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COMMENTO AL VANGELO DI GIOVANNI

Ultimo Aggiornamento: 04/06/2019 15:05
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09/01/2012 13:28
 
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« Padre, è giunta l'ora, glorifica il Figlio tuo, perché il Figlio glorifichi te.

La preghiera di Gesù è al Padre nello Spirito. È al Padre perché è Lui il principio e la fonte della verità e della grazia, è nello Spirito, perché solo lui sa quale verità e quale grazia impetrare e chiedere per l’ora particolare che si sta per vivere.

Nello Spirito di verità, che è conoscenza della verità soprannaturale, celeste, ma anche storica, Gesù sa che ormai la sua ora è giunta. Egli, fra breve, fra pochi istanti, dovrà passare da questo mondo al Padre.

Per Gesù questa è l’ora della glorificazione, il Padre glorifica il Figlio, il Figlio glorifica il Padre. È questa l’ora dell’esaltazione del Padre per il Figlio e del Figlio per il Padre.

Il Padre glorifica il Figlio, sostenendolo nell’ora della prova, confortandolo e aiutandolo a superare questo momento assai difficile della sua passione e morte, dell’offerta della sua vita; lo glorifica dopo l’offerta della vita, ridando al Figlio quella vita che lui gli ha offerto, ma in un modo divino e celeste, nella trasformazione del suo corpo attraverso la gloria della risurrezione. Gesù è glorificato nel momento della morte e nel momento della risurrezione; sia nella morte che nella nuova vita, egli attesta che Dio è con lui, che Dio è suo Padre, che egli appartiene solo a Dio e che Dio lo riveste per questo di gloria eterna. Questa è la gloria che Gesù riceve dal Padre.

Il Figlio invece glorifica il Padre perché lo riconosce come il solo, unico, l’eterno Signore della sua vita. A lui la vita appartiene, a lui gliela dona con un atto di totale e perfettissima obbedienza, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce.

Il Padre questa gloria vuole da ogni suo figlio; questa gloria Adamo gli aveva tolto nel giardino, quando non riconobbe la verità della sua Parola, quando pensò che Dio fosse invidioso della gloria dell’uomo e volle farsi come Dio, al pari di lui, togliendo a Dio la gloria di essere il Signore dell’uomo.

Gesù ridona al Padre tutta la sua gloria: riconosce il Padre come l’unico Signore della sua vita, riconosce la sua vita come niente dinanzi al Padre. Perché il Padre sia il suo Signore, egli si annienta nella morte, si annulla come uomo sulla croce, diventa l’ultimo degli uomini, su di lui ognuno pretende di essere signore e dio e tutto questo Gesù, vero Dio e vero uomo, sopporta e vive per amore del Padre, perché il Padre da lui sia riconosciuto come il suo unico, il solo Signore della sua vita.

Gesù sa che il Padre ha un suo desiderio su di lui, sa che egli vuole questa conoscenza e Gesù riconosce il Padre suo dinanzi agli uomini e non ha paura di andare incontro alla morte e alla morte di croce. Questa è la gloria che Dio vuole da ogni uomo. Gesù gliela dona e insegna a noi tutti come darla; soprattutto ci dice che è possibile darla, se come lui ci si mette in preghiera e si chiede che ogni nostro gesto, ogni nostra parola, ogni nostra azione sia solo ed esclusivamente manifestazione della sua gloria, sia per la manifestazione della sua Signoria e della sua Paternità su di noi.

Poiché tu gli hai dato potere sopra ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato.

Gesù ora riconosce la gloria del Padre ed anche rivela qual è la gloria del Figlio.

La gloria del Padre è la sua onnipotenza, onnipotenza e signoria che egli esercita su tutto il creato. Il creato è governato dalla saggezza, dalla sapienza, dall’onnipotenza del Padre, dalla sua provvidenza.

Strumento del governo del Padre è Gesù, al quale il Padre ha dato potere sopra ogni essere umano, ma questo potere è un potere di vita, non di morte, non di giudizio; è un potere di vita eterna.

