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MEDITIAMO LE SCRITTURE (Vol 5) Anno C

Ultimo Aggiornamento: 02/12/2013 08:20
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01/05/2013 08:50
 
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Eremo San Biagio
Commento su Giovanni 10,27

Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Gv 10,27

Come vivere questa Parola?

"Ascoltare", un verbo che forse per noi dice poco: siamo troppo abituati a passare da un'informazione all'altra senza lasciarci permeare da quanto ci raggiunge. Biblicamente, invece, è un atteggiamento importante e non riguarda soltanto l'udito: si ascolta il messaggio racchiuso in ciò che vivo o che mi trasmette il sorriso di una persona; si ascolta il proprio cuore, i sentimenti che lo abitano e talvolta lo agitano; si ascolta persino il silenzio fino a scoprirne la sorprendente eloquenza...

Qui Gesù richiama l'attenzione su un particolare ascolto, cioè l'attenzione alla voce: la parola non ha ancora raggiunto l'orecchio e sollecitato l'intelletto ma quel timbro ha risvegliato il cuore, annuncia-to una presenza. È un appello alla relazione.

La Parola è indubbiamente importante: Cristo stesso è Parola che mi introduce in quel dialogo di amore che è la vita trinitaria. Ma quando si entra nell'ambito delle relazioni la Parola o è trascesa o è colta nella sua globalità in cui tutto è rilevante.

Il cristianesimo non è la religione del "Libro", sia pure il Libro Sacro a cui è giusto e necessario at-tingere quotidianamente. La nostra fede è adesione a una Persona che viene a noi in una molteplicità di modi che per noi diventano eloquenti nella misura in cui riconosciamo in essi la sua presenza, ne "a-scoltiamo" la voce e quindi lo seguiamo.

Voglio, quest'oggi, nella mia pausa contemplativa, lasciare che il cuore ascolti e vibri al suono della sua voce.

Mi hai chiamato, e quella voce ha riscaldato il mio cuore. Ora vivo per coglierne l'eco nella tua Parola e nel mio vissuto. Grazie, Signore!

La voce di un Dottore della Chiesa

Mi hai chiamato e la tua voce ha rotto la mia sordità. Hai fatto brillare il tuo splendore e hai fatto svani-re la mia cecità. Hai diffuso il tuo profumo, ho respirato e corro verso di te. Ho gustato quanto sei buo-no, ho fame e sete, mi hai toccato e sono infiammato dal desiderio della tua pace.
S.Agostino
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02/05/2013 08:05
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Giovanni 15,9-11

1) Preghiera

O Dio, che per la tua grazia
da peccatori ci fai giusti
e da infelici ci rendi beati,
custodisci in noi il tuo dono,
perché, giustificati mediante la fede,
perseveriamo nel tuo servizio.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Giovanni 15,9-11
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: "Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore.
Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore.
Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena".


3) Riflessione

? La riflessione attorno alla parabola della vite comprende i versetti dall'1 al 17. Oggi meditiamo sui versetti dal 9 all'11. Dopodomani, il vangelo del giorno salta i versetti dal 12 al 17 e riprende dal versetto 18, che ci presenta un altro tema. Per questo, includiamo i versetti dal 12 al 17 e si riprende dal 18, che parla di un altro tema. Per questo, includiamo oggi un breve commento dei versetti dal 12 al 17, poiché in essi sboccia il fiore e la parabola della vite mostra tutta la sua bellezza.
? Il vangelo di oggi è di soli tre versetti che continuano il vangelo di ieri e danno più luce per applicare il paragone della vite alla vita delle comunità. La comunità è come una vite. Passa per momenti difficili. E' il momento della potatura, momento necessario per produrre più frutti.
? Giovanni 15,9-11: Rimanere nell'amore, fonte della gioia perfetta. Gesù rimane nell'amore del Padre, osservando i comandamenti che da lui riceve. Noi rimaniamo nell'amore di Gesù osservando i comandamenti che lui ci ha lasciato. E dobbiamo osservarli nella stessa misura in cui lui ha osservato i comandamenti del Padre: "Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore". E' in questa unione dell'amore del Padre e di Gesù che si trova la fonte della vera gioia: "Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena".
? Giovanni 15,12-13: Amare i fratelli come lui ci ama. Il comandamento di Gesù è uno solo: "amarci gli uni gli altri, come lui ci ha amati!" (Gv 15,12). Gesù supera l'Antico Testamento. Il criterio antico era: "Amerai il tuo prossimo come te stesso" (Lev 18,19). Il nuovo criterio è: "Che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati". Qui lui disse la frase: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici!"
? Giovanni 15,14-15 Amici e non servi. "Voi siete miei amici se farete ciò che vi comando", cioè, la pratica dell'amore fino al dono totale di sé! Subito dopo Gesù aggiunge un ideale altissimo per la vita dei discepoli. Dice: "Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone. Ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi!" Gesù non aveva più segreti per i suoi discepoli e per le sue discepole. Ci ha detto tutto ciò che udì dal Padre! Questo è lo splendido ideale della vita in comunità: giungere ad una trasparenza totale, fino al punto di non avere più segreti tra di noi e di poter avere piena fiducia nell'altro, poter condividere l'esperienza che abbiamo di Dio e della vita, e così arricchirci reciprocamente. I primi cristiani riuscirono a realizzare questo ideale per alcuni anni. Loro "erano un solo cuore ed un'anima sola" (At 4,32; 1,14; 2,42.46).
? Giovanni 15,16-17: Gesù ci ha scelti. Non siamo stati noi a scegliere Gesù. Lui ci ha scelti, ci ha chiamati e ci ha affidato la missione di andare e dare frutto, frutto che rimanga. Noi abbiamo bisogno di lui, ma anche lui ha bisogno di noi e del nostro lavoro per poter continuare a fare oggi ciò che fece per la gente di Galilea. L'ultima raccomandazione: "Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri!"
? Il simbolo della vite nella Bibbia. La gente della Bibbia coltivava viti e produceva buon vino. La raccolta dell'uva era una festa, con canti e danze. E ciò dette origine al canto della vigna, usato dal profeta Isaia. Lui paragona il popolo di Israele ad una vigna (Is 5,1-7; 27,2-5; Sal 80,9-19). Prima di lui, il profeta Osea aveva già paragonato Israele ad una vigna esuberante che quanti più frutti produceva, più moltiplicava le sue idolatrie (Os 10,1). Questo tema è stato utilizzato da Geremia, che paragonò Israele ad una vigna bastarda (Ger 2,21), da cui furono sradicati i rami (Ger 5,10; 6,9). Geremia usa questi simboli perché lui stesso aveva una vigna che fu calpestata e devastata dagli invasori (Ger 12,10). Durante la schiavitù in Babilonia, Ezechiele usò il simbolo della vite per denunciare l'infedeltà del popolo di Israele. Lui raccontò tre parabole sulla vite: (a) La vite bruciata che non serve più a nulla (Ez 15,1-8); (b) La vite falsa piantata e protetta da due acque, simboli dei re di Babilonia ed Egitto, nemici di Israele (Ez 17,1-10). (c) La vite distrutta dal vento orientale, immagine della schiavitù di Babilonia (Ez 19,10-14). Il paragone della vite fu usato da Gesù in diverse parabole: gli operai della vigna (Mt 21,1-16); i due figli che devono lavorare nella vigna (Mt 21,33-32); coloro che affittarono la vigna, non pagarono il padrone, bastonarono i suoi servi ed uccisero il figlio del padrone (Mt 21,33-45); il fico sterile piantato nella vigna (Lc 13,6-9); la vite e i suoi tralci (Gv 15,1-17).


4) Per un confronto personale

? Siamo amici e non servi. Come vedo questo nel mio rapporto con le persone?
? Amare come Gesù ci amò. Come cresce in me questo ideale d'amore?


5) Preghiera finale

Annunziate di giorno in giorno la salvezza del Signore;
in mezzo ai popoli narrate la sua gloria,
a tutte le nazioni dite i suoi prodigi. (Sal 95)
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03/05/2013 08:44
 
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a cura dei Carmelitani


1) Preghiera

O Dio, nostro Padre,
che rallegri la Chiesa
con la festa degli apostoli Filippo e Giacomo,
per le loro preghiere concedi al tuo popolo
di comunicare al mistero della morte e risurrezione
del tuo unico Figlio,
per contemplare in eterno la gloria del tuo volto.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Giovanni 14,6-14
In quel tempo, Gesù disse a Tommaso: "Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se conoscete me, conoscerete anche il Padre; fin da ora lo conoscete e lo avete veduto".
Gli disse Filippo: "Signore, mostraci il Padre e ci basta". Gli rispose Gesù: "Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre? Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me?
Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è in me compie le sue opere. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse.
In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre.
Qualunque cosa chiederete nel nome mio, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio. Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò".


3) Riflessione

? Il vangelo di oggi, festa degli apostoli Filippo e Giacomo, è lo stesso che abbiamo meditato durante la quarta settimana di Pasqua, e narra la richiesta dell'apostolo Filippo a Gesù: "Mostraci il Padre, e questo ci basta".
? Giovanni 14,6: Io sono la via, la verità e la vita. Tommaso aveva rivolto una domanda: "Signore, non sappiamo dove vai. Come possiamo conoscere il cammino?" (Gv 14,5). Gesù risponde: "Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me". Tre parole importanti. Senza la via, non si va. Senza la verità non si fa una buona scelta. Senza vita, c'è solo morte! Gesù spiega il senso. Lui è la via, perché "nessuno viene al Padre se non per mezzo di me". E lui è la porta da dove entrano ed escono le pecore (Gv 10,9). Gesù è la verità, perché guardando lui, stiamo vedendo l'immagine del Padre. "Chi conosce me conosce il Padre!" Gesù è la vita, perché camminando come Gesù staremo uniti al Padre ed avremo vita in noi!
? Giovanni 14,7: Conoscere Gesù è conoscere il Padre. Tommaso aveva chiesto:"Signore, non sappiamo dove vai. Come possiamo conoscere la via?" Gesù risponde: "Io sono la via, la verità e la vita! Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me".Ed aggiunse: "Se conoscete me, conoscete anche il Padre. Fin da ora lo conoscete e lo avete veduto". Questa è la prima frase del vangelo di oggi. Gesù parla sempre del Padre, perché era la vita del Padre che appariva in tutto ciò che diceva e faceva. Questo riferimento costante al Padre provoca la domanda di Filippo.
? Giovanni 14,8-11: Filippo chiede: "Mostraci il Padre e ci basta!" Era il desiderio dei discepoli, il desiderio di molte persone delle comunità del Discepolo Amato ed è il desiderio di molta gente oggi. Come fa la gente per vedere il Padre di cui tanto parla Gesù? La risposta di Gesù è molto bella ed è valida fino ad oggi: "Filippo, da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto! Chi ha visto me ha visto il Padre!" La gente non deve pensare che Dio è lontano da noi, distante e sconosciuto. Chi vuole sapere come e chi è Dio Padre, basta che guardi Gesù. Lui lo ha rivelato nelle parole e nei gesti della sua vita! "Il Padre è in me ed io sono nel Padre!" Attraverso la sua obbedienza, Gesù si è identificato totalmente con il Padre. Lui faceva ogni momento ciò che il Padre gli mostrava di fare (Gv 5,30; 8,28-29.38). Per questo, in Gesù tutto è rivelazione del Padre! Ed i segni o le opere sono le opere del Padre! Come dice la gente: "Il figlio è il volto del padre!" Per questo in Gesù e per Gesù, Dio sta in mezzo a noi.
? Giovanni 14,12-14: Promessa di Gesù. Gesù fa una promessa per dire che la sua intimità con il Padre non è un privilegio solo suo, ma è possibile per tutti coloro che credono in lui. Anche noi, mediante Gesù, possiamo giungere a fare cose belle per gli altri come faceva Gesù per la gente del suo tempo. Lui intercede per noi. Tutto ciò che la gente chiede a lui, lui lo chiede al Padre e lo ottiene, sempre che sia per servire. Gesù è il nostro difensore. Se ne va ma non ci lascia senza difesa. Promette che chiederà al Padre e il Padre manderà un altro difensore o consolatore, lo Spirito Santo. Gesù giunse a dire che era necessario che lui andasse via, perché altrimenti lo Spirito Santo non sarebbe potuto venire (Gv 16,7). E lo Spirito Santo compirà le cose di Gesù in noi, se agiamo nel nome di Gesù ed osserviamo il grande comandamento della pratica dell'amore.


