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COMMENTO AL VANGELO DI GIOVANNI

Ultimo Aggiornamento: 04/06/2019 15:05
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09/01/2012 21:40
 
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EPILOGO (21,1-23)

CAPITOLO VENTESIMO PRIMO
La terza apparizione di Gesù sul mare di Ti­berìade.

Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si mani­festò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tom­maso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli.

In questo epilogo vengono aggiunte le ultime disposizioni che Gesù diede in terra ai suoi discepoli, prima della sua ascensione al cielo con il suo corpo glorioso e risuscitato dai morti.

Siamo in Galilea, nei pressi del mare di Tiberiade. Si trovano insieme quella sera: Simon Pietro, Tommaso, Natanaèle, Giacomo e Giovanni e altri due discepoli di cui non si dice il nome. Sette discepoli in tutto.

Poiché non viene menzionato, il nome degli altri due ci è oscuro. Una ragione potrebbe essere questa: quando c’è un qualcosa importante che viene fatta, non è poi necessario che vengano citati tutti i presenti. Si citano coloro che in qualche modo servono a garantire la verità storica e poi tutto il resto si omette. Questo anche per liberare il credente in Gesù da quella preoccupazione di dover sempre e comunque riferire su tutti i presenti e citarli uno per uno. Sarebbe un lavoro inutile, oltre che peccato di vanità, per coloro che si sentono menzionati.

La menzione in eventi particolari deve essere ridotta all’essenziale, deve servire solo a rendere l’evento storico e l’evento è storico quando è attestato da alcuni testimoni. Una volta che si è reso il servizio alla storia, la storia lo potrà rendere alla fede, senza che la storia ne soffra; non così potrebbe dirsi per la fede, la quale se ingabbiata nelle cose umane e della terra, potrebbe perdere di essenzialità e smarrirsi per non più ritrovarsi nelle umane faccende e vicende della vita.

Disse loro Simon Pietro: « Io vado a pescare ». Gli dissero: « Veniamo anche noi con te ».

Simone quella sera decise di andare a pescare. Era un suo desiderio poter nuovamente gettare le reti nel grande lago di Genesaret.

Gli altri che erano con lui lo seguono spontaneamente, liberamente, senza che da parte di Pietro vi fosse una qualsiasi azione di violenza, né psicologica, né tanto meno con atti di forza.

Volendo leggere questo versetto alla luce dell’azione dell’uomo, ci sono diversi modi per convincere qualcuno a fare una determinata cosa. Il primo è senz’altro l’invito personale, o comunitario. C’è un qualcosa che si vuole fare insieme e non da soli e per questo si fanno degli inviti, si chiamano cioè altri uomini a fare ciò che noi stiamo per operare.

Altra modalità anch’essa vigente e più incisiva dell’invito è quella di manifestare la propria intenzione e di lasciare libera la volontà altrui perché da sola decida ciò che vuole fare.

Parlare attraverso l’esempio, il proprio convincimento, la propria decisione che si sta attuando e di certo si attuerà è il modo migliore per essere incisivi presso gli altri ed essere anche coinvolgenti.

Il mondo di oggi parla per decisione, per scelte personali, per esemplarità. Anche la missione della Chiesa deve essere operata secondo questa modalità, per attrazione. Questo avviene se c’è qualcuno forte, assai forte, capace di trasmettere questo impulso nuovo al mondo.

Quando invece non c’è questo impulso che è messo in atto da chi è deciso e forte nell’attuazione di una missione, quando non si opera per trascinamento, allora la missione soffre. Non dicendo nessuno con risolutezza che è pronto per andare a pescare, né lui né altri vi andranno mai; ognuno resterà con le mani in mano ed il mondo senza missionari.

I santi ci hanno lasciato questa modalità e questa loro forza. Essi hanno deciso e tanti altri li hanno seguiti. Senza che essi dicessero una sola parola, attraendo con il loro esempio e con la loro fermezza nell’attuazione della parola di Gesù.

Allora uscirono e salirono sulla barca; ma in quella notte non presero nulla.

Vanno a pescare, purtroppo in quella notte non prendono nulla. Poiché la pesca di Pietro e degli altri è simbolo della pesca che Pietro e gli altri dovranno fare nel mare del mondo, non si può andare a pescare nel proprio nome, o nel nome della propria parola.

