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COMMENTO AL VANGELO DI GIOVANNI

Ultimo Aggiornamento: 04/06/2019 15:05
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07/01/2012 23:11
 
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29 Gli dicono i suoi discepoli: “Ecco, adesso parli chiaramente e non fai più uso di similitudini. 30 Ora conosciamo che sai tutto e non hai bisogno che alcuno t’interroghi. Per questo crediamo che sei uscito da Dio”. 31 Rispose loro Gesù: “Adesso credete? 32 Ecco, verrà l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto proprio e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me. 33 Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me. Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo”.
Nonostante la dichiarazione di fede nei confronti del Maestro (v. 30), la fede dei discepoli è ancora imperfetta e fragile; durante la sua imminente Passione, infatti, Gesù sarà abbandonato da loro (v. 32), ma non dal Padre, il quale ha già garantito, nel tempo presente, la vittoria sulle forze del male al suo obbediente Figlio ed a quanti credono in Lui. Adesso sì che parli chiaro; la reazione dei discepoli al lungo monologo di Gesù è sorprendente, visto e considerato che Gesù si era già espresso in passato e più volte allo stesso modo, rivelando la propria origine e la natura della sua missione. I fatti smentiranno, a breve, questa loro presunta convinzione di aver finalmente capito le parole del Maestro, perché se, da un lato, i discepoli sono riusciti ad accettare l’idea che Gesù è un personaggio fuori dal comune per intelligenza, rettitudine morale, carisma, capacità di compiere prodigi, autonomia di giudizio, preveggenza, intuizione ed autorevolezza (doti che fanno di Lui un rabbì straordinario ed inarrivabile, perché “uscito da Dio”), dall’altro lato essi non sono ancora in grado di comprendere i termini della comparsa di Gesù sulla scena del mondo, della sua annunciata dipartita a causa di un atto di violenza e del successivo suo ritorno in vesti gloriose. Si può ben comprendere lo stato di confusione mentale di quella gente, avvezza a confrontarsi con i problemi quotidiani dell’esistenza con sano e pratico pragmatismo e poco incline alle speculazioni filosofiche e teologiche. Sono venuto… ora vado… poi ritorno…, tanto basta per farsi venire il mal di testa! I discepoli danno per scontato che Gesù sa prevenire le loro domande ed è in grado di dare una pronta risposta a ciò che frulla nei loro pensieri: “ora conosciamo che sai tutto e non hai bisogno che alcuno t’interroghi”. Questa semplice constatazione è già sufficiente per mandare in fibrillazione un ebreo qualsiasi, convinto che la capacità di conoscere una domanda od una richiesta, prima che venga espressa, appartenga esclusivamente al potere divino; figuriamoci per gente abituata da tre anni a vedere Gesù camminare sulle acque agitate del mare di Galilea, resuscitare i morti, guarire ciechi dalla nascita, sanare in un amen i lebbrosi, gli storpi, i sordomuti, i paralitici e via dicendo. Tutto si può accettare, prodigi, profezie, lettura del pensiero e quant’altro…, ma la croce no, per favore! Una volta assodato che Gesù sa tutto e che sa leggere nella mente dei suoi interlocutori, i discepoli ritengono di avere un motivo più che valido per credere in Lui (“per questo crediamo che sei uscito da Dio”) e, quindi, di sentirsi tranquilli e sicuri come in una botte di ferro, ma Gesù non è d’accordo con tanto entusiasmo a buon mercato e, senza tanti giri di parole, li taccia tutti quanti di vigliaccheria bella e buona: “Ecco, verrà l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto proprio e mi lascerete solo”. L’impietosa rivelazione di Gesù abbraccia tutti i suoi fedelissimi, a partire da Pietro, che pure si era dichiarato pronto a sacrificare la propria vita per difendere il Maestro e seguirlo in capo al mondo (Gv 13,36.38); in tale frangente, Pietro si era sentito dare del rinnegato ed ora, lui e tutti gli altri, si sentono definire come dei pavidi, pronti di lingua e lesti di gambe! Confrontando le varie occasioni, nelle quali i discepoli od i semplici ammiratori di Gesù avevano espresso il loro entusiasmo per Lui, riconoscendolo come l’Eletto, il Figlio di Dio (titoli onorifici applicati all’atteso Messia, un personaggio di natura certamente umana e non divina, tanto per non equivocare sul significato di tali esternazioni), non si riscontra mai una compiaciuta soddisfazione nelle parole del severo rabbì, venuto da un’oscura borgata della Galilea. Natanaele, sorpreso che Gesù lo avesse “visto”, da chissà quale distanza siderale, mentre era intento a studiare la Legge seduto all’ombra di un fico, per eccellenza l’albero della sapienza e della conoscenza, si era sentito rispondere dal Maestro che ben altri prodigi avrebbero sconvolto il suo cuore e la sua mente (Gv 1,49), inducendolo a credere in Lui più di quanto avrebbe immaginato dopo aver appena scoperto le sue doti di “veggente”. Dopo aver riscosso la confessione di fede di Pietro, relativamente sconvolto