspetto meraviglioso della Incarnazione. Essa ha carattere universale: riguarda non soltanto il popolo eletto nell'Antico Testamento; ma riguarda tutti i popoli; riguarda tutti i tempi e tutti i luoghi; interessa la storia e interessa tutta la terra. E' destinata a tutta l'umanità, anzi crea il concetto nuovo e svela il vero destino della umanità".

    Ed è veramente il grande dono della Epifania, la chiamata dei popoli a fare parte del Suo Regno; è ciò che fa della solennità della Epifania una festa centrale della Chiesa.

    Quello che vorrei ancora sottolineare è la ricerca di Dio da parte dei magi e la loro gioia nel trovare il Bambino a Betlemme.

    Se è vero che tutti sentiamo la nostalgia di Dio, nostro vero Creatore e Padre, dovremmo fare della nostra vita una continua ricerca.

    Ma oggi è soprattutto giusto che con la Chiesa ringraziamo Dio di avere mostrato la Sua bontà.

    Non accettava di vederci figli senza casa patema e senza futuro, così, ha concretamente rotto, con l'Epifania, una barriera che ci divideva da Lui. Per questo è una grande Solennità.

    Purtroppo il consumismo è sempre pronto a cogliere le occasioni di feste religiose, per renderle un mercato di consumi. Basta pensare a come l'Epifania è diventata la festa dei doni, forse imitando i Magi, ma senza la loro fede.

    Occorre invece entrare nel vero spirito della Epifania: Dio che viene e chiama, come fece con i Magi. Scriveva don Tonino Bello:

    "Oggi è l'Epifania, festa della universalità della Chiesa. Festeggiamo cioè una Chiesa che si allarga a tutti i popoli: che non si chiude nel suo campanile, non rifiuta l'altro, ma ha le porte e le finestre aperte, anzi spalancate. La festa della Epifania ci ricorda che non siamo un insieme di persone chiamate a raccolta per giustificarci . La Chiesa è il popolo di Dio che annuncia la salvezza e lo fa con estrema liberalità, accettando la diversità. Accettare la diversità è una cosa grande. Mi sembra sciocco avere paura dell'irruzione dei terzomondiali perchè sono maomettani.

    Ma che paura avete? Alcuni dicono, rimproverando noi vescovi o il Papa, di essere troppo solleciti nella accoglienza; dicono che stiamo imbarbarendo la cristianità.

    Ma che paura avete? Abbiamo avuto la grazia dal Signore di essere suoi fedeli, di stare al suo servizio. Nostra missione è di testimoniare Lui, il Risorto. Qualche volta con la parola, ma soprattutto con i gesti, con la vita. Se sono gesti buoni la gente lo vede. E' impossibile che non li veda". Non resta che ringraziare Dio che noi siamo stati chiamati al suo Regno, appena è iniziata la vita, nel Battesimo. Non ci resta che fare della nostra vita un continuo cammino e una appassionata ricerca per trovare e vivere in Gesù e con Gesù. Questo è il senso vero della nostra appartenenza alla Chiesa di Dio. Non resta che dire a tutti voi: FACCIAMO DELLA NOSTRA VITA, come i Magi, UNA CONTINUA RICERCA DI GESÙ, PER CONOSCERE E SPERIMENTARE LA VERA GIOIA. Auguri.

    Antonio Riboldi – Vescovo
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    Coordin.
    00 10/01/2012 08:36
    Battesimo del Signore (Anno B)


    Col battesimo diventiamo figli di Dio



    Con la festa del Battesimo di Gesù, ricordiamo il grande dono del nostro Battesimo: un giorno che segnò la nostra vita e che dovrebbe farci infinitamente felici.

    Così descrive l'evangelista Matteo il Battesimo di Gesù:

    "In quel tempo. Giovanni predicava: "Dopo di me viene uno che è più forte di me ed al quale non sono degno di chinarmi per sciogliere i legacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà con lo Spirito Santo". In quei giorni Gesù venne da Nazareth di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, uscendo dall'acqua, vide aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di Lui come una colomba. E sentì una voce dal cielo: 'Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto". (Mt. 1,7-11)

    La Chiesa oggi ci offre da meditare e chiedere: "Come mai il Battesimo veniva amministrato da Giovanni Battista, prima di Gesù? Che cosa voleva dire essere battezzati dal Precursore? Che significato ha allora il 'mio' Battesimo?"

    Sappiamo che nel piano di salvezza di Dio, Giovanni Battista, voluto dal Padre in modo straordinario fin dalla nascita, doveva essere 'la voce che grida nel deserto: Preparate la via del Signore'. Era talmente forte la sua testimonianza alla luce, che tanti accorrevano a lui. Lo ascoltavano. Mettevano in discussione la propria esistenza. Chiedevano: 'Cosa dobbiamo fare?' e suggellavano la loro volontà di cambiamento di vita con questo segno pieno di significato come era immergersi totalmente nel Giordano e farsi versare l'acqua sulla testa da Giovanni.

    Quel 'lavarsi' era come professare apertamente quanto gli Ebrei a suo tempo avevano compiuto proprio nel passaggio del Giordano: lasciare la sponda della schiavitù in Egitto e conquistare la sponda della libertà nella Terra promessa.

    Anche Gesù va da Giovanni per farsi battezzare e dopo quel gesto viene annunciato dal Cielo chi davvero Egli è : "Tu sei il mio fìglio prediletto nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo".

    Più che un battesimo di conversione come quello di Giovanni divenne solenne proclamazione di Chi era veramente Gesù in cielo e tra di noi.

    Tutti noi, che abbiamo la grazia di essere cristiani, iniziamo la nostra vita da 'figli in cui il Padre si compiace' nel battesimo. Quando siamo nati, per il peccato originale, che tutti ci portiamo come eredità di Adamo ed Eva, eravamo come persone senza un domani di felicità. Sì, avevamo un papà ed una mamma che ci volevano un grande bene, ma in pratica ci mancava quella paternità del Padre che ci aveva fatto dono della vita.

    E che significato potrebbe avere una vita che non ha domani, sentendo che la propria vera Casa, per cui Dio ci ha fatto dono proprio della vita, è chiusa?

    Davvero si sarebbe orfani del Papà, Abba, Dio, dal cui Cuore tutti, senza eccezione, nasciamo.

    Credo che chi di noi ha vissuto da orfano, anche su questa terra, sa molto bene che cosa significa essere senza papà e mamma. E' come vivere su questa terra con il cielo dell'amore chiuso.

    Ogni uomo, se ama la verità e sa ascoltarsi profondamente, sente il bisogno del Padre.

    E' una nostalgia che non si può nascondere.

    Altro è essere figli di papà e mamma e altro è essere, oltre che figli dei nostri cari genitori, figli del Padre. I genitori di questa terra possono darci quell'amore che hanno per i figli, ma è un amore­vicinanza che può 'seguirci' per poco, ossia finché loro sono tra noi e noi con loro, poi ognuno prende la sua strada. Ma nessuno può sostituirsi a Dio, che non solo ci fa dono della vita, ma vuole come 'papà' che conosciamo ed esperimentiamo il Suo Amore, come Presenza continua e certa qui, ma soprattutto nell’eternità con Lui, dove ritroveremo anche l'amore profondo dei nostri genitori e di tutte le persone che abbiamo amato e da cui siamo stati amati, rinvigorito e reso eterno in Lui, perché è Dio l'Amore e solo in Lui ogni nostro piccolo e misero amore può diventare eterno.

    Per cui il Battesimo ci libera da quello stato di figli orfani di padre e senza domani.

    Nel Battesimo, con il segno dell'acqua, che il sacerdote versa sul nostro capo, di fatto rinasciamo alla vera vita e entriamo a pieno diritto nel numero dei figli del Padre.

    Dal Battesimo, dovremmo, prima con l'aiuto dei nostri cari e poi, diventati adulti, consapevolmente e responsabilmente, impostare la vita come un cammino verso il Cielo, accogliendo la Grazia della Presenza del Padre nella nostra esperienza su questa terra, per vivere nella fede la nostra quotidianità, motivando pensieri, parole e gesti con la carità stessa di Gesù,. Diventare figli di Dio nel Battesimo, inevitabilmente chiede di vivere continuamente la dignità donataci.

    C'era un tempo in cui si veniva battezzati appena nati, come a non lasciare spazio ad una vita senza domani. Sono nato il 16 Gennaio. I miei genitori non aspettarono mesi o giorni per farmi entrare nel Cuore del Padre. Mi portarono al Battesimo il giorno dopo, il 17 gennaio, per questo mi chiamarono Antonio. E da allora iniziò la scuola di figlio di Dio, giorno per giorno, una scuola verso la santità.

    Il Battesimo non era una bella cerimonia e festa che finiva lì, ma era uno stile di vita imperniato nel conoscere, amare e servire Dio, per poi essere, un giorno, quando vorrà, con Lui per sempre in Paradiso. Era questo il ritornello che sentivamo ogni giorno e la grande pietra angolare della vita. Ricordo che quando tornavo a casa sporco per aver giocato nella polvere, mamma mi accoglieva con questa parole: 'Non hai davvero più il volto di un figlio di Dio'.

    E che dovremmo dire di chi, ignorando di essere battezzato, ossia figlio del Padre, vive in peccato, senza rimorso, in altre parole incurante di vivere fuori Casa?

    Ma è possibile che un battezzato non si preoccupi o non conosca il grande dono che ha ricevuto nel Battesimo? E' possibile che non si renda conto dell'insensatezza di una vita vissuta solo con un misero orizzonte terreno e non avverta la nostalgia di 'altro'?

    Diceva il Card. Ballestrero, un grande pastore di anime: "Punto di partenza per tutti, laici e ministri, è il battesimo. Fonte inesauribile che crea nuovi figli di Dio, nuovi fratelli di Cristo, nuove creature ..... Dal battesimo nasce e si sviluppa la varietà delle vocazioni, dei ministeri, dei carismi al servizio del Regno di Dio. Dal Battesimo fluiscono le ricchezze mirabili della Chiesa".

    E il Concilio usa parole ancora più solenni parlando di noi battezzati:

    "Uno è il popolo eletto di Dio: un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo comune è la dignità dei figli: comune la vocazione alla speranza e indivisa la carità. Nessuna ineguaglianza quindi in Cristo e nella Chiesa per riguardo alla stirpe o nazione, alla condizione e al sesso" ( L.G. 32)

    E' davvero un grande dono, sentirsi, nel Padre, tutti, senza distinzione di colore o razza, stessi figli e quindi fratelli. Vivere il Battesimo darebbe alla umanità il volto della giustizia e della carità.

    Forse troppe volte ci dimentichiamo del dono del Battesimo e viviamo come se non avesse valore nella vita. Ed è una vera scuola di santità nel Battesimo quanto scrive Paolo VI:

    "Teniamo bene presente questo fatto. Là, al Battesimo, noi abbiamo incontrato Gesù Cristo, incontro sacramentale e vitale. Fu il nostro vero Natale. Ora, attenzione. Che cosa comporta un simile incontro con Cristo? Ancora il Vangelo ci insegna: comporta seguire Cristo. Comporta uno stile di vita, comporta un impegno inscindibile: essere cristiani! Noi non faremo che ripetere ciò che abbiamo scritto, nella Enciclica 'Ecclesiam suam'. Bisogna ridare al fatto di avere ricevuto il santo Battesimo, e cioè di essere stati inseriti mediante sacramento nel corpo mistico di Cristo che è la Chiesa, tutta la sua importanza, specialmente nella cosciente valutazione che il battezzato deve avere della sua elevazione, anzi della sua rigenerazione alla felicissima realtà di figlio adottivo di Dio, alla dignità di fratello di Gesù Cristo, alla fortuna, vogliamo dire alla grazia, della inabitazione dello Spirito, alla vita nuova che nulla ha perduto di umano" (6.2.1974)

    E' bello rileggere oggi le parole del profeta Isaia:

    "Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano: ti ho formato e stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni. Perchè tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre" (Is. 42, 6-7)

    Con Tonino Bello prego: Voglio ringraziarti, Signore, per il dono della vita. Ho letto da qualche parte che gli uomini sono angeli con un'ala soltanto; possono volare solo rimanendo abbracciati.

    A volte, nei momenti di confidenza, oso pensare, Signore, che anche tu abbia un'ala soltanto. L'altra la tieni nascosta, forse per farmi capire che tu non vuoi volare senza di me.

    Per questo mi hai dato un'ala sola, perchè io fossi tuo compagno di volo."

    Antonio Riboldi – Vescovo
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    Credente
    00 14/01/2012 21:49
    II Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)
    Fede e Testimonianza

    Sappiamo tutti come il mondo vada in cerca di persone che sappiano trasmettere, non solo la bellezza della vita, ma anche quelle virtù nascoste che Dio ha certamente deposto in noi e che hanno bisogno di manifestarsi concretamente.

    Non suscita, se non freddezza, chi nella vita in qualche modo non dà spettacolo di grandi valori. Ognuno di noi sente la necessità di essere quelli che davvero siamo, forse senza che ce ne accorgiamo: testimoni di quella bontà e bellezza che è l'immagine che Dio ha messo in noi con il Battesimo e dovrebbe essere composta nelle ferialità della fede e della vita.

    L'uomo guarda all'apparenza e vuole apparire, tranne le persone umili che cercano di nascondere la bontà che abita nel loro cuore, ma ottenendo di fatto un effetto meraviglioso: è proprio quella umiltà che diventa luce per chi osserva. Ed è di questi fratelli e sorelle che sentiamo il bisogno che ci siano tra noi per trovare anche noi il coraggio di dare alla vita il suo vero senso, che nasce da quei valori e quella bellezza che deve risplendere in ciascun essere umano.

    Fanno molto rumore i tanti che si affidano alla fama ed al successo nel mondo, ma è un successo che ha vita breve.

    Suscita spesso tanta compassione quel modo di esprimersi per affermare una fama che è davvero basata sul niente: "Lo sai chi sono io?". Suscita compatimento, conoscendo quanto pietosi siamo agli occhi di Dio - ma proprio per questo da Lui tanto amati! - Lui, che è la vera bellezza che trasmette ai santi.

    Ed è quello che racconta oggi il Vangelo, descrivendo l'inizio della missione di Gesù tra di noi, per indicare con la Parola e la vita la via per arrivare a essere figli di Dio.

    "Il giorno dopo, Giovanni (il Battista) stava ancora là con due suoi discepoli e, fissando gli occhi su Gesù che passava, disse: 'Ecco l'agnello di Dio!'. I due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che Lo seguivano, disse: 'Chi cercate?'. Gli risposero: 'Rabbì (che significa Maestro), dove abiti?'. Disse loro: 'Venite e vedete'.

    Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui: erano circa le quattro del pomeriggio.

    Uno dei due, che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: 'Abbiamo trovato il Messia, che significa il Cristo, e lo condusse da Gesù'.