4) Per un confronto personale

? Gesù è la via, la verità e la vita. Senza la via, senza la verità e senza la vita non si vive. Cerca di far entrare questo nella tua coscienza.
? Due domande importanti: Chi è Gesù per me? Chi sono io per Gesù?


5) Preghiera finale

I cieli narrano la gloria di Dio.
e l'opera delle sue mani annunzia il firmamento.
Il giorno al giorno ne affida il messaggio
e la notte alla notte ne trasmette notizia. (Sal 18)
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04/05/2013 10:43
 
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Eremo San Biagio
Commento su Giovanni 15,19

Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il mondo vi odia.
Gv 15,19

Come vivere questa Parola?

La logica del mondo è da sempre la stessa: creare spirito di aggregazione e di appartenenza visibile, omologare idee, pensieri, atteggiamenti, indurre desideri tutti uguali. Ed è così che nascono i ghetti, gli spiriti di parte, le sette e le esclusioni. Ogni fenomeno di massificazione implica necessariamente che qualcuno ne rimanga fuori; su quel qualcuno che non è del mondo, si concentrano allora gli odi collettivi.

Ora Gesù ci avverte che Egli ci ha scelti dal mondo, cioè ci ha tratti fuori da questa logica, ci ha separati dalle folle, per formare persone che possano essere un popolo. Questa separazione dal mondo non consiste in una sorta di elitaria misantropia. Tutt'altro. Essa consiste nell'essere resi diversi da ogni logica mondana, per poter acquistare lo spirito di Gesù che abbraccia tutti e non esclude nessuno. L'unità del popolo di Dio non è fondata su altro che sull'andare dietro a Gesù, che ci conduce fuori da tutti gli steccati e ci apre a tutti, cominciando proprio dai più lontani.

Oggi nella mia pausa contemplativa, rileggerò il modo di Gesù di avere a che fare con chi, pur non appartenendo ai suoi, scaccia demoni nel Suo nome (Mc 9,38-40).

Chiederò al Signore di essere preservato da qualsiasi odio di parte, di essere al contrario tutto intriso dello spirito del Figlio che, conoscendo l'amore del Padre, si è fatto ultimo di tutti ed è morto per tutti i fratelli.

La voce di un mistico

Dio non si nega a nessuno. Prendi, bevi quanto vuoi e puoi! Sei libero di farlo: Tutta la Divinità è infatti il tuo convito.
Angelus Silesius
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05/05/2013 07:24
 
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don Alberto Brignoli
Una Chiesa a dodici porte

Il libro dell'Apocalisse, la cui lettura ci ha accompagnato durante questo Tempo di Pasqua, non è certo di facile interpretazione, e questo lo sappiamo bene. Forse pure questo è uno dei motivi per cui con una certa difficoltà ne azzardiamo un commento all'interno della nostra predicazione domenicale. A me oggi piace fare riferimento alla seconda lettura per un particolare forse del tutto marginale rispetto al significato del testo, ma che crea una certa suggestione se messo in relazione con il resto della Liturgia della Parola, in particolare con la prima lettura.
Giovanni, nel testo dell'Apocalisse, descrive la visione della Nuova Gerusalemme che "scende dal cielo...risplendente della gloria di Dio". Le simbologie e i significati legati a questa descrizione sono molteplici: ma quello che a me colpisce è il particolare di queste "porte", dodici, tre per ognuno dei quattro punti cardinali della città, quasi a sottolineare l'apertura universale di questa città ad ogni realtà umana. Se è vero (come pare) che la Nuova Gerusalemme celeste è il "tipo", il modello della Comunità dei credenti, ossia della Chiesa, a cui la comunità di Giovanni guarda come a qualcosa cui bisogna tendere, allora questa Chiesa si caratterizza per le sue numerose porte, aperte su ogni lato dell'umanità, su ogni frontiera, su ogni uomo.
Proprio come la Chiesa che esce dal Concilio di Gerusalemme, il primo della storia, di cui ci parla la prima lettura. La situazione - si comprende bene - riflette l'annosa questione del modo di professare la religione cristiana: il cristianesimo è il compimento della legge giudaica oppure ne rappresenta un superamento e quindi una novità, pur derivando da essa? Per essere dei buoni cristiani, bisogna essere innanzitutto (come lo fu Gesù) dei buoni osservanti della legge giudaica oppure si può arrivare alla fede cristiana a prescindere dal passaggio attraverso la religione di Israele? Dal momento che la religione giudaica era un tutt'uno con la sua cultura, il suo territorio, la sua lingua, e dal momento che per essere buoni cristiani occorreva anzitutto essere osservanti della legge giudaica, la conclusione poteva diventare quella per cui al di fuori del territorio e della cultura giudaica non si poteva accedere al cristianesimo: come la mettiamo, allora, con i greci, con gli abitanti della Siria, dell'Asia Minore, dell'area Balcanica, della Turchia e alla fine di Roma che - grazie soprattutto alla predicazione di Paolo e di Barnaba, ma non solo - avevano abbracciato il cristianesimo senza passare attraverso il giudaismo ma provenendo direttamente da quello che allora era considerato "paganesimo"? Se poi a questo aggiungiamo l'aggravante di gente che, per i propri interessi, vuole costringere gli altri a giungere alla salvezza attraverso l'unico cammino possibile, cioè quello che loro stessi avevano fatto (come i Giudei che volevano imporre la legge di Mosè alle comunità di Antiochia), allora l'idea del cristianesimo come religione universale, e della Chiesa come realtà aperta ad ogni uomo, inizia davvero a scricchiolare.
Sono questioni che a noi paiono ormai superate: che uno sia italiano o scandinavo o nordafricano o indiano o sudamericano o australiano, poco conta, perché possa dirsi cristiano. Il messaggio di Cristo è universale, e questo è tranquillamente accettato. Non era così a quei tempi.
Fatte però le debite distinzioni legate alle diversità epocali, dopo duemila anni di cristianesimo non diamo per scontato che la Chiesa oggi abbia ormai acquisito una dimensione piena di universalità. A livello territoriale, lo dicevamo prima, non si discute: ma a livello culturale, teologico e soprattutto sul piano dell'etica e del comportamento cristiano, ci sono ancora parecchie difficoltà ad accettare la "cattolicità", l'universalità del messaggio cristiano come "specifico", "sostanziale" del cristianesimo. Ancora oggi, la Chiesa, pur avendo ben presente il modello della Gerusalemme Celeste a cui deve tendere, fatica a mantenere aperte su ogni punto cardinale quelle "dodici porte" di cui l'Apocalisse ci parla.
Abbiamo ancora troppe chiese che lasciano chiuse le loro porte "ad ogni uomo"; troppe chiese hanno le porte chiuse! E non mi riferisco ai templi, che per ragioni pratiche molte volte sono costretti a chiudere i loro battenti al termine di una funzione liturgica per evitare il trafugamento di opere d'arte. Mi riferisco alle chiese nel senso di "comunità di credenti", che spesso chiudono le loro porte invece di aprirle. Mi riferisco a comunità di credenti che invece di accogliere allontanano la gente. Mi riferisco a comunità di credenti che a parole dicono: "Ci vuole gente nuova"; poi però quando arriva qualcuno di nuovo, con atteggiamenti degni della miglior gelosia impediscono a chi è nuovo di inserirsi in un cammino di fede e di impegno pastorale. Mi riferisco anche a comunità di credenti rette e manipolate da cristiani ben pensanti di prima categoria e di alto profilo culturale che vorrebbero (come i giudei della prima lettura) imporre agli altri un modo di vivere la fede che nemmeno loro sono in grado di portare avanti con coerenza. Mi riferisco a coloro che fanno del cristianesimo una religione dell'aut - aut (o vivi così o non sei cristiano) invece di adottare uno stile dell'et - et (dando spazio e posto a ognuno nella Chiesa, ognuno con le proprie peculiarità e i propri modi di vivere il cristianesimo).
Certamente, su alcune cose di fondo bisogna intendersi, perché la Chiesa non è un concentrato di anarchie. Anche la Chiesa che esce dal Concilio di Gerusalemme ne esce dando come indicazioni alcune "cose necessarie a cui attenersi" e sulle quali è bene che ci sia anche oggi ampia condivisione. Ma se facciamo caso alle "cose necessarie a cui attenersi" indicate nei versetti finali del brano degli Atti degli Apostoli, ci rendiamo conto di come la maggior parte di esse siano legate a situazioni ben precise, determinate da un puntuale contesto storico e culturale, e che vanno continuamente rilette e riadattate alla luce dei tempi che stiamo vivendo.
Se la Chiesa non è capace di rileggere il messaggio cristiano, soprattutto nella sua dimensione sociale ed etica, alla luce dei tempi, delle culture e delle situazioni che si trova a vivere nel prosieguo della storia, rischia di non essere più immagine di quella Gerusalemme del cielo con le dodici porte aperte in ogni direzione. Diventerà sempre più un baluardo inaccessibile, una fortezza inespugnabile, perfetta, inattaccabile, ma - forse - resterà desolatamente vuota.
Il Concilio Vaticano II l'aveva colto già cinquant'anni fa: "É dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo, così che, in modo adatto a ciascuna generazione, possa rispondere ai perenni interrogativi degli uomini sul senso della vita presente e futura e sulle loro relazioni reciproche. Bisogna, infatti, conoscere e comprendere il mondo in cui viviamo, le sue attese, le sue aspirazioni e il suo carattere spesso drammatico". (GS 4).
E ancora: "Il popolo di Dio, mosso dalla fede con cui crede di essere condotto dallo Spirito del Signore che riempie l'universo, cerca di discernere negli avvenimenti, nelle richieste e nelle aspirazioni, cui prende parte insieme con gli altri uomini del nostro tempo, quali siano i veri segni della presenza o del disegno di Dio. La fede, infatti, tutto rischiara di una luce nuova, e svela le intenzioni di Dio sulla vocazione integrale dell'uomo, orientando così lo spirito verso soluzioni pienamente umane". (GS 11).
Lo Spirito Santo - ce lo ha promesso quest'oggi Gesù - "ci insegnerà ogni cosa".
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06/05/2013 07:17
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Lo spirito di verità

Le "cose" di Dio non possono essere comprese se non con la luce di Dio. Questa verità gli apostoli, e noi con loro, la sperimentiamo quotidianamente. Lo stesso Gesù li avverte: "Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso". Ponderare, valutare, comprendere appieno, essere capaci di assimilare ciò che Cristo fa e dice, tutto ciò che ci viene rivelato, non è alla portata delle possibilità umane; non basta la buona volontà e una intelligenza perspicace. Non è sufficiente neanche essere stati testimoni oculari di prodigi di Cristo e neanche l'averlo visto risorto e vivo, con gli occhi della carne. Ecco allora la grande promessa: "Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l'annunzierà". La "verità tutta intera", di cui parla Cristo, è la pienezza della rivelazione, è la comprensione piena della sua divinità e umanità, della sua missione universale di salvezza, è lo Spirito Santo amore, che viene a rinnovare la faccia della terra, è la forza e la luce interiore che pervaderà prima gli apostoli e poi tutti i suoi seguaci. "Prenderà del mio e ve l'annunzierà", ci ripete il Signore. Li renderà capaci di affrontare ogni avversità per essere impavidi araldi del Vangelo e testimoni coraggiosi, pronti a dare la vita per conservare integra la propria fedeltà al Signore. Sperimenteranno finalmente cosa significhi e cosa comporti l'appartenenza a Cristo, l'essere stati con lui fin dal principio. La paternità di Dio, riconosciuta e già manifestata dal Figlio suo, ci riaprirà all'amore e ci renderà capaci di fraternità. Dopo secoli di tenebra brillerà una Luce nuova sul mondo. Gli uomini, prima brancolanti nel buio, e privi di certezze, come accadeva agli apostoli, ora nella luce dello Spirito, ritrovano la vita, ritrovano la verità e la via, ritrovano la libertà dei figli di Dio. Alla chiesa nascente viene affidato il compito di irrorare di luce l'umanità intera, di testimoniare amore sempre e a chiunque, ma non con le forze umane, ma in virtù di quel dono infinito. Le persecuzioni, le violenze di ogni genere, saranno inevitabili da parte di coloro che non credono, che non hanno conosciuto Cristo e non conoscono il Padre, ma non potranno intimorirla perché lo Spirito Consolatore è infinitamente più potente della forza dei persecutori.
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07/05/2013 08:49
 
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a cura dei Carmelitani


1) Preghiera

Esulti sempre il tuo popolo, o Padre,
per la rinnovata giovinezza dello spirito,
e come oggi si allieta
per il dono della dignità filiale,
così pregusti nella speranza
il giorno glorioso della risurrezione.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...



