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CAMMINO DI PERFEZIONE (s.Teresa d'Avila)

Ultimo Aggiornamento: 03/08/2013 09:06
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02/08/2013 19:38
 
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CAPITOLO 6 (4)
Parla di tre cose importanti. Spiega la prima di queste che è l’amore del prossimo e indica i danni delle amicizie particolari.
1. Non pensate, amiche e sorelle mie, che siano molte le cose che vi raccomanderò. Piaccia, infatti, al Signore che osserviamo quelle che i nostri santi Padri hanno ordinato e adempiuto nella Regola e nelle Costituzioni che, viste insieme, costituiscono un codice di virtù. Mi limiterò a parlarvi solo di tre cose inerenti alle stesse Costituzioni, essendo molto importante intendere l’obbligo rigoroso di osservarle per avere la pace interna ed esterna, che il Signore ci ha tanto raccomandato: la prima è l’amore reciproco; la seconda, il distacco da tutte le creature; la terza, la vera umiltà che, sebbene sia da me nominata per ultima, è la virtù principale e le abbraccia tutte.
2. Quanto alla prima, cioè avere un grande amore [reciproco], essa è di grandissima importanza, perché non vi è nulla di così gravoso che non si sopporti facilmente fra coloro che si amano, e occorrerebbe che fosse cosa ben dura se riuscisse gravosa. Se questo comandamento fosse osservato nel mondo come si deve, credo che aiuterebbe molto a fare osservare anche gli altri; ma, ora per troppo zelo, ora per poco, non si arriva mai a osservarlo in modo perfetto. Sembra, in proposito, che l’eccesso fra noi non debba essere nocivo, eppure porta con sé tanto male e tante imperfezioni che, a mio giudizio, non può crederlo se non chi è stato testimone oculare. Qui il demonio tende molte insidie, che in coscienze che si sforzano di piacere a Dio alla men peggio si avvertono poco, anzi sembrano ispirazioni virtuose. Coloro che, invece, mirano alla perfezione, se ne rendono perfettamente conto, perché a poco a poco tolgono alla volontà la forza di applicarsi interamente all’amore di Dio.
3. E credo che questo difetto si riscontri nelle donne ancor più che negli uomini; esso reca evidentissimi danni a una comunità, perché ne segue che le monache non si amino tutte ugualmente, che si soffra per il torto subito da una di essa, che si desideri di aver qualcosa da regalarle, che si cerchi il momento per parlarle, e molte volte per dirle che la si ama, più che per parlarle dell’amore che si nutre per Dio. È raro, infatti, che queste grandi amicizie siano rivolte ad aiutarsi vicendevolmente ad amare di più il Signore; anzi, credo che il demonio le faccia nascere per creare fazioni opposte [negli Ordini religiosi]. Si vede subito quando, invece, l’amore è rivolto al servizio [di Dio], perché l’affetto non è guidato dalla passione, ma cerca un aiuto per vincere altre passioni.
4. Vorrei che nei grandi monasteri vi fossero molte amicizie di questo genere. Al monastero di San Giuseppe, ove non siamo e non dobbiamo essere più di tredici, tutte devono sentirsi amiche, tutte devono amarsi, volersi bene e aiutarsi reciprocamente. Per sante che siano, si guardino, per amor di Dio, da queste amicizie particolari, le quali di solito anche tra fratelli sono un veleno – se no, osservate la storia di Giuseppe! Io non vedo in esse alcun vantaggio; se riguardano parenti meno prossimi, peggio ancora: una vera peste. Credetemi, sorelle, che, anche se questo vi sembra esagerato, include un’alta perfezione e una grande pace, ed evita molte occasioni pericolose a quelle che non sono ben salde nella virtù. Se l’affetto inclina più verso una che verso un’altra (né potrà essere altrimenti, trattandosi di un sentimento naturale, che molte volte ci porta ad amare la più imperfetta, se particolarmente dotata di innate attrattive), teniamo a freno il nostro sentimento per non lasciarci dominare da quell’affetto. Amiamo le virtù e le qualità interiori, sforzandoci sempre attentamente di non badare alle qualità esteriori.