    Gesù, fissando lo sguardo su di lui disse: 'Tu sei Simone, il figlio di Giovanni: ti chiamerai Cefa (che significa Pietro)' ". (Gv. 1,35-42)

    Fa davvero impressione come Gesù attira i discepoli di Giovanni e subito li chiama.

    Ma cosa aveva Pietro di tanto interessante, - come a volte pensiamo noi - da richiamare l'attenzione di Gesù che poi lo inviterà a seguirLo?

    Una storia, quella di Pietro, fatta di grandezza d'animo, di generosità, ma anche di quella debolezza, tutta umana, che lo porterà, di fronte alla prova, nella passione di Gesù, per paura, a rinnegarne la conoscenza. Un errore che rivela tutta la fragilità, che è nella nostra natura, nonostante la nostra presunzione, e che Pietro riscatterà solo dopo la resurrezione, quando, a Gesù che gli chiedeva" Mi ami?", per tre volte, senza esitare risponderà: "Signore tu lo sai che ti voglio bene", cancellando il suo errore e ricevendo così da Gesù, quasi a ricambiare questo amore ormai saldo e fedele, la missione di guidare la Sua Chiesa.

    Episodi che richiamano alla nostra mente la nostra generosità, quando affermiamo la nostra fede e amore a Dio, ma nello stesso tempo, anche quando, di fronte alla necessità, ci comportiamo come Pietro. Ma guardando proprio a lui, sappiamo che possiamo sempre ravvederci, rinnovando il nostro amore a Cristo, con sincerità e umiltà di cuore: "Signore, tu sai che ti voglio bene, anche se sono povero e misero'.

    Viene alla memoria l'incontro che ebbi con Madre Teresa di Calcutta, in una assemblea di giovani. Alla domanda che le venne fatta se, tornando per ipotesi indietro e sapendo delle difficoltà che avrebbe incontrato, avrebbe ancora seguito la chiamata di Gesù, dopo una lunga pausa di silenzio rispose: "Gli direi di no". Un 'no' che fu come un gelo calato su quel migliaio di giovani. Attendevano una risposta che andasse contro le paure della vita per seguire Gesù o un ideale, e la risposta non era quella che si erano aspettati.

    Ricordo che, stando a fianco della Madre, anch'io fui allibito, senza riuscire a comprendere la sua risposta, perché davo per scontato un eroico "sì" da lei.

    Di fronte alla sgomento di tutti, le chiesi se aveva capito bene la domanda. Serena mi rispose di "sì". Ci fu un silenzio strano nell'assemblea, il silenzio che non si arrende ad un sogno che abbiamo tutti, di riuscire nel bene a superare le inevitabili difficoltà. Dopo qualche attimo di riflessione, che parve un'eternità, Madre Teresa, con uno straordinario sorriso, diede una risposta, che fa risuonare quella di Pietro a Gesù: 'Ma Gli voglio tanto bene che Gli direi di sì'.

    E' l'atteggiamento di tantissimi martiri, anche oggi, che di fronte alle minacce per la professione di fede, non hanno paura delle sofferenze che li attendono, accolte come lo scambio di un amore che non conosce difficoltà e confini.

    Proviamo davvero un senso di vergogna pensando alla nostra povera fede o amore a Dio, noi, che Gli voltiamo le spalle per un nulla o per una difficoltà.

    Siamo spesso così lontani dall'essere testimoni che possono attirare i fratelli!

    "L'uomo contemporaneo - affermava Paolo VI - ascolta più volentieri i testimoni che i maestri o se ascolta i maestri è perchè questi sono testimoni. L'uomo contemporaneo, impegnato nella conquista della materia, ha fame d'altro, e prova una strana solitudine. Il cristiano, consacrato a Cristo, conosce un mistero: il mistero di Dio che invita l'uomo a una partecipazione di vita in comunione senza fine con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Oggigiorno più che mai occorrono testimoni dell'invisibile. Gli uomini del nostro tempo sono degli esseri fragili che conoscono facilmente l'insicurezza, la paura, l'angoscia. I nostri fratelli hanno bisogno di incontrare altri fratelli che irradiano la serenità, la gioia, la speranza, malgrado le prove e le contraddizioni dalle quali essi stessi sono colpiti. Le nuove generazioni sono particolarmente assetate di sincerità, di verità, di autenticità. Hanno orrore del fariseismo sotto tutte le forme. Il mondo insomma ha bisogno di santi'

    (Paolo VI, Ottobre 1974)

    Ed è bello sia così. Ed è da questa realtà, che non possiamo - nessuno - ignorare, che occorre dare alla vita feriale quel sapore di bontà, di fede vera e concreta, facendoci prendere mano da Gesù, perché sia Lui, e Lui solo, a guidarci.

    Vivere alla giornata, affidandoci al nulla che la vita offre, non è sopportabile.

    E' necessario che tutti ci lasciamo riempire dalla necessità di dare al nostro vivere feriale il sapore della fede vissuta e di una santità ricercata, che è poi vivere con Gesù, immersi nella Sua Presenza e Grazia. Ma occorre avere la prontezza a rispondere a Dio che ci invita con segni inequivocabili a seguirLo, come è nel racconto di Samuele:

    "In quel giorno, Samuele era coricato nel tempio del Signore dove si trovava l'arca di Dio. Allora il Signore lo chiamò: 'Samuele!'. E Samuele rispose: 'Eccomi!', poi corse da Eli e gli disse: 'Mi hai chiamato, eccomi!'. Egli rispose: 'No, non ti ho chiamato, torna a dormire!'. Tornò a dormire. Ma Dio lo chiamò una seconda volta e si ripeté la prontezza di Samuele.

    "Per la terza volta il Signore tornò a chiamare: 'Samuele!'. Questi si alzò ancora e andò da Eli dicendo: 'Mi hai chiamato, eccomi!'. Allora Eli comprese che il Signore chiamava il giovanetto e disse a Samuele: 'Vattene a dormire e se ti chiamerà ancora dirai: 'Parla, Signore, perchè il tuo servo ti ascolta'… Samuele acquistò autorità, perchè il Signore era con lui é lasciò andare a vuoto una sola delle Sue parole" (Sam. 3, 3-19)

    Con santa Faustina preghiamo:

    Da oggi la tua volontà, Signore, è il mio nutrimento.

    Hai tutto il mio essere, disponi di me secondo i tuoi divini intendimenti.

    Qualunque cosa mi porgerà la Tua mano patema, l'accetterò con gioia.

    Non temo nulla, in qualunque modo vorrai guidarmi, e, con l'aiuto della Tua grazia, eseguirò tutto quello che vorrai da me.

    Antonio Riboldi – Vescovo
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    Coordin.
    00 21/01/2012 19:17
    III Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)

    La chiamata al sacerdozio, “altro Cristo”

    Quando Dio ci chiamò alla vita diede a ciascuno di noi un compito con cui, non solo si realizza il disegno della santità, ma anche la bellezza del servizio per i fratelli.

    E' la vocazione. Tutti, senza eccezione, abbiamo la nostra vocazione, ossia questo cammino della vita in cui passo, passo, facendosi guidare da Dio, si compie il disegno della santità: una santità che ha per ciascuno un volto diverso dall'altro, ma a tutti garantisce la personale realizzazione nella vita e nell'eternità.

    Penso alla vocazione di tanti sposi, che sanno ricamare la bellezza incredibile del loro amore e la guida dei figli, come un racconto di fedeltà ed una meravigliosa storia di figli che continuano la storia dell'amore di Dio, con il compiere il disegno che Dio ha posto su di loro.

    Non si finisce mai di rendere grazie a Dio per tutto quello che sa compiere tramite gli uomini, se Gli sono fedeli, sulla terra. Certo l'uomo è anche capace di usare i doni di intelligenza, di scienza, non al servizio dell'uomo, ma causando del male all'uomo.

    Basta dare uno sguardo fugace e preoccupato, su tutti gli ordigni che ogni giorno si moltiplicano sulla terra, ordigni di guerra. Si spendono incredibili somme, sottratte al benessere delle popolazioni, per dare corso a ciò che è solo mezzo di distruzione.

    Ma è questo che dal Padre siamo chiamati a fare? E' questa la vocazione che ha posto in ciascuno di noi? Dovremmo ogni giorno chiederci se si vive per la gloria di Dio e il bene dei fratelli, o se la vita è un intreccio di egoismi che nulla hanno a che fare con ciò che Dio ha pensato e progettato per noi e per il bene della umanità.

    Sarebbe bene che nelle linee del Vangelo di oggi tutti dessimo uno sguardo alla storia della nostra vita: vocazione disegnata dal Padre per il bene nostro e di quanti incontriamo o sono vicini nella vita. Ma è così?

    Confrontandoci alla luce della Parola, forse potremmo scoprire di essere molto lontani dal pensiero di Dio, quando invece la nostra vita dovrebbe essere il racconto del nostro viaggio sulla terra con e per gli altri, che il Padre ha disegnato per tutti. Ed allora occorre un cambiamento, se veramente vogliamo trovare pace e serenità in Lui.

    Ma ci sono anche vocazioni che sono davvero speciali, come quelle a cui Gesù ha chiamato, iniziando il suo piano di salvezza, invitando persone semplici a seguirLo, per poi un giorno diventare le colonne fondamentali della Sua Chiesa: gli apostoli, chiamati a seguire ieri Gesù, oggi a fare strada a noi.

    Racconta Marco, l'evangelista:

    "Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea, predicando il Vangelo di Dio e dicendo: 'Il tempo è vicino: convertitevi e credete nel Vangelo"'.

    E passando lungo il mare di Galilea vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare, erano infatti pescatori. Gesù disse loro: 'Seguitemi, vi farò pescatori di uomini'.

    E subito, lasciate le reti, lo seguirono. Andando un poco oltre, vide sulla barca Giacomo di Zebedeo e Giovanni suo fratello, mentre riassettavano le reti. Li chiamò ed essi, lasciato il loro padre Zebedeo sulla barca con i garzoni, lo seguirono". (Mc. 1, 16-20)

    Stupisce questa prontezza nel seguire Gesù. Non sapevano nulla di ciò che li attendeva. Erano poveri uomini come tutti noi. Ma un giorno, dopo la Pentecoste, saranno le pietre d'angolo su cui si fonda la Chiesa e quindi noi.

    E davvero ci assale lo stupore in questa scelta. Da poveri uomini, più volte nel Vangelo si evidenzia come il loro sogno fosse di divenire 'qualcuno che conta' seguendo Gesù. E lo ammettono. Mostrano tutta la loro debolezza nel Getsemani addormentandosi, e, quando Gesù viene arrestato, scappano e si nascondono, tranne Pietro che però poi si lascia prendere dalla paura e lo rinnega tre volte fino al canto del gallo, come gli aveva predetto Gesù. Semplicemente ebbero paura di finire come Gesù. C'è tutta la debolezza dell'uomo che sognava forse altro, seguendo Gesù, e si vede crollare il mondo. Lo dichiarano frastornati anche i due discepoli sulla strada di Emmaus.

    Eppure rimane in loro quello che non si cancella dal cuore, che sa che l'amore va oltre tutte le prove. E lo dimostra Pietro quando incontrando Gesù, dopo la resurrezione, alla domanda esplicita del Maestro: "Pietro mi ami tu più di costoro?" La risposta non lascia spazio ai dubbi. "Signore, tu sai che io Ti amo". Dopo la Pentecoste, in cui lo Spirito prende dimora in loro, esplode la loro potenza di apostoli, che affronteranno tutto e tutti per annunciare Gesù e il suo V angelo.

    Non si lasceranno fermare da prigioni, battiture e tormenti, fino al martirio.

    Gesù aveva avuto e continua ad avere tanta fiducia in loro. Li considerava 'amici', come è nel Vangelo, prima ancora dei loro abbandoni e tradimenti: "Il mio comandamento è questo: amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha amore più grande di questo; morire per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate quello che comando. Non vi chiamo più schiavi, perchè lo schiavo non sa cosa fa il suo padrone. Vi ho chiamato amici perchè vi ho fatto sapere quello che ho udito dal Padre mio. Non siete voi che avete scelto me, ma io ho scelto voi, e vi ho destinato a portare molto frutto, un frutto duraturo" ( Gv. 15, 12-16)

    E' davvero commovente questa scelta di GESÙ, che non si ferma alle debolezze umane, ma sa che con la forza dello Spirito, un giorno, i Suoi amici saranno pronti a dare la vita per farLo conoscere e annunciare il Suo Vangelo.

    Basterebbe leggere la vita di tanti, in ogni tempo, di come hanno interpretato la volontà di Dio, seguendo la propria vocazione, senza paura nel darsi totalmente, per restare fedeli all'amicizia con Gesù. Non parlo solo di martiri, o di santi speciali, ma voglio riferirmi a tanta gente semplice che ho incontrato nella mia vita pastorale e che sempre hanno lasciato una traccia in me della loro passione per Gesù ed hanno dato nella vita una testimonianza di amore a Dio e quanti erano loro vicini. Penso ai tanti missionari - sconosciuti alle cronache del mondo - ma sparsi nel mondo, che non hanno paura delle difficoltà, fino al martirio a volte, per fare conoscere Gesù a chi non Lo conosce. E' davvero immenso il mondo di chi ha interpretato la vita come una vocazione, chiamata di Dio. Del resto, se dalla nostra vita togliamo questo spirito, che resta della nostra esistenza?

    Un viaggio nel nulla e verso il nulla, che fa tristi ed è senza senso.

    Ecco perchè tutti dobbiamo nella vita seguire i passi che Dio traccia con gli eventi che incrociamo. Non avrei mai pensato di diventare addirittura vescovo della Chiesa: una grande vocazione che ci rende simili agli apostoli. Credevo di avere raggiunto il fine nella vita consacrata. Poi l'obbedienza mi volle parroco nel Belice: difficile compito allora. E all'improvviso si è affacciata la volontà di Dio, tramite il caro Paolo VI, che improvvisamente mi chiamò e mi chiese di essere vescovo di questa diocesi. Incredibile. Se è vero che seguire la propria vocazione, chiede tanta fede, tanto amore, e tanta dedizione al prossimo, debbo dire che nel mio apostolato ho sperimentato tutto questo, ma molto di più il sentire su di me - davvero stupendo - la mano di Dio che apre la strada. Ma bisogna che ciascuno diventi attento e appassionato nel cercare e scoprire la Sua volontà, la chiamata di Dio in quello che capita o decidiamo nella vita.

    La vita non è, non può essere, una camminata a vuoto, non sapendo dove andare: la vita, se la si accoglie come vocazione, è un cammino con Dio e i fratelli fino al Cielo.

    Scriveva Paolo VI: "La vita è una chiamata. E' una libertà liberissima, messa alla prova, forse la più difficile, ma la più bella. E' la voce che ha un duplice linguaggio, quello del Signore e quello dell'educatore. E' una voce che dice: 'Venite' e che passa come un vento profetico sopra la testa degli uomini, anche di questa generazione, la quale piena com'è del frastuono della vita moderna, si direbbe sorda a coglierne il senso segreto e drammatico: ma non è così. Qualcuno ascolta."