Se questo dovesse accadere, e cioè che il missionario di sua spontanea volontà vada a pescare, coinvolgendo anche altri, ma non va perché inviato dal Padre e dove il Padre lo ha inviato, non va cioè nel nome di Gesù e con la sua benedizione, niente può essere pescato, niente può essere attratto verso la rete del Vangelo. Quando Gesù non è al principio e alla fine della nostra opera evangelizzatrice, quando lui non è il principio ispiratore della nostra missione, quando essa non è fatta nella sua benedizione, per un più grande rendimento di gloria al Padre suo che è nei cieli, la missione non dona frutti, vuoti siamo andati a pescare e vuoti siamo ritornati.

Quando si parla di vuoto si intende una cosa sola: non si parla dei risultati umani che potrebbero essere anche tanti, si parla solo di anime condotte nella rete del cielo e consegnate a Cristo, perché Gesù le consegni al Padre suo. Se un’anima attraverso la nostra predicazione non confessa che Gesù è il Signore e che la sua parola è Parola di vita eterna, l’unica parola di vita eterna, la nostra predicazione, la nostra missione è vuota, la nostra rete è vuota, il nostro lavoro è vuoto, vano, inutile per il cielo.

Quando già era l'alba Gesù si presentò sulla riva ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: « Figlioli, non avete nulla da mangiare?».

Gli apostoli avevano lavorato, non avevano preso nulla, erano senza il loro sostentamento quotidiano. Gesù viene sempre in aiuto all’uomo, per insegnargli che c’è una via che egli deve sempre percorrere se vuole trovarsi a suo agio, se vuole che il suo lavoro sia fruttuoso.

I discepoli non lo riconoscono. Non si accorgono che è lui. Eppure avrebbero dovuto accorgersene dal suo linguaggio, dalla sua parola dolce, piena di attenzione, ricca di tanto amore.

Gesù, infatti, chiamandoli figlioli, chiede loro se hanno qualcosa da mangiare. C’è un interessamento da parte di “quello sconosciuto” verso i discepoli del Signore, una particolare attenzione d’amore, che avrebbe dovuto porre un interrogativo al loro cuore. Quando si parla il linguaggio della carità, e dovunque questo linguaggio viene ascoltato, allora lì non c’è solamente un uomo, lì c’è qualcuno che sicuramente cammina con Dio, c’è qualcuno con il quale vi è anche Dio, perché solo Dio è amore. Ma questo è un discorso che spesso si fa a posteriori, perché nell’attimo in cui ci si trova di fronte, difficilmente si riesce a pensare sulla verità di chi ci sta dinanzi.

Gli risposero: « No ».

Alla domanda essi rispondono con un no, senza altro aggiungere. Viene chiesta una cosa e con sincerità si risponde. Loro non hanno nulla da mangiare.

Ci si potrebbe anche chiedere il significato misterico di questa domanda di Gesù e della risposta dei suoi discepoli. Ma in questo caso si potrebbe semplicemente dire che senza Gesù, senza la presenza di Gesù, in mezzo ai suoi discepoli, essi non avranno mai nulla da mangiare, si intende del cibo spirituale, poiché sarà sempre Gesù che dimora in loro e con loro, a fornire quanto è necessario per il sostentamento del loro spirito e della loro anima.

Si potrebbe anche dire che senza la presenza perenne di Gesù con i suoi discepoli, essi mai potranno sfamare il mondo, perché non hanno nulla da dare quanto a beni spirituali, potrebbe dare semplicemente qualche bene materiale, ma non per questo essi sono stati inviati nel mondo. Essi devono dare il pane della Parola e il Cibo Eucaristico, che è il Corpo e il Sangue di Gesù e se Gesù non è in loro, non agisce per mezzo di loro, se Gesù non è diventato il loro cibo spirituale, la loro acqua, il loro pane, il loro vino, come potranno essi dare il cibo al mondo? Devono necessariamente andare incontro a Gesù, perché Gesù sia il principio vitale della loro anima, del loro cuore, della loro mente.

Allora disse loro: « Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete ».