dalle parole che Egli aveva appena pronunciato circa la necessità di mangiare la sua stessa Persona (“carne”) per ottenere la vita eterna ma pronto, anzi, a riconoscere in Lui la sorgente stessa della vita (Gv 6,69), Gesù non aveva espresso alcun consenso o rallegramento nei confronti del suo rude e fedele discepolo, ma aveva annunciato l’imminente tradimento di uno dei Dodici. Ora, Gesù è pronto ad incassare la fuga di tutti i suoi discepoli nel momento della prova suprema (16,32), così come le pecore della parabola (Gv 10,12) sono disperse dal lupo famelico. A differenza della tradizione Sinottica (cf. Mc 14,50), ad onor del vero, secondo l’evangelista Giovanni non sono i discepoli a darsela a gambe levate in occasione della cattura del Maestro, ma è Gesù stesso che li lascia andare, facendoli partire (cf. 18,8) per affrontare da solo il “tempo” tragico della Passione. L’evangelista sembra, allora, contraddirsi, quando mette sulla bocca di Gesù l’affermazione: “vi disperderete ciascuno per conto proprio”; in realtà, Giovanni vuole suggerirci che nulla avviene nelle vicende umane che non sia sovranamente deciso dal Padrone del tempo e della storia. I discepoli “si disperdono ognuno per conto proprio” e “lasciano solo” Gesù al momento della sua cattura perché così ha voluto Lui, che agisce in perfetta sintonia di pensiero e di volontà col Padre. A suo tempo, anche i discepoli, ora in fuga, “ritorneranno” volontariamente da Gesù per testimoniarlo con la propria vita, non a motivo di un lodevole sentimento di rimorso per un gesto di viltà, ma perché è Gesù stesso che li “chiama” ad essere suoi testimoni. Questa volta, i discepoli non “tradiranno” più il loro Signore ed affronteranno coraggiosamente la loro personale “passione”. La “solitudine” di Gesù di fronte all’iniquità del mondo, che sta per giudicarlo e giustiziarlo, è solo apparente perché il Padre stesso è con Lui; Gesù sa già che il tragico “momento della croce” coincide con la “gloria della resurrezione”, evento indicibile che sancisce la perfetta identità tra il “crocifisso” ed il “risorto”, tra l’Uomo Gesù ed il Figlio di Dio, ovvero la seconda Persona della S.S. Trinità.
Giunto alla soglia della sua Passione, Gesù si congeda dai suoi fedeli discepoli con un incoraggiamento, fondato sulla certezza della vittoria e con il dono della pace. Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me. La pace, donata da Gesù, non ha nulla a che fare con quella pretestuosa ed aleatoria inseguita dal “mondo” ostile a Dio (cf. 14,27), basata su fragili equilibri diplomatici e su contrapposte forze militari, che all’occorrenza mostrano i muscoli e digrignano i denti mostrando il lato peggiore della natura umana. La pace di Gesù, al contrario, penetra nel profondo dell’essere dei credenti, qualunque sia l’afflizione che essi provano nel mondo e li rende saldi nella fede, forti nella speranza e costanti nell’amore. Le tribolazioni, che caratterizzano inevitabilmente la vita di ciascun essere umano, non possono far vacillare i veri seguaci di Cristo, perché Egli ha già “vinto il mondo”, creando un nuovo spazio di esistenza entro cui i fedeli vivono, in pienezza, il dono divino della pace. La visione cristiana dell’umana esistenza è realista e nulla concede ai facili e fallaci entusiasmi dei pacifisti di ogni tempo, convinti di poter ottenere una pace stabile e duratura su questa terra mediante slogan e cortei di protesta; la pace “in” Gesù si conquista con grandi lotte e non sono previste agevoli fughe in quel mondo immaginario, che è stato consegnato alla storia della letteratura e della filosofia col nome avvincente, ma vano, di utopia. I discepoli non devono scoraggiarsi né turbarsi per l’imminente “ritorno” di Gesù al Padre e per il disordine morale esistente nel mondo, in forza del quale l’opposizione al Vangelo di Cristo, che è un messaggio di vita e di salvezza (entro le cui coordinate si realizza la vera pace donata da Cristo), non cesserà mai sino alla fine del tempo presente. L’ingiustizia, in tutte le sue varie forme e manifestazioni, continuerà a deturpare ed avvilire le relazioni umane, violando tutte le regole della legge divina dell’uno e dell’altro Testamento e sarà fonte perenne di sofferenza e di angoscia per tutti gli uomini. Nessuna paura, né panico: Cristo Signore “ha vinto il mondo” e la sua logica violenta, prevaricatrice e radicalmente ingiusta. Nel giorno del suo insediamento sul Soglio di Pietro, il papa Giovanni Paolo II ha voluto esprimere la fiducia dell’umanità redente e salvata riecheggiando le parole che Gesù ha pronunciato nel discorso d’addio, alla vigilia della sua Passione: “Non abbiate paura, aprite le porte a Cristo!”. Se l’uomo rimane chiuso in se stesso e nelle proprie paure ed angosce esistenziali, rifiutando la pace e l’amore che solo Cristo può donare, si consegna virtualmente nelle mani del “principe di questo mondo”, il quale sa offrire solo disperazione, lutti, odio e morte.
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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