    Non resta a noi, sempre se diamo alla vita il senso che dà Dio, che farci prendere per mano, sicuri che, anche se siamo fragili, Lui non tradisce, attende solo che, come Pietro nei momenti difficili, siamo pronti a dirGli, passata la prova: "Signore, tu sai che io ti amo".

    E questo vale per tutti, indipendentemente dalla nostra specifica vocazione. Ma saremo capaci?

    Che Dio ci tenga per mano, sempre, per non perderci.

    Antonio Riboldi – Vescovo
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    Coordin.
    00 28/01/2012 08:20
    IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)


    CHI È MAI COSTUI? Ha una dottrina nuova

    Si rimane certamente impressionati e direi 'catturati' dalla parola di chi sa offrire proprio nella parola squarci di verità che in fondo sono la vera sete dell'uomo. Abbiamo bisogno di parole che contengano verità e amore. Altre parole possono solo ingigantire quel chiasso che già ci circonda, risultato dei mezzi di comunicazione o di presunti dialoghi tra noi che, di fatto, sono davvero un suono confuso che non giunge al cuore. E' una vita, da parroco e da vescovo, che cerco di porgere la vera Parola di vita, quella di Gesù. A volte ho l'impressione che la gente sentendo la Parola di Dio, provi la gioia e lo stupore degli ascoltatori di Gesù, di cui leggiamo nel Vangelo di oggi. Ricordo un fatto che mi ha lasciato una grande impressione e il desiderio di portare ovunque la parola di Dio. Superficialmente può sembrare che l'uomo si affidi solo alla parola di uomini, ma tutti sappiamo come difficilmente il nostro povero argomentare risponda a quella sete di verità e di amore che cerchiamo. Solo di fronte alla Parola di Dio, se bene ascoltata ed accolta, si ha la certezza di stare di fronte alla verità, che fa conoscere l'amore.

    Invitato un giorno d'estate a partecipare ad una festa patronale, che sembrava essere stata ingoiata dal consumismo, lasciando pochissimo spazio alla Parola, contrariamente a quanto si attendevano gli organizzatori, (in seguito anche a fallimenti, in questo senso, negli anni passati) la sala si riempì talmente che molti furono costretti a seguire l'incontro affacciati alle finestre. Incredibile!

    Il tema era "Gesù, il vero segreto della felicità". Sembrava un tema in aperto contrasto con la festa civile. Quello che mi sorprese è stato il grande silenzio con cui tutti seguirono l'incontro, come fossero in presenza di una verità che covavano nel cuore. Dopo un'ora, cercai di chiudere l'incontro, ma la gente mi pregò di andare avanti. "Continui, Padre, fu l'invito, qui abbiamo trovato il senso della vita, fuori c'è solo la grande farsa dell'uomo smarrito'. E si continuò per un'altra ora.

    Un fatto che mi convinse ulteriormente di quanto la gente, anche oggi, nonostante l'apparente indifferenza o disinteresse, senta la necessità di verità, quella che solo Dio sa donare.

    I primi passi di Gesù tra la gente evidenziano e descrivono proprio questo stupore davanti alla Parola. Racconta l'evangelista Marco: "A Cafarnao - racconta Marco - entrato proprio di sabato nella sinagoga, Gesù si mise ad insegnare. Ed erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi. Allora un uomo, che era nella sinagoga, posseduto da uno spirito immondo, si mise a gridare: 'Che c'entri con noi Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci? Lo so chi sei, il Santo di Dio. E Gesù lo sgridò: 'Taci! Esci da quell'uomo'. E lo spirito immondo, straziandolo e gridando forte, uscì da lui. Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: 'Che è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità. Comanda persino agli spiriti immondi e gli obbediscono!'. La sua fama si diffuse subito dovunque nei dintorni della Galilea. (Mc. 1,21-28)

    Difficile 'parlare con autorità', ossia dando alla parola quella verità che deve contenere la luce per lo spirito. Sì, è difficile. Si ha come l'impressione che a volte anche noi ci affidiamo al chiasso della parola, mettendo in angolo il bisogno della verità.

    Basterebbe a volte seguire un comizio, per capire che le parole sono solo un mezzo per ottenere il consenso, tante volte senza alcun contenuto realistico e veritiero. O basta affidarsi ad un telegiornale per uscirne sbigottiti: si parla di tutto, notizie mescolate ad opinioni, cronaca nera intrecciata a quella rosa, ma sicuramente è il male che prevale, difficilmente si può sapere del bene che pur fa parte della nostra quotidianità. Eppure Dio solo sa come invece sentiamo la necessità di sentire qualcosa di bello e di vero.

    Può accadere anche nelle chiese ascoltando le omelie. Possiamo davvero dire che il nostro annuncio della Parola provochi stupore nei fedeli o, a volte, è quasi come se la PAROLA di DIO; proclamata, appartenesse ad un altro mondo?

    E' compito di noi sacerdoti e vescovi, trasmettere lo stupore di cui parla il Vangelo, ma per questo per primi dobbiamo sperimentarlo.

    Ricordo un discorso del beato Giovanni Paolo II alla giornata mondiale della gioventù. I giovani vedevano nel Santo Padre LA P AROLA. Era Parola la sua stessa presenza.

    Già sofferente, fu difficile al Santo Padre parlare. Ma i giovani avevano già visto in lui quella Parola che attendevano, tanto che ad un certo momento un giovane, gridò "Tu, la Parola fatta carne!"

    La Parola di Dio non ha bisogno di quell'abito di eleganza che a volte sfoggiamo noi sacerdoti. Avevo ascoltato il discorso di un sacerdote conosciuto e stimato da tante persone: parole che mi lasciarono il ricordo di una esibizione inutile. Tornando a casa, mi imbattei in una piccola chiesa. Entrai. Un sacerdote, dall'apparenza umile e timida, stava predicando. Mi colpì la sua grande fede che si trasmetteva ai fedeli. Davvero in quella semplicità umile, la Parola si faceva 'cibo dell'anima'. E Dio sa quanto abbiamo bisogno di verità. Ma occorre che ci sia chi sappia proporcela. E' un compito di chi è chiamato a proclamarla, sacerdoti e vescovi, ma ricordando che tutti i credenti sono chiamati ad annunciare la Parola.

    Dovremmo essere capaci di rendere attuali le parole del Vangelo di oggi:

    "Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: "Che è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità."

    E confesso che non è facile avere questa autorità. Per noi sacerdoti, in particolare, si impone una grande preparazione, accompagnata da umiltà, e dalla preghiera.

    La Parola di Dio, che siamo chiamati a donare ai fedeli, è importante come l'Eucarestia che celebriamo. Se l'Eucarestia è il pane del Cielo che dà la vita, la Parola è il pane della fede che si fa indirizzo e forza della vita.

    Sono tante le raccomandazioni che riceviamo, vescovi e sacerdoti, di sapere donare la Parola, con cuore fedele, annuncio sincero, con gioia e stupore.

    Forse a volte siamo preoccupati del tempo a disposizione. Ma quando i fedeli sentono il calore e la luce della verità, proclamata da uno che fa della Parola il senso della vita, non guarda l'orologio.

    E che ci sia oggi necessità urgente la conoscenza della Parola, ma, ripeto, come una luce per il cuore e la mente, credo, sia una consapevolezza di tutti i fedeli ed anche di quanti, pur non frequentando le liturgie, nella vita si accorgono di essere storditi da parole vuote e a volte dannose, che generano solo chiasso o turbamento, senza mai essere uno sprazzo di luce per il cuore.

    Ed era quello che proclamò in un discorso famoso il nostro caro Paolo VI, un vero profeta nella Parola. E' il celebre suo discorso sulla necessità di Gesù tra noi.

    "Oggi l'ansia di Cristo pervade anche il mondo dei lontani, quando in essi vibra qualche autentico movimento spirituale.

    La storia contemporanea ci mostra i segni di un messianismo profano. Il mondo, dopo avere dimenticato e negato Cristo, lo cerca.

    Ma non Lo vuole cercare per quello che è e dove è.

    Lo cerca tra gli uomini mortali: ricusa di adorare Dio che si è fatto uomo e non teme di prostrarsi servilmente davanti all'uomo che si fa dio. Dalla inquietudine degli uomini laici e ribelli, prorompe fatale una confessione del Cristo assente: di te abbiamo bisogno.

    Di te abbiamo bisogno dicono altre voci isolate e disperate, sono molte oggi e fanno coro. E' una strana sinfonia di nostalgici che sospirano a Cristo perduto; di generosi che da Lui imparano il vero eroismo, di sofferenti che sentono simpatia per l'uomo dei dolori, di delusi che cercano una parola ferma, una pace serena; di onesti che riconoscono la saggezza del vero maestro. L'ansia di trovare Cristo si insinua anche in un mondo avvinto dalla tecnica, dal materialismo e dalla politica; e sospira: o Cristo, nostro unico mediatore, tu ci sei necessario per venire in comunione con Dio Padre, per diventare con te, che sei Figlio unico e Signore nostro, suoi figli adottivi. Tu ci sei necessario o solo e vero maestro delle verità recondite e indispensabili della vita, per conoscere il nostro essere e il nostro destino e la via per conseguirlo. Tu ci sei necessario, o fratello primogenito del genere umano, per ritrovare le ragioni vere della fraternità tra gli uomini, i fondamenti della giustizia, i tesori della carità, il sommo bene della pace.

    Tu ci sei necessario, o Cristo, o Signore, o Dio-con-noi, per imparare l'amore vero e per camminare nella gioia e nella forza della carità, lungo il cammino della nostra via faticosa, fino all'incontro finale con te amato, con te atteso, con te benedetto nei secoli".

    (Quaresima 1955)

    Antonio Riboldi – Vescovo
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    Coordin.
    00 11/02/2012 09:35
    VI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)


    Ci sono, in noi, tante lebbre da guarire

    Gesù, non solo quando era tra di noi fisicamente, così come ce lo presenta S. Marco, ma anche oggi, continuamente, con il Suo comportamento, seguita a stupirci, come del resto ha meravigliato e spesso messo in discussione chi lo avvicinava allora e ogni credente vero oggi.

    Gesù non si sottrae dall'amare l'uomo che è in necessità, ma perchè non vi fosse ambiguità sulla sua vera missione, che era quella di andare oltre l'episodio miracoloso, impone il silenzio: davanti alla esaltazione della gente, troppo umana, che rischiava di travisare la sua missione di salvezza totale dell'uomo, Gesù fugge per cancellare ogni errore. Voleva che chiaramente si capisse che il fatto miracoloso era solo 'un segno' della sua divinità, ma quello che Lo interessava, quello per cui era stato inviato dal Padre, era la di guarigione dalla pericolosa lebbra del peccato, che l'uomo si portava addosso. E quanta lebbra notiamo in noi a volte e attorno a noi.

    Eppure, a differenza del lebbroso del Vangelo, che supplica Gesù perchè lo guarisca, tante volte capita che, forse senza neanche accorgersene, tanti esibiscano la loro lebbra interiore, peggiore di quella fisica, come ostentazione e sfoggio di sé. E' il grande pericolo che noi tutti corriamo. Proviamo a pensare alla natura del peccato; parlo soprattutto di peccato grave. Non è forse vero che oggi tante volte è ambigua esibizione estetica o cattiva interpretazione di libertà?

    Basta pensare, per esempio, all'uso del proprio corpo come merce, diventato un vero mercato. Eppure tutti sappiamo come sia di una coscienza sana rispettare il corpo, 'mezzo' che Dio ha donato per compiere tanto bene in ogni direzione.

    Davvero la 'lebbra' del peccato rischia di diventare moda da esibire.

    Ma in chi di noi ha conservato la delicatezza di coscienza che ci porta a difendere la bellezza interiore, che si esprime proprio con la delicatezza e modestia verso il proprio e altrui corpo, sa molto bene che non è possibile coniugare la bellezza dell'anima con la strumentalizzazione del corpo. Sappiamo tutti come i santi, a volte, trattassero anche duramente il proprio corpo, ma per sottomettere le passioni alla virtù. Basterebbe pensare a S. Francesco dopo la sua conversione. Quello che conta per i santi è che il corpo sia a servizio della santità e non mezzo di perdizione. Quella che Dio chiede a noi, è con Lui costruire giorno per giorno la santità, che è la sola bellezza che possiamo avere. Dovrebbe 'la lebbra interiore', il peccato, ben più orrenda di quella esteriore e fisica, portarci alla preghiera di guarigione, come è nel Vangelo di oggi:

    "Venne a Gesù un lebbroso, lo supplicava in ginocchio e gli diceva: 'Se vuoi, puoi guarirmi'. Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: 'Lo voglio, guarisci!'. Subito la lebbra scomparve ed egli guarì. E ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse: 'Guarda di non dire niente a nessuno, ma va', presentati al sacerdote e offri la tua purificazione, quella che Mosé ha ordinato a testimonianza per loro. Ma quegli allontanatosi cominciò a promulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti e venivano a Lui da ogni parte". (Mc. l, 40-45)

    E' bello vedere come giustamente il lebbroso guarito, abbia sentito l'urgenza di comunicare la sua gioia, di avere" ritrovato la pienezza della salute, a tutti: e lo avremmo fatto anche noi al suo posto, ma nello stesso tempo il Vangelo evidenzia soprattutto come Gesù non volesse che Lo considerassero un semplice guaritore di piaghe esteriori.

    La sua missione di Figlio di Dio era di guarire la lebbra che abbiamo dentro e a volte è tanta.

    Una missione che voleva riportarci a quella bellezza che Dio ci aveva destinato quando ci ha creato nel paradiso terrestre e che desidera con tutto il Suo cuore che noi la riconquistiamo, attraverso le nostre scelte di amore, libere e consapevoli, illuminati e sorretti dalla sua stessa Grazia.

    Ecco dunque, oggi, il sacramento della penitenza, sacramento di riconciliazione con Dio, con il prossimo e anche con noi stessi: una vera e profonda azione della Grazia lasciataci, ma che esige la stessa fede del lebbroso. Ma è così?

    Oggi c'è il rischio, molto grave, di tenere in conto la bellezza fisica più di quella interiore.

    Il corpo non è una 'cosa da usare' per affermare i nostri vizi, che sono la depravazione della bellezza, ma è un dono che Dio ci ha dato, per affermare la santità che è la sola bellezza di ciascuno di noi. Questa certezza richiede una sana educazione umana e spirituale. Purtroppo basta vedere come i mezzi di comunicazione facciano un cattivo uso del corpo maschile e femminile, per rendersi conto che ciò che conta è più la soddisfazione o il piacere dell'essere ammirati, costi quel che costi, che non consapevolezza del proprio valore di persone, salvaguardato da sobrietà e dignità. Non è facile per molti neppure sapere distinguere la vera bellezza dalla falsa bellezza, consegnata ai capricci della moda e del tempo, in una società dove chi non si adegua rischia di essere deriso anziché lodato.