Viene dato ai discepoli un suggerimento. Voi non avete preso nulla, perché non avete gettato la rete dalla parte destra della barca; se ora la gettate dalla parte destra, troverete di sicuro.

Tutto questo racconto è misterioso. Misteriosa è la domanda di Gesù, misteriosa è anche questa via indicata loro per trovare di che sfamarsi, misteriosa e anche l’obbedienza e l’ascolto del consiglio dello “sconosciuto”.

Ancora una volta sorge la questione fondamentale. Perché i discepoli di Gesù intrattengono un dialogo con uno sconosciuto, con uno che si presenta mentre loro sono a pesca e per di più in una qualche difficoltà? Perché lo ascoltano, perché rispondono, perché gettano la rete proprio dalla parte destra secondo le sue indicazioni?

Potremmo subito rispondere che sono quei misteri del cuore umano che è insondabile ed imprevedibile. Ma questa sarebbe una risposta troppo umana, troppo razionale, troppo dal sapore di terra.

Chi scrive il Vangelo è Giovanni e se lui ha riservato il fatto della pesca miracolosa, che in altri vangeli è all’inizio dell’incontro di Gesù con il loro Maestro e Signore, sicuramente avrà un significato molto più arcano, più trascendente, più soprannaturale, anzi avrà un significato totalmente soprannaturale.

Quale esso sia, è difficile poterlo decifrare, a causa di questa relazione che finora è tra “uno sconosciuto” e i discepoli di Gesù. È chiaro, evidente che i discepoli non hanno riconosciuto che quell’uomo era Gesù. Questo è un dato essenziale. Altro dato essenziale è che tra lui e i discepoli di Gesù c’è un incontro da cuore a cuore, con quest’uomo si trovano, si intendono, dialogano, parlano, lo ascoltano.

Forse l’evangelista vorrà dirci che quando noi si sarà nel mondo, quando noi si andrà alla pesca di cuori e di anime, quando ci sarà la difficoltà del non aver niente pescato, del non aver niente da mangiare, non dobbiamo cadere in prostrazione, nell’angoscia e nell’ansia del cuore e dello spirito, perché il Signore manderà sempre qualcuno che di volta in volta suggerirà al nostro cuore una via d’uscita?

Forse vorrà insegnarci Giovanni che una volta che ci si è affidati al Maestro allora le cose umane non devono più riguardarci, non devono più essere intraprese da noi, perché a noi sicuramente non riusciranno, mentre riusciranno a coloro che sono per queste cose, che queste cose sanno fare bene e di fatto sanno come farle?

Forse vorrà dirci ancora che quando si andrà per il mondo allora non bisogna pensare che tutti siano cattivi, gente di cui diffidare, perché anche nello sconosciuto e nello straniero ci può essere un cuore capace di amare, anche se manca della perfezione dell’amore che solo loro potranno dare a condizione che non siano intenti a pescare, a fare il loro primitivo mestiere, mentre dovranno essere tutti sempre pronti a pescare uomini a Dio?

Forse vorrà anche dirci che nel dialogo con i discepoli, è lo sconosciuto a porre domande, a dare indicazioni, mentre essi sono muti dinanzi a lui eppure anche essi avevano una ricchezza nel cuore e di questa ricchezza nulla trapela perché per loro in quel momento non era questa la loro preoccupazione, quella di parlare dello loro esperienza con Gesù risorto che essi avevano visto e dal quale erano anche stati alitati con lo Spirito Santo e arricchiti con il potere di rimettere i peccati?

Una cosa è certa. Il racconto avrà sicuramente un significato misterico, che va oltre il semplice dialogo e il semplice incontro e il semplice consiglio di gettare la rete dalla parte destra.

La gettarono e non potevano più tirarla su per la gran quantità di pesci.

L’ascolto della parola dello sconosciuto opera il miracolo. La rete è ricolma di una gran quantità di grossi pesci.

Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: « È il Signore! ».

A questo momento il discepolo che Gesù amava dice a Pietro che quello sconosciuto altri non è che il Signore.

Lo sconosciuto è riconosciuto come il Signore per il fatto che la sua parola si compie, si avvera. Lui aveva detto di gettare la rete dalla parte destra della barca perché così avrebbero sicuramente trovato e così avviene. Dal compimento della Parola, il riconoscimento di Gesù.