2) Lettura

Dal Vangelo secondo Giovanni 16,5-11
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: ?Ora vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: Dove vai? Anzi, perché vi ho detto queste cose, la tristezza ha riempito il vostro cuore. Ora io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché se non me ne vado, non verrà a voi il Paraclito; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò. E quando sarà venuto, egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio. Quanto al peccato, perché non credono in me; quanto alla giustizia, perché vado al Padre e non mi vedrete più; quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato giudicato?.



3) Riflessione

? Giovanni 16,5-7: Tristezza dei discepoli. Gesù inizia con una domanda retorica a evidenziare la presenza della tristezza, oramai evidente nel cuore dei discepoli per il distacco da Gesù: «Ora però vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: ?Dove vai??». È chiaro che per i discepoli, il distacco dei discepoli dallo stile di vita vissuto con Gesù, comporta sofferenza. E Gesù incalza dicendo: «Anzi, perché vi ho detto questo, la tristezza ha riempito il vostro cuore» (v.6) Così Sant?Agostino spiega tale sentimento di abbandono dei discepoli: «avevano paura al pensiero di perdere la presenza visibile di Cristo... Erano contristati nel loro affetto umano, al pensiero che i loro occhi non si sarebbero più consolati nel vederlo» (Commento al vangelo di Giovanni, XCIV, 4). Gesù cerca di dissipare questa tristezza, dovuta al venir meno della sua presenza, rivelando il fine della sua partenza. Vale a dire che se egli non parte da loro il Paraclito non potrà raggiungerli; se egli muore e quindi ritorna al Padre, lo potrà inviare ai discepoli. La partenza e il distacco da essi è condizione previa per la venuta del Paraclito: «perché se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore...» (v.7).
? Giovanni 16,8-11: Missione del Paraclito. Gesù prosegue nel descrivere la missione del Paraclito. Il termine «Paraclito» vuol dire «avvocato», vale a dire, sostegno, assistente. Qui il Paraclito viene presentato come l?accusatore in un processo che si svolge davanti a Dio e nel quale l?imputato è il mondo che si è reso colpevole di condannare Gesù: «dimostrerà la colpa del mondo, riguardo al peccato, alla giustizia e al giudizio» (v.8). Il verbo greco elègkein significa che farà un?inchiesta, interrogherà, metterà alla prova: porterà alla luce una realtà, fornirà la prova della colpevolezza.
L?oggetto della confutazione è il peccato: egli darà la prova al mondo del peccato che ha commesso nei confronti di Gesù e glielo manifesterà. Di quale peccato si tratta? Quello dell?incredulità (Gv 5,44ss; 6,36; 8,21.24.26; 10,31ss). Inoltre per il mondo l?aver pensato che Gesù è un peccatore (Gv 9,24; 18,30) è una colpa inescusabile (Gv 15,21ss).
In secondo luogo «confuterà» il mondo «riguardo alla giustizia». Sul piano giuridico, la nozione di giustizia più aderente al testo, è quella che comporta una dichiarazione di colpevolezza o di innocenza in un giudizio. Nel nostro contesto è l?unica volta che il termine «giustizia» compare nel vangelo di Giovanni, altrove ricorre quello di «giusto». In Gv 16,8 la giustizia è legata a quanto Gesù ha affermato di sé, vale a dire, sul perché va al Padre. Tale discorso verte sulla sua glorificazione: Gesù va al Padre, sta per eclissarsi in Lui e quindi i discepoli non riusciranno più a vederlo; sta per affidarsi e immergersi totalmente nella volontà del Padre. La glorificazione di Gesù conferma la sua filiazione divina e l?approvazione del Padre per la missione che Gesù ha compiuto. Quindi lo Spirito dimostrerà la giustizia di Cristo direttamente (Gv 14,26; 15,26) proteggendo i discepoli e la comunità ecclesiale.
Il mondo che credeva di aver giudicato Gesù condannandolo, viene condannato dal «principe di questo mondo», perché è il responsabile della sua crocifissione (13,2.27). Gesù, morendo in croce, è stato innalzato (12,31) ed ha trionfato su Satana. Ora lo Spirito testimonierà a tutti il significato della morte di Gesù che coincide con la caduta di Satana (Gv 12,32; 14,30; 16,33).



4) Per un confronto personale

? Il timore, lo sgomento dei discepoli di perdere Gesù è anche il nostro?
? Ti lasci condurre dallo Spirito Paraclito che ti dà la certezza dell?errore del mondo e ti aiuta ad aderire a Gesù, e, quindi, ti introduce nella verità di te stesso?



5) Preghiera finale

Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore:
hai ascoltato le parole della mia bocca.
A te voglio cantare davanti agli angeli,
mi prostro verso il tuo tempio santo. (Sal 137)
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08/05/2013 08:03
 
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Eremo San Biagio
Commento su Atti 17,28

Di lui anche noi siamo stirpe
At 17,28

Come vivere questa Parola?

Siamo talmente abituati a definirci figli di Dio da non afferrare più la profondità di questa affermazione: è diventato quasi un modo di dire che non ci scalfisce più di tanto. Eppure è proprio qui il fondamento della nostra grandezza.

Le mie radici sono in Dio: da questa salda Roccia sono stato intagliato come un blocco di marmo di Carrara. Di pregio quindi, nonostante il limite che mi segna costituzionalmente e che mi impegna in un lavorio serio e continuo perché l'immagine divina che reco impressa in me si sprigioni in tutta la sua bellezza: è il compito che mi è stato affidato il giorno in cui sono stato chiamato alla vita.

Purtroppo noi siamo portati più a fermarci sul limite che non sulle ricche potenzialità che se sviluppate ci farebbero spaziare verso quell'infinito di cui sentiamo così forte il richiamo.

Il bisogno di trascenderci, protendendoci verso un di più a cui talvolta non riusciamo a dare un nome, non è altro che il richiamo insopprimibile del nostro io più vero che non si rassegna a starsene rattrappito e dimenticato in quella nobile materia prima che ci è stata consegnata proprio perché lo liberassimo divenendo collaboratori di Dio, "con-creatori" di noi stessi.

Ma non è esaltante pensare che il Creatore, che ben conosce i nostri limiti, si fidi di noi fino ad affidarci il suo capolavoro, cioè noi stessi, perché contribuiamo ad esaltarne tutta la profonda bellezza e dignità? Eppure molte volte reagiamo come gli Ateniesi quando veniamo sollecitati a liberarci dalla grettezza di vedute prive di ideali, anzi schiavizzanti quali idoli elevati dalla presunzione umana: "Ti sentiremo più tardi!", rispondiamo, magari non verbalmente, allo Spirito che ci sollecita interiormente o esteriormente con eventi, incontri, parole.

Mi è più facile, Signore, piangere sui miei limiti, chiederti perdono dei miei peccati, che ringraziarti per il tuo gesto di fiducia e di amore che mi ha posto in essere quale tuo capolavoro. Potrebbe sembrare umiltà, ma in fondo è un gretto ripiegarmi su me stesso, amareggiato dal fatto che... sono immagine di Dio, ma non sono Dio! È il triste e opprimente residuo della tentazione adamitica che continua a corrodere il mio rapporto con te, con me stesso, con gli altri.

La voce di un dottore della chiesa

E vanno gli uomini ad ammirare le vette dei monti, ed i grandi flutti del mare, ed il lungo corso dei fiumi, e l'immensità dell'Oceano, ed il volgere degli astri e si dimenticano di se medesimi
Sant'Agostino
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09/05/2013 07:27
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Ancora un poco?

Quanto ci occupa, ci preoccupa e talvolta ci spaventa, il tempo! Ha un ritmo inarrestabile che ci conduce alla fine; crea così distacchi dolorosi ed inevitabili perdite. È in vista di ciò che ne percepiamo meglio il valore, ma sappiamo che spesso ci sfugge, ci ingoia e ci affligge. Nella visione di Dio «Mille anni sono come il giorno di ieri che è passato, come un turno di veglia nella notte». È evidente che presso Dio il calcolo del tempo viene valutato con parametri diversi dai nostri. Per questo gli apostoli non comprendono le parole di Gesù quando dice loro: «Ancora un poco e non mi vedrete; un po' ancora e mi vedrete». «Che cos'è mai questo «un poco» di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire». È una cronologia davvero difficile da comprendere, anche perché non è solo tempo quello di cui parla Gesù, ma piuttosto di eventi nuovi, di situazioni nuove che consentiranno di vederlo. Quel «poco» riguarda la fede dei discepoli e la luce dello Spirito Santo, le due lampade che splenderanno nei loro cuori e consentiranno di vederlo realmente. Solo allora la tristezza si cambierà in gioia. Tutti noi siamo nell'attesa di vedere. Il velo che ci offusca è ancora determinato dalla pochezza della nostra fede nel risorto e dalla non piena accoglienza dello Spirito. Per questo il «poco» che abbiamo ancora da vivere e il «poco» che ci separa dalla mèta è spesso cosparso di pianto e di tristezza. Voglia Dio che sia il desiderio di Lui e l'essere incapaci di una risposta adeguata al suo infinito amore a renderci tristi e a far sgorgare il nostro pianto. Tutti noi sappiamo come colmare quel «poco» e sconfiggere definitivamente la sensazione di un distacco doloroso da Cristo: è la nostra comunione con noi, è la nostra vita modellata al suo Vangelo, è la nostra preghiera che ce lo rende vivo, presente e partecipe della nostra storia.
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10/05/2013 07:33
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Giovanni 16,20-23

1) Preghiera

Si compia in ogni luogo, Signore,
con la predicazione del Vangelo,
la salvezza acquistata dal sacrificio del Cristo,
e la moltitudine dei tuoi figli adottivi
ottenga da lui, parola di verità,
la vita nuova promessa a tutti gli uomini.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Giovanni 16,20-23a
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "In verità, in verità vi dico: voi piangerete e vi rattristerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia.
La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell'afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Così anche voi, ora, siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia".


3) Riflessione

? In questi giorni tra l'Ascensione e Pentecoste, i vangeli del giorno sono tratti dai capitoli 16 a 21 del vangelo di san Giovanni, e fanno parte del vangelo chiamato "Libro della Consolazione o della Rivelazione operante nella Comunità" (Gv 13,1 a 21,31). Questo Libro è diviso come segue: l'addio agli amici (Gv 13,1 a 14,31); testamento di Gesù e preghiera al Padre (Gv 15,1 a 17,28); l'opera consumata (Gv 18,1 a 20,31). L'ambiente è di tristezza e di aspettativa. Tristezza, perché Gesù stava salutando e la nostalgia invade il cuore. Aspettativa, perché sta giungendo l'ora di ricevere il dono promesso, il Consolatore, che farà scomparire la tristezza e porterà di nuovo la gioia della presenza amica di Gesù in mezzo alla comunità.
? Giovanni 16,20: La tristezza si trasformerà in gioia. Gesù dice: "In verità, in verità vi dico: voi piangerete e vi rattristerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia". L'allusione frequente alla tristezza ed alla sofferenza esprime l'ambiente delle comunità della fine del primo secolo in Asia Minore (oggi Turchia), per le quali Giovanni scrive il suo vangelo. Loro vivevano una situazione difficile di persecuzione e di oppressione che causava tristezza. Gli apostoli avevano insegnato che Gesù sarebbe tornato dopo, ma la parusia, il ritorno glorioso di Gesù, non giungeva e la persecuzione aumentava. Molti erano impazienti: "Fino a quando?" (cf 2Tess 2,1-5; 2Pd 3,8-9). Inoltre, una persona sopporta una situazione di sofferenza e di persecuzione quando sa che la sofferenza è il cammino e la condizione per la gioia perfetta. E così, pur avendo la morte dinanzi agli occhi, sopporta ed affronta il dolore. Per questo il vangelo fa questo paragone così bello con i dolori del parto.
? Giovanni 16,21: Il paragone con i dolori del parto. Tutti capiscono questo paragone, sopratutto le madri: "La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell'afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo". Il dolore e la tristezza causati dalla persecuzione, anche senza offrire nessun orizzonte di miglioramento, non sono stertori di morte, ma dolori di parto. Le madri sanno tutto questo per esperienza. Il dolore è terribile, ma loro sopportano, perché sanno che il dolore è fonte di vita nuova. Così è il dolore della persecuzione dei cristiani, e così può e deve essere vissuto qualsiasi dolore, cioè alla luce dell'esperienza della morte e risurrezione di Gesù.
? Giovanni 16,22-23a: La gioia eterna. Gesù spiega il paragone: "Così anche voi, ora, siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia". Quel giorno, non mi farete più domande. Ecco la certezza che dà coraggio alle comunità stanche e perseguitate dell'Asia Minore e che fa esultare di gioia in mezzo ai dolori. Come dice il poeta: "Fa male, ma io canto!" O come dice il mistico san Giovanni della Croce: "In una notte scura, con ansie di amore tutta infiammata, o felice ventura, uscii né fui notata, stando la mia casa addormentata!" L'espressione In quel giorno indica l'avvento definitivo del Regno che porta con sé la sua chiarezza. Alla luce di Dio, non ci sarà più bisogno di chiedere nulla. La luce di Dio è la risposta piena e totale a tutte le domande che potrebbero nascere dal di dentro del cuore umano.