    Ma la vera bellezza la si vede nello sguardo che, se innocente, è davvero un 'pezzo' di cielo che comunica armonia e amore puliti; è nella scelta di costumi che riflettono rispetto alla persona e non esibizione; è nella insostituibile bellezza della carità che mostra come sia il Cuore di Dio.

    Ma occorre un'educazione da piccoli. Le nostre mamme, certamente, forse perchè 'povere' e quindi lontane dai capricci della moda, sapevano dirci quali erano i veri valori e la vera bellezza nella fede e nella santità. Oggi purtroppo a volte questa cura non c'è.

    Allora la domanda spontanea che viene da porci è questa: qual è la vera bellezza, a cui dovremmo aspirare, ciascuno di noi? Quella di un cuore buono, che cura la bellezza interiore dell'anima, o la bellezza effimera di un corpo che dura poco ed è destinato a essere quello che è: cenere?

    E' vero che il consumismo, cui non interessa la bellezza dell'anima, continua a offrirci modelli di bellezza esteriore cui rivolgere l'attenzione. Ma è al consumismo che dobbiamo guardare o alla bellezza interiore?

    Incontrando più volte Madre Teresa di Calcutta, si restava sempre affascinati e stupiti dalla sua bellezza che traspariva da ogni gesto e parola, anche se fisicamente non aveva alcuna particolare attrattiva. L'esteriorità era una cornice, che però irradiava la sua santità di vita, il suo essere continuo in Dio e con Dio. Comprendiamo allora come Gesù, dopo avere guarito il lebbroso, temendo di essere considerato un guaritore dei corpi, fugga in luogo deserto, sottraendosi alla curiosità e ad una errata conoscenza di chi veramente era Lui.

    Ed oggi è proprio la riscoperta della attenzione che Dio ha per noi che ci invita a riflettere. Gli innamorati di Gesù sanno come 'vedere e amare Gesù'. E più cresce questa conoscenza, più si allontana l'adorazione del corpo. Non è ai 'modelli' del mondo che si deve guardare, ma a Lui, vero modello di bellezza, per sottrarci a possibili 'lebbre' dell'anima.

    Occorre avere in Gesù quella fede gioiosa che offre Paolo VI.

    Alla domanda che si fa: 'Chi è Gesù?', risponde: "La conoscenza di Gesù riguarda la nostra concezione dell'uomo: interessa direttamente i destini della vita. Riguarda il valore da dare alle cose. Diventa sapienza del mondo, entusiasmo dell'anima. E' l'affermazione che obbliga il mondo, ogni coscienza a prendere una posizione morale sul significato e il valore della propria esistenza. Ha incominciato a svegliare e mettere in moto dei poveri pastori, nel primo momento in cui è stato annunziato alla terra. Non lascerà più indifferente alcuna generazione e alcuna manifestazione di vita. Sarà l'insonnia del mondo. Sarà la segreta forza che consola, che guarisce, che nobilita l'uomo, la sua nascita, il suo amore, il suo dolore, la sua morte. Sarà la vocazione del mondo all'unità e all'amore: sarà la costante energia a perseverare in ogni secolo nella bella ricerca del bene e della pace. E' un'affermazione troppo importante e non si può rimanere ignavi, frettolosi dinanzi ad essa". Ascoltiamo allora le parole che S. Paolo scrive ai Colossesi:

    "Fratelli, sia che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualunque cosa, fate tutto per la gloria di Dio. Non date motivo di scandalo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio; così come io mi sforzo di piacere a molti, perchè giungano alla salvezza.

    Fatevi miei imitatori, come io sono di Cristo".

    Con S. Faustina preghiamo:

    "O Gesù, Dio eterno, ti ringrazio per i tuoi innumerevoli benefici e le tue grazie. Ogni battito del mio cuore sia un inno di ringraziamento per te o Dio.

    Ogni goccia del mio sangue veicoli per te, o Signore.

    Che l'anima mia sia tutta un cantico di ringraziamento per la tua misericordia".

    Antonio Riboldi – Vescovo
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    Coordin.
    00 18/02/2012 08:19

    VII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)

    La ragione del dolore davanti a Dio

     

    Il Vangelo di oggi sembra rispondere alla grande domanda che l'uomo si pone davanti alla sofferenza o al dolore, che è la stessa cosa.

    Anche se a volte ci riferiamo, parlando di sofferenza, più a quella interiore - ed è tanta - quasi una compagna della vita.

    Sono tante le cause della sofferenza interiore, quella che sentiamo per esempio per una persona cara che soffre o è in difficoltà, oppure per l'isolamento o l'abbandono in cui ci si sente immersi, per motivi di ingiustizia nei nostri confronti o perché non si sa come far fronte alle difficoltà quotidiane che coinvolgono non solo noi stessi, ma anche i nostri cari. Sono davvero infinite le cause ...

    Il dolore è un poco la stessa cosa, anche se in genere lo si riferisce alla dimensione della salute: il dolore fisico, la malattia che colpisce il nostro corpo in modo più o meno grave.

    Del resto sappiamo tutti come il corpo - pur essendo anch'esso destinato a risorgere - debba prima avviarsi giorno per giorno verso la corruzione nella morte.

    Gesù oggi, nel Vangelo, dà una risposta al valore più grande della vita, la fede. Racconta l'evangelista Marco:

    "Dopo alcuni giorni, Gesù entrò di nuovo a Cafarnao. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone, da non esserci più posto neanche davanti alla porta ed Egli annunziava la Sua parola.

    Si recarono da Lui con un paralitico portato da quattro persone. Non potendo però portarglielo davanti, a causa della folla, scoperchiarono il tetto, nel punto dove egli si trovava, e fatta un'apertura, calarono il tettuccio su cui giaceva il paralitico. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: 'Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati!'. Seduti là erano alcuni scribi, che pensavano in cuor loro: 'Perché costui parla così? Bestemmia! Chi può rimettere i peccati se non Dio solo?'. Ma Gesù, avendo subito conosciuto il loro pensiero disse loro: 'Perché pensate così nei vostri cuori? Che cosa è più facile: dire al paralitico: Ti sono rimessi i tuoi peccati, o dire: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina? Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati, ti ordino disse al paralitico alzati prendi il tuo lettuccio e va' a casa tua'. Questi si alzò, prese il suo lettuccio e se ne andò in presenza di tutti e tutti si meravigliarono e lodavano Dio, dicendo: 'Non abbiamo mai visto nulla di simile! (Mc. 2, 1-12)

    La domanda di Gesù certamente vuole evidenziare il problema: è più facile guarire fisicamente una persona o guarire un peccatore dal suo peccato?

    Conosciamo persone che proprio nel dolore fisico o nella sofferenza morale hanno trovato la via per un cambiamento di mentalità: una guarigione interiore.

    Basterebbe pensare a Santi come S. Ignazio di Loyola, che nella malattia trovò, per grazia di Dio, la bellezza della fede, al punto che poi fondò una grande congregazione religiosa: i Gesuiti.

    O a S. Francesco di Assisi, che, ritornato dalla guerra, dopo una lunga prigionia e malattia, abbandonò il suo stato di benessere, su cui aveva impostato la vita e scelse Madonna povertà.

    O ai martiri che riuscivano ad interpretare i tormenti che li attendevano come via maestra e gioiosa per poter incontrare presto Gesù.

    Il dolore non è mai una maledizione; se parliamo di quello fisico, che è la malattia, il dolore è inevitabile, ma anche lì si può trovare la ragione per farne un'occasione di accostamento a Dio. Tutte le volte che si accompagna un pellegrinaggio a Lourdes, si nota una differenza sostanziale: spesso, nell'andata, domina il lamento e lo scoraggiamento. Ma al ritorno qualcosa è cambiato: si avvertono i frutti di una guarigione interiore, che sempre accade.

    Mi è toccato più volte di dirigere la processione eucaristica del pomeriggio, e alla fine, passando a benedire gli ammalati - erano sempre tanti - sempre ho notato una serenità incredibile.

    Maria sempre ci fa dono di riuscire a concepire la malattia come un'occasione di viaggio,verso il Paradiso.

    Più difficile il dolore interiore, per tante ragioni, soprattutto quando si assiste alla sofferenza di una persona cara e poi alla sua morte. Non si può non sentire dolore per la morte di una persona cara, che era la ragione, per il suo amore, di un senso e di una pienezza di gioia, direi una preziosa ragione di gioia.

    Ma, per chi ha fede, anche in queste situazioni, che possono diventare devastanti, il dolore trova la sua consolazione nel credere che verrà un giorno che ci si troverà insieme in Cielo.

    Ma la malattia più difficile da guarire è di chi vive in peccato.

    C'è troppa gente che pare abbia fondato la ragione della propria soddisfazione nei piaceri della vita o nella ricchezza o in altro e non si sogna neppure che possa, solamente nella conversione, esistere una vera gioia. Questa è la grave malattia da cui è difficile guarire.

    Come nel Vangelo, occorrerebbe rivedere la verità della nostra vita e la vera sorgente della pace e della gioia, nelle parole pronunciate da Gesù, oggi: 'Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati '.

    Chi di noi ha provato la gioia di questa vera 'resurrezione', nel cambiamento della vita, morendo al peccato e vivendo di grazia, sa di che cosa sto parlando.

    Sono i veri momenti di Grazia, la vera medicina che Dio usa per guarirci dal male e davvero far conoscere la bellezza della salute spirituale.

    Abbiamo bisogno di questa grazia: "Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati".

    Come può infatti vivere una persona, se ha conservato ancora un briciolo di verità della vera vita in Dio, senza la Grazia della conversione? E' forse vera gioia quella di vivere con il peso del peccato? Credo proprio di no.

    Come vorremmo anche noi provare la gioia del paralitico e sentirci dire da Gesù: 'Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati. Alzati e cammina" .... Vivi in pienezza la tua vita! ...

    Credetemi è una grande gioia sentirsi in pace con Dio!

    Così come dovrebbe essere una grande disgrazia vivere esclusi dall'amore del Padre, non perchè Lui non ci voglia sempre bene, ma perchè noi abbiamo deciso di voltarGli le spalle.

    Dovremmo fare nostre le parole del profeta Isaia:

    "Così dice il Signore: 'Non ricordate più le cose passate; non pensate più alle cose antiche! Ecco faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?

    Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa ..

    Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi.

    Invece tu non mi hai invocato, o Giacobbe; anzi ti sei stancato di me, o Israele ...

    Ma io cancello i tuoi misfatti per riguardo a me, non ricordo più i tuoi peccati". (Is. 19,21-25) Non resta allora che accogliere il dolore, di qualunque sorta, per vederne seppur tra le lacrime, le ragioni più profonde: un compagno della vita, di tutti, senza eccezioni, ma soprattutto un'opportunità per farne la scalata verso la santità.

    E' stata la strada dei santi ed è quello che tante volte si nota, come grande Grazia, visitando gli ammalati. Quante lezioni ci danno.

    Che il Signore ci renda capaci di saper vedere nel dolore, ripeto, di qualunque natura sia - non certamente di quello frivolo, - la mano del Padre che ci sostiene, ci consola.

    Il dolore non è una Sua 'creatura' e per questo ha mandato Gesù a salvarci dalla disperazione e dalla morte. Il dolore non possiamo evitarlo, ma con la Presenza amorevole e forte di Gesù possiamo accoglierlo come purificazione del cuore dal male o come espiazione, per renderei degni della vera gioia.


    MERCOLEDI' delle CENERIinizia il tempo santo della Quaresima.

    C'è veramente bisogno che ci sia un tempo lungo, in cui ogni fedele metta da parte tanti aspetti solo umani, e si concentri su quel bene di estrema importanza che è la propria salvezza. La Quaresima vuole essere questo tempo di preparazione per 'risorgere' ogni giorno, vivendo intensamente il tempo che ci è donato, ma guardando al grande giorno della Resurrezione.

    Resurrezione. Abbiamo tutti qualcosa da togliere, che è inutile se non dannosa nella nostra vita "Non vogliamo credere - scrive Paolo VI - che voi figli della nostra Chiesa, che ci ascoltate, non conosciate quale tipo di uomo risulti dalla disciplina dell'ascetica cristiana: risulta l'uomo forte, l'uomo libero, l'uomo seguace di Gesù Cristo. Si dirà forse da alcuni, sedotti da certe correnti amorali, che questo non può essere programma del figlio del nostro secolo, a cui si propone con tante blandizie di liberare finalmente se stesso abbandonandosi alla vita larga, che si chiama 'amoralità permissiva' e comporta una conversione a rovescio. Codesta bassezza è viltà e non chiamiamola 'libertà'. Non resta che ascoltare le parole di S. Paolo: "Gettiamo via le opere delle tenebre, rivestiamo le armi della luce". Non, dispiaccia imporre a noi stessi qualche maggiore vigilanza, qualche astinenza di cose vane e tentatrici. Questa è la palestra della Quaresima.

    Non resta a noi tutti che entrare, ciascuno di noi, nella austerità della Quaresima: toglierci di dosso qualche aspetto o dissipazione che allontana dal vivere il tempo della Quaresima con serietà e sobrietà. Ciascuno, per quello che può, sappia toglie qualche cosa del superfluo, come prova della propria volontà di purificarsi dalle futilità, ma soprattutto - ed è quello che conta - impostiamo quotidianamente il nostro stile di vita, come segno di partecipazione alla Quaresima, soprattutto, aggiungerei, dedicando alla preghiera ed alla carità maggior tempo.

    Insomma in qualche modo imitiamo Gesù che, prima di iniziare la sua vita pubblica, cercò la Parola del Padre e la forza dello Spirito nel deserto che, ancora oggi, visitando la Terra santa, si chiama il monte della Quarantena. L'importante è che ogni giorno porti il segno che viviamo la Quaresima. Se non ci sforziamo di cambiare vita e abitudini in questo tempo, quando lo faremo?

    Che il Signore conceda a me e a tutti una Grazia: quella di una vera conversione, che è seguire Gesù nella morte 'a noi stessi', per aprirci alla pasqua di resurrezione.

    "Donaci, o Dio onnipotente, di rinnovare, con propositi di vita più austera,

    il nostro impegno cristiano, nella lotta contro lo spirito del male, e il coraggio di rinunce salutari".

     

     

    Antonio Riboldi – Vescovo

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    Credente
    00 25/02/2012 22:44
    I Domenica di Quaresima (Anno B)


    Convertitevi e credete al Vangelo

    In questa prima domenica di Quaresima sembra che Gesù ci indichi come vivere il grande dono della Quaresima. Un tempo davvero di grazie che non può essere consegnato alla normalità, troppe volte senza senso.