Proviamo a spostare il ruolo dei soggetti che si trovano sul mare di Galilea in questo primo mattino di una notte passata in un lavoro vano. Il lavoro è sempre vano quando non sortisce gli effetti per il quale viene posto in essere.

Pensiamo che lo sconosciuto sia il discepolo di Gesù che deve presentarsi dinanzi al mondo. Quale sarà la metodologia più idonea perché lui sia creduto dal mondo, sia riconosciuto come un inviato di Dio?

Se questo è il pensiero che Giovanni racchiude nel racconto che si sta esaminando allora la metodologia è una sola. Bisogna entrare in dialogo con gli uomini con una parola che sia, prima, carica di dolce carità, di un amore intenso, di un interessamento per gli uomini, i quali sono affannati, delusi, stanchi, scarichi di ogni tensione spirituale, tutti intenti a ricolmare la nullità della loro opera che risulterà sempre incolmabile.

Una volta che ci sarà stato il dialogo ricco d’amore, è necessario che ci sia una parola che produca frutti e questa parola non può essere che quella di Gesù che essi dovranno far udire al mondo. Il mondo accoglierà la loro parola, se essi si sono resi credibili attraverso il loro amore, la loro misericordia, il loro interessamento alla vita reale, concreta, alle loro quotidiane difficoltà.

La parola che essi diranno e che il mondo ascolterà dovrà essere una parola potente, capace di sconvolgere la loro mente ed il loro cuore. Questa parola potente, la sola potente, è la parola di Gesù, la parola del Vangelo. Con questa parola i discepoli di Gesù dovranno presentarsi al mondo, se vorranno attrarlo a Gesù, se vorranno che qualcuno del mondo dica ad un altro del mondo: questi uomini non sono come noi, essi sono portatori di un mistero, un mistero di carità, un mistero di amore, un mistero di speranza. Essi possono toglierci dalla nostra nullità, la loro parola potrà finalmente ricolmare il nostro vuoto.

Simon Pietro appena udì che era il Signore, si cinse ai fianchi il camiciotto, poiché era spogliato, e si gettò in mare.

Pietro non vuole rimanere neppure un attimo lontano da Signore, vuole correre presso di lui. Lui Gesù lo amava e lo ama ed ora è venuto il tempo di manifestargli tutto il suo amore. Quell’attimo del tradimento deve scomparire dalla sua mente. Per questo egli si getta in mare, dopo essersi in qualche modo vestito, perché si era spogliato, al fine di poter lavorare meglio e senza eccessivo sudore.

Gli altri discepoli invece vennero con la barca, tra­scinando la rete piena di pesci: infatti non erano lon­tani da terra se non un centinaio di metri.

Gli altri discepoli invece pensano a portare barca e pesci a terra. Poiché la rete non era stata ancora tirata in barca, essa venne trascinata quasi fino a terra. Viene anche specificato che barca e reti erano quasi in prossimità della terra; si erano inoltrati nell’acqua solo un centinaio di metri.

Questa precisazione indica la potenza della parola dello sconosciuto, che è poi parola di Gesù. Essi neanche si inoltrarono nel lago, appena la rete fu gettata, essa subito si riempi di questa grande quantità di pesci.

Ancora una volta ci viene significato dall’Evangelista la potenza della parola con la quale bisogna che il discepolo del Signore si presenti nel mondo. Se è la potenza della Parola che agisce, che riempie la rete, non sarà più il lago o la quantità di acqua, o la distanza da terra, o la sua profondità, e neanche l’abbondanza di pesci che in essa si trovano, o l’assenza di essi.

Che il mare fosse senza pesci lo dimostra il fatto che essi lo hanno girato in lungo e in largo per tutta la notte senza prendere nulla, ritornano a terra con la rete vuota. Che sia la potenza della parola a riempire la rete lo manifesta il fatto che essi appena si erano inoltrati qualche metro per poter gettare comodamente la rete, subito la rete si è riempita, senza eccessivo lavoro.

