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Meditazioni

Ultimo Aggiornamento: 06/05/2013 18:20
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12/03/2013 23:30
 
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I DUE ESTREMI DELLA TENTAZIONE

“Allora Gesù fu condotto dallo Spirito su nel deserto,
per esser tentato dal diavolo”
(Matteo 4:1)

Per quaranta giorni il Signore Gesù si è trattenuto nel deserto, dimorando in dolce comunione con il Padre, santificandosi in vista della nostra causa e perfezionando la Sua consacrazione. Ma all’ultimo era sfinito, logorato dai pensieri, assalito da una fame estenuante. Il deserto in cui dimorava con le bestie selvatiche rappresentava probabilmente il luogo più adatto per la prova. Nessuno fu mai sensibile come Gesù all’influenza della natura. Per Lui i fiori del campo rappresentavano una conferma delle cure che il Padre Gli avrebbe accordato: gli uccellini cantavano dell’amore di Dio: tutte le cose sussurravano un dolce “non temere”. Ma ora si trovava nella terribile solitudine del deserto: lì la natura non poteva esercitare questa sua facoltà consolatoria. Era circondato da ogni lato da un’orribile solitudine. L’opera di Cristo – che si concluse con quel grido drammatico: “Mio Dio, mio Dio perché mi hai abbandonato?” – sembra essere iniziata nello stesso modo: Gesù era solo, dimenticato e tormentato dalla fame, errante per il deserto. Fu quello il luogo e il momento favorevole per la tentazione. Considera come in quelle circostanze fosse possibile ogni sorta di tentazione. La seduzione del peccato ha origine dalla mancanza di cose o dalla loro abbondanza: invidia e orgoglio, furto e tirannia, menzogna e concupiscenza sono i peccati della scarsità o dell’abbondanza. Questi due estremi della tentazione sono rappresentati nella Bibbia da Giobbe e da Salomone, sinonimi della più cruda povertà e della più grande ricchezza, del non possedere nulla e del disporre di tutte le cose. È con queste due tentazioni che il diavolo si avvicina a Cristo. Gesù era più povero di Giobbe, era spossato e veramente allo stremo, ma al tempo stesso si trovava in una condizione superiore a quella di Salomone, perché aveva tutte le potenze a propria disposizione. Sarebbe bastata una parola per far comparire una moltitudine di angeli in grado di soddisfare qualsiasi bisogno. A un Suo comando il deserto poteva germogliare e fiorire come la rosa, trasformandosi in un paradiso pieno di fiori bellissimi e di alberi carichi di frutti succulenti. Durante tutta la vita di Gesù, il tentatore fece leva su questa duplice e antitetica condizione di debolezza e di potenza. Lo vediamo quando i soldati vengono per arrestarLo: tradito da uno dei discepoli, abbandonato da tutti gli altri, afferrato da mani rozze e legato come un ladro, Egli fu condotto al supplizio apparentemente del tutto inerme. Eppure, proprio allora, Egli dichiarò: “Credi tu forse ch’io non potrei pregare il Padre mio che mi manderebbe in quest’istante più di dodici legioni d’angeli?” (Matteo 26:53).

(assembleedidio.org)

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