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VITA di s.Teresa D'Avila

Ultimo Aggiornamento: 09/08/2013 17:49
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09/08/2013 16:27
 
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CAPITOLO 9
Parla del modo in cui il Signore cominciò a risvegliare la sua anima, a illuminarla in così fitte tenebre e a rafforzare le sue virtù affinché non l’offendesse più.
1. Ormai, dunque, la mia anima era stanca e, anche se lo voleva, le sue cattive abitudini non la lasciavano riposare. Accadde un giorno che, entrando nell’oratorio, vidi una statua portata lì in attesa di una certa solennità che si doveva celebrare in casa e per la quale era stata procurata. Era un Cristo tutto coperto di piaghe, e ispirava tale devozione che, guardandola, mi turbai tutta nel vederlo ridotto così, perché rappresentava al vivo ciò che egli ebbe a soffrire per noi. Provai tanto rimorso per l’ingratitudine con cui avevo ripagato quelle piaghe, che pareva mi si spezzasse il cuore, e mi gettai ai suoi piedi con un profluvio di lacrime, supplicandolo che mi desse infine la forza di non offenderlo più.
2. Ero molto devota di santa Maria Maddalena e assai di frequente pensavo alla sua conversione, specie quando mi comunicavo; perché, sapendo che in quel momento il Signore stava certamente in me, mi prostravo ai suoi piedi, nella speranza che le mie lacrime non venissero disprezzate. Ma non sapevo quel che dicevo (facendo già molto chi mi consentiva di spargere lacrime per lui, visto che dimenticavo tanto presto quella pena), e così mi raccomandavo a questa gloriosa santa perché mi ottenesse il perdono.
3. Quest’ultima volta, però, l’essermi prostrata davanti alla statua che ho detto lì posta, credo mi abbia giovato di più, perché avevo perduto ogni fiducia in me e confidavo unicamente in Dio. Mi sembra d’avergli detto allora che non mi sarei alzata da lì finché non mi avesse concesso quello di cui lo supplicavo. Sono certa di essere stata esaudita, perché da allora andai molto migliorando.
4. Questo era il mio metodo di orazione: non potendo discorrere con l’intelletto, cercavo di rappresentarmi Cristo nel mio intimo e mi trovavo meglio, a mio giudizio, ricercandolo in quei tratti della sua vita in cui lo vedevo più solo. Mi pareva che, essendo solo ed afflitto, come persona bisognosa di conforto, mi avrebbe accolta più facilmente. Di queste ingenuità ne avevo parecchie. Mi trovavo assai bene specialmente nell’orazione dell’Orto degli ulivi; lì gli tenevo compagnia; pensavo al sudore e all’afflizione che aveva sofferto; desideravo, potendo, tergergli quel sudore così penoso (ma ricordo che non osavo mai decidermi a farlo, perché mi venivano subito in mente i miei gravissimi peccati). Me ne stavo lì con lui fino a quando i miei pensieri me lo permettevano, essendo molti quelli che mi davano tormento. Per vari anni, la maggior parte delle sere, prima di addormentarmi – allorché per dormire mi raccomandavo a Dio – meditavo sempre un po’ su questo passo dell’orazione dell’Orto degli ulivi, fin da quando non ero ancora monaca, avendo sentito dire che si guadagnavano molte indulgenze. Sono convinta che con questa meditazione la mia anima si sia molto avvantaggiata perché cominciai a praticare l’orazione, senza sapere che cosa fosse, e diventò poi un’abitudine così regolare che non avrei potuto trascurare di farmi il segno della croce prima di addormentarmi.
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Stretta è la porta e angusta la Via che conduce alla Vita (Mt 7,14)
 
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