Tutto diviene facile con l’annunzio della Parola del Vangelo e con la fede di chi questa parola propone; tutto diviene difficile, anzi inutile, senza l’annunzio della parola e senza la fede di chi la proclama. Questa è verità eterna che deve accompagnare il discepolo del Signore nella sua missione attraverso il mondo.

Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane.

Gesù insegna ai discepoli che la potenza della Parola può anche agire senza lago e senza rete e senza barca. Ma questa sarebbe vera e propria creazione. Questo solo Dio lo può fare. Ad essi non è stato conferito questo potere. Loro devono usare la barca, la rete, il lago, cioè devono compiere la loro missione ed il loro ministero sempre, poiché il bene spirituale dell’umanità, il gustare il cibo della vita e della grazia, deve sempre essere frutto anche del loro lavoro.

Questo deve essere motivo di perenne meditazione nel nostro cuore. A volte si vorrebbe la salvezza come un’opera creatrice di Dio, della sola sua onnipotenza, come il pesce sul fuoco che Gesù fa trovare ai suoi discepoli già pronto. Questo lo può fare lui e di fatto potrebbe anche farlo, secondo il suo imperscrutabile disegno d’amore. Ma a nessun uomo è data questa potestà, perché è solo potestà di Dio.

Al discepolo del Signore è data invece l’altra potestà che è quella di condurre il mondo a Dio attraverso il suo quotidiano lavoro, attraverso la sua giornaliera fatica, poiché l’apostolato deve essere vera e propria opera di salvezza. È questa un’opera insostituibile, che deve sempre aggiungersi all’opera diretta di Dio, che noi non sappiamo dove e quando la fa, non sappiamo neanche se la fa e perché la fa, sappiamo invece che sempre dobbiamo farla noi e per questo dobbiamo spingere la nostra barca in mare per gettare la rete.

Rinviare tutto su Dio, senza che noi portiamo a termine con coscienza e con responsabilità il mandato affidatoci, che è quello di gettare la rete in mare dalla parte destra, è grave peccato di omissione con la conseguente perdita di anime che mai potranno essere portate nella rete del cielo senza la nostra opera di annuncio della parola.

Disse loro Gesù: « Portate un po' del pesce che avete preso or ora ».

Sulla tavola del cielo devono esserci pesci pescati dagli apostoli del Signore e pesci che il Signore direttamente salva lui attraverso la sua grazia. Lui sa cosa fare e come farlo, anche noi dobbiamo sapere sempre cosa fare, come farlo, quando farlo.

Ci sono anime che Gesù ha affidato alla nostra opera e queste anime che il Padre ci ha consegnato noi dobbiamo portarle a Gesù. Quante anime il Signore ha affidato a ciascuno di noi? Esse non sono sicuramente poche, sono moltissime.

Allora Si­mon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci.

Il testo evangelico dice che le anime affidate alla Chiesa e che essa deve portare nella rete del paradiso sono tantissime, una grandissima quantità. Un numero straordinariamente elevato. Ora se tutte queste anime il Padre dei cieli le ha attratte alla Chiesa, può la Chiesa lasciarle perdere, a causa di teorie, di dottrine, di pensieri che tendono tutti a rilassare la sua opera missionaria, rinviando il tutto ad un intervento della sola potenza divina che salverebbe misteriosamente gli uomini, indipendentemente dall’opera missionaria dei discepoli di Gesù?

Questo è sicuramente un assurdo teologico, anzi un assurdo di fede; contraddice la stessa legge dell’incarnazione. È vero che per l’obbedienza di Gesù ogni anima è stata oggettivamente redenta, essa però non lo è soggettivamente e soggettivamente deve essere redenta dall’opera di obbedienza della Chiesa, che porta innanzi e prolunga nel tempo l’incarnazione del Verbo. La Chiesa è il prolungamento di Gesù, la sua perenne incarnazione mistica nei cuori.