    E per ottenere che questo tempo, e non solo, sia vissuto bene, il Vangelo ci avverte:

    "In quel tempo, lo Spirito sospinse Gesù nel deserto ed egli vi rimase quaranta giorni, tentato da satana: stava con le fiere e gli angeli lo servivano. Dopo che Giovanni (Battista) fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il Vangelo di Dio, e diceva: 'Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino: convertitevi e credete al Vangelo" (Mc. l, 12-15)

    Un programma denso di significato, ma che Gesù riassume con due parole dal contenuto difficile ma innovativo: convertirsi e credere al Vangelo!

    Ma sapremo, in ogni modo, pone al centro della nostra vita, in questo tempo santo, l'urgenza di una necessaria conversione, con la guida del Vangelo?

    Lasciamoci condurre dalle parole a noi sempre preziose di Paolo VI.

    "Dobbiamo dunque convertirci al Signore. Qui sarebbe necessaria un'analisi previa.

    Che cosa vuol dire questa parola «conversione», alla quale la nostra mente moderna è così poco disposta, fino quasi a cancellarla dal dizionario stesso della vita spirituale?

    Qual è il vero significato di tale richiamo?

    A cominciare da quello etimologico, molto semplice, convertirsi vuol dire cambiare strada, scegliere una direzione, un indirizzo. Ebbene la Quaresima chiama tutti a rivolgersi a Dio; a tracciare fra noi e il Signore una linea diretta, quella completa attenzione che molte volte è distratta dalle cose profane, con le faccende quotidiane, gli affanni della vita.

    Occorre, invece, che risplenda su tutta questa esperienza così complessa, talvolta confusa e talvolta non del tutto limpida, lo splendore del raggio di immediatezza che ci indica Iddio.

    E non si tratta di muoverci verso di Lui materialmente, fisicamente: sarebbe già gran cosa, perché ciò implica la pratica degli esercizi che a Dio ci portano.

    C'è assai di più. Sappiamo tutti che la parola «conversione» indica un senso di mutamento, di rivolgimento, di metànoia: il rinnovarsi, cioè. Ora ed è ciò che più conta - tale rivolgimento non tocca tanto le cose esteriori, le abitudini, le vicende a cui è legata la nostra esistenza, bensì, invece, la cosa tanto nostra, e tanto poco nostra: il cuore.

    C'è non poco da cambiare dentro di noi: è necessario rimodellare la nostra mentalità; avere il coraggio di entrare fin nel segreto della nostra coscienza, dei nostri pensieri, e là operare un cambiamento. Questo, inoltre, deve essere così vivo e sincero da produrre - e siamo ancora al contenuto della parola «conversione» - una novità.

    Qui sta l'esigenza prima del grande esercizio ascetico e penitenziale della Quaresima. Allora ci chiediamo: che cosa fare per ottenere un tale risultato e come comportarci?

    La risposta è ovvia: entrare in se stessi, riflettere sulla propria persona, acquisire una nozione chiara di quel che siamo, vogliamo e facciamo; e, a un certo momento - qui la frase drammatica, ma risolutiva - convertire, rompere qualche cosa di noi, spezzare questo o quell'elemento che magari ci è molto caro ed a cui siamo abituati, sì da non rinunciarvi facilmente.

    Il termine «conversione» entra in queste profondità e dimostra queste esigenze.

    E non è tutto. Stabilito il rinnovamento, è d'uopo incominciare di nuovo, far sorgere in noi un po' di primavera, di rifioritura; una manifestazione anche esteriore del fenomeno verificatosi all'interno del nostro essere.

    Si diceva poco fa che ricordare queste nozioni a chi già conosce le vie del Signore, ha ormai vissuto le ore decisive ed ha orientato nella maniera giusta la sua vita, sembrerebbe cosa superflua, convenzionale e quasi retorica.

    Così non è: perché tutti abbiamo sempre bisogno di convertirci.

    C'è un bel paragone, addotto da esperto maestro di spirito. Esso si riferisce al navigante il quale deve, di continuo, rettificare la guida del timone, e perciò guardare che la direzione sia sempre quella esatta indicata dalla bussola. Per sua natura, la nostra vita è incline a deviare. Siamo volubili, fragili; i nostri stati d'animo sono contraddittori, successivi, complicati, e soggetti agli stimoli esteriori, al punto che la nostra rettitudine interiore ne risulta compromessa.

    È perciò logico, indispensabile ad ogni stagione ed anno, ad ogni Quaresima, riportarci al buon cammino primitivo se già fu determinato; trovare la direzione giusta se non fosse ancora allineata perpendicolarmente verso il Signore.

    A così alta finalità mirano i doni e i carismi che la santa Quaresima ci offre. Come si fa a convertirsi?

    Il primo passo - tutti lo sappiamo - consiste nell'ascoltare, sentire il richiamo e orientare la nostra mente là donde parte la voce. Questa voce è la parola di Dio, che deve risuonare sempre nuova, e quale eco personale che il Signore suscita nelle nostre anime.

    Oh, come piacerebbe sostare in conversazione con ciascuna delle persone qui presenti e chiedere se hanno questa capacità di udito, se ascoltano la parola divina, a cominciare da quella che arriva dal di fuori con la sacra predicazione, che ora, nella Quaresima e nella riforma liturgica, diviene tanto organizzata, premurosa, sollecita, urgente.

    Abbiamo tutti questa indispensabile ricettività? o non forse imitiamo anche noi tanti superficiali, allorché mormorano: sono cose già note, già sentite, non sono per me ... e così via? (3 marzo 1965)

    "Pregare non significa macinare 'avemaria' e poi essere lontani dalla legge del Signore; non è fare una doppia vita: fare delle scelte comode.

    Pregare significa soprattutto aderire alla volontà di Dio;

    entrare nella logica del Vangelo che è la logica della povertà, la logica della accoglienza, la logica del servizio, la logica della fiducia, la logica della speranza.

    Logica di SPERANZA .. soprattutto nei momenti difficili, quando le cose vanno di traverso, quando la salute non c'è più.

    Coltivare la speranza significa non darsi mai per vinti: significa sapere che Dio è più forte di tutti i nostri problemi, e che alla fine la spunta; significa sapere infine che la morte non è l'ultimo capitolo della vita .. Questo significa preghiera e speranza”. (Tonino Bello)

    Antonio Riboldi - Vescovo –
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    Coordin.
    00 02/03/2012 22:25

    II Domenica di Quaresima (Anno B)

     

    LA TRASFIGURAZIONE DI GESU' SUL MONTE

     

     

    Può sembrare, nel tempo quaresimale, un non senso quello che racconta il Vangelo oggi, nella trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor. Eppure è proprio in Quaresima che dovrebbe essere tempo di penitenza, per essere degni di capire e giungere alla pienezza della gioia, che è la Pasqua di Resurrezione, che occorrono le 'certezze' che i sacrifici che facciamo, per la nostra conversione, non sono scelte inutili, ma portano alla gloria. Mi ha impressionato, un giorno, visitando gli ammalati in ospedale, il viso di una persona. Il suo male era di quelli che non perdonano. Ma ciò che colpiva era la serenità, come una trasfigurazione nel dolore ... quasi a volerci insegnare che vi è 'una sofferenza' che matura e, in più, ci rende davvero figli, degni del premio eterno.

    Gesù sapeva che sarebbe venuto il giorno in cui i suoi apostoli si sarebbero 'scandalizzati' della Sua apparente rassegnazione alla sofferenza nella Sua Passione. Non sapevano che era la preziosa scelta consapevole e necessaria per giungere al grande evento della Sua e nostra Resurrezione.

    Ed è qui il senso che dobbiamo dare al dolore. Così racconta il Vangelo di Marco:

    "Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò su un monte alto, in un luogo appartato, soli. Si trasfigurò davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elìa con Mosé e discorrevano con Gesù. prendendo la parola Pietro disse a Gesù: 'Maestro, come è bello stare qui; facciamo tre tende, una per Te, una per Mosé e una per Elìa!'. Non sapeva infatti cosa dire, perché erano stati presi dallo spavento. Poi si formò una nube che li avvolse nell'ombra e uscì una voce dalla nube: 'Questi è il Figlio mio prediletto: ascoltatelo!'. E subito, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risuscitato dai morti. Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire 'resuscitare dai morti'. (Mc. 9, 1-9)

    Facciamoci accompagnare per mano, dal nostro caro Paolo VI, nella meditazione e contemplazione di questa straordinaria pagina di Vangelo.

    "Figli del nostro tempo, con i suoi ausili di progresso visivo e tecnico, possiamo quasi ricostruire, davanti a noi, l'impressionante scena. Il Vangelo è sobrio; ma, soffermandoci sulle circostanze, notiamo subito che si tratta di un avvenimento pieno di interesse e di stupore ...

    Gesù chiama in disparte i tre discepoli preferiti: Pietro, Giacomo e Giovanni, e con loro sale su di un alto monte .... Andarono, dunque, per rimanere soli e pregare. Giunti sulla vetta ... Gesù pregava ­ciò egli soleva fare durante le ore di riposo e a lungo - sempre dimostrando di quale personale vita interiore vibrasse il suo divin cuore. Ad un certo momento i tre si svegliano; levano gli occhi e vedono Gesù straordinariamente luminoso come se un fuoco di portento si fosse acceso nella sua Persona ... Lo sguardo dei veggenti si fissa attonito, estatico.

    Gesù così trasfigurato domina sul monte; ed ecco che ai suoi lati si delineano due figure che intraprendono con il Maestro una misteriosa conversazione .... Mosé ed Elia: l'Antico Testamento che converge intorno a Gesù, il Salvatore del mondo!

    Pietro - come in altre circostanze il più entusiasta ed esuberante - prorompe in un grido: come è bello rimanere qui, per sempre! .... Ed ecco che l'intero panorama è avvolto da una nube, pur essa candida. Non è nebbia opaca, ma nimbo di gloria che accresce e pone in risalto la visione. Si avverte una presenza ancora più impressionante: infatti una voce profonda, in cui Palpita tutto il cielo, esclama: Questi è il Figlio mio diletto, ascoltatelo.

    I discepoli, a sentire che l'intero creato esalta quella voce tonante e dolce insieme, si prostrano per terra e nascondono la faccia senza osare più nemmeno soffermare gli occhi sulla visione. Ad un tratto si sentono toccare: è Gesù, solo, tornato al suo consueto aspetto di sempre. Forse stava albeggiando. La voce del Maestro ordina: Scendiamo, ormai, e nulla direte di quanto avete visto, fino al giorno in cui il Figlio dell'uomo - l'espressione usata da Gesù per indicare se stesso - non sarà risuscitato dai morti. Parole allora incomprensibili per i tre discepoli: i quali, però, giammai avrebbero dimenticato quel prodigio. San Pietro, molto più tardi, forse trent'anni dopo, lo rievoca quale uno «degli spettacoli della grandezza di lui>, in quella sua seconda lettera, che sembra proprio scritta da Roma. Ed aggiunge: «Egli [Gesù] infatti ricevette onore e gloria da Dio Padre, essendo discesa a lui dalla maestosa gloria quella voce: Questi è il mio Figliolo diletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo. E questa voce procedente dal cielo noi la udimmo mentre eravamo con lui sul monte santo>. La testimonianza per Gesù, in questo racconto, rimase quasi un testamento e un saluto dell'apostolo dalla comunità romana.

    Ci domandiamo: perché la Chiesa ripropone, nella liturgia, un quadro così sfavillante della gloria del Signore? Occorre spiegare in che modo quell'evento si innesta nella storia evangelica.

    Gesù intende dare un saggio di ciò che egli è; vuole impressionare i suoi discepoli perché poco prima ha parlato della sua Passione e ne riparlerà anche in seguito. Sono gli ultimi giorni della sua missione in Galilea. Gesù sta per trasferirsi nella Giudea, ove accadrà il grande dramma della fine del Vangelo, della vita temporale del Signore. Gesù sarà crocifisso. E perché i discepoli, questi tre specialmente, non siano scandalizzati, stupiti, anzi esterrefatti dalla fine tristissima del Maestro, ma conservino la fede, Gesù decide di imprimere nelle loro anime la meraviglia testé rievocata.

    Ora la Chiesa la ripresenta anche a noi, come per dire: vedrete il Redentore crocifisso, avrete indicibile sgomento per il suo sangue sparso, per la sua sofferenza, nel contemplarlo come schiacciato dai suoi nemici; e affinché non vi scandalizziate, e non abbiate a tradirlo o a lasciarlo, in quell'ora grande e amara, considerate ora, chi egli è e quanto può.

    In altri termini: questa scena del Vangelo pone dinanzi a noi una questione di grandissima attualità, si direbbe fatta sulla misura delle nostre condizioni spirituali. La domanda è la medesima rivolta da Gesù, sei giorni prima dell'evento sul Tabor, agli apostoli: Chi dite che sia il Figlio dell'uomo? La stessa richiesta ripetiamola anche a noi.

    Ecco che il Vangelo diventa incalzante e urgente sulle nostre anime: chi pensiamo che sia Gesù? Chi è Gesù in se stesso? La mente corre al catechismo. Sì, ricordiamo che Gesù è il Figlio di Dio fatto uomo. Ma sappiamo noi bene che cosa ciò vuol significare?

    E inoltre: se Gesù è Dio fatto uomo, la meraviglia delle meraviglie, chi egli è per me? Che rapporto c'è tra me e lui? Devo occuparmi di lui? Lo incontro nel cammino della mia vita? È legato al mio destino? Non basta.

    Se io domandassi appunto agli uomini del tempo nostro: chi ritenete che sia Cristo Gesù? Come lo pensate? Ditemi: chi è il Signore? Chi è questo Gesù che noi andiamo predicando da tanti secoli e che riteniamo sia ancora più necessario della nostra stessa vita annunciarlo alle anime? Chi è Gesù? Alla domanda alcuni, molti, non rispondono, non sanno che dire .. Esiste come una nube - e questa sì, è opaca e pesante - di ignoranza che preme su tanti intelletti. Si ha una cognizione vaga del Cristo, non lo si conosce bene: si cerca, anzi, di respingerlo. Al punto che all'offerta del Signore di voler essere, per tutti, guida e maestro, si risponde di non averne bisogno, e si preferisce tenerlo lontano. Quante volte gli uomini respingono Gesù e non lo vogliono sui loro passi, lo temono più che identificarlo ed amarlo. Non vogliono che il Signore regni su di loro; cercano in ogni modo di allontanarlo. C'è persino chi urla contro Cristo: Via! E’ il grido blasfemo - alla croce! Lo vogliono come annullare e togliere dalla faccia della civiltà moderna; non c'è posto per Iddio, né per la religione; si affannano a cancellare il suo nome e la sua presenza.

    Tale è il contenuto di tutto questo laicismo sfrenato che, talvolta, incalza fino alle porte delle nostre chiese e che in tanti Paesi, ancor oggi, infierisce. Non si vuole più l'immagine di Cristo.

