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COMMENTO AL VANGELO DI GIOVANNI

Ultimo Aggiornamento: 04/06/2019 15:05
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09/01/2012 13:36
 
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Nel seno del Padre

Il tradimento consumato. Nell’orto degli ulivi Giuda consuma il suo tradimento. Lo consuma lanciando una sfida a Gesù. Questo gesto oltre che generato in lui dalla venialità, da quella sete di denaro che albergava nel suo cuore, è anche supportato dalla totale assenza di fede in quello che Gesù aveva fatto ed insegnato. Quanto Giuda compie in questa sera, cancella dalla sua memoria tre anni trascorsi con il suo Maestro; cancella parole e segni, opere e prodigi; cancella la figura stessa di Gesù inviato e servo del Padre. Quando la fede muore in una persona, muore anche la persona che era l’oggetto della sua fede; morendo la persona, questa viene considerata come inesistente; è considerata solo per quel che uno può guadagnare dall’incontro o dallo scontro con essa.
Sono io. Gesù ancora una volta dimostra a Giuda e agli altri che lui non viene catturato perché Giuda e gli altri sono lì presenti nel giardino. Egli viene catturato perché è giunta la sua ora, perché è venuto per lui il momento di passare da questo mondo al Padre. Poiché l’ora è giunta egli non può opporre nessuna resistenza né con la forza fisica, né con la forza spirituale, della sua scienza, della sua prudenza, della sua intelligenza. Egli si deve solo consegnare loro e di fatto si consegna.
La soluzione di Pietro. Pietro vive con il Maestro, ma ancora poco sa e conosce di Lui; soprattutto ancora ha imparato poco come lo si ascolta e gli si obbedisce. Poiché ancora non entrato nella fede del suo Maestro, egli vuole dare una sua propria soluzione al momento storico. Vuole risolvere ogni cosa con la spada, tagliando qualche orecchio a qualche servo del sommo sacerdote. Non è questa la soluzione di Gesù; egli è invitato dal Maestro a riporre la sua spada nel fodero. La deve riporre perché quando viene l’ora del Padre la spada non serve, non serve né la spada e né altri ritrovati della ragione. La volontà del Padre bisogna che venga seguita per intero, altrimenti non c’è quel ritorno di gloria, che è il fine della vita di Gesù. Gesù deve rendere tutta la gloria al Padre suo, perché Questi lo glorifichi con quella gloria che è stata sempre sua fin dalla creazione del mondo. Ora è il momento di entrare nella gloria e Pietro non può opporsi a questa decisione del Padre.
La spada che vince il mondo. Pietro deve rimettere la spada nel fodero, perché la spada non è la via per la soluzione dei problemi dell’uomo. Nessun problema potrà mai essere risolto dalla spada. La spada crea i problemi, non li risolve. Risolve i problemi dell’uomo solo l’accettazione della volontà di Dio ed il compimento di essa nell’amore, nella grande preghiera, nella piena consegna della propria vita al Padre dei cieli, perché la prenda lui sotto la sua custodia e le dia un risultato di gioia eterna.
Anna. Anna non è il sommo sacerdote, tuttavia lo sa fare bene, ma non secondo Dio, lo fa secondo la carne. Nel processo di Gesù egli non osserva la legge, agisce contro di essa: permette che contro la legge si agisca e si condanni Gesù. Egli confonde verità ed autorità. L’autorità non è la verità; la verità è la legge di Dio; l’autorità è a servizio della legge del Signore, non la legge del Signore a servizio dell’autorità. Questo errore è suo, ma è di tanti altri nella storia. Molti sono i suoi seguaci, coloro cioè che pensano che l’autorità sia al di sopra della legge di Dio e che essa possa essere legge a se stessa.
Caifa. Caifa nel processo di Gesù è quasi inesistente. Nel Consiglio, o Sinedrio, convocato a causa della risurrezione di Lazzaro, si era pronunziato a favore della sentenza di morte contro Gesù, adducendo anche la motivazione: è meglio che uno solo muoia e non tutto il popolo, che uno solo muoia a favore e per la salvezza di tutto il popolo. Lui è un succube del suocero. Egli riveste una carica di alta responsabilità; in questa carica si lascia governare, dominare, orientare, sollecitare, guidare. Anche questo è peccato. La carica è di guida, la carica è luce, la carica è anche sapienza, intelligenza, circospezione, conoscenza di uomini e di eventi al fine di far trionfare la legge di Dio, al fine di far sì che ogni uomo accolga la volontà del Signore e la faccia divenire legge della sua vita.