Se non si entra in questa fede, che è poi fede nell’incarnazione di Gesù, la missione della Chiesa non si svolge e se non si svolge la rete resta vuota, resta vuoto il cielo. Questo deve essere perennemente chiaro allo spirito, al cuore, alla mente, all’anima di ogni discepolo di Gesù. Costui deve sempre sapere che c’è una straordinaria quantità di anime che è stata affidata alla sua opera evangelizzatrice e se lui non la compie, quelle anime rischiano di perdersi, di non entrare nel paradiso, a causa dell’omissione. Poiché questa omissione è peccato dinanzi a Dio, il missionario dovrà rendere conto al Signore di ogni anima che si perde. Ognuno morrà per il suo peccato; il missionario morrà anche per il peccato di quanti sono stati lontani da Dio, di quanti hanno disprezzato il Signore, lo hanno tradito ed abbandonato a causa della sua opera non svolta.

Ma questo dovrebbe essere già un dato acquisito dalla Chiesa, lo era già acquisito anche nell’Antico Testamento. Solo che l’uomo se ne dimentica e di volta in volta rispolvera la teoria della sola potenza di Dio che salva direttamente per i meriti di Gesù, liberandosi della propria responsabilità e dell’onere di essere un testimone di Gesù nel mondo. Anche questa è storia triste della menzogna satanica che mai smette di inocularsi nei pensieri e nel cuore e che tanto turbamento arreca al retto svolgersi del ministero dell’annunzio tra i fratelli.

E benché fos­sero tanti, la rete non si spezzò.

Nella rete del cielo ogni anima vi può entrare ed essa mai si spezzerà, anzi sono sempre pochi i pesci che sono presi dalla sua rete; anche questa dovrebbe essere convinzione del credente, del discepolo del Signore.

Se lui si radicherà in questa certezza che sono molti di più quelli che rimangono fuori a causa della sua omissione, che quelli che entrano dentro, allora egli potrà iniziare un vero proficuo lavoro a beneficio della salvezza.

La rete del cielo è capace, capacissima di contenere tutte le anime. Pensano male coloro che vorrebbero ridurre il numero, anzi coloro che pensano che il numero sia ridotto. Il Vangelo parla di questa straordinaria abbondanza, ed è veramente grande l’abbondanza dei redenti, di coloro che attraverso la missione della Chiesa entreranno nel cielo.

Questo deve anche preservarci dal cadere in tentazione e a pensare che la nostra opera è vana, che niente per noi si compie, che tutto è infruttuoso. L’evangelista ci dice che quando noi operiamo secondo la parola di Gesù il frutto certamente seguirà, e seguirà nell’abbondanza, anzi nella grande abbondanza. Anche questa deve essere certezza di fede in chi vuole iniziare a lavorare con il Signore.

Gesù disse loro: « Ve­nite a mangiare ».

Dopo il lavoro la ricompensa. Dio è il Dio delle giuste ricompense. Dopo che avremo lavorato con onestà, con serietà, avremo operato in conformità al comando ricevuto, verrà anche per noi il tempo della gioia, l’ora di sederci assieme a Gesù per gustare il riposo di mangiare assieme a lui nella mensa del cielo.

Questo riposo ci è dato solo dopo aver svolto con coscienza, con serietà e con tanta onestà professionale il nostro quotidiano lavoro; fino a quel tempo dobbiamo vivere di speranza, che è poi la forza della fede e della carità. Sapere che anche per noi verrà il tempo di potersi sedere accanto al Signore e restare in eterno con lui, che è la fonte della nostra vita, il principio del nostro spirito, l’alito di vita della nostra anima per tutta l’eternità, deve spingerci ad un lavoro sempre più intenso e sempre più coraggioso, come il suo che non esitò di andare incontro alla morte e alla morte di croce, per consegnare tutto il mondo al Padre suo che è nei cieli.

E nessuno dei discepoli osava do­mandargli: « Chi sei? », poiché sapevano bene che era il Signore.

C’è in questa frase tutto il significato del silenzio adorante che bisogna gustare sia su questa terra, sia nel cielo, quando si sta alla presenza di Gesù. Dal silenzio nasce quella adorazione profonda del cuore e dello spirito, che sa chi è dinanzi a noi, sa che c’è lì il Signore e se lì è il Signore, se lui è il Signore, è il Signore che deve parlare e non l’uomo; è il Signore che deve essere contemplato ed amato, ma per contemplare ed amare è giusto che si rimanga in silenzio, che non si interroghi il Maestro, che si sia in ascolto della sua anima e del suo cuore che parlano solo nel silenzio più grande.