    Ma il triste fenomeno è degli altri. Noi che abbiamo questo grandissimo e dolcissimo nome da ripetere a noi stessi; noi che siamo fedeli; noi che crediamo in Cristo; noi sappiamo bene chi è? Sapremo dirgli una parola diretta ed esatta; chiamarlo veramente per nome; chiamarlo Maestro, Pastore; invocarlo quale luce dell'anima e ripetergli: tu sei il Salvatore? Sentire, cioè, che egli è necessario, e noi non possiamo fare a meno di lui; è la nostra fortuna, la nostra gioia e felicità, promessa e speranza; la nostra via, verità e vita? Riusciremo a dirlo bene, e completamente?

    Ecco il senso del racconto evangelico. Bisogna che gli occhi della nostra anima siano rischiarati, abbagliati da tanta luce e che la nostra anima prorompa nella esclamazione di Pietro: Come è bello stare davanti a te, o Signore, e conoscerti! Gesù ha due aspetti: quello ordinario, che il Vangelo presenta e la gente del tempo vedeva: un uomo vero. Ma, pur a guardarlo sotto questo aspetto umano, c'è qualche cosa, in lui, di singolare, unico, caratteristico, dolce, misterioso, al punto che ­come riferisce il Vangelo - coloro che hanno visto Gesù hanno dovuto confessare: nessuno è come lui; nessuno si è espresso mai nella sua maniera. E cioè, anche naturalmente parlando - ed è la testimonianza data da coloro stessi che hanno studiato Gesù cercando di negare ciò che egli è: il Figlio di Dio fatto uomo - tutti devono ammettere: è unico, non c'e alcuno, nella storia di questa nostra umanità, che possa veramente paragonarsi a lui per candore, purità, sapienza, carità, grandezza d'animo, eroismo, per capacità di arrivare ai cuori, per potenza sulle cose.

    Ora quanto io vedo con gli occhi, mi dà la definizione completa del Signore?

    I tre apostoli sono rimasti a fissare la visione ed hanno notato la trasparenza: nella persona di Gesù c'è un'altra vita, c'è un'altra natura oltre quella umana: la natura divina.

    Gesù è un tabernacolo in moto: è l'uomo che porta dentro di sé l'ampiezza del cielo; è il Figlio di Dio fatto uomo, è il miracolo che passa sui sentieri della nostra terra.

    Gesù è davvero l'unico, il buono, il santo. Se lo avessimo ad incontrare anche noi, se fossimo noi così privilegiati come Pietro, Giacomo e Giovanni!

    Orbene, questa fortuna l'avremo. Non sarà sensibile come nella trasfigurazione luminosa, che ha colpito la vista e la mente degli apostoli, ma la sua realtà sarà largita anche a noi.

    Occorre saper trasfigurare, mercè lo sguardo della fede, i segni con cui il Signore si presenta a noi; non per alimentare la nostra fantasia profilandoci un mito, un fantasma, un'immaginazione. No, ma per completare la realtà, il mistero, ciò che veramente è.

    Ripetiamo, con le parole di Pietro, che Gesù è il Figlio di Dio fatto uomo e lasciamo che tali parole si scolpiscono nelle nostre anime, credendo alla realtà ch'esse intendono trasfondere in noi e tutti sappiano che non si tratta d'un uomo che passa e si spegne: non di cosa esteriore, che poco interessa. Senta ognuno e ripeta: è la mia vita, è il mio destino, è la mia definizione, giacché anch'io sono cristiano, anch'io sono figlio di Dio La rivelazione di Gesù svela a me stesso ciò che io sono.

    È qui l'inizio della beatitudine, il destino soprannaturale, già ora inaugurato e attivo nel nostro essere. Accresciamo nei nostri cuori la fede in Gesù Cristo, meditando chi veramente egli è; e pensiamo che il suo volto splendente è il sole per le nostre anime. Dobbiamo sempre sentirci illuminati da lui, luce del mondo, nostra salvezza. (marzo 1965)

    Non resta che farsi riempire della gioia di Pietro, Giacomo e Giovanni, nei giorni immancabili in cui la vita è più vicina alla 'passione' che alla 'trasfigurazione', sapendo che il Padre permette dubbio e sofferenza, ma ci pone al fianco Suo Figlio, per sostenerci e confermarci nella via alla trasfigurazione in Cielo.

     

    Antonio Riboldi – Vescovo

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    Coordin.
    00 09/03/2012 08:16

    III Domenica di Quaresima (Anno B)

    La frusta di Gesù

     Il modo con cui Gesù si presenta o, se vogliamo, presenta la sua missione, è perentorio e non ammette tentennamenti.

    Da sempre il popolo ebreo attendeva 'la notizia delle notizie', ossia che il Messia fosse tra di loro e quindi Dio attuasse tutte le promesse fatte.

    'Il tempo è compiuto' annunciava Gesù, alle genti di Galilea che Lo seguivano, Lo ascoltavano, ma non riuscivano a capire il senso profondo del Suo essere il Messia. "Il regno di Dio è vicino. Convertitevi e credete al Vangelo".

    Certamente voleva dire: “E' finito il tempo di stare a discutere o a sperare: il tempo delle incertezze, del sentirsi avvolti da una pericolosa nebbia, il tempo di dubitare sull'agire di Dio, sul Suo Amore per noi. Oggi è il tempo della fiducia, della decisione, della scelta”.

    La buona novella che Dio costruisce giorno per giorno, uomo per uomo; il Suo progetto per noi è qui, in mezzo a noi, è Gesù stesso che parla ed opera.

    Lui è la Buona Novella che il mondo attendeva, l'unica, quella che il mondo mai ha avuto.

    Gesù è la concreta prova che l'amore di Dio non è certamente una parola, come tra noi poveri uomini, priva di senso, o, quando va bene, con tante promesse o sogni tutti da verificare.

    GESU' è la PAROLA di DIO, il Suo VANGELO.

    Scrive oggi S. Paolo ai Corinzi: "Fratelli mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo dei Giudei, stoltezza per i pagani, ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che greci, noi predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio. Perchè ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini e ciò che è debolezza d Dio, èpiù forte degli uomini" (Cor.1, 22-25)

    Deve aver fatto una certa impressione a quanti Lo udivano parlare in questo modo con autorevolezza e senza esitazione.

    Non era facile, come non lo è oggi, entrare nella bellezza divina della Parola di Gesù. Difficilmente le permettiamo di scuoterci e, a volte, la sentiamo, ma non la ascoltiamo davvero neppure quando viene proclamata la domenica. Eppure ogni Parola contiene la sapienza di Dio, che nulla ha a che fare con il vuoto che tante volte è nelle nostre parole.

    Gesù è venuto tra di noi e anche la Sua presenza oggi, non è un fatto insignificante, che ci può lasciare indifferenti. Lo può essere solo per chi nulla o poco sa della bellezza e verità della Sua parola, per chi non ha ancora fatto esperienza della Sua Presenza viva e reale nella propria vita. Penso invece a tanti fratelli nella fede, non solo monaci o religiosi o sacerdoti, ma laici cristiani. uomini e donne, giovani e anziani, che si lasciano affascinare ed educare dalla Sua Parola.

    Senza la luce che mi viene dalla Parola di Dio, - mi diceva un signore un giorno - io vivrei una vita da sbandato con tutte e inevitabili conseguenze amare'.

    E sono tanti coloro che percorrono le vie della vita in modo confuso, disorientato, senza sapere alla fine di una giornata la ragione del tempo che è trascorso, senza lasciare traccia che meriti di essere conservata, come il prezioso bagaglio delle parole che hanno senso o della testimonianza che lascia una traccia da seguire sempre.

    Carissimi, penso davvero che a volte ci perdiamo in troppe parole, che sono solo chiacchiere.

    Non bastassero le nostre, ci pensano i mezzi di comunicazione a riempire ogni briciola di tempo, lasciandoci alla fine con l'amarezza nel cuore. Davvero abbiamo sete di parole buone e di comunicarle, come ci invita S. Paolo oggi nella lettera ai Corinzi.

    Quanti di noi a volte sognano un poco di silenzio, tanto è lo stordimento che ci circonda, spesso sopraffatti da avvenimenti che altro non fanno che aumentare le nostre angosce.

    Abbiamo bisogno di sperimentare quel silenzio che dà modo, per chi ha ancora voglia di Cielo, di sentire la compagnia di Dio, che usa di tutto per donarci verità e serenità.

    Potrebbe veramente, questo tempo di Quaresima, invitare tutti a cercare spazi di silenzio, riempiti dalla Parola di Dio, che infonde nella mente e nel cuore pensieri di verità e sentimenti di bellezza e bontà.

    Il Vangelo di oggi, ci mostra Gesù indignato nel vedere come la casa di Dio, il tempio, anziché essere un luogo di preghiera, di ascolto del Padre, fosse diventata, per i mercati che vi si svolgevano, 'piazza di interessi materiali' .

    Un vero schiaffo ai luoghi di Dio che chiedono rispetto e gioia, sapendo che lì ci attende il Padre per farci sentire la Sua voce e riempirci di speranza.

    C'erano una volta chiese aperte tutto il giorno, per dare modo a quanti, passando vicino, volessero trovare tempo e modo di stare con Dio. E non è forse il dono più bello? Non è forse un meraviglioso dono trascorrere anche solo un pò di tempo in una chiesa per contemplare o dialogare con Dio?

    Se ci riflettiamo bene, non è forse questo un dono stupendo che Dio ha fatto a noi, creando le chiese, i luoghi dell'incontro con Lui?

    Chi ha conservato la gioia del silenzio e comprende il grande dono di stare con Dio, anche in silenzio, sa che nulla, ma proprio nulla, ha paragone. Per questo fa tanta tristezza, oggi, scoprire che le chiese, per paura di ladri o altro, sono chiuse per la gran parte della giornata.

    Ricordo un dialogo, a cui ho assistito, tra due persone, che discutevano animatamente proprio riguardo alla visita al SS. mo Sacramento: una era quasi scandalizzata nel sapere che l'altra trovava serenità nello stare per un certo tempo ogni giorno a tu per tu con Dio.

    Come invece non provare grande stupore di fronte a questo grande dono fatto a noi uomini: la disponibilità di Dio di stare in mezzo a noi, a portata di mano, attendendoci con la gioia del Padre che ama stare in compagnia del figlio. Sa che il figlio, noi, ha tanto bisogno di Lui, anche e soprattutto quando non ne è consapevole.

    E Lui ha tanto desiderio di farsi vicino, portare quella serenità che è la sola aria, che fa respirare la nostra anima.

    Dovrebbe essere sentita, da noi cristiani, come una necessità, quella di avere una chiesa dove sappiamo che Gesù nel tabernacolo ci attende, ci è vicino e ama essere visitato.

    Da qui l'origine delle chiese nel mondo.

    Ed è sotto gli occhi di tutti come i nostri fratelli nella fede hanno costruito chiese che sono vere opere d'arte per la loro bellezza. A Dio era doveroso costruire una dimora dove stare con noi.

    Ma non sempre viene capito questo grandioso dono di Dio 'a portata di mano': la Chiesa come luogo, meravigliosa casa del Padre che ci attende.

    Troppe chiese rimangono chiuse di giorno e sono aperte solo per le cerimonie.

    Purtroppo qualche volta manca anche il senso della solennità, sacralità, frutti della fede, e, in alcuni casi, diventano davvero un mercato, come durante i matrimoni o altro.

    Per questo Gesù oggi si indigna vedendo il tempio di Gerusalemme usato per altro.

    "In quel tempo - racconta l'apostolo Giovanni - si avvicinava la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe, e i cambiavalute seduti al banco. Fatta allora una sferza di cordicelle, scacciò tutti fuori dal tempio con le pecore e i buoi, gettò a terra il denaro dei cambiavalute e ne rovesciò i banchi, e ai venditori di colombe disse: 'Portate via queste cose, e non fate della casa del Padre mio, un luogo di mercato'.

    I discepoli si ricordarono che sta scritto: "Lo zelo per la tua casa mi divora". ( Gv. 2,13-25) Onoriamo le nostre chiese e siano davvero la casa meravigliosa per incontrare, con i fratelli, Dio. Sono questi sentimenti che dovrebbero accompagnarci frequentando le Chiese.

    C'era un tempo, e ancora oggi, in cui i nostri fratelli costruivano le Chiesa facendone dei capolavori, che sono un vero gioiello di arte e cultura.

    Ma non scordiamoci mai che la bellezza è nell' essere luoghi in cui possiamo incontrare il nostro Dio, realmente Presente nell'Eucarestia.

    Solo con il desiderio di tale incontro noi davvero onoriamo le nostre chiese.

    Infine non dimentichiamo anche come il Concilio ha definito la famiglia: 'chiesa domestica'.

    E, per grazia di Dio, vi sono ancora oggi tante famiglie che danno davvero l'impressione di essere un angolo di chiesa, per la fede che vi regna.

    Visitando una casa di persone semplici, ho trovato una scritta sulla porta, che mi ha stupito: 'Benvenuti in questa casa! Vi sentirete come in una Chiesa perchè qui, con noi, vive Dio'.

    Era una casa sobria in tutto, ma vi erano tutti gli ingredienti per essere Regno di Dio.

    "Vede, Padre - mi disse il capo famiglia - ci fu un tempo in cui anche noi credevamo alla casa del mondo: vivevamo solo con il desiderio di diventare ricchi. E vi eravamo riusciti in qualche modo. Cercavamo di stare bene .. finché non ci raggiunse la Grazia. Ci convertimmo e ora viviamo come gente che si prepara per essere degni di fare parte della Sua Casa. Ci raggiunse la Parola di Dio e ci siamo convertiti .. La grande fatica è stata quella di voltare le spalle alla mentalità del mondo che impedisce di desiderare la bellezza della Casa del Padre. Ora abbiamo la voglia di dare la nostra mano a qualcuno che desidera di amare ed essere amato, e insieme sulle ali della speranza indirizzare i passi verso il cielo".

    Per fortuna sono tanti, ancora oggi, i cristiani che conservano gelosamente la loro casa come fosse una chiesa in cui regna Dio.

    Non resta che anche noi riportare nelle nostre famiglie il dono di essere 'Chiesa domestica'. Sarebbe davvero il miracolo pasquale.

     Antonio Riboldi – Vescovo

    [Modificato da Coordin. 09/03/2012 08:18]
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    Coordin.
    00 16/03/2012 20:15

    V Domenica di Quaresima (Anno B)

     

    Le braccia aperte del Padre, sempre

     

     

    Qualche volta, incontrando la gente, ci si rende conto quanto sia difficile per noi povere creature accettare e, ancor più, vivere la legge del perdono. Siamo in una società in cui ogni giorno, ovunque, a cominciare dall'interno delle famiglie, ai singoli cittadini, fino ai rapporti tra gli Stati, nascono motivi di screzio e, senza mai valutarne le conseguenze tragiche, si pensa di risolvere i problemi con la violenza, fino alla guerra.

    Fa davvero impressione come in tutto il mondo ci siano armi modernissime, a cominciare dai micidiali caccia da guerra, alle bombe atomiche, pronte a distruggere lo stesso nostro pianeta.