Gesù è stato inviato sulla terra per dare la vita eterna, ed è questo il suo potere su ogni essere umano, su tutti coloro che il Padre gli ha dato.

Troviamo qui un’altra verità che caratterizza e definisce la relazione tra Gesù e il Padre. Anche nel dono della vita eterna, Gesù non ha potere di darla a chi egli vuole, anche in questo dono egli deve vivere la più stretta obbedienza con il Padre; egli potrà dare la vita eterna solo a coloro che il Padre gli ha dato.

Gesù lo aveva già detto, nessuno può venire a me se il Padre mio non lo attrae. Dio vorrebbe attrarre tutti, ma non tutti si lasciano attrarre dal Padre e per quanti non si lasciano attrarre dal Padre, Gesù non può dare la vita eterna. Se Lui non dona la vita eterna, ed è solo Lui che può darla, nessuno si può salvare.

La salvezza pertanto è dono universale di Dio, ma diventa dono particolare a causa dell’uomo che non si lascia attrarre da Dio. In questo caso Gesù non può salvare e la sua opera per lui diviene inefficace. Questa inefficacia della redenzione di Gesù è il mistero dei misteri che avvolgono l’uomo e la sua responsabilità e questa inefficacia di salvezza spiega l’inferno e la sua eternità.

Quanti si pongono dinanzi all’inferno e non lo comprendono, non lo comprendono perché non hanno compreso il mistero di Dio Padre, il mistero di Dio Figlio, il mistero dell’uomo e della sua libertà.

Il non poter salvare chiunque non vuole essere salvato, appartiene al mistero della libertà dell’uomo. Chi non si lascia attrarre dal Padre, chi non si lascia donare dal Padre al Figlio, dal Figlio non può essere rivestito di vita eterna, pur avendo Gesù il potere di rivestire ogni essere umano di vita eterna.

Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo.

Viene ora specificato cosa è la vita eterna. Essa è conoscenza del Padre, come l’unico vero Dio; è conoscenza di Gesù, come l’unico inviato dal Padre.

La vera conoscenza del Padre e di Gesù Cristo è l’entrata dell’uomo nel mistero del Padre e del Figlio, per farne parte, per divenirne parte. Se si diviene parte del mistero del Padre e del Figlio, nello Spirito di verità, si diviene anche parte del mistero globale di Dio che è purissima carità. E così l’uomo conosce Dio perché sa chi è il vero Dio e chi è Gesù; conoscendolo secondo verità lo ama ed amandolo lo serve; servendolo, vuole possederlo per l’eternità, vuole divenire familiare di Dio per sempre. Così la conoscenza produce e genera l’amore, l’amore diviene comunione di vita, si fa partecipazione di vita eterna.

Nella conoscenza vera del Dio vero, che è l’unico vero Dio, e di Gesù Cristo, che è l’unico vero Salvatore dell’uomo, l’unico vero Mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo diviene parte di Dio perché vive secondo verità il mistero. Viverlo secondo verità significa viverlo nella perfezione dell’amore. L’amore è la vita eterna di Dio di cui l’uomo è reso partecipe attraverso la vera conoscenza che egli ha del Padre e del Figlio.

Da questa affermazione di Gesù si apre il vasto problema circa le altre religioni. Va subito detto che pur contenendo esse semi di verità, contengono anche molti semi di errori e quindi non sono via per andare al Padre, perché del Padre non conoscono la sua verità, non lo riconoscono come il Vero, l’Unico Dio. Anche se riconoscessero Dio come l’unico ed il vero, manca in esse la conoscenza di Gesù Cristo, come l’unico inviato del Padre e quindi la loro conoscenza di Dio è una conoscenza assai debole, fragile.

Inoltre, Gesù è il solo datore della vita eterna; tale il Padre lo ha costituito. Gesù non dona la vita eterna se non a quanti il Padre gli ha dato; il Padre non può dare la vita eterna a coloro che si rifiutano e che non vanno dal Figlio. Ma c’è anche l’altro problema che riguarda la Chiesa. Può la Chiesa dispensarsi di condurre a Cristo, perché Cristo conduca al Padre? Può essa liberarsi dal suo “ufficio paterno” di condurre a Cristo attraverso l’annunzio della Parola ed il dono dello Spirito che converte i cuori e li associa al mistero di Gesù?