4) Per un confronto personale

? Tristezza e gioia. Esistono insieme nella vita. Come avviene ciò nella tua vita?
? Dolori del parto. Questa esperienza si trova all'origine della vita di ognuno di noi. Mia madre sopportò il dolore con speranza, e per questo sono vivo/a. Fermati e pensa a questo mistero della vita.


5) Preghiera finale

Applaudite, popoli tutti,
acclamate Dio con voci di gioia;
perché terribile è il Signore, l'Altissimo,
re grande su tutta la terra. (Sal 46)
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11/05/2013 04:23
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena

Con Cristo Gesù nasce una relazione nuova con il Padre celeste: in Lui, il Padre suo è anche il Padre nostro, il Dio suo è anche il Dio nostro. Ogni relazione di Cristo Gesù con il Padre e con lo Spirito Santo è anche nostra relazione, ad una condizione: che noi rimaniamo sempre in Cristo, nel suo cuore, nella sua vita, nella sua obbedienza.
Chiedere al Padre nel nome di Gesù non è dire la formula liturgica: "Per Cristo nostro Signore". Questa è formula liturgica e basta. Chiedere nel nome di Gesù possiede un altissimo significato di unità, di comunione, di solidarietà, di essenza, di solo corpo, di sola carne, di sola vita con Gesù Signore. Si chiede per Cristo, in Cristo e con Cristo. Si chiede per Cristo, divenendo con lui una sola obbedienza al Padre, una sola carità verso i fratelli, un sola comunione con lo Spirito Santo, una sola vita con Dio.
Chiedere per Cristo significa essere in Cristo e dal cuore di Cristo innalzare la nostra preghiera al Padre. Non si è però nel cuore di Cristo, se prima non si è nella volontà di Cristo, nei suoi Comandamenti, nella sua verità, nella sua santità, nella sua fede, nella sua speranza, nella sua missione, nel suo Vangelo.
Nessuno potrà chiedere per Cristo se non vive una vita evangelica e non sente nel suo cuore il desiderio di Gesù di offrire anche lui la vita al Padre per la conversione dei cuori. In fondo la preghiera è una richiesta di un qualche dono, fondata però sull'offerta del nostro dono a Dio. Noi gli diamo la nostra vita e il Padre ci offre la sua. Noi gliela diamo nella nostra povertà e miseria, Lui ce la dona nella sua ricchezza celeste. Cristo ha chiesto al Padre, ma prima ha dato tutto al Padre suo.
Ecco il segreto dell'esaudimento di ogni preghiera: Cristo ama il Padre. Il Padre dona ogni cosa a Cristo Gesù. Il discepolo di Gesù ama Cristo con lo stesso amore di donazione e di offerta attraverso il quale Cristo ama il Padre. A motivo di questo amore che il discepolo nutre per Cristo, il Padre ama il discepolo di Cristo e lo esaudisce in ogni sua richiesta. Lo esaudisce perché lo vede una sola volontà, una sola carità, una sola missione, un solo comandamento con Cristo Gesù.
Se noi non amiamo Cristo Gesù - e non lo amiamo se non facciamo la sua volontà, se non osserviamo i suoi Comandamenti - noi per il Padre siamo estranei a Cristo, siamo fuori di Lui, senza di Lui. Il Padre non può riversare su di noi l'onnipotenza creatrice, salvatrice e redentrice del suo amore, perché noi siamo fuori di Cristo. È Gesù l'oceano infinito nel quale il Padre riversa tutto il suo amore. Chi è in Cristo viene sommerso da questo suo amore. Chi è fuori di Cristo, rimane nell'arsura e nella desolazione.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, ottienici da Cielo la grazia di essere una cosa sola con Cristo, per essere una sola cosa con il Padre e lo Spirito Santo. Così l'immensità dell'amore del Padre è in noi e noi possiamo amare con lo stesso cuore di Gesù. Angeli e Santi del Cielo, fate che la nostra obbedienza cresca di giorno in giorno così anche il nostro amore crescerà e il mondo saprà che noi siamo di Cristo e in Lui.
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12/05/2013 07:55
 
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don Marco Pedron
Io ho bisogno di te e tu hai bisogno di me

Oggi la chiesa celebra la festa dell'Ascensione. La liturgia celebra tre feste: Pasqua (la resurrezione), quaranta giorni dopo Pasqua l'ascensione, cinquanta giorni dopo la Pentecoste (domenica prossima). Ma fino al V secolo vi era un'unica festa.
In realtà sono tre momenti di un'unica realtà e di un unico evento. Rispondono a tre domande diverse:
Gesù è morto? Sì, ma è anche risorto (Pasqua). Gesù non è rimasto nella morte.
E dov'è Gesù adesso? Gesù è in cielo, è salito al cielo (Ascensione).
Ma noi siamo senza Gesù? No, Lui c'è, solo che è presente in un altro modo: lo Spirito Santo (Pentecoste).

L'Ascensione è un evento storico?
Nel N.T. solo Mc e Lc raccontano l'Ascensione. Sappiamo però che Mc (16,9-20) dipende da Lc. Lc la racconta invece due volte: sia nel Vangelo (24,50-52) sia negli Atti (At 1,8-11). Tra l'altro è molto interessante perché Lc, che ha scritto Vangelo e Atti, descrive l'ascensione in due modi molto diversi. E' strano, non vi pare, che la stessa persona descriva la stessa cosa in due modi così diversi!
Per tutti gli altri la resurrezione è istantaneamente anche un'ascensione al cielo (Mt 28,18-20; Gv 3,13; 16,28; Rom 1,3-4; 1 Pt 3,22).
Cioè: l'ascensione non è un avvenimento visibile ma invisibile.
Storicamente e teologicamente dire ascensione è nient'altro che dire: "Gesù è risorto e si trova in cielo (è salito al cielo)". Quando si parla di "cielo" non si intende in aria o in alto. Cielo vuol dire un'altra dimensione (quella celeste), rispetto a quella terrena. Nessuno ha mai visto né la resurrezione né l'ascensione: sono verità di fede, che vanno cioè aldilà della storia.
Ma perché Lc allora racconta l'ascensione al cielo del Risorto?
Lc tenta di dire qualcosa che non si può dire. Tenta di esprimere con un racconto e con delle immagini una verità di fede: "Cristo si trova in Dio; Cristo salì al cielo (1 Pt 3,22); Cristo fu esaltato nella gloria (1 Tim 3,16).
Per capire questo brano dobbiamo cercare di entrare nella mentalità e nella testa di Lc.

1. Gesù Vive. Il genere "ascensione" era un genere letterario comune, tipico, per descrivere la fine dei grandi uomini del tempo.
Tito Livio, ad esempio, racconta che Romolo, dopo aver organizzato un'assemblea popolare, scoppiata una forte tempesta, fu avvolto da una nube e che quando la nube sparì Romolo non c'era più perché fu assunto in cielo. Da quel giorno Romolo fu venerato come un nuovo Dio e come padre della città di Roma.
Ma i testi antichi raccontano anche altre ascensioni di altri grandi personaggi: Eracle, Empedocle, Alessandro Magno, Apollonio di Tiana. Lo stesso A.T. fa riferimento al rapimento di Elia (2 Re 2,1-18) e all'ascensione di Enoch (Gen 5,24).
Cosa si voleva dire con il genere letterario "ascensione", "rapimento al cielo": questo uomo è stato così grande che ciò che ha detto e ciò che ha fatto non passerà mai e lui sarà sempre ricordato. Come a dire: non morirà mai (salire al cielo è un modo per dire che uno non è morto), non perché non sia effettivamente morto, ma perché la sua fama è stata così grande che sarà sempre ricordata.
Gesù è stato "un grande", "il più grande": la sua fama non passa e non passerà mai. Lui sarà vivo per sempre.