Pietro. Pietro vive in un mondo ancora tutto suo; non è riuscito a penetrare nel mistero di Gesù e poiché è rimasto fuori con la mente e con il cuore, con le labbra, con le parole, con le opere. Il suo cuore è sincero, lui vorrebbe amare il Signore, vorrebbe fare qualcosa per lui, lo dimostra il fatto che egli sia riuscito a penetrare nel cortile del sommo sacerdote, che abbia fatto di tutto per entrarvi e sicuramente era entrato con il desiderio di fare qualcosa per il Maestro. Ma nessuno può fare qualcosa per il Maestro, se prima non si è appreso come si ascolta la sua Parola e come essa si mette in pratica. Il suo rinnegamento fa parte del suo carattere; quando il carattere si sarà trasformato per grazia e per potenza dello Spirito, allora Pietro sarà pronto per vivere tutto quell’amore che provava per il maestro, ma che era sempre rimasto un amore umano, non si era divinizzato, perché non era stato passato al vaglio della parola di Gesù.
L’altro discepolo. L’altro discepolo, che è Giovanni, si dimostra uomo di conoscenza e di influenza, uomo di relazione. Lui conosce uomini e cose, sa cosa può fare e cosa non può fare. Da questa sua scienza umana, che è poi anche saggezza, illuminazione dello Spirito, Pietro è aiutato ad entrare nel cortile del sommo sacerdote. Quando la saggezza umana e le conoscenze, sono guidate da una retta sapienza e da un comportamento saggio ed assennato, tanto bene si può fare per gli altri. Usare le conoscenze per il bene, per permettere a chi non può, perché non conosciuto, di agire secondo i suoi desideri e le aspirazioni segrete del suo cuore, è cosa buona e giusta, anzi santa. Aiutare l’altro servendosi del proprio stato sociale, senza per questo ledere alcun diritto, è non solo doveroso, quanto obbligatorio farlo. Anche questa è carità. L’altro discepolo vive una squisita carità verso Pietro, aiutandolo a che anche lui possa stare vicino al Maestro in queste ore di passione morale.
Agire contro la legge. A nessuno, chiunque esso sia, a qualsiasi stato sociale appartenga, qualsiasi carica egli ricopra, è consentito agire contro la legge. La legge è sopra ogni persona. La legge viene da Dio e se viene da Dio a nessuno è consentito porsi al di sopra di essa, facendosi egli stesso legge, costituendo la sua volontà norma per la determinazione della giustizia al momento opportuno. Qualora questo dovesse accadere, si tratterebbe di vera e propria usurpazione, di arbitrio, di tirannide, nella forma sia civile e sociale che religiosa. La tirannide religiosa è più frequente di quella civile o sociale, e si verifica ogni qualvolta un uomo di Dio, ponendosi al di sopra della legge di Dio, si costituisce legge per i suoi fratelli, costituisce la sua volontà norma di discernimento e di valutazione del comportamento altrui. Questo è quanto sta accadendo con Gesù. Il sommo sacerdote agisce contro la legge. Si è fatto lui legge per Gesù. Ma se lui è la legge secondo la quale bisogna condannare Gesù, egli in questo momento tiene il posto di Dio, si è fatto Dio. Chi si fa Dio non può accusare Gesù di essersi fatto Dio. Così facendo infligge per se stesso la condanna. Se Gesù deve essere condannato perché si è fatto Dio, anche il sommo sacerdote deve essere condannato perché anch’egli si è fatto Dio.
La guardia. La guardia commette il peccato di essersi costituita allo stesso tempo giudice e carnefice, mentre essa non è che una semplice guardia, una cioè che avrebbe dovuto intervenire solo su comando del suo diretto superiore e per compiere un’azione puntuale a lui comandata. È in queste autonomie che l’uomo provoca la rovina del mondo; la pratica dell’ingiustizia trova in esse un alimento quotidiano, a danno dei deboli, degli indifesi, di quanti sono esposti alla mercé dei potenti e dei prepotenti, di quanti si sono costituiti giudici e carnefici dei propri fratelli senza il conforto della legge. Quando ognuno si limiterà a compiere bene il suo ministero e saprà apporsi ad ogni ingiustizia, rifiutando quell’obbedienza che in nessun caso potrà essere richiesta quando è violata la legge santa di Dio, allora il mondo farà un salto qualitativo in avanti, camminerà con più speditezza nella conquista di una giustizia universale che porterà tanto sollievo agli afflitti e ai derelitti. Questa non è un’utopia, non deve esserlo; la giustizia si fonda sulla fedeltà di ciascuno alla legge del Signore; ciascuno pertanto deve considerarsi strumento indispensabile, necessario per l’impiantagione della giustizia sulla terra.