Quanta responsabilità ha la Chiesa, e in essa ogni cristiano, per ogni uomo che non è dato da essa al Cristo perché lo rivesta di vita eterna? Riflettere sulla “missione paterna”, oltre che cristica della Chiesa, ed insieme pneumatologica è suo specifico ministero per poterlo assolvere secondo giustizia e verità.

Io ti ho glorificato sopra la terra, compiendo l'opera che mi hai dato da fare.

Dopo aver detto in che cosa consiste la vita eterna, che è purissima e verissima conoscenza dell’unico vero Dio e dell’unico mediatore tra Dio e gli uomini e che è lui stesso, Gesù dice espressamente al Padre che lui ha compiuto il suo ministero sulla terra, ha portato a termine la sua opera.

Attraverso quest’opera Dio è stato glorificato dal Figlio. Gesù ha la coscienza di aver fatto tutto quanto il Padre gli ha comandato di fare. Anche se l’affermazione di Gesù è fatta prima del compimento dell’opera più importante, ultima, che è la testimonianza suprema; prima, dinanzi ai sommi sacerdoti; poi, dinanzi al governatore di Roma e infine, dinanzi a tutto il mondo, dall’Alto della croce, essa è fatta in un presente eterno, che vede già i frutti della sua obbedienza, vede già compiuta la sua morte, vede già il dono della sua obbedienza totale.

Per Gesù la morte è già stata subita, la passione superata e l’una e l’altra sono state già vissute da lui, perché la sua volontà è già radicata e ferma, ancorata saldamente nella volontà del Padre che domanda al Figlio che lo glorifichi attraverso un amore di obbedienza che sia capace del dono totale della sua vita. Nella volontà e nello spirito, nel cuore e nel sentimento, nell’anima e nella coscienza Gesù ha già compiuto l’opera che il Padre gli ha comandato.

Questa stessa volontà chiede Gesù ai suoi, una volontà saldamente ancorata nella sua, che fa sì che il dono sia già totale, sia già dell’intera vita, pur l’opera non essendo ancora stata posta in essere. Quando c’è questa comunione ed unità di volontà, allora sicuramente l’opera seguirà, ma seguirà perché già con la volontà è stata eseguita, è stata compiuta, è stata posta in essere. Gesù è questa coscienza, questa volontà, questa attualizzazione.

E ora, Padre, glorificami davanti a te, con quella gloria che avevo presso di te prima che il mondo fosse.

Come Gesù ha glorificato il Padre, poiché vede la sua vita già offerta e già consegnata, così vuole che il Padre veda già il suo dono e la sua offerta e per questo dono e per questa offerta dia a Lui, anche visibilmente, e non solo invisibilmente, tutta la gloria di cui la sua persona è rivestita, gloria della divinità, ma anche gloria dell’umanità.

La gloria spetta alla sua Persona in quanto Dio, ma anche in quanto uomo. Spetta in quanto Dio, perché è Persona divina, uguale al Padre e allo Spirito, distinta dal Padre e dallo Spirito. Una stessa, identica gloria per ogni persona della Santissima Trinità. Il mondo deve riconoscergli questa gloria, deve confessare che Gesù è Dio. Come il mondo lo ha condannato perché si è fatto Dio, ora deve riparare, per quanto è possibile, a questo suo gesto di insipienza, riconoscendo che Gesù è della stessa gloria del Padre, perché è Dio con il Padre e lo Spirito Santo.

La gloria gli è dovuta perché da sempre è sua. Prima era sua anche se il mondo non lo sapeva, non lo riconosceva come Dio; ora Gesù chiede al Padre che gli venga data visibilmente quella gloria, perché il mondo confessi che egli è della stessa sostanza del Padre, che egli è luce da luce, Dio vero da Dio vero.