5. Non permettiamo mai, sorelle, che il nostro cuore sia schiavo di alcuno, se non si tratta di colui che l’ha riscattato con il suo sangue; guardate che, altrimenti, senza saper come, vi troverete in un tale intrico da non poterne uscire. Oh, Dio mio, le puerilità che nascono da queste amicizie particolari non si contano! E, per evitare che tante debolezze di donne vengano risapute e forse imparate da quelle che non le conoscono, non voglio parlarne dettagliatamente. Certo, però, mi spaventava talvolta il rilevarle (giacché per bontà di Dio in questi casi non mi sono mai lasciata irretire molto e, può darsi per caso, perché mi trovavo invischiata in cose peggiori). Ma, come ho detto, tante volte ho visto cose simili e temo che serpeggino nella maggioranza dei monasteri. Io l’ho osservato in alcuni e so che per la vera e perfetta vita religiosa sono una pessima cosa e nella priora saranno una vera peste. Con questo è detto tutto.
6. Nell’arginare queste parzialità, occorre molta cura fin dal momento in cui comincia a manifestarsi [l’amicizia]; bisogna agire con abilità ed amore più che con rigore. Un rimedio eccellente a tal fine è non stare insieme né parlarsi, se non nelle ore stabilite, secondo l’usanza che ora seguiamo, rispettando le nostre Costituzioni che prescrivono di non stare insieme, ma di rimanere ognuna nella propria cella. Il monastero di San Giuseppe sia, quindi, esente da avere un luogo di lavoro comune perché, pur essendo questa una lodevole usanza, si osserva meglio il silenzio quando ognuna sta per conto proprio, e ci si abitua alla solitudine, ottima disposizione per l’orazione. Ora, siccome questa dev’essere il fondamento di questa casa e poiché, per praticarla, ci siamo riunite, più di ogni altra cosa dobbiamo impegnarci a prediligere ciò che può essere utile per tale esercizio.
7. Ritornando a parlare dell’amore scambievole sembra fuor di proposito raccomandarlo; infatti, come si può essere così barbari da non amarsi, trattandosi e vivendo sempre insieme, senza la possibilità di parlare, né aver relazione, né svagarsi con persone estranee alla casa, sapendo, inoltre, che Dio ci ama e che le nostre sorelle amano lui, visto che per amore di Sua Maestà hanno abbandonato tutto? Tanto più che la virtù attira l’amore, e questo con la grazia di Dio, e io spero che, con l’aiuto di Sua Maestà, essa sarà sempre praticata dalle monache di questa casa. Pertanto, a questo riguardo, mi sembra che non ci siano molte raccomandazioni da fare.
8. Vorrei ora parlare un po’, secondo la mia elementare capacità, di come debba essere questo amore reciproco, in cosa consista l’amore virtuoso – quello che io desidero veder regnare qui – e da quali segni riconosceremo di possedere questa virtù, che è ben grande, se il nostro Maestro e Signore Cristo l’ha raccomandata e con tanta insistenza a tutti, specialmente ai suoi Apostoli. Ma se voi lo troverete minuziosamente spiegato in altri libri, non date importanza a quanto scrivo, perché forse non so quello che dico, se il Signore non mi illumina.
CAPITOLO 7 (4)
Tratta di due tipi diversi di amore e di quanto sia importante conoscere quale sia quello spirituale. Parla dei confessori.
1. Mi propongo ora di parlare di due specie di amore: uno puramente spirituale, perché la sensitività o la tenerezza della natura umana non vengono toccate in esso e l’altro, anch’esso spirituale, ma unito alla nostra sensitività e debolezza. È un fatto che c’interessa molto, perché sono due modi di amarci in cui non s’inserisce nessuna passione umana, la quale creerebbe soltanto disordine in questa unione. Se pratichiamo con moderazione e discrezione l’amore di cui ho parlato, esso risulta assai meritorio in tutto, poiché ciò che ci sembra essere sensitività si trasforma in virtù. Senonché, le due componenti si presentano talvolta frammischiate tanto che non si riesce a individuarle, come capita soprattutto nei confronti di un confessore. Infatti le persone dedite all’orazione, se lo vedono santo e capace di comprendere il loro modo di procedere, si attaccano a lui con molto amore.