Ci sono delle situazioni in cui le parole non servono, non hanno significato, non possono rivestirsi di importanza. Sapere quando queste situazioni sono dinanzi a noi, per viverle secondo verità e santità, è quanto Giovanni vuole insegnarci attraverso questo stare dei discepoli con il Maestro. Essi sanno, non chiedono, attendono che sia Lui a parlare, perché la sua parola ha un valore infinito, una potenza che scuote il cuore e lo rimuove da ogni imperfezione, una carica tale da cancellare il passato e mettere l’uomo sulla via dell’assoluta novità, che è poi la novità di Dio e del suo amore.

Allora Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede a loro, e così pure il pesce.

Gesù per ora non parla, non è ancora venuto il tempo di riprendere la parola. Gesù conosce i tempi e i momenti, sa quando è giusto e quando è inopportuno parlare. Ora è solamente il tempo in cui i discepoli devono attendere a ricomporre le loro forze. Poi verrà il momento in cui dovrà dire le sue ultime parole, prima di lasciare questo mondo e le dirà in modo formale, dottrinale, tutti dovranno capire che quelle sono le parole del Maestro e che hanno un valore perenne.

Anche questa è metodologia di Gesù. Sapere aspettare, sapere discernere, sapere cosa è giusto che nel momento venga operato è la cosa più santa, più saggia per un uomo. Quando un uomo vive di saggezza, di conoscenza dei tempi e dei momenti, quando sa svolgere la sua opera con autorità di Maestro, allora le cose di Dio vengono svolte secondo verità e giustizia. Quando invece tutto si confonde, quando non ci sono tempi e né momenti, quando non si rispetta l’ora del silenzio e l’ora della parola, quando si invertono le ore, significa che non amiamo le cose di Dio e, non amandole, non le possiamo fare secondo il cuore di Gesù.

Gesù fa ogni cosa secondo il cuore del Padre e il cuore del padre sa quando si devono fare le cose, per essere fatte secondo giustizia e verità.

Questa era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risu­scitato dai morti.

L’Evangelista tiene a sottolineare che questa è la terza volta che Gesù si manifesta, almeno secondo il suo racconto, nel suo vangelo. La prima volta il giorno di Pasqua, la seconda volta otto giorni dopo, la terza volta qui sul mare di Galilea.

Dobbiamo tuttavia precisare che queste apparizioni che egli racconta sono rivolte direttamente ai suoi apostoli e solo ai suoi apostoli, che Giovanni chiama i suoi discepoli.

Gli altri Vangeli parlano di altre apparizioni, ma non sono rivolte direttamente agli Apostoli, ai dodici, o meglio agli undici, poiché, dopo l’uscita dal cenacolo di Giuda, sono rimasti in undici.

Anche Giovanni ha già lui direttamente raccontato l’apparizione di Gesù a Maria di Magdala, che è la prima apparizione, in assoluto. Ma questa da lui non viene menzionata ed il motivo è assai semplice.

In queste tre apparizioni Gesù dona ai suoi discepoli il completamento della verità, dei poteri, delle modalità attraverso cui essi dovranno svolgere la missione nel mondo. E questo è assai importante; ecco perché lui enumera le apparizioni, poiché per ogni apparizione c’è un dato nuovo, di verità e di amore, di grazia e di santità, di cui i discepoli dovranno sempre ricordarsi. In tal senso queste tre apparizioni completano quanto Gesù aveva già rivelato di se stesso e del Padre e della missione che il Padre gli aveva affidato.

Come si può riscontrare le tre apparizioni sono tutte finalizzate al conferimento della missione da parte di Gesù ai suoi discepoli, esse non sono semplicemente delle apparizioni, ma sono soprattutto e principalmente Vangelo, poiché annunzio di una verità e dono di una grazia, conferimento di poteri particolari e speciali attraverso i quali la Chiesa di Dio dovrà sempre esistere, se vorrà essere la Chiesa di Gesù nel mondo. Per questo esse sono importanti e per questo è necessario che ci si ricordi anche del numero, poiché ognuna ha una sua particolare manifestazione e conferimento di un dono di grazia nella verità di Dio.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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