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VITA di s.Teresa D'Avila

Ultimo Aggiornamento: 09/08/2013 17:49
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09/08/2013 16:23
 
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16. Il suo male più forte fu un enorme dolore alle spalle che non gli cessava mai; a volte lo tormentava tanto da procurargli grande sofferenza. Io gli dissi, poiché era molto devoto di Gesù caricato della croce, di pensare che Sua Maestà con quel dolore gli voleva far provare qualcosa di ciò che egli aveva sofferto. Ne ebbe tanto conforto che mi sembra di non averlo mai più udito lamentarsi. Rimase tre giorni completamente privo di sensi. Il giorno in cui morì, il Signore lo fece tornare così interamente in sé che ne restammo sbigottiti, e durò in tale stato finché, giunto alla metà del Credo, che egli stesso recitava, spirò. Rimase come un angelo, e tale a me sembrava che fosse – per modo di dire – quanto ad anima e a disposizione spirituale che aveva straordinariamente buone. Non so perché ho detto questo, se non per condannare la mia miserabile vita perché, dopo aver visto tale morte e conosciuto una tal vita, almeno per il fatto di assomigliarmi un po’ a tale padre avrei dovuto migliorarmi. Il suo confessore, il quale era un domenicano molto dotto, diceva non dubitare che egli fosse andato direttamente in paradiso, perché era suo confessore da alcuni anni e lodava molto la sua purezza di coscienza.
17. Questo padre domenicano, che era molto virtuoso e timorato di Dio, mi fece molto bene, perché, avendolo scelto anche come mio confessore, si prese a cuore il bene dell’anima mia, e mi fece capire la rovina in cui mi trovavo. Mi faceva comunicare ogni quindici giorni; a poco a poco, trattandolo di più, gli parlai della mia orazione; mi disse di non abbandonarla mai, che assolutamente non poteva farmi altro che bene. Cominciai a tornare ad essa, anche se non evitavo le cattive occasioni, e non l’abbandonai più. Vivevo una vita piena di sofferenze perché, mediante l’orazione, vedevo meglio le mie colpe: da una parte mi chiamava Dio, dall’altra io seguivo il mondo; le cose di Dio mi davano una grande gioia, quelle del mondo mi tenevano legata. Sembrava che volessi conciliare questi due opposti – così nemici l’uno dell’altro – come sono la vita e le gioie spirituali e i piaceri e i passatempi dei sensi. Nell’orazione provavo grande sofferenza, perché lo spirito non era padrone, ma schiavo; pertanto non riuscivo a rinchiudermi nel mio intimo (che era il mio solo modo di procedere nell’orazione) senza rinchiudervi con me mille vanità. Trascorsi così molti anni; soltanto ora mi meraviglio che una creatura umana abbia potuto resistere tanto in questo stato senza romperla o con Dio o con il mondo: certo, lasciare l’orazione non era più in mio potere, perché mi teneva con le sue mani colui che così voleva darmi maggiori grazie
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Stretta è la porta e angusta la Via che conduce alla Vita (Mt 7,14)
 
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