In questa confessione di gloria che Dio Padre vuole dare al Figlio e che il Figlio chiede al Padre si frappone il mondo, che con ogni mezzo vuole togliere la gloria a Gesù, confessandolo e ritenendolo un semplice uomo, una creatura. La Chiesa sempre si è opposta a qualsiasi movimento ereticale che in qualche modo ha offuscato o tenta di offuscare la gloria che appartiene a Gesù in quanto Dio. Ma fino alla consumazione del mondo ci sarà sempre chi negherà questa gloria, si rifiuterà di riconoscerla a Cristo. Ma noi sappiamo che neanche Cristo riconoscerà davanti al Padre suo coloro che non lo hanno riconosciuto dinanzi agli uomini, che non gli hanno tributato ciò che è suo e sua è proprio, in modo del tutto speciale, la gloria della divinità.

C’è l’altra gloria che spetta a Gesù ed è la gloria dell’umanità. L’umanità assunta nell’unione personale al Verbo eterno del Padre, attraverso la sua obbedienza fino alla morte e alla morte di croce, ha innalzato la gloria del Padre al di sopra di ogni creatura e dell’intera creazione. Gesù, sottoponendo e sottomettendo la sua umanità al Padre, in essa ha sottoposto e sottomesso l’intera creazione. Questa esaltazione del Padre viene ricambiata dal Padre con una esaltazione di gloria che non solo dona a Gesù un corpo glorioso, incorruttibile, spirituale e immortale, in più eleva Gesù nella sua umanità alla sua destra nel Cielo e lo costituisce giudice dei vivi e dei morti, Signore della storia, non in quanto Dio, perché in quanto Dio egli lo è sempre stato, ma nella sua umanità. L’umanità, ed è questa la gloria che il Padre ha riservato a Gesù, la sua umanità è ora assisa nel Verbo alla destra del Padre ed ogni creatura, angelica, infernale e terrestre deve chinare il ginocchio dinanzi a Lui e confessarlo suo Signore e Dio.

Gesù vuole che il Padre gli dia questa gloria. Ma la gloria del Figlio è la gloria del Padre, e chiedendo la gloria per sé il Figlio altro non fa che chiedere la gloria per il Padre suo, che si manifesta nella sua vita e attraverso di essa. Anche per questa gloria riservata alla sua umanità il mondo si oppone e vede in Gesù e nella sua vicenda di passione e di morte un gioco, anche se tragico, della storia, come tanti altri giochi, niente di più, niente di meno. Molti sono coloro che vogliono e di fatto privano Gesù della gloria dell’obbedienza, per ridurre quanto gli è accaduto ad una semplice convergenza di fatti e di avvenimenti che sono finiti sulla croce. La croce per costoro altro non sarebbe che un accidente storico, senza nessuna importanza sul cammino dell’umanità.

Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me ed essi hanno osservato la tua parola.

Gesù raccomanda al Padre i suoi discepoli. Anche se è preghiera rivolta al Padre, viene qui precisata e stabilita la prima regola per poter essere discepoli del Signore. Essi lo sono perché Gesù ha fatto loro conoscere il nome del Padre.

Conoscere il nome ancora non è sufficiente. Per essere discepoli di Gesù bisogna che venga osservata la Parola del Padre.

Inoltre c’è un’altra verità che deve sempre rimanere fissa nella mente. Signore di ogni uomo è il Padre, ogni uomo è sua proprietà, perché sotto la sua Signoria.

Il Padre, perché l’uomo si salvi ed entri in possesso della verità e della Parola, lo dona a Gesù. Gesù gli fa conoscere il nome del Padre, e l’altro diviene discepolo di Gesù se accetta di osservare la Parola del Padre data per mezzo di Gesù e realmente la osserva attraverso l’impegno giornaliero.

Questa regola, detta da Gesù, deve essere norma perenne per la Chiesa, la quale, come Gesù, è chiamata a far conoscere il nome del Padre ad ogni uomo. L’uomo però non è della Chiesa, come non è di Gesù; è di Gesù solo quando il Padre glielo consegna, ma il Padre lo consegna a Gesù perché lui gli faccia conoscere il suo nome e perché osservi la sua parola di vita eterna.