    E' vero che, consce di questi rischi, tante nazioni cercano le vie del compromesso nelle varie questioni, ed è un vero bene, ma si rimane comunque sempre con il fiato sospeso. Non si è più Sicuri.

    Ma fa ancor più impressione constatare come, ormai troppo spesso, per uno sbaglio umano, una parola detta fuori posto, un errore magari comprensibile, si generino reazioni incontrollate, per la tanta voglia di vendicarsi ... come se la vendetta fosse la soluzione giusta e non allarghi invece il campo dell'odio e delle tragedie ed atrocità.

    Non sappiamo 'leggere' le tante storie umane, in cui la violenza quotidiana provoca solo distruzione e morte, come del resto abbiamo rimosso i ricordi di guerre, neppure troppo lontane, che distrussero uomini e cose, obbligando poi a ricominciare da capo tutto.

    Con la violenza o il litigio prolungato non si risolve nulla. Solo la pace è la medicina per tutto.

    E la lezione viene proprio da Dio. Lo offendiamo tante volte, senza neppure pensarci, ma da Lui non arriva nessuna vendetta o castigo. Accetta tutto, anche la morte, per salvarci.

    Pensiamo a Gesù che, sulla croce, dopo averci fatto dono della Sua presenza meravigliosa tra di noi, dopo avere seminato un incredibile bene a tanti malati e a tante anime, viene ripagato con la morte in croce. Su quella croce c'era Dio che aveva scelto di insegnare a noi il perdono, non facendo pagare a noi le nostre cattiverie, ma redimendole e trasformandole in amore quando alla fine proprio dalla croce dirà: "Padre, perdona loro non sanno quello che fanno".Incredibile.

    Davanti a questo esempio di Dio, che non si vendica assolutamente del male ricevuto, ma dà la vita per farci conoscere la bellezza del perdono, ci sentiamo davvero 'piccola miseria' davanti a Lui e anche tra di noi, assistendo come per poco cancelliamo il dovere di amare e creiamo solchi di rifiuto ed odio, per offese ricevute o anche solo per pregiudizi coltivati o sensazioni non controllate. Troppo spesso non è davvero nostra abitudine saper mettere alle spalle il male che si riceve, per fare strada al perdono. Capita alle volte che noi sacerdoti, a chi si accosta al sacramento del perdono, la confessione, poniamo una domanda: 'E' davvero in pace con tutti, o qualcuno è 'fuori dal suo amore e altri sentimenti vi hanno preso il suo posto?'. Sappiamo tutti, o dovremmo almeno saperlo, che senza un animo in pace, non ci è permesso di accostarci alla Santa Comunione. Essere in comunione con Dio richiede essere in comunione con i fratelli. Ecco perché a volte nelle confessioni è bene chiedere ai penitenti se vi è qualche dissidio non perdonato.

    Ricordo una volta fui costretto a negare il perdono ad una persona che si era accostata al sacramento della riconciliazione, perchè non volle assolutamente perdonare chi l'aveva offeso.

    La reazione fu terribile, da coinvolgere i fedeli presenti nello scandalo.

    E' difficile dire "non posso darle l'assoluzione', perché neppure Dio la può perdonare: 'Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori' preghiamo nel Padre nostro.

    Il sacerdote non può negare la Parola e, anche se è difficile, deve aiutare il penitente a camminare nella verità, perché non accada che chi non accetta di perdonare si permetta di accostarsi alla Comunione.

    Come è possibile comunicarsi con Chi ama, perdona, si dà tutto, senza seguirne l'esempio?

    Dice S. Paolo oggi scrivendo agli Efesini: "Fratelli, Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati; da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo; per grazia infatti siete stati salvati. Con Lui infatti ci ha resuscitati e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà, verso di noi in Cristo Gesù" (Ef. 2, 4-10)

    Questo tempo di Quaresima, che ci avvicina sempre di più alla Pasqua, ci invita a considerare il grande dono della conversione e della riconciliazione. Una riconciliazione tramite il sacramento, che ci fa conoscere quale bene sia essere in pace con Dio e con tutti.

    Dovremmo ringraziare davvero Dio, che, offeso dai nostri peccati, ci mette a disposizione la sua grazia del perdono. Credo sia difficile e insopportabile, per chi ha ancora conservato la voce della coscienza, che è la voce di Dio che ci avverte sul nostro stato di salute, vivere sapendo che con il peccato si è, come il figlio prodigo della parabola, lasciata la casa di Dio per i capricci del mondo. Sappiamo tutti come ci si sente, se rientriamo in noi stessi (ed è una grande grazia) come si viva male nel mondo, lontano dalla casa del Padre. Si ha l'impressione in un primo tempo di sentirsi finalmente liberi da tutto e da tutti, 'liberi dai doveri di amore', ma lentamente si avverte come il mondo non possa assolutamente farci conoscere un briciolo di quella gioia che vi è nel vivere in grazia. Si comincia a sperimentare inquietudine, insofferenza, un malessere interiore che a volte sfocia nella nausea, nel non senso verso tutto ciò che ci accade.

    Ma sappiamo per fede che desiderare di 'tornare a Casa' è una grande Grazia: è l'inizio di un nuovo cammino di speranza, un sentirsi lentamente rinascere.

    Forse è un discorso, questo della misericordia, che trova troppo poco posto tra tanta gente.

    Ricordo che al tempo dei terroristi, venni per caso invitato a visitare questi fratelli nelle carceri. Mi faceva 'strada' una cara sorella, Suor Tersilla che era davvero uno sprazzo di luce per i detenuti, e con Padre Bachelet, che aveva avuto il fratello ucciso dalle brigate rosse. Aveva saputo superare ogni odio e aveva scelto di visitare proprio chi aveva ucciso, come segno di perdono. La loro visita era sempre una festa per i terroristi. La presenza della Chiesa era un segno tangibile che nel cuore di Dio c'era posto per loro, nonostante tutto, sempre che si riconciliassero con Lui.

    Fu un gesto che non fu accettato da tanti, che preferiscono il castigo all'amore. Ed era facile incontrare nelle piazze chi disapprovava. Tanto che un giorno, partecipando con due confratelli, Mons. Magrassi e il vescovo di Novara, chiesi che fare, tanto ero bombardato da critiche. La risposta di Mons. Magrassi fu netta: "Tu in questo momento sei come una punta che tenta di bucare l'indifferenza, o peggio, verso chi ha sbagliato; un buco attraverso cui può passare il giusto sentimento dei cristiani veri, ossia l'amore nonostante tutto e ridonare la speranza che deve nascere dalla nostra presenza fraterna. Se va bene - mi diceva - e riesci a sfondare, poi la via della misericordia diverrà la strada della speranza. Ma se la punta si spezza la pagherai".

    E le sue parole si avverarono. Quel buco divenne la strada del volontariato nelle carceri, la strada della speranza che è voglia di aiutare a far sbocciare nuovamente la bellezza della vita, per ogni essere umano, tanto più se ha sbagliato.

     

    FESTA DI S. GIUSEPPE.

    Una delle feste che tutti amiamo è quella di S. Giuseppe.

    "La festa di oggi, affermava Paolo VI, ci invita alla meditazione su San Giuseppe, il padre legale e putativo di Gesù, nostro Signore ... S. Giuseppe è il tipo del Vangelo che Gesù, lasciata la piccola dimora di Nazareth, annuncerà come programma per la redenzione della umanità. S. Giuseppe è il modello degli umili che il cristianesimo solleva ad alti destini; è la prova che per essere buoni e veri seguaci di Gesù, non occorrono grandi cose, ma si richiedono solo virtù umane, semplici, vere ed autentiche ... Esempio per noi, Giuseppe! Cerchiamo di imitarlo? Inoltre la Chiesa lo invoca per un profondo desiderio di rinverdire la sua esistenza di Virtù evangeliche quali in Giuseppe rifulgono, ed infine protettore lo vuole la Chiesa per l'incrollabile fiducia che, colui al quale Cristo volle affidare la sua fragile infanzia umana, vorrà continuare dal cielo la sua missione tutelare a guida e difesa del corpo mistico di Cristo, sempre debole, sempre insidiato, sempre drammaticamente pericolante" (19.3.1969)

    Preghiamo Giuseppe e la Sacra Famiglia con la breve, ma efficace preghiera:

    Gesù, Giuseppe e Maria vi dono il cuore e l'anima mia. Gesù, Giuseppe e Maria assistetemi nell'ultima agonia. Gesù, Giuseppe e Maria spiri in pace con voi l'anima mia.

     

    Antonio Riboldi – Vescovo

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    Coordin.
    00 23/03/2012 15:45

    V Domenica di Quaresima (Anno B)

     

    Giorni che esigono riflessione

     

     

    Fin dall'inizio, nella Chiesa vi è stata la consuetudine, in questa domenica così vicina alla Pasqua, di contemplare, nel loro tragico sviluppo, i giorni del dolore, che si fa dono, per creare spazi di gioia negli uomini, proiettandoli nella realtà della resurrezione pasquale.

    Davvero si rimane sbalorditi, se si riflette sul serio e si è disposti a seguire Gesù con tutto il cuore e la vita, pensando alla Sua passione, morte e resurrezione, che ha ridato nuova speranza alla storia di Dio con l'uomo. La Resurrezione è l'azione di Dio che, dopo aver cancellato tutto il male di noi uomini - e a che prezzo! - ci fa dono di rinascere a quella vita nuova che da sempre aveva pensato per noi, prima del peccato originale dei nostri progenitori.

    E', questo, non solo il sogno di un Dio che ci ama tanto, ma è il Suo dono concreto, sempre che facciamo della vita un atto libero di amore a Lui, come era nell'intenzione del Padre, creandoci.

    A rifletterci bene, c'è davvero da impazzire di gioia, pensando quanto Dio ci ama e quanto sia disposto a donarci per averci vicino a Sè!

    Ma chi siamo perchè Dio ci voglia tanto bene?

    Dovrebbe, questo pensiero, invitarci a fare di questa Quaresima, il tempo del ritorno ad essere veramente degni figli del Padre.

    Ma saremo capaci di cogliere questo immenso bene che ci viene offerto ancora una volta in questa Quaresima che ci accosta alla Pasqua di Resurrezione?

    C'è nell'aria un assuefarsi alla normalità di una vita che confessa il vuoto di un'esistenza senza la presenza del Padre, che vorrebbe, con la Sua Pasqua - giorno veramente offerto per lasciare alle spalle le conseguenze del peccato originale - farci nuovamente respirare la dolce aria del Paradiso, per cui Lui ci ha creati ..

    Se osserviamo la vita di tanti, troppo spesso dobbiamo ammettere che ci troviamo di fronte a cristiani che vivono alla giornata, accontentandosi di ciò che offre la 'terra', che, se va bene, a volte concede qualche soddisfazione, ma nulla che abbia a che vedere con la pienezza di chi vive la santità, ieri e oggi.

    Occorre davvero che ciascuno di noi, in questi giorni di 'passione di Gesù', il più grande Dono, l'amore di Dio trovi posto nel nostro quotidiano .... anche se è difficile, confusi come siamo dal chiasso del mondo e delle sua vanità.

    Inutile sognare un mondo di pace, di bontà, di serenità, senza entrare nello Spirito di Dio che ci trasforma. E' in fondo il vero ed unico modo di vivere questo tempo di 'passione', se vogliamo conoscerne il dono e accoglierlo.

    Ci indica la strada per una conversione o se volete per una 'nostra partecipazione' profonda e vitale alla Pasqua, il Vangelo di oggi:

    "In quel tempo - racconta Giovanni l'evangelista - tra quelli che erano saliti, per il culto durante la festa, c'erano anche alcuni Greci. Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsaida di Galilea, e gli chiesero: 'Signore, vogliamo vedere Gesù'. Filippo andò a dirlo ad Andrea e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. Gesù rispose: 'E' giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo. In verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuole servire mi segua e là dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà. Ora l'anima mia è turbata: e che devo dire? Padre salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora. Padre glorifica il Tuo Nome'. Venne allora dal cielo una voce: 'L'ho glorificato e sempre lo glorificherò'. Questa voce non è venuta per me, ma per voi. Ora è il giudizio di questo mondo. Ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori, Io quando sarò elevato da questa terra, attirerò altri a me. Questo diceva di quale morte doveva morire” (Gv. 12,20-33)

    Un discorso duro che è il prezzo della nostra possibile santità. "Chi mi ama, - dice Gesù - perderà la sua vita, e chi odia la propria vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna"

    Un discorso davvero esigente, ma necessario, che ci fa intravedere come ciascuno di noi, che vuole seguire Cristo, dovrà portare la sua croce, seguendo le orme del Maestro.

    Sono tante le croci che si affacciano nella vita, in ogni ambiente.

    Basta guardare il mondo che ci circonda e sembra davvero una selva di croci.

    Tutti hanno da raccontare le proprie, e tutte hanno la loro ragione nella precarietà della vita qui in terra, ma hanno anche il pregio di essere la via della nostra santificazione, se accolte come prova del nostro amore a Dio.

    Vi sono poi le croci che l'uomo si crea con le sue stesse mani.

    Difficile contarle oggi: più facile contare le stelle in cielo, ma con la differenza che queste fanno sognare, quelle croci a volte fanno morire.

    Vi sono le croci dei ricchi, che tanti cercano affannosamente o insensatamente costruiscono, come si trattasse di troni: troni invece di solitudine, costruiti spesso sull'ingiustizia, tragici pesi da portare. Non hanno conosciuto il vero trono: la croce di Cristo, offerto per tutti.

    Ci sono tante, troppe croci dei tossicodipendenti, prigionieri del loro vizio: croci da cui non riescono a scendere, se non con una grande fatica che è 'resurrezione' alla vera vita senza droghe.

    Ci sono poi le ruvide croci dei condannati alla fame, alla miseria, alla disoccupazione.

    Sono drammatiche croci che hanno l'età dell'egoismo dell'uomo: di pochi contro molti, di chi ha troppo contro chi ha nulla. Sono croci di ingiustizia, create dalla mancanza di solidarietà dell'uomo verso il proprio fratello ... e sono tante.

    Non è più necessario guardare all'Africa, ormai basta guardarci attorno, anche tra di noi.

    Sono le infinite croci, inventate cinicamente dall'egoismo di chi vuole apparire umanamente potente, di una potenza terribile, basata sull'accaparramento della ricchezza, un'insana ricchezza che, senza pudore, viene considerata 'fortuna' o 'progresso e civiltà', quando è invece spesso una vergogna, uno schiaffo alla carità, un non così tanto mascherato sopruso, un'indifferenza, che nulla ha di umano, verso le tante necessità degli uomini, nostri fratelli.

    Forse perchè non si è compresa l'umiltà di Cristo, che sulla croce vive il'perdere la propria vita' con la più totale povertà, che è il grande e meraviglioso prezzo per rendere la vita un meraviglioso dono agli uomini: 'Chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna'

    E ci sono poi le croci quotidiane, che camminano con ogni vita, come le malattie, la fatica del lavoro, la passione della famiglia, le difficoltà di ogni genere: realtà 'feriali' che altro non sono che schegge più o meno gravi di quella croce quotidiana che segna la nostra esistenza, ma possono diventare sprazzi di luce se accolte e vissute con Cristo, in Cristo e per Cristo.

