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VITA di s.Teresa D'Avila

Ultimo Aggiornamento: 09/08/2013 17:49
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09/08/2013 16:16
 
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5. Cercai di sapere di più, informandomi meglio presso i suoi familiari; conobbi più a fondo la gravità del suo danno morale, ma vidi che il pover’uomo non aveva tanta colpa, perché quella donna sciagurata gli aveva fatto alcuni sortilegi mediante un piccolo idolo di rame, che gli aveva raccomandato di portare al collo per amor suo, e nessuno era riuscito a farglielo togliere. A dire il vero, io non credo a queste storie dei sortilegi, ma dico quello che ho visto per avvisare gli uomini di guardarsi dalle donne che cercano di adescarli in tal modo, e di esser convinti che, avendo esse perduto ogni pudore di fronte a Dio (mentre più degli uomini sono tenute a rispettarlo), non possono meritare la minima fiducia. Infatti non badano a nulla pur di conseguire il loro intento e assecondare quella passione che il demonio pone nel loro cuore. Benché io sia stata tanto miserabile, non sono mai caduta in alcuna colpa di tal genere né ho mai avuto l’intenzione di far del male né, anche se l’avessi potuto, avrei voluto forzare la volontà di qualcuno ad amarmi, perché da questo mi preservò il Signore; ma se mi avesse abbandonato avrei commesso anche riguardo a ciò il male che commettevo riguardo al resto, perché di me non c’è assolutamente da fidarsi.
6. Non appena seppi questo, dunque, cominciai a dimostrargli più amore. La mia intenzione era buona, ma non il mezzo di cui mi servivo; nell’intento di fare il bene, infatti, per quanto grande fosse, non dovevo lasciarmi andare neanche al minimo male. Di solito gli parlavo di Dio; questo doveva giovargli, ma credo che più utile allo scopo fu il fatto che egli mi amasse molto. Per farmi piacere, invero, si decise a darmi l’idoletto, che io feci gettare subito nel fiume. Appena se ne fu liberato, cominciò – come chi si svegli da un lungo sonno – a ricordarsi a poco a poco di tutto quello che aveva fatto in quegli anni e, spaventato di se stesso, dolendosi della sua perdizione, finì con il detestarla. Nostra Signora dovette aiutarlo molto, perché era molto devoto della sua concezione, la cui ricorrenza era da lui celebrata solennemente. Infine, cessò del tutto di vedere quella donna, e non si stancava di render grazie a Dio per averlo illuminato. Morì allo scadere esatto di un anno dal giorno in cui l’avevo conosciuto. Si era adoperato già molto nel servire Dio, perché nel suo affetto per me non scorsi mai nulla di male, quantunque potesse essere forse più puro, ma ebbe anche tali occasioni che, se non avesse tenuto ben presente Dio, l’avrebbe offeso molto gravemente. Come ho già detto, quello ch’io capivo essere peccato mortale, non l’avrei fatto davvero, e ritengo che la costatazione di questa mia fermezza abbia contribuito al suo amore per me. Credo, infatti, che tutti gli uomini preferiscano le donne che vedono inclini alla virtù, e anche per quel che riguarda l’affezione terrena, credo che le donne ottengano da essi di più con questo mezzo, come dirò in seguito. Sono sicura che egli si sia salvato. Morì serenamente e del tutto fuori di quella situazione; sembra che il Signore l’abbia voluto salvare con questo mezzo.
7. Rimasi in quel luogo tre mesi, con grandissime sofferenze, perché la cura fu più forte di quel che consentisse la mia costituzione fisica. Dopo due mesi, a forza di medicine, ero ridotta quasi in fin di vita, e il mal di cuore ch’ero andata a curarmi era molto più forte, tanto che a volte mi sembrava che me lo dilaniassero con denti aguzzi, e si temé che si trattasse di rabbia. A causa della estrema mancanza di forza (non potendo, per la gran nausea, cibarmi di nulla che non fosse liquido), della febbre che non subiva interruzione, spossata oltre ogni dire, perché mi avevano dato una purga ogni giorno quasi per la durata di un mese, ero così consumata che mi si cominciarono a rattrappire i nervi, con dolori talmente intollerabili che non potevo aver riposo né giorno né notte e in più avevo una tristezza molto profonda.
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