Chi esce da queste tre verità, che sono la norma di ogni apostolato - la Signoria di Dio sopra ogni uomo - la conoscenza del nome del Padre da offrire loro - l’osservanza della Parola del Padre - non compie l’apostolato, il suo è semplicemente una perdita di tempo, una vanità pastorale, una inutile esercitazione missionaria.

Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro;

Viene ancora specificata la regola pastorale. Per essere veri discepoli di Gesù occorre sapere che tutte le cose che Gesù possiede hanno la loro origine in Dio, sono del Padre. Ma questo non basta. Non solo bisogna conoscere e sapere che tutto ciò che possiede Gesù viene dal Padre, perché è del Padre, bisogna anche che Gesù dia la Parola, l’unica e la stessa, che il Padre gli ha dato, ai suoi discepoli.

Se non c’è questa confessione di fede e non c’è questa consegna, non c’è vero discepolato. Nessuno pertanto può sperare di poter fare discepoli di Gesù e quindi discepoli del Padre, se viene meno a questa duplice regola di confessione della fede, ma anche di consegna delle parole che il Padre ha dato.

Gesù è stato fedelissimo al Padre, nulla ha aggiunto e nulla ha tolto, quanto il Padre gli ha dato, tanto egli ha consegnato. La consegna deve essere nella più grande fedeltà ed integrità; se viene mutato anche un solo articolo della Parola, tutta la Parola viene mutata. Questo mai deve accadere in chi vuole fare dei veri discepoli del regno.

Oggi questi due pericoli esistono e sono reali. Il mondo pensa che gli uomini di Dio non siano uomini di Dio, ma semplicemente uomini, perché non hanno il riscontro dell’origine divina di quanto essi dicono o fanno; inoltre c’è anche la sensazione ormai diffusa, più che diffusa, dilagante che la Parola annunziata non sia Parola di Dio, sia semplicemente Parola d’uomo. Quando questo accade è veramente la fine del vero discepolato. Il mondo, o semplicemente, gli uomini non sanno che quanto noi abbiamo è da Dio, perché è suo; non conoscono la nostra parola come parola di Dio, la vedono nostra e come tale l’accolgono o la rifiutano, ma così facendo non si generano discepoli per il regno.

essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato.

Ci può essere da parte dell’inviato di Dio - Chiesa ed ogni suo fedele in essa - la certezza che ogni regola sia stata osservata e che quindi possano nascere a Dio dei veri discepoli, alla sequela di Gesù. Ma non sempre l’opera santa e buona dell’inviato del Padre produce frutti di vita eterna.

Perché si producano i frutti del vero discepolato occorre che vengano accolte le parole di Gesù; occorre che si accolga Gesù come venuto da Dio, come inviato direttamente da Lui.

Perché questo avvenga è necessario che l’inviato faccia trasparire in ogni sua parola ed opera la sua origine soprannaturale, da Dio; se l’inviato, per qualsiasi motivo, oscura questa origine, egli è responsabile sia della mancata adesione ed accoglienza della Parola, sia del mancato assenso di fede in Gesù come uomo venuto da Dio, uscito da lui, ma anche come inviato da Dio.

Poiché Dio è il Padre nostro che è nei cieli e noi tutti siamo chiamati a professare la sua Signoria, è giusto che chiunque parli ed operi in nome di Dio sia talmente trasparente da far vedere Dio dietro di sé. Finché questo non avviene e in chi questo non manifesta, difficile sarà creare dei veri discepoli del Padre, alla sequela di Gesù.

Non li può creare, perché non si vede in chi annunzia ed in chi opera Dio dietro di lui, si vede l’uomo e basta. La soprannaturalità dell’inviato di Dio può essere negata, ma comunque dovrà essere sempre visibile. Noi non siamo responsabili di chi la nega, siamo responsabili per chi non la vede, poiché costui non può aprirsi alla fede nel Padre e quindi non può accogliere la nostra parola come Parola del Padre.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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