2. Qui il demonio scatena molti scrupoli rendendo l’anima inquieta. È proprio ciò che egli vuole. Soprattutto quando il confessore la conduce verso maggiore perfezione, il maligno la turba fino a fargliela abbandonare. E non smette di torturarla con quella tentazione, né con un confessore né con un altro. Ciò che si può fare è non occupare il pensiero per sapere se lo si ama o meno. Se tali persone amano il confessore, lo amino pure, poiché, se nutriamo amore verso chi procura qualche bene al nostro corpo, perché non amare chi s’impegna e lavora per farcelo all’anima? Perché non dovremmo amarlo? Io credo che veramente si progredisca molto se si nutre amore verso il confessore, se egli è santo e spirituale e se vedo che egli fa molto per far progredire la mia anima. La nostra debolezza è tale che questo, talvolta, ci aiuta a fare cose grandi nel servizio di Dio. Se [il confessore] non è così come ho detto, allora c’è pericolo. Un confessore che non è tale potrebbe essere causa di gravi danni per il fatto che egli capisca di essere benvoluto e, nelle case di stretta clausura, più che nelle altre. Siccome è difficile capire quale sia quello davvero buono, occorre grande e accurata attenzione. Sarà meglio ancora se egli non sospetta di essere benvoluto e che non glielo dicano. Il demonio subentra con tale arte da non offrire scappatoie, sicché chi va a confessarsi ritiene di aver solo quello di cui confessarsi e si sente obbligato a manifestarlo. Vorrei, quindi, che si convincessero che non è nulla e di non badarci. Ascoltino questo consiglio: se si accorgono che tutti i colloqui con il confessore servono per far progredire l’anima e se non in lui alcune vanità (e di ciò si rende subito conto chi non vuol lasciarsi abbindolare) e se egli è timorato di Dio, non si preoccupino di sentire qualche tentazione di affetto verso di lui, perché non appena il demonio si sarà stancato smetterà d’intervenire. Ma, se si rendono conto che il confessore trova qualche vana compiacenza in ciò che gli dicono, siano in tutto sospettose e non si abbandonino a lunghe conversazioni con lui, sia sull’orazione che su Dio. Si limitino, piuttosto, a confessarsi stringatamente e a concludere. Meglio ancora sarebbe dire alla madre [priora] che la propria anima non si trova bene con lui e che si vorrebbe cambiare confessore. Sarebbe questa la soluzione migliore, se ci fosse la disponibilità – e spero in Dio che ci sia – e così fare tutto il possibile per non trattare più con lui, anche se si sentisse morire.
3. Badate che tale raccomandazione è molto importante, perché [la vanità in un confessore] è cosa assai pericolosa, un inferno e una rovina per tutta la comunità. E, ripeto, non si deve aspettare che il male sia già grande, ma arrestarlo all’inizio, con tutti i mezzi possibili. Lo potete fare con assoluta buona coscienza. Ma io spero che il Signore non permetterà che persone, le quali devono sempre occuparsi dell’orazione, possano nutrire affetto se non per chi è innamorato di Dio e molto virtuoso. Su ciò non v’è dubbio, altrimenti è ugualmente certo che non sono anime dedite all’orazione. Perché, se lo sono, come qui si esige, ed esse vedono che il confessore non comprende il loro linguaggio, e non è portato a parlare di Dio, non potranno amarlo, perché non somiglia a loro. Se, invece, somiglia, date le pochissime occasioni di male che qui vi saranno, egli, a meno di essere troppo semplice, non si turberà né vorrà turbare le serve di Dio in un luogo dove i suoi desideri non troveranno alcuna soddisfazione, o ben poca.
4. Poiché ho cominciato a parlare di questo male che, come ho detto, è uno dei più gravi che il demonio possa fare in monasteri di clausura, e di cui ci si accorge molto tardi, aggiungo che per esso si può man mano disorientarsi nella via della perfezione, senza conoscerne la causa. Se infatti il confessore vuol suscitare vanità per il fatto che egli vi si abbandona, tiene in poco conto anche le altre mancanze. Dio ci liberi, per la sua maestà, da simili cose! Basterebbe questo a turbare tutte le sorelle, perché la propria coscienza dice loro il contrario di quel che dice il confessore, e se sono costrette ad averne uno solo, non sanno che fare né come riacquistare la pace. Chi infatti doveva tranquillizzarle e soccorrerle è quello che fa loro danno. A tale riguardo ho visto nei monasteri grandi afflizioni – anche se non nel mio [dell’Incarnazione] – e ne ho provato una grande compassione.
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Stretta è la porta e angusta la Via che conduce alla Vita (Mt 7,14)
 
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