2. Gesù è presente ancora ma diversamente.
Nella prima lettura di oggi (At 1,1-11) Lc racconta ancora l'ascensione e parla di una nube che lo sottrae agli occhi dei discepoli (At 1,9).
La nube nella Bibbia è il segno della presenza misteriosa di Dio. Quando Mosè sale sul monte Sinai la nube lo ricoprì per sei giorni (Es 24,15-16). E lo stesso quando l'arca dell'alleanza fu collocata nel tempio di Salomone (1 Re 8,10), la nube riempì il tempio.
La nube da una parte rivela (Dio è presente) ma dall'altra nasconde (la nuvola nasconde).
D'ora in poi Dio è presente nel mondo così: c'è ma non si vede; non si vede ma c'è. Finora gli apostoli lo avevano visto in carne ed ossa; adesso continua ad esserci ma in un'altra forma.
Ci avete mai pensato? La parola Ri-velazione cosa vuol dire?
Da una parte vuol dire vedere, essere illuminati, capire. Quando uno ti dice: "Ho avuto una rivelazione", dice che all'improvviso ha visto, capito, qualcosa che prima non vedeva, non capiva: quindi vedere. Ma ri-velare vuol dire anche mettere il velo (velare) di nuovo (ri-), cioè nascondere.
Per chi ha occhi Dio è visibile dovunque e in ogni luogo. Per chi non ha occhi Dio è assente dappertutto e in ogni posto.
Due carcerati dalle fessure della loro cella guardano il cielo stellato. Uno impreca perché si trova lì, l'altro ringrazia Dio perché può vedere ciò che vede.
Due uomini vanno in chiesa. Uno è irrequieto, non vede l'ora che il tempo passi e più velocemente possibile e come inizia il canto finale fugge via. L'altro si sente a casa sua, il suo cuore respira e la sua anima si eleva. Nella casa di Dio, uno vede l'altro no.
Due uomini fanno un incidente in auto. L'auto è distrutta ma loro sono illesi. Uno piange dalla rabbia per l'auto che ha distrutto, l'altro piange dalla commozione perché non si è fatto niente.
Due uomini sono in fila in banca, davanti di loro c'è un vecchietto. Uno pensa: "Togliti di mezzo, vecchio rimbambito, non vedi che ho fretta", l'altro invece: "Quante ne deve aver viste questo uomo qui!".
Dio c'è? Dipende da te. Dio c'è? No. Dio c'è? Sì. Entrambe le cose sono vere è che si pongono su livelli diversi.
Un giorno un amico telefonandomi mi dice: "Mi dispiace, ho sentito che tuo padre non c'è più!". "No, no, - gli ho detto - ti sbagli, c'è ancora è che è solo morto". Dentro di me c'è, lo sento, vivo e forte, anche se fisicamente so e vedo che non c'è più.
Perché le cose non si vedono non vuol dire che non esistono.
In questo mondo la presenza di Dio è nell'assenza, è misteriosa, è rivelata, è silenziosa, discreta.
Sapete come si chiude la Bibbia? Con l'invocazione: "Vieni, Signore Gesù!" (Ap 22,20). Dio è presente nel mondo, ma non del tutto, non è ancora del tutto rivelato, manifesto. C'è già, ma non ancora del tutto, per questo si prega: "Vieni, Signore Gesù!".
Nel Padre Nostro noi diciamo sempre (tra l'altro è la richiesta centrale): "Venga il tuo regno" (Mt 6,10). Cioè: non è ancora tutto manifestato il tuo regno, tu non ti sei ancora rivelato, mostrato del tutto.
Dio è misterioso perché, dal nostro punto di vista, è presente ma non lo abbiamo ancora capito del tutto, non lo abbiamo ancora compreso del tutto, non lo abbiamo scoperto del tutto. E dal suo, lui stesso non si è manifestato del tutto.
La chiesa conosce la parusia: non è una parolaccia, ma significa la piena manifestazione del Signore. Verrà un giorno in cui Dio sarà tutto in tutti in maniera evidente, in cui tutto sarà chiaro e splendente, in cui tutto brillerà della sua luce e lo vedremo per quello che egli è. Ma oggi non è così. Siamo nella fase delle nube.
Dio allora c'è oggi ma non è del tutto chiaro, visibile: un giorno lo sarà ma non oggi. Questo vuol dire:
A. Dio va ricercato. Lo trovi e te ne riempi ma è sempre oltre, più grande, più profondo, più in là. Per questo Dio è desiderio, anelito: lo vivi ma anche non lo afferri mai. I sacramenti, le preghiere, i riti, la chiesa stessa, sono i mezzi per arrivare a Lui: di là, non ci sarà più bisogno di tutto questo perché saremo in Lui.
C'è bisogno di distinguere i mezzi dal fine: il treno non è la destinazione. E il treno è un buon treno se ti porta là dove devi andare, altrimenti è un treno che non serve.
B. Non sappiamo tutto di Dio: siamo in cammino. Dio è in evoluzione, non perché Lui lo sia (in Dio non c'è neppure il tempo!), ma perché la nostra comprensione di Lui è in evoluzione, in cammino.
Allora non assolutizziamo troppo le nostre posizioni: quello che sappiamo oggi forse domani si rivelerà diverso o magari opposto. Non pretendiamo di aver già raggiunto la formulazione perfetta della fede. Siamo in cammino e Lui stesso non si è ancora rivelato del tutto.
Spesso le persone dicono: "Ma cosa ci hanno raccontato allora!". E' una frase che rivela l'idea che la verità sia un pacchetto acquisito una volta per tutte, ma non è così. Quello che ho fatto ieri mi ha portato qui oggi, anche se oggi non farei magari quello di ieri. Quindi ringrazio ieri perché mi ha permesso di essere qui oggi: ma oggi comprendo molto di più di ieri. Siamo nella strada di Dio, non ci siamo arrivati: non dobbiamo aver paura, non dobbiamo scandalizzarci, dobbiamo solamente aver coscienza che Dio è come l'oceano, più ti inoltri e più è grande e vasto. Per questo sarà sempre nuovo e diverso da tutti i nostri schemi, da tutte le nostre teologie e da tutte le nostre idee. Lui è Più Grande.
C. La verità non è solo ciò che è ma anche ciò che deve ancora essere.
Molte persone muoiono con un senso di fallimento. C'è chi muore senza aver la coscienza di aver costruito qualcosa; c'è chi muore consapevole di aver sprecato la propria vita; c'è chi muore con alle spalle fallimenti in amore, personali, con i figli; c'è chi muore nella disperazione; c'è chi muore con il cuore pieno di rabbia, odio, dolore e risentimento.
Sarebbe inoltre troppo ingenuo pensare che con la morte tutti divengano "santi". Molte persone proprio perché sentono che non hanno compiuto la loro strada, che hanno vissuto lontano dal proprio cuore o fuori di sé se ne vanno con l'amarezza, l'incompiutezza e un senso di fallimento.
E' tutto qui? No, per fortuna.
Non sappiamo cosa vuol dire ma sappiamo che la morte non è la fine del nostro cammino e della nostra evoluzione. C'è un oltre, c'è un di più, c'è qualcos'altro. Non so cosa ma so che di certo c'è.
Sono andato a confessare un uomo a cui rimanevano pochi giorni di vita. Mi ha detto: "Padre, ho fallito tutto nella vita. Ho rovinato la mia vita e quella di molti altri". Cosa vuoi dirgli ad uno così? Vuoi dirgli che non è vero? Te l'ha detto lui che è così! E lui lo sa meglio di te. Allora gli ho detto: "E' vero, è stato così, ma la verità non è solo ciò che è stato ma anche ciò che sarà". Mi ha guardato e mi ha detto: "Mi sta dicendo che ho un'altra possibilità?". Gli ho detto. "Sì, certo!". Mi ha sorriso e se n'è andato con la pace nel cuore.

3. Gesù non c'è più ci siamo noi.
Nel vangelo di oggi Gesù fa delle cose che prima non aveva mai fatto.
1. Alza le mani (24,50): le alza verso l'alto per far vedere da dove viene la Forza (dall'alto, da Dio).
2. Benedice gli apostoli (24,50-51) - e il vangelo lo dice due volte. Benedire è passare, trasmettere un potere.
3. Gli apostoli lo adorano (24,52): riconoscono che il loro potere viene da Lui. La forza è in loro ma non viene da loro, non l'hanno creata loro. Partecipano dell'unica Forza della Vita che è il Risorto. In te c'è la Vita (e la Forza) ma tu non sei la Vita. Utilizzi la vita, sei nella vita ma non sei la Vita. Quindi utilizza e ringrazia per ciò che hai ma sii consapevole che non è tuo.
4. Gli apostoli poi tornano a Gerusalemme (24,52). Perché a Gerusalemme? Perché lì riceveranno lo Spirito (At 2,1-13). A Gerusalemme era finita l'avventura di Gesù e da Gerusalemme ripartirà e continuerà l'avventura dei nuovi Gesù.
E' evidentemente tutto questo un passaggio di poteri, un'investitura: io non ci sono più, adesso ci siete voi. Avete tutti i poteri e la forza per fare ciò che io ho fatto. Mc è sublime nel descrivere i poteri degli apostoli:
Parlare lingue nuove. Qual è la lingua che arriva ad ogni persona, ad ogni cuore? L'amore.
Prendere in mano i serpenti. C'è un problema (serpente)? Qualsiasi esso sia tu hai la forza di prenderlo in mano, di affrontarlo, di guardarlo. Non devi più scappare.
Bere il veleno. Ti giudicheranno? Ti faranno del male? Ci sarà da mandare giù delle "bastardate"? Ci saranno delle cattiverie da ingoiare? Nessuna paura, sei in grado di "berle" e di andare avanti lo stesso. Tutto questo non fermerà la tua strada e il tuo cammino.
Imporre la mano ai malati e guarirli. C'è un demonio? C'è una malattia? C'è un blocco? C'è una "cosa dura" dentro di te? Hai tutta la forza nelle tue mani per guarire, cambiare, trasformarti ed essere un uomo felice, sano, vero, forte e trasparente, senza maschere, senza falsità, senza difese, senza camaleontismi.

Tocca a te adesso.
Nella prima lettura un angelo dice agli apostoli: "Perché state a guardare il cielo?" (1,11). "Ma cosa aspetti? La manna dal cielo? Che un miracolo cada dall'alto? Una magia?". Tocca a te adesso. Lui non c'è più ci sei tu.
C'era un uomo che si lamentava tutte le sere con Dio: "Ma Signore perché non fai niente per i bimbi che muoiono di fame? E per le donne sfruttate dai mariti? E per gli animali torturati? E per le guerre? E per l'inquinamento? E per l'ingiustizia?"... così ogni sera. Una sera il Signore gli rispose: "Ho deciso di fare qualcosa! Domani sera te lo dirò!". La sera seguente l'uomo era pieno di emozione e aspettava con pazienza la preghiera serale per sapere la risposta del Signore. Si mise in preghiera: "Allora Signore, farai qualcosa per tutto questo?". "Sì", rispose Iddio. "E cosa hai fatto per tutto questo, Signore?". "Ho fatto te!".
E' famosa la preghiera di quell'anonimo fiammingo del XIV secolo: "Cristo non ha più le mani, ha soltanto le nostre mani per fare il suo lavoro oggi. Cristo non ha più piedi, ha soltanto i nostri piedi per guidare gli uomini sui suoi sentieri. Cristo non ha più voce, ha soltanto la nostra voce per raccontare di sé agli uomini di oggi. Cristo non ha più forze, ha soltanto il nostro aiuto per condurre gli uomini a sé. Noi siamo l'unica Bibbia che i popoli leggono ancora; siamo l'unico messaggio di Dio scritto in opere e parole".
Nel suo meraviglioso Diario 1941-1943 Etty Hillesum scrive: "Verrà un giorno Signore in cui non saremo noi a chiamare in causa te e a dirti: "Dove sei, Dio", ma sarai tu a chiamare in causa noi e a chiederci: "Tu uomo, dove sei stato?"".

Il vangelo ha un'ottica completamente diversa dalla nostra. Dio ci ha dato tutti i poteri e la forza che ci serve.
Noi preghiamo spesso così: "Signore, dammi questo... dammi quello... fa' che succeda questo... fa' che non accada quella cosa... fa' che lui diventi così... fa' che l'altro cambi... fammi passare questo...". A volte le nostre preghiere sembrano la lista della spesa o la vacca da latte da mungere: chiedi e ti viene concesso.
Ma quando andremo di là non saremo noi che diremo a Lui: "Beh, dov'eri qui?", e gli mostreremo tanti momenti difficili della nostra vita. E saremo anche arrabbiati perché Lui, che doveva intervenire, non l'ha fatto e ci ha lasciati là soli nel casino e nella tempesta. E ci lamenteremo pure con Lui perché altri li ha trattati meglio di noi: a noi ci ha dato tante sfortune mentre altri avevano tutte le fortune del mondo.
Ma sarà Lui che ci dirà: "Ti ho dato la forza, ti ho dato la luce, ti ho dato tutto ciò che ti serviva. Perché hai lasciato morire il tuo matrimonio? Ma cosa pensavi, che dovessi intervenire io? Ti lamentavi sempre che "ne avevi sempre una, che eri sempre ammalato, che tutte accadevano a te": ma ti avevo dato la luce per vedere i demoni che avevi dentro, perché non l'hai utilizzata? Perché ti sei sempre lamentato presso di me di essere triste? Non potevi fare qualcosa tu? Perché non hai fatto niente? Perché non hai preso i treni che io ti ho messo accanto e che ti son passati vicino? Ti lamentavi sempre che "non si può andare avanti così", che la gente è egoista, che tutti pensano a sé: e tu cos'hai fatto tu? Perché non hai fatto niente? Avevo messo in te la mia forza: perché non ti sei mosso?
Lui non c'è più, ci siamo noi. Se come cristiani preghiamo Dio perché cambi questo mondo allora forse non conosciamo bene Dio. Preghiamo Dio non perché Lui cambi il mondo, ma perché dia la forza a me di cambiarlo. Perché Lui vive in me: le sue mani sono le mie mani.

Non solo io ho bisogno di Lui ma anche Lui ha bisogno di me.
Io ho bisogno di Lui perché Lui mi dia la forza per andare avanti, ma Lui ha bisogno di me perché in questo mondo senza di me Lui non può far nulla.
Io alla domenica vengo in chiesa: lo ascolto, lo canto, lo vivo, lo prendo nelle mie mani e Lui viene nel mio cuore. Lui entra in me e diventa la mia forza per andare avanti.
Una donna, quarantaquattro anni, è incinta: dove trova la forza per accettare quel figlio non previsto?
Un uomo deve dire al suo capo che non può più accettare di lavorare dodici ore al giorno. Non c'è più vita, non c'è più famiglia, non c'è nient'altro se non che il lavoro. Solo che ha paura delle conseguenze. Dove trova la forza?
Un ragazzo sta facendo economia aziendale ma ha capito di aver sbagliato università: lui vuole fare psicologia. Dove trova la forza per dirlo ai suoi genitori?
Una donna, trentacinque anni, ha un tumore aggressivo al seno: già si vede la morte davanti. Dove trovare la forza per credere di poter guarire? Dove trovare la forza per lottare?
Un uomo è stato lasciato da sua moglie e dai suoi figli. Lui non comunicava e non c'era mai in casa. In effetti adesso si rende conto che hanno ragione e si sente un "verme". Dove trovare la forza per cambiare vita, per essere diverso, nuovo, un altro?
Una ragazza ha un buco d'amore enorme: ogni volta che incontra un uomo gli si appiccica addosso, gli si attacca, come se senza l'altro non potesse vivere. Sa cos'ha dentro, sa da dove deriva, sa che dovrebbe guardare in faccia questo passato doloroso ma dice: "Non ce la faccio!". Dove trovare la forza?
Un uomo ha un sogno: aprire una gelateria per produrre gelati veramente artigianali, con ingredienti naturali del tutto. Tutti lo scoraggiano: "Non è periodo questo, lascia stare". Dove trovare la forza per credere e inseguire il suo sogno?
Madre Teresa stava ore ed ore in adorazione davanti all'eucarestia. E quando le chiedevano: "Ma dove trova la forza, madre, per fare tutto questo?". Lei rispondeva: "Qui!".
Ogni volta che vengo a messa, ascolto il vangelo e prendo l'eucarestia io vengo a fare "il pieno di Lui", perché Lui sia la mia Forza e mi dia quell'energia, quella vitalità, quel coraggio, quella passione, quella decisione, che mi serve per vivere, per scegliere, per essere vero, per compiere la mia strada e il mio destino.
Finché era in vita c'era Gesù. Se gli apostoli avevano bisogno di qualcosa, c'era Gesù che faceva tutto. Adesso Lui non c'è più. Se ho bisogno di qualcosa ci sono io. E Lui? Lui è la mia forza. Io sono l'auto e lui è la benzina. Insieme faremo molta strada. E quando finisce? Si fa il pieno! Per questo si torna ogni domenica in chiesa: è un pieno di benzina.
Il grande monaco Lin Chi faceva molti miracoli e aveva un numero enorme di monaci nei suoi conventi, forse cinquanta o centomila. Un giorno gli chiesero: "Quanti monaci hai, Lin Chi?". Lui si fermò, ci pensò un po' e poi disse: "Quattro o cinque!".
Tutti erano esterrefatti... Allora gli chiesero: "E gli altri?". E lui: "Marionette!". "Non capiamo, maestro". "Una marionetta fa', esegue, ma non sa di essere viva, non sa il potere che ha. Forse ne ha paura. Un monaco sa che ha il potere di guarire, di cambiare il mondo e di diventare Buddha... e lo diventa. Vedete ­ concluse ­ essere potenti fa paura perché ti fa responsabile, perché sai che tutto è nelle tue mani e che tu puoi tutto. Meglio essere marionette così si può sempre dire: "Ma io non potevo, io non ne ero capace!". I miei discepoli vogliono imitare il Buddha, copiarlo, studiarlo... ma essere il Buddha è un'altra cosa!".