    E' proprio grazie alla Croce di Gesù, questo 'sì' al Padre, uscito dal Suo Cuore, che ogni uomo può conoscere il senso della propria stessa croce: trono della nostra gloria con Dio.

    La croce di Cristo è proprio la testimonianza dell' Amore di un Dio che vuole salvarci, percorrendo Lui stesso il sentiero del Calvario.

    Chi può evitare di percorrere nella sua vita questo 'sentiero'?

    E' un sentiero che si cerca di ignorare, ma si disegna come un'ombra, che, solo se vogliamo, può essere illuminata da Cristo, che ci precede e segna la strada.

    Tutti abbiamo la nostra croce, ma non tutti sappiamo scorgere in lei la via dell'amore che si fa dono e misura di amore.

    Occorre davvero voler ritornare alla scuola di Gesù, seguendo i Suoi passi e i Suoi insegnamenti, via sicura per tanti veri credenti, santi.

    UN GRANDE GRAZIE A MARIA SS. MA

    Lunedì, 26 marzo, la Chiesa celebra il grande evento dell'Annunciazione dell'Angelo a Maria, scelta dal Padre ad essere Madre del Suo Figlio prediletto, Gesù, per opera dello Spirito Santo. Maria, fanciulla di Nazareth, aveva progettato la sua vita come sposa di Giuseppe.

    Ma Dio interviene a cambiare le carte e la invita a essere Madre di Dio, dando così inizio ad una storia nuova, che porrà fine a quell'esilio dal Cielo dopo il peccato originale.

    Maria, immacolata, è chiamata a cambiare la nostra storia, consentendoci di ritornare ad essere in pienezza figli di Dio, con il suo 'sì' al concepimento di Gesù.

    Comprendiamo il turbamento di Maria, ma quanto è preziosa la sua libera risposta: 'Si compia in me la tua volontà' ... ha letteralmente cambiato la nostra storia.

    La Chiesa ricorda questo divino evento, recitando ogni giorno l'Angelus Domini.

    Difficile anche solo capire il grande amore di Dio che ci rivuole figli, donandoci Maria come Madre.

    Guardando a Lei, la nostra vita dovrebbe essere una continua, vigile, amorosa ricerca di Dio, che ci manifesta la Sua volontà, giorno dopo giorno, per poi imitarla nel pronunciare con docilità e amore: 'Si compia la Tua volontà '.

    E' davvero, l'Annunciazione, la festa che ci deve ricordare l'amore del Padre e il nostro dovere di dirGli sempre GRAZIE, attraverso Maria.

     

    Antonio Riboldi – Vescovo

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    Coordin.
    00 31/03/2012 10:53
    Domenica delle Palme (Anno B)

    Domenica delle Palme

    Ci volle un gran coraggio - che è la natura dell'amore - da parte di Gesù per entrare in Gerusalemme quel giorno delle Palme. Lui sapeva molto bene e lo avevano avvertito i suoi, gli Apostoli, che il vaso dell'odio e della volontà di toglierLo di mezzo, in coloro che Gesù, disturbava, perchè addirittura metteva in crisi la religione dei padri come da loro era interpretata e insegnata, ormai traboccava. Non si sapeva come questo odio potesse esplodere, ma gli Apostoli percepivano che questa volta poteva succedere qualcosa di tragico; certo non immaginavano neppure che sarebbe finita, come poi accadrà, con l'arresto, la passione e la morte in croce del loro amato Maestro. Eppure Gesù li aveva preparati alla Sua fine.

    Aveva detto che Lui un giorno sarebbe salito a Gerusalemme e lì gli scribi e i farisei - ossia quei custodi della legge che Gesù non esitava a definire 'ipocriti' per il fatto che erano esigenti nel pretendere l'osservanza della legge, che trasgredivano con facilità, 'nascondendosi' dietro un'immagine di un Dio padrone e non il vero Dio d'Israele, che sempre è stato per il Suo popolo un Padre premuroso - innocente, Lo avrebbero fatto arrestare, flagellare e condannare a morte, con la sola colpa di essere la VERITA' e l'AMORE.

    Più volte Gesù aveva affermato che sarebbe stato arrestato e messo a morte, ma che poi il terzo giorno sarebbe risorto, e, con la sua morte e resurrezione, avrebbe aperto a tutti la possibilità della resurrezione, la nostra resurrezione!

    Chissà con quanta tristezza nel cuore Gesù andava con il suo pensiero alla sorte che gli sarebbe toccata. E fa una grande impressione, al solo leggere il Vangelo, pensare a Gesù che nella notte del Giovedì, dopo avere celebrato la Pasqua con i suoi, si ritira solo nel Getsemani a pregare, chiedendo la compagnia dei tre diletti apostoli: Pietro, Giacomo e Giovanni.

    Quante volte, anche noi, nel momento del dolore e della prova, ci sentiamo come Gesù che suda sangue e cerca la compagnia e il sostegno degli amici, che erano a due passi da Lui.

    Ma li trova addormentati. Era davvero solo a soffrire: una sofferenza che, sapendo quello che Lo attendeva, gli fa dire: 'Padre, se è possibile, passi da me questo calice '.

    Una preghiera che, se fosse stata accolta dal Padre, avrebbe annullato la nostra possibilità di partecipare alla resurrezione.

    Ma Gesù è l'Amore, un Amore che non conosce confini e limiti, ecco dunque la sua consapevole scelta e decisione, come uomo e come Dio: 'ma si compia in me la tua volontà".

    Suscita tanta tristezza il racconto di Gesù che cerca conforto negli apostoli, che aveva scelto, con cui aveva condiviso tutto, volendoli in quel sublime momento vicino a Sé, e ... li trova addormentati! Sono scene che richiamano tante volte la nostra storia nel dolore.

    Quante volte cerchiamo compagnia e conforto e troviamo solitudine! E, ancor peggio, quante volte siamo 'addormentati' di fronte alle richieste di aiuto di chi è nel dolore!!

    Quanti insegnamenti ci offre Gesù per la nostra vita, quando soffriamo o quando dovremmo essere un sostegno per chi soffre.

    Ma Gesù conosce la nostra debolezza e non si scandalizza. Infatti solo qualche giorno prima della Sua Passione, si era abbandonato all'amore espresso da chi lo accoglieva portando le palme.

    Oggi, ricordiamo quel momento di festa, in cui prevalse in tutti un senso o una voglia di pace.

    E' bello anche per noi metterci al seguito di Gesù nel solenne ingresso in Gerusalemme.

    Così lo racconta Marco:

    "Quando si avvicinarono a Gerusalemme, verso Betfage e Betania, presso il Monte degli Ulivi, Gesù mandò due dei suoi discepoli e disse: 'Andate nel villaggio, che vi sta di fronte, e subito entrando in esso troverete un asinello legato, sul quale mai nessuno è salito. Scioglietelo e conducetelo. E se qualcuno vi dirà: 'Perché fate questo?' rispondete: 'Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito'.

    Andarono e trovarono un asinello legato vicino a una porta, fuori sulla strada e lo sciolsero.

    E alcuni dei presenti però dissero loro: 'Perché fate questo?'. Risposero: 'Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito' e li lasciarono fare.

    Essi condussero l'asinello da Gesù e vi gettarono sopra i loro mantelli ed Egli vi montò sopra.

    E molti stendevano i propri mantelli sulla strada ed altri delle fronde che avevano tagliate dai campi. Quelli poi che andavano innanzi e venivano dietro, gridavano: 'Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli! '. (Mc. 11, 1-10)

    E' stato davvero un atto di gioia e coraggio quello di Gesù, osannato da gente semplice che vedeva in Lui il Messia che suscitava tanta speranza: una speranza che non ha le sue basi nella pomposità degli uomini, che amano esibirsi, ma nella semplicità che ha radici nella povertà di spirito.

    Sono davvero gli umili, la gente semplice, quella che, anche oggi, 'vede' oltre le apparenze e fa festa a Gesù, che è tra di noi.

    Entrare nella vita, cavalcando un asino e attorniato da gente modesta, non so se possiamo chiamarlo, secondo i nostri parametri moderni, un 'trionfo'. Noi siamo abituati ad altro ed è per questo che non riusciamo a scorgere ed accogliere la bellezza della Pasqua.

    Ma per i credenti ci si commuove oggi, celebrando la domenica delle Palme, anche solo tentando di intuire i sentimenti nel cuore di GESÙ, che, conoscendo le Scritture sul Servo sofferente, ben sapeva ciò che lo attendeva in settimana: non più la dolcezza e spontaneità dei 'piccoli', ma la furia dell'odio di altri che non Lo sopportavano.

    Il racconto della passione di Gesù, che la Chiesa ci offre oggi, in chi sa entrare nello spirito del Vangelo, ha sempre un effetto profondo nel suo cuore.

    Subito ci viene da identificarci con qualche personaggio che ha un ruolo, più o meno importante nella vicenda. Viene da chiederci "Io chi sono?". Forse Pietro che nel pericolo Lo rinnega? O Maria di Magdala che lo segue nella via del Calvario fin sotto la croce, condividendo dolore e umiliazione? O Pilato che si lava le mani per non avere fastidi, anche se questo suo non assumersi responsabilità, significa aprire la strada a ingiustizie e crimini? O forse, seppur in momenti diversi, un pò di ciascuno di loro vive in noi?

    Per questo, nonostante le nostre fragilità e le nostre infedeltà, siamo chiamati, come ogni uomo, ad accompagnare Gesù sul Calvario, per essere inondati dal fiume di misericordia che sgorga dal suo costato. Sarà questo lo spirito con cui vogliamo vivere in questa settimana Santa?

    Lo auguro di cuore a tutti per uscire 'nuovi', davvero risorti a vita nuova nella Pasqua.

    Auguri di una buona e santa Settimana!

    INVITO ALLA PARTECIPAZIONE, NELLA FEDE, AI RITI DELLA SETTIMANA SANTA.

    Chiamiamo, quella che precede la Pasqua, Settimana santa, perchè in essa non solo ricordiamo, ma siamo chiamati a partecipare alle stupende liturgie, in cui si compiono i Misteri che si celebrano. Partecipando alle varie celebrazioni, si ha come l'impressione di vedere all'opera l'amore di Dio, che, per associarci di nuovo alla Sua famiglia, 'si serve' del Figlio per farci persone nuove, degne di far parte della Loro stessa famiglia, compiendo atti che non sono un ricordo, ma memoria attuale e fondamenta della vita della Sua Chiesa.

    Non è concepibile per un fedele fermarsi al 'folklore' esterno, che tante volte circonda le varie liturgie. Basta pensare ai cosiddetti 'sepolcri', che si allestiscono, la sera del giovedì santo, o alle tante 'scenografie' della Via Crucis nella notte della Pasqua di Resurrezione.

    Sono simboli o rappresentazioni degli avvenimenti, ma occorre, nella fede, 'entrare e partecipare' alla grande Opera divina, al Mistero, che si compie.

    Non dobbiamo restare solo spettatori, ma diventare credenti, che vogliono farsi coinvolgere, con tutto il loro essere, dal Mistero di Amore che è la Pasqua di resurrezione di Cristo e nostra.

    GIOVEDÌ SANTO: in tutte le cattedrali delle diocesi al mattino i presbiteri celebrano la festa del sacerdozio, alla presenza e in comunione con il proprio vescovo.

    La S. Messa è detta del S. Crisma, perchè vengono benedetti e consacrati gli OLI SANTI.

    Alla sera vi è la solenne celebrazione Eucaristica, definita 'In Coena Domini', ossia 'nella Cena del Signore'. È la solennità della 'prima Comunione' della Chiesa, rappresentata dagli Apostoli, con il


    Corpo e Sangue di Gesù, donato per sempre quella sera. Una Cena che è la grande manifestazione di Dio che si fa Dono, Pane di Vita, per noi: 'Mistero grande della fede'.

    È qui che si misura quanto conta l'Eucarestia per noi: se poco o se tanto. Ognuno deve chiederselo. Durante la S. Messa vi è la lavanda dei piedi: da Gesù impariamo cosa voglia dire 'essere servi' del fratello, chinandosi con gioia per 'lavargli i piedi'. Non è dare cose, ma 'donare noi stessi', la nostra attenzione, il nostro ascolto, il nostro tempo, la nostra accoglienza ....

    Segue quindi l'esposizione del SS. mo Sacramento per l'adorazione, in quello che un tempo si chiamava 'sepolcro'.

    Al Gloria vengono 'legate' le campane che non suoneranno più fino alla Resurrezione.

    VENERDÌ SANTO: alle tre del pomeriggio si legge il Passio, quindi vi è il bacio della Croce, come atto di devozione ed amore e la S. Comunione. In tanti luoghi dopo si partecipa alla Via Crucis per le vie cittadine. Noi con chi siamo, il venerdì santo?

    Con Maria, Giovanni e le donne a ricordare in Chiesa la passione e baciare il Crocifisso, in attesa della speranza ... della resurrezione? O siamo vittime della paura, propria di chi fugge perché non trova più una ragione nella speranza e nel perdono? Ma, se così, dove possiamo andare?

    Oppure, Dio non voglia, siamo tra quelli che giocano la vita sull'egoismo, a cui non interessa più che Dio abbia fatto dono del Figlio, per permetterci di uscire dal sepolcro dei nostri peccati e tornare a conoscere la vera vita, senza avere consapevolezza che questa è la vera strada per crocifiggersi ... ma senza speranza?

    Non si può conoscere la bellezza della vita, se non si conosce l'amore e ..... Colui che è 1'Amore! SABATO SANTO: la Chiesa, in attesa della resurrezione 'tace'. Normalmente verso mezzanotte si celebra la Pasqua di Resurrezione, preceduta dalle letture che sono il racconto dell'amore di Dio verso di noi. Si accende il cero pasquale che sarà esposto come segno di Cristo, Luce del mondo. Fino al canto del Gloria e il rinnovato suono delle campane, espressione della gioia ritrovata per la Resurrezione del Maestro, anticipazione della nostra stessa resurrezione.

    SONO GIORNI CHE RACCONTANO, CELEBRANO E FANNO MEMORIA - CIOÈ ATTUALIZZANO - LA NOSTRA. SALVEZZA. È UN GRANDE ATTO DI FEDE E DI RINGRAZIAMENTO PARTECIPARE.

    Noi ci saremo?

    Invochiamo lo Spirito, che ci introduca nel cuore del Mistero della Settimana santa.

    Consentiamo a Dio, con fiducia nella Sua Misericordia, di operare nella nostra esistenza, donandoci la Sua pienezza di Vita eterna, oggi quaggiù e domani presso di Lui.

    Antonio Riboldi – Vescovo –
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