La storia. Gesù non può essere giudicato dall’uomo; nessun uomo può giudicarlo. Quanti hanno provato a giudicarlo, hanno semplicemente condannato se stessi, dichiarandosi prepotenti, servi infingardi, uomini senza legge, invidiosi, gelosi, paurosi, traditi ed ingannati, manipolati ed usati. Chi deve condannare o assolvere Gesù è solo la storia, la sua storia di bene, di verità, di segni potenti e portentosi che hanno sconvolto e sconvolgono tuttora le coscienze, le menti, i cuori, i sentimenti ed ogni altra facoltà dell’uomo. La storia attesta una semplicissima verità: Gesù non è trovato colpevole in nessuna trasgressione né di legge umana, né di legge divina. Gesù è trovato operatore di segni e di prodigi, è trovato uomo di verità, di santità, di bontà, di misericordia, di perfetta osservanza della legge del Signore ed anche della legge degli uomini che non fosse però in contrasto con la volontà del Padre suo. Egli vedeva ogni legge umana nella volontà del Padre e quando essa non era in perfetta sintonia, essa non era considerata legge per lui, perché non era quella la volontà del Padre e quindi non costringeva né obbligava all’osservanza. In tutti gli altri casi egli si è sempre dimostrato un perfettissimo insegnate e perfettissimo osservante della legge degli uomini, sia di quella religiosa, che di quella civile.
Pilato. Pilato crede di potersi prendere gioco degli uomini; nel caso di Gesù egli pensava di poter risolvere la controversia venendo a patti con i detentori dell’autorità religiosa. Egli non considerò la portata del Caso-Gesù e ritenne di poterlo risolvere alla buona, come tanti altri casi che già gli erano capitati tra le mani. Ma Gesù non è gli altri; gli altri sono gli altri; Gesù mai sarebbe dovuto passare alla storia come un uomo comune, come uno dei tanti altri che Pilato aveva giudicato, assolto, condannato, o liberato. Gesù sarebbe dovuto uscire dal processo civile senza alcuna macchia di peccato, di trasgressione della legge. Il gioco di Pilato con i Sommi sacerdoti non regge, gli sfugge di mano e perde la sua battaglia; perde la stessa causa per cui aveva lottato e sperato di potercela fare. Il suo errore è essenzialmente uno solo: non aver voluto fin dall’inizio impostare la questione su Gesù sulla verità dei fatti; egli la impostò sul favoritismo e il favoritismo non regge nelle cause di giustizia. Egli non conosceva ancora la malvagità e il peso dell’invidia che gravava sugli accusatori di Gesù. Questo errore gli costò la più grave ingiustizia della storia: aver pubblicamente condannato un innocente da lui proclamato tale e lo condannò per paura, per viltà, per non aver voluto assumersi la responsabilità per la giustizia di mettersi anche contro Cesare. Finché ci sarà qualcuno che per ottenere il favore dei potenti non vuole, si rifiuta di schierarsi dalla parte della giustizia, la giustizia non potrà mai trovare pace sulla terra. Ma la terra non trova pace di giustizia a causa della paura dei potenti, a causa di quella viltà che impedisce che per la giustizia e l’affermazione di essa si sia disposti anche a perdere il posto e la vita.
La ricerca di un reato. Anche dinanzi a Pilato Gesù si dimostra l’uomo giusto, l’uomo perfetto, in lui non c’è alcuna trasgressione di legge umana. Questo confessa Pilato di Gesù, dopo aver fatto le sue indagini e i suoi interrogatori. Non essendoci nessun reato, egli non può condannare Gesù, deve lasciarlo libero. Lo impone la legge, lo esige la giustizia. Gesù dinanzi alla storia è l’uomo giusto; è anche l’uomo che è stato condannato ingiustamente, nonostante gli accusatori di Gesù cercassero in ogni modo di portare qualche capo di imputazione, che regolarmente si dimostrava inconsistente, privo di qualsiasi fondamento. Quando si processa qualcuno e non esiste alcuna prova di reato, nonostante si sia cercato e ricercato nella sua vita e in quanti lo hanno conosciuto, allora è giustizia perfetta mandare libero colui che è stato ingiustamente ed infondatamente accusato di un delitto. Questo esige la legge di Dio e degli uomini, questo Pilato non ha fatto, e nonostante gli dimostrassero la colpevolezza di Gesù, questa era solo a parole, i fatti erano invece a favore di Lui. Poiché senza fatti puntuali e precisi non c’è colpevolezza, non esiste reato, è giusto che l’imputato venga liberato. Invece l’imputato viene condannato ad una morte crudele, quale quella della croce.