Pensiero della Settimana

La forza dell'uomo è Dio.
La forza di Dio è l'uomo.
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13/05/2013 08:52
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
L'ora della prova

Gli antichi romani, che non erano santi perché pagani, ma spesso sapevano essere saggi, dicevano che l'amico sincero lo si riconosce nel momento della prova. Professare amicizie e garantire fedeltà, quando tutto va per il verso giusto, è fin troppo facile. Gesù ci ha rivelato che la prova suprema della fedeltà, quando è animata da amore sincero, è la disponibilità piena a dare la vita per la persona amata. Proprio come ha fatto Lui. Gli apostoli credono di aver capito il messaggio del loro maestro, egli però deve ancora ribadire un concetto ch'è di difficile assimilazione e riguarda proprio la loro fedeltà nel momento della prova. Sembra che il Signore voglia parlarci dei fervori facili e superficiali, che spesso ci convincono erroneamente di aver raggiunto una fede e una sicurezza incrollabili, che poi però vengono clamorosamente smentiti quando il prezzo da pagare ci sembra troppo alto. È la storia vera di tanti di noi che presumono e confidano nelle proprie forze, anche quando sono chiamati a realizzare progetti divini. C'è per ognuno di noi un «ora» in cui siamo chiamati a testimoniare a caro prezzo la verità e troppo spesso siamo colti di sorpresa, perché non siamo in grado di portarne il peso. Dal primo peccato fino ad oggi, sono innumerevoli le vittime della presunzione. Gli stessi apostoli sperimenteranno con delusione e sofferenza, Pietro ne sarà la vittima più illustre. Dinanzi alla tragedia della croce, si disperderanno tutti e lasceranno solo il Signore. Quante fughe, quanti tradimenti dopo quell'episodio: fughe da responsabilità e da impegni, fughe dopo solenni promesse di fedeltà, fughe da responsabilità e da testimonianze, tradimenti nei confronti delle persone amate, tradimenti di consacrati e di consacrate, di ministri e di pastori. La causa unica per tutti è sempre la stessa: lontani dalla linfa vitale della vite, tralci secchi, uomini e donne, carichi di pesi e lontani da Cristo, privi del dono dello Spirito. Poi inevitabilmente stramazzano uno sull'altro sotto quei pesi e si creano, con le proprie mani, ciascuno una tomba: li muore il cristiano, lì muore il sacerdote, lì lo sposo, lì la consorte, lì i figli: lì è il sepolcro dell'amore. A pensare che sono ancora pienamente valide tutte le promesse di Cristo: «Non vi lascio soli, vi manderò un nuovo Consolatore, abbiate fiducia, io ho vinto il mondo». Perché allora tanta solitudine e tanta presunzione? Dobbiamo riscoprire tutti insieme il dono della fedeltà appoggiandoci totalmente a Cristo.
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14/05/2013 07:39
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Giovanni 15,9-17

1) Preghiera

O Dio, che hai voluto aggregare san Mattia
al collegio degli Apostoli,
per sua intercessione concedi a noi,
che abbiamo ricevuto in sorte la tua amicizia,
di essere contati nel numero degli eletti.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Giovanni 15,9-17
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.
Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi.
Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri".


3) Riflessione

? Oggi è la festa dell'Apostolo Mattia. Il vangelo di Giovanni 15,9-17 è stato già meditato in aprile. Riprendiamo alcuni punti già visti quel giorno.

? Giovanni 15,9-11: Rimanete nel mio amore, fonte della perfetta gioia. Gesù rimane nell'amore del Padre osservando i comandamenti ricevuti da lui. Noi rimaniamo nell'amore di Gesù osservando i comandamenti che lui ci ha lasciato. E dobbiamo osservarli nella stessa misura in cui lui osservò i comandamenti del Padre: "Se osserverete i miei comandamenti rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore". E in questa unione d'amore del Padre e di Gesù si trova la fonte della vera gioia: "Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena".
? Giovanni 15,12-13: Amare i fratelli come lui ci ha amati. Il comandamento di Gesù è uno solo: "amarci come lui ci amò!" (Gv 15,12). Gesù supera l'Antico Testamento. Il criterio antico era il seguente: "Amerai il prossimo tuo come te stesso" (Lv 18,19). Il nuovo criterio è: "Amatevi come io vi ho amato". E la frase che fino ad oggi cantiamo dice: "Non c'è amore più grande di colui che dà la vita per il fratello!"
? Giovanni 15,14-15: Amici e non servi. "Voi siete miei amici se fate ciò che vi comando", cioè la pratica dell'amore fino al dono totale di sé! Subito Gesù presenta un ideale altissimo per la vita dei suoi discepoli. Dice: "Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa ciò che fa il suo padrone. Vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi!" Gesù non aveva più segreti per i suoi discepoli. Ci racconta tutto ciò che ha udito dal Padre! Ecco l'ideale stupendo della vita in comunità: giungere ad una trasparenza totale, al punto di non avere più segreti tra di noi e poter aver fiducia pienamente l'uno nell'altro, poter parlare dell'esperienza che abbiamo di Dio e della vita e, così, poterci arricchire a vicenda. I primi cristiani riusciranno a raggiungere questo ideale dopo molti anni. "Avevano un solo cuore ed un'anima sola" (At 4,32; 1,14; 2,42.46).
? Giovanni 15,16-17: Gesù ci ha scelti. Non siamo noi che abbiamo scelto Gesù. Lui ci incontrò, ci chiamò e ci affidò la missione di andare e dare frutto, frutto che duri. Noi abbiamo bisogno di lui, ma anche lui vuole aver bisogno di noi e del nostro lavoro per poter continuare e fare oggi per la gente ciò che faceva per la gente di Galilea. L'ultima raccomandazione: "Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri!"


4) Per un confronto personale

? Amare il prossimo come Gesù ci ha amato. Ecco l'ideale di ogni cristiano. Come lo vivo?
? Tutto ciò che ho udito dal Padre ve l'ho raccontato. Ecco l'ideale della comunità: giungere ad una trasparenza totale. Come lo viviamo nella mia comunità?


5) Preghiera finale

Lodate, servi del Signore,
lodate il nome del Signore.
Sia benedetto il nome del Signore,
ora e sempre. (Sal 112)
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15/05/2013 11:20
 
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Eremo San Biagio
Commento su Giovanni 17, 17; Atti 20, 32

"Consacrali nella verità. La tua parola è verità."
Gv 17, 17

"Ora vi affido a Dio e alla parola della sua grazia..."
At 20, 32

Come vivere questa parola?

Gesù nella sua preghiera intima e finale con Dio, appena prima della passione e morte, chiede al Padre di consacrare gli uomini a cui era stato mandato, nella verità. E la Parola di Dio è verità . E la Parola di Dio è Gesù stesso, quel Gesù che sta pregando per i suoi amici.

Paolo lascia la comunità di Efeso e sa che quegli amici, quei volti amati non li rivedrà mai più; anche a lui il futuro prossimo riserva prigionia e morte. Anche lui affida quegli amici carissimi alla Parola di Dio, alla parola della sua grazia, del suo Amore. La loro preghiera, quella di Paolo e di Gesù, si prolunga nel tempo ed è così che anche noi siamo affidati alla Parola, in lei consacrati; potremmo restituire il significato di "consacrazione" con l'idea di essere preservati, custoditi, protetti, messi da parte. La parola che ci prende in affido è dunque una parola che mette in salvo, che pone al sicuro. Eppure non c'è niente di più effimero della parola: un respiro, un suono che, emesso, se ne va. Ma noi siamo testimoni di una Parola che seppure così fragile, crea, che anche se così volatile, lascia un segno, genera, feconda la realtà umana e la fa crescere, la modella, la raffina, la svolge. E quella Parola nobilita e rende generative anche le nostre parole umane, nelle quali ci affidiamo, gli uni agli altri, in reciproci doni e promesse, nella continua ricerca di costruire insieme un dialogo efficace, una storia che salva! Parole più forti dei fatti, parole che diventano fatti.

Oggi, Signore, ci affidiamo alla tua Parola. Lasciamo che dia forma al nostro divenire, per essere sempre più vicini a te, per essere sempre più come te.

La voce di uno scrittore

"A volte basta la parola di qualcuno che creda in te per rimetterti al mondo".
Alessandro D'Avenia, Bianca come il latte rossa come il sangue
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16/05/2013 06:49
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità

Gesù non prega solo per i discepoli che sono nel Cenacolo. Con sguardo profetico vede l'umanità intera che si sarebbe aperta alla fede in lui mediante la parola degli apostoli e per questa folla innumerevole di suoi seguaci, Lui oggi prega il Padre: "Per quelli che crederanno in me mediante la loro parola". Così agendo, Gesù ci insegna due verità essenziali per la nostra fede. La fede nasce dalla Parola, se questa rimane in eterno Parola di Cristo Gesù. Se essa non è di Cristo Gesù, può generare la fede negli uomini, ma non nel Signore Crocifisso e Risorto. Ognuno di noi è obbligato a seminare la Parola nei cuori, ma anche a pregare ogni giorno per i frutti che la sua Parola seminata produce non solamente oggi, ma per tutta la durata del tempo.

"Perché tutti siano una sola cosa": Gesù vuole che i suoi discepoli siano una cosa sola. Non due cose, non più cose. Li vuole uniti e non divisi, concordi e non discorsi, nella pace e non nella guerra, nell'unione e non nella disunione. Perché questo accada è necessaria una cosa sola: che tutti obbediscano alla Parola di Cristo Gesù allo stesso modo che Cristo Gesù obbediva alla Parola del Padre, nella perfettissima comunione dello Spirito Santo. Crea unità chi obbedisce a Cristo Gesù, chi lavora per la Parola di Cristo Gesù. Le parole degli uomini creeranno sempre divisione, discordia, incomprensione, guerra, scissione, separazione, allontanamento.

"Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità": è questa la sola regola per la creazione dell'unità tra i discepoli di Gesù. Ognuno deve essere una cosa sola con Cristo Signore, un solo cuore, una sola mente, un solo desiderio, una sola volontà, una sola obbedienza. Se saremo una cosa sola con Cristo, saremo una cosa sola con tutti quelli che sono in Cristo Gesù. Se invece saremo separati da Cristo Signore, saremo anche separati tra di noi. È nel core di Cristo che si costruisce l'unità perfetta.

"Siano anch'essi con me dove sono io": l'amore di Gesù per i suoi discepoli è eterno. L'amore vuole comunione, unità, essere con l'altro una cosa sola, una sola vita. Per Gesù la sola vita non si consuma nel tempo e poi finisce. Essa si dovrà prolungare nell'eternità, per sempre, senza conoscere mai fine. La sola vita è però una nel tempo e nell'eternità, è sulla croce, nella tomba, nella risurrezione. È nel martirio e nella gloria. È nella fame e nella sazietà. Oggi si è con Cristo dove è Lui e Lui è nella grande sofferenza. Domani si sarà con Lui dove Lui è e Lui è nella gloria eterna del Padre.

"Il mondo non ti ha conosciuto": Gesù è venuto, ha predicato, ha dato al mondo la Parola del Padre. Il mondo si è rifiutato di accogliere la Parola. Senza la Parola di Cristo Gesù il mondo mai potrà conoscere la verità del Padre. Senza la Parola di Cristo il mondo avrà del Padre sempre una non conoscenza, o una conoscenza assai parziale, limitata, falsa, bugiarda, menzognera, erronea. Avrà sempre un Dio prodotto della sua mente, del suo cuore, dei suoi desideri, della sua empietà. Invece i discepoli, avendo accolto la Parola, hanno riconosciuto che il Padre veramente ha mandato Cristo Signore per la loro salvezza, redenzione, giustificazione, conversione.

 
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17/05/2013 08:19
 
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Eremo San Biagio
Commento su Giovanni 21,17

Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene».
Gv 21,17

Come vivere questa Parola?

In una delle sue apparizioni dopo la resurrezione, Gesù riconferma ufficialmente il suo mandato a Simone, a cui aveva precedentemente cambiato il nome in Pietro, "roccia" su cui avrebbe edificato la sua chiesa (cf Mt 16,18).

È interessante notare una cosa. Gesù non sceglie come fondamento un uomo che spicca per avvedutezza, per scienza, per bravura eccellente in altri ambiti. Gesù sceglie Pietro e quello che potremmo chiamare l'esame di idoneità è sull'amore. Non una volta, ma per ben tre volte il Signore chiede a Pietro: Mi ami? Ed è naturale che l'apostolo, alla terza volta, mostri il suo turbamento. Ma quello che ci colpisce favorevolmente è la modalità della risposta: "Tu sai tutto. Tu sai che ti amo". Come se Pietro dicesse: Tu mi conosci bene, tu sai che ti ho rinnegato. L'ho fatto per paura, per debolezza. Tu che mi guardi dentro vedi che nel mio cuore c'è l'amore vivo, sincero fino in fondo.

Ecco, anche nel nostro itinerario esistenziale ci sono state cadute, forse rinnegamenti vari. Quel che importa è credere fino in fondo che Colui che tutto conosce di noi, vede anche il desiderio sincero che ora ci abita: quello di amarlo, di seguirlo nell'ascolto e nella pratica di quel che, giorno dietro giorno, egli viene dicendoci.

Grazie, Signore! Credo al tuo amarmi. Credo alla forza che mi dai per vivere come tu mi insegni.

La voce di un beato

L'amore consiste non nel sentire che si ama, ma nel voler amare; quando si vuol amare, si ama; quando si vuol amare sopra ogni cosa, si ama sopra ogni cosa. Se accade che si soccomba a una tentazione, è perché l'amore è troppo debole, non perché esso non c'è: bisogna piangere, come San Pietro, pentirsi, come San Pietro, umiliarsi, come lui, ma sempre come lui dire tre volte: "Io ti amo, io ti amo, tu sai che malgrado le mie debolezze e i miei peccati io ti amo".
Beato Charles de Foucauld
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18/05/2013 07:31
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Signore, che cosa sarà di lui?

La vocazione è personale. È unica e irripetibile, perché unico e irripetibile è il disegno di Dio sopra ogni cuore. Essendo personale la vocazione è anche particolare, unica ed irripetibile la missione. Pur essendo identico il ministero, unico però è il modo di portarlo a compimento, a causa dell'unicità e della singolarità della volontà di Dio che avvolge fin dall'eternità ogni uomo.
Pietro è Apostolo del Signore. Anche Giovanni lo è. Pietro è stato chiamato a seguire Gesù sulla via della crocifissione, del martirio, del versamento del sangue per rendere gloria Dio, per attestare la sua Signoria sulla sua persona e sul mondo intero. Giovanni non è stato chiamato ad essere martire. Lui avrà un'altra missione da assolvere. Dovrà percorrere un'altra via pr entrare nel Paradiso. Seguirà Cristo Gesù ma non passando dalla croce. Lo seguirà allo stesso modo della Madre di Gesù che adesso è sua vera Madre: "Rimanendo sempre ai piedi della croce, subendo perennemente il martirio dell'anima, a causa della spada che rimarrà sempre fissa nel suo cuore".
Pietro vorrebbe sapere cosa ne sarà del discepolo che Gesù amava. Gesù gli risponde che il mistero della persona lo può conoscere solo la persona che lo vive e che lo porta a compimento. Nessun è in grado di conoscere il futuro, e neanche il presente, della vita di un suo fratello. Ognuno si deve inchinare dinanzi all'altro e rispettare in lui la volontà di Dio, sconosciuta e misteriosa, non conoscibile e impenetrabile.
Oggi la confusione regna sovrana. Non c'è più rispetto per il mistero scritto da Dio nel cuore dei suoi figli. Non si riesce a comprendere e ad accettare che l'unicità del ministero mai potrà essere unicità di vita, di spiritualità, di missione, di relazioni, di comportamento, di santità. Non si vuole accogliere la verità che la santità è personale e che non esistono due santi uguali. Mai potranno esistere. Ed anche se si cammina in cordata, ognuno segue una strada tutta sua per amare il Signore e per servire i fratelli.
La confusione giunge al punto di ignorare anche la particolarità del carisma e la sua singolarità e unicità. Non è il ministero che fa il carisma. È invece il carisma che dona vita propria, speciale, singolare al ministero. Così come non sono le virtù teologali che danno vita alle virtù cardinali. Sono invece le virtù cardinali forma e modalità della verità delle virtù teologali. Un amore imprudente non è amore. Un amore ingiusto non è amore. Un amore debole non è amore. Un amore senza temperanza non è amore.
La vita del singolo è un mistero. Nessuno è padrone, signore, manipolatore di essa. Tutti dobbiamo prostrarci in adorazione dinanzi ad una vita e metterci a sua disposizione, a suo servizio - è questa la vera carità - perché si possa sviluppare secondo il germe di vita eterna in essa contenuta e produrre molti frutti.
La Vergine Maria, Madre della Redenzione, gli Angeli e i Santi, ci facciano servi gli uni degli altri, rispettosi tutti del grande mistero dei nostri fratelli.
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19/05/2013 08:46
 
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don Marco Pedron
Vedere è ben più di guardare

Oggi la chiesa celebra la festa di Pentecoste. Il centro delle letture non è, come al solito, il vangelo, ma la prima lettura dagli Atti degli Apostoli, in cui si racconta l'evento fisico della Pentecoste. Pentecoste è una parola greca e significa cinquantesimo giorno; si celebra cinquanta giorni dopo Pasqua.
Pasqua era anticamente la festa di primavera, Pentecoste l'inizio della raccolta del grano. Per gli ebrei Pasqua ricorda il passaggio del mar Rosso e Pentecoste i comandamenti sul Sinai. Per i cristiani, Pasqua è la resurrezione di Gesù, Pentecoste l'effusione dello Spirito. Gesù a Pasqua se ne va al cielo, ma a Pentecoste ritorna sotto un'altra forma: lo Spirito.
Per gli antichi cinquanta era il numero della pienezza di un tempo. A cinquant'anni a Roma, si era dispensati dal servizio militare. Ogni cinquant'anni c'era il giubileo (ebrei). Allora la Pentecoste, i cinquanta giorni, indicano che un tempo è finito: è giunto a compimento il tempo del Gesù terreno e delle sue apparizioni e si apre un nuovo tempo, il tempo dell'uomo, della Chiesa e dello Spirito.

Cosa sta succedendo? Gesù è morto e gli apostoli sono presi dalla paura: "Che accadrà adesso?". Possiamo capire tutta la loro paura e i loro dubbi: "Gesù se ne è andato, è morto, cosa ne sarà di noi, adesso che il maestro, il nostro capo è morto? Gesù era Gesù, noi siamo noi: come possiamo pensare di continuare noi il suo messaggio? Gesù lo hanno ucciso: noi abbiamo paura. Faranno anche a noi ciò che hanno fatto a lui?". Per loro questo è un momento di crisi forte, profonda, radicale, decisiva.

Quante volte ci troviamo in questa situazione. Sei dirigente di banca: lavoro sicuro, ben retribuito, bella posizione sociale. Ma il tuo hobby, il tuo desiderio profondo è fare il fotografo. Hai la possibilità di entrare in società con un amico fotografo. Che si fa?
Il tuo fidanzato vive in Toscana e tu sei del Veneto. Ti dice: "Ci sposiamo?". Avresti anche la possibilità di farti spostare il lavoro lì e lo ami tanto, ma vuol dire lasciare tutti gli amici, la tua famiglia d'origine, le relazioni, tutto il tuo mondo. Che si fa?
Fra te e tua moglie non va male, vi capite, siete d'accordo sull'educazione dei figli, vi volete bene, ma c'è qualcosa che non gira, il fuoco dell'amore non s'accende, il rapporto tira avanti un po' stancamente. Che c'è da fare?
Stai facendo la tua vita: il lavoro ce l'hai, la famiglia (moglie e figli) pure, gli amici anche, tutto sembra andare bene ma in realtà tu dentro sei spento e procedi per forza d'inerzia.
Vai in chiesa, rispetti le regole cristiane, sei generoso, ma non c'è slancio nella tua fede, non c'è passione; quando parli di Dio sembri un insegnante non un innamorato, perché?
Sei una brava persona (e in effetti lo sei davvero), rispettato, se puoi aiuti gli altri, sei presente in casa e con i figli, attento con tutte le persone, ma sei insoddisfatto perché senti che tu non sei proprio così. Che si fa?
Cosa è necessario in tutte queste situazioni? Cosa è successo agli apostoli?

Il giorno di Pentecoste per gli apostoli è stato un salto qualitativo, quantico. Da un livello di superficie sono passati ad un livello interno, dall'esteriorità sono passati all'interiorità, dalla dipendenza sono passati all'autonomia e alla libertà.
Parlavano una lingua che tutti capivano (2,8-11) perché erano entrati in contatto con il Dio dentro di sé. Prima Gesù era fuori: vi avevano vissuto insieme, avevano mangiato e parlato con lui. Ma adesso quel Gesù (Risorto) non era più fuori ma dentro (Spirito Santo), lo sentivano forte e chiaro, potente e presente.
Mentre prima vivevano nella paura di perderlo adesso sapevano benissimo che nessuno glielo poteva più togliere. Perché ciò che è dentro di noi non ci può essere sottratto. Prima Gesù era fuori (il Gesù storico), adesso è dentro (lo Spirito Santo).
Fu un passaggio che li sconvolse, che li rovesciò, che li mise in crisi.
Le due immagini "rombo come di vento" (2,2) e "fuoco che si divideva" (2,3) indicano un passaggio potente, destabilizzante, anche terribile all'inizio, in ogni caso così forte che poi non sarai mai più come prima.
Il vento indica un passaggio di libertà e di decisione: il vento spazza via, purifica, scompiglia e sconvolge, è un uragano che si abbatte (rombo), che ti libera da paure e dalla dipendenza dagli altri.
Il fuoco indica un salto di calore, di passione, un "essere preso", toccato nell'unicità di ciascun soggetto (ogni lingua assume la sua forma su ogni soggetto che scende). Questo salto qualitativo ti ha portato dall'essere freddo, insipido, al bruciare, al trovare senso e passione. Questo contatto con Dio in te ti ha permesso di individuarti, di trovare la tua forma e la tua unicità.
Solo così avvengono i grandi passaggi della vita: se non c'è Spirito, se non c'è vento e fuoco, non si va da nessuna parte!; non si possono fare le grandi scelte, non si può andare in tutto il mondo.