Gesù è re. La regalità di Gesù non ha nulla a che vedere con le forme di monarchia che la Scrittura conosce. Gesù è re perché non sottoposto ad alcuna legge, poiché è lui la stessa legge di Dio; è lui la Parola del Padre - Parola che è la legge degli uomini, di ogni uomo -. Egli è re perché mai fu schiavo, o suddito, del peccato; sempre egli visse nella verità la più pura, la più alta, la più vera, la più divina. Egli è re perché tutto questo egli visse sempre da uomo libero, non costretto; tutto quanto egli ha fatto, lo ha fatto liberamente, di sua spontanea volontà, per amore, per grandissimo amore per il Padre. Egli è re perché mai visse la relazione con il Padre sentendola come costrizione; per lui la volontà del Padre era la sua volontà e la compiva dal profondo della sua vita. Egli è re perché Maestro di vera giustizia, con la quale governa il mondo e quanti si affidano alla sua verità ed al suo amore.
La ricerca della verità. La ricerca della verità impone che mai ci si fermi, che si proceda sempre avanti; essa vuole che si lasci ciò che è imperfetto nella verità trovata e si acquisisca ciò che è più perfetto. In questo dinamismo tra imperfetto e più perfetto, tra iniziale e maturo, tra incipiente e ciò che ha una sua forma completa, l’uomo deve saper scegliere sempre ciò che è più perfetto, più completo, più maturo, più avanzato nella sua formazione veritativa. Quando ci si dovesse fermare nella ricerca della verità, quella che possediamo non è la verità, è solo una pallida immagine di essa, sulla quale non si può costruire il nostro edificio spirituale. La vera ricerca della verità deve sfociare necessariamente in Dio, e da Dio deve aprirsi a Gesù e da Gesù allo Spirito Santo e alla Madre sua, dallo Spirito Santo alla Chiesa e ai suoi sacramenti, dalla Chiesa al mistero del corpo mistico ed anche alla divina costituzione della Chiesa che è fondata sugli Apostoli e sui loro successori. Quando questo processo verso la verità non si compie, quando tutta la verità non è accolta, allora significa semplicemente che non si cerca la verità, la verità non si vuole.
Barabba. Barabba entra nella storia di Gesù senza un suo preciso ruolo di responsabilità. Egli è semplicemente un carcerato che sta scontando la sua pena. Egli non ha nulla a che vedere con Gesù, la sua persona non è responsabile della sua condanna a morte. Egli è il segno di una scelta sbagliata, pilotata, che non può dirsi in nessun caso una scelta. La scelta si compie sempre tra parti uguali, quando le parti non sono uguali, allora non c’è scelta. Pilato mette sullo stesso piano un innocente ed un colpevole, chiede alla folla di scegliere chi di loro avrebbe dovuto liberare. Barabba è il simbolo di quei colpevoli che sono messi in libertà a posto degli innocenti e per di più per una scelta di comodo, per una scelta che non trova il motivo in se stessa, ma nella volontà omicida di coloro che avevano già deciso che Gesù avrebbe dovuto essere condannato a morte. L’ingiustizia del mondo si fonda anche su questi processi e modalità di ingiustizia, sotto forma apparente di concessione di grazia.
La folla. C’è anche il peccato della folla. È quello di aver pronunciato un giudizio di condanna di Gesù, chiedendo che fosse liberato Barabba. Mai un uomo deve prestarsi ad una tale azione. È proprio di chi conserva l’autorità pronunciare la giusta sentenza verso chi ha commesso un reato. Questa la legge santa di Dio, questa anche la legge degli uomini. Assumersi una responsabilità che non compete, anche questa è ingiustizia ed errore grande presso gli uomini. Di questi errori la storia è piena; è piena perché ognuno cerca di liberarsi della sua responsabilità e ne concede una parte ad altri, i quali devono nei momenti difficili, liberarlo da ogni difficoltà, da ogni inceppamento, da tutto ciò che lo lega ad una decisione e solo a quella. Non solo la folla si assume un ruolo che non le compete, che mai dovrà competere ad essa, si carica anche della gravissima responsabilità di lasciarsi manipolare da chi la morte di Gesù voleva, desiderava, bramava dal profondo del suo cuore. Questo è errore grave. Se non è possibile evitarlo come folla, che almeno lo si eviti come persone singole. Evitare di questi errori è somma saggezza da parte di chi non li commette, è somma saggezza perché dona ad ognuno le sue precise e personali responsabilità
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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