Il dirigente di banca: se non metti te prima della posizione sociale, non puoi fare nessun salto di vita. Se invece di osare e rischiare per fare quello che ti riscalda, preferisci la sicurezza e la stabilità, ti condanni a seguire un binario già fatto: sicuro ma non è il tuo. Ci vuole Spirito!
Il fidanzato in Toscana: se non fai un salto di fiducia e prendi questa decisione che sconvolgerà la tua vita, se non metti prima il fuoco dell'amore, se non segui il tuo cuore mettendo a tacere le voci della paura: "Ce la farò? Sarò in grado? E se poi finisce male? Sarò sola?", vivrai per tutta la vita con il rammarico di ciò che avrebbe potuto essere ma che per paura non è stato. Ci vuole Spirito!
Fra te e tua moglie: se non avviene un salto di relazione il rapporto si trascinerà negli anni. Un salto di relazione vuol dire che ciò che c'è dentro è la nostra forza: quindi scambiarci il nostro profondo e incontrarci nella nostra parte più interna (e per questo intima). Ma ci vuole Spirito, coraggio, apertura, per farlo!
L'andare in chiesa: se non avviene un salto di fede rimarrai un semplice esecutore di regole religiose (bambino nella fede). Il salto è che Dio non è una regola, un precetto, una formula, ma una persona di cui innamorarsi, che ti prende dentro, che diventa esempio e modello di energia, coraggio, forza, libertà, passione, per cui guardando il suo fuoco tu sprigioni il tuo fuoco. Questione di Fuoco!
Te stesso: se il coraggio della libertà e della decisione non ti portano a trovare la tua missione nella vita, il senso delle tue giornate, la strada del tuo destino, magari farai tante cose belle e buone, ma non ciò per cui tu esisti. Ci vuole lo Spirito della libertà che ti porta a seguire solamente la tua unica chiamata.

La festa di Pentecoste esprime la verità che Dio abita dentro di noi. Dio non è più presente fisicamente in mezzo a noi; Dio è presente con il suo Spirito. Quando noi sentiamo questa affermazione pur registrandola con la mente e sapendola ripetere a memoria, traduciamo così: "E cosa vuol dire tutto questo? Io non lo sento! Cos'è lo Spirito?".
Se noi chiediamo alle persone cos'è lo Spirito, la maggior parte non saprà cosa rispondere. E se non sa rispondere è perché non lo conosce, non ne ha esperienza, non lo ha mai vissuto. Molti pensano che lo Spirito sia qualcosa che si aggiunge a quello che siamo. Quindi, ne posso fare anche a meno. Ma lo Spirito non è un di più, ma qualcosa che noi già siamo. Altri pensano che lo Spirito sia in contrasto con la materia - e non vi è cosa più erronea - per cui spirituale vuol dire disincarnato, fuori del mondo.
E quando pensano ad una persona spirituale si immaginano un monaco che vive quasi fuori dal mondo, solo pregando e che odia tutto ciò che c'è nel mondo. Queste persone potrebbero leggere un po' di più del vangelo e osservare quanto materiale fosse Gesù, che mangiava, bevevo, faceva festa, si divertiva e toccava. E non si può dire che non fosse spirituale!
Lo Spirito non viene in noi un giorno della nostra vita ma abita già in noi. Lo Spirito non è nient'altro che il modo con cui Dio abita in noi. Ed essere spirituali non è pregare molto o fare cose religiose o frequentare la chiesa o fare pellegrinaggi. Essere spirituali vuol dire vivere facendo emergere ciò che ci abita dentro. E' un modo di vivere.

Madre Teresa disse ad un giornalista: "Vede, io Dio lo vedo chiaramente. E' qui in questo uomo che soffre o in quello lì, di quel letto lì, abbandonato da tutti. Dio è in me, Dio è in lei. Se lei non lo vede non è un affare mio. Per me la cosa è così evidente!". Che cosa vedeva questa donna? Che occhi aveva per vedere Dio presente in ogni creatura?
Francesco vedeva Dio nell'acqua, nel sole, nella luna e perfino nella sorella morte. Che era pazzo? Era solo un romantico, un poeta? O aveva valicato la soglia della materia?
Gesù che guardava gli uccelli del cielo o i gigli del campo e affermava che neppure Salomone in tutta la sua ricchezza vestiva come loro: cosa vedeva? Era pazzo o aveva varcato la soglia della materia?
Quando Gesù proclamava le beatitudini e diceva beati i poveri, quelli che piangono, quelli che soffrono, era un pazzo? Chi vuole soffrire, chi vuole essere perseguitato, deriso o imprigionato? Nessuno che sia sano di mente! E allora, che cosa vedeva Gesù? Non è che avesse valicato la soglia dell'apparenza?

Einstein un giorno definì la formula E=mc2. Questa formula stabilisce che la materia è anche luce, spirito. Questa formula scientifica dice ciò che i mistici da sempre hanno vissuto migliaia di anni prima. Quando guardavano le persone, la natura ed ogni cosa, non vedevano la materialità, ma la luce, lo spirito che abitava in ogni cosa.
La scienza non fa altro che rendere scientifico ciò che da sempre i mistici hanno saputo: tutto è al tempo stesso onda, energia o particella, materia. Ogni cosa è materia e spirito (luce, energia). Lo spirito si trova nell'unghia, nell'osso, nella pelle, in tutte le cose. Non c'è uno spirito dentro la materia. La materia è simultaneamente spirito e materia. Non esiste uno spirito distaccato dalla materia ma la materia stessa è spirito. Dipende da cosa vedi. Dipende se entri dentro o se rimani nell'apparenza. Ciò che vediamo è meno reale di quello che pensiamo.

Ora cosa centra tutto questo con la festa di Pentecoste di oggi? Centra eccome: lo Spirito abita ogni cosa, è ogni cosa. Tutto è spirito o tutto è materia e questo dipende solo da come tu guardi le cose. Si tratta di andare oltre le apparenze.
Gesù fu l'uomo del vedere dietro l'apparenza o dentro la realtà. Questa cosa Lui la chiamava "regno di Dio". E lo diceva sempre: "Il regno di Dio non è il paradiso, ma è qui, oggi, adesso. Dipende dai tuoi occhi". Gesù vedeva un fiore e vedeva Dio (vedeva la luce, lo spirito del fiore). Gesù vedeva gli uccelli del cielo ed esclamava: "Che meraviglia; chi può vestire come loro?; che liberi!". Gesù vedeva i fatti di cronaca e vi vedeva dentro, leggeva la mano di Dio che insegnava. Gesù vedeva i sofferenti, i poveracci, le donne, e mentre tutti se ne stavano lontani, Lui li abbracciava, li incontrava, li baciava, li accarezzava e coglieva il loro desiderio e bisogno d'amore. Gesù vedeva i peccatori e mentre tutti si fermavano all'apparenza ("Siete peccatori, avete sbagliato, lontani da Dio!"), Lui andava dentro. Lui sapeva cogliere la luce che li abitava; Lui sapeva vedere la forza e il desiderio di vita che dormiva dentro di loro. Lui vedeva un pescatore qualsiasi e mentre la materialità diceva: "Uno che pensa solo ai soldi, al pesce e a vendere", Lui vi coglieva i desideri profondi del suo animo. Sulla croce era vicino ad un peccatore che aveva ucciso e mentre tutti vedevano il malfattore, Lui gli disse: "Oggi sarai con me in Paradiso". Fu condannato a morte e mentre noi non proviamo che rabbia verso coloro che lo condannarono, Lui vide la luce che si nascondeva nel profondo delle loro tenebre: "Padre perdonali perché non sanno quello che fanno". Gesù non vedeva tanto la materia; Gesù vedeva lo Spirito, la luce che c'è dentro ad ogni cosa.
Tuo figlio ha 15 anni, è nervoso, spesso ti risponde in malo modo ed è aggressivo. Puoi guardare alla materia, rimanere nella superficie e dire: "Tu così a tuo padre non rispondi. Io vado a lavorare per te (cosa che è vera, peraltro), fatico e porto a casa i soldi per i tuoi studi. Tu non mi rispetti". Allora lui ci prova; ma non ci riuscirà. Tu ti sentirai incompreso e offeso; lui si sentirà incompreso e in colpa. Ma tu lo puoi guardare con gli occhi dello spirito: "Cosa c'è dietro tutto questo? Cosa sta vivendo per essere così?". Forse non ce l'ha con te; forse sta tentando di muovere i suoi primi passi nella vita e ha molta paura. Forse nel suo animo c'è una confusione terribile e neppure lui sa chi è e cosa vuole. "Guarda meglio; guardalo dentro. La verità non è quello che sembra".
Sei stata abusata da un tuo familiare. Questo ti ha creato un senso di vergogna e di indegnità enorme. Ti guardi allo specchio e ti fai schifo. Ti senti colpevole di ciò che è successo; anzi credi di essere stata proprio tu la causa (ma avevi solo tredici anni!). E nel profondo ti senti sempre con quest'onta. Se guardi alla materia, a ciò che è successo, non hai scampo. Ti terrai per te tutto questo, non lo dirai a nessuno, rimarrà il tuo segreto e per tutta la vita avrai la sensazione di essere sporca e indegna di vivere. Ma se tu riesci ad entrare dentro potrai trovare la luce. Tu sei ancora degna di vivere; questo dolore non ha cancellato la tua bellezza profonda, quella che Dio vede. Tu sei ancora pura e vergine ai suoi occhi. Se tu riesci, tra dolore e lacrime, ad andare oltre, tu puoi ritrovare la luce. Tu puoi trasformare la dura realtà e accedere al tuo spirito, alla tua parte incontaminata, quella che sta oltre l'esterno e i fatti della vita.
Ogni mattina passi davanti ad un albero secolare. E' lì da tanto tempo, prima di te e forse lo sarà per tanto tempo dopo di te. Ma tu non ti sei mai reso conto che c'è, non ti sei mai fermato a guardarlo, non ti sei mai seduto alla sua ombra, non lo hai mai visto realmente. Per te è solo legno, non ti sei mai fermato a pregare ai suoi piedi e non hai mai imparato da lui. Non cogli il suo spirito, non riesci a penetrarlo, non riesci ad accedere alla luce che contiene.
Hai un sacco di cose da fare - ti dici -, ma non ti chiedi mai perché sei sempre così irrequieto, nervoso? Nel fondo sei sempre insoddisfatto e mai pienamente felice. Poi te la racconti che "bisogna accontentarsi", "che è così per tutti", ma la verità è che c'è qualcosa che non và. Ma tu continui a correre, a fare, a produrre, e così continui a rimanere nell'ordine della materia. Non puoi accedere allo spirito che c'è in ogni cosa. Non puoi vedere il divino che si nasconde dentro le persone e la vita stessa.
Perché sbatti le porte così forte? Perché urli sempre quando parli? Perché sei sempre arrabbiato? Perché non c'è luce nel tuo volto? Perché non sai esprimere un sentimento che sia uno? Perché se puoi "fregare" gli altri lo fai? Perché non sai sorridere? Perché non sai dire "grazie"? Perché non sai pregare?

Ciò che è tremendo della nostra società è l'incapacità di essere spirituale. E' una vera disabilità. Il segno evidente della nostra malattia è: "Quanto costa? Quanti soldi? Quanti soldi servono?".
Un altro segno eclatante è l'espressione: "Io, io". "Io faccio così; se non ci fossi io; ti dico io cosa fare; io di qua, io di là; parlo io; io so; io non ho bisogno".

Materia è il pane della domenica sull'altare. Spirito è quando io vedo in quel pane, il Pane, il Cristo. Materia è quando vedo nel mio collega o in una persona solo uno che rompe i miei piani, uno che scoccia, uno che mi dà fastidio. Spirito è quando inizio a vedere uno che soffre, uno che ha un cuore e un'anima. Materia è quando vedo di fronte al nuovo giorno solo un altro giorno di lavoro. Spirito è quando posso vedere un'altra opportunità che mi viene data per sperimentare la vita. Materia è quando qualcosa mi fa innervosire. Spirito è quando inizio a chiedermi il perché, che cosa devo imparare o che cosa devo cambiare del mio comportamento o del mio modo di pensare. Materia è quando guardo una donna e voglio possedere il suo corpo. Spirito è quando inizio a percepire che quella donna è una creatura, con un cuore che batte e che pulsa. Materia è mangiare, spirito è gustare. Materia è respirare (avviene in automatico), spirito è essere consapevoli del respiro (non a caso ruah, spirito, in ebraico vuol dire anche soffio). Materia è udire il canto degli uccelli, spirito è ascoltare il canto degli uccelli. La stessa vita può essere terribilmente materiale o terribilmente spirituale, piena di buio o di luce. Tutto può essere materia o tutto può essere spirito, dipende dai miei occhi.

Pensiero della Settimana

Quando non si ha più paura allora si è liberi.
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20/05/2013 08:33
 
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Eremo San Biagio
Commento su Salmo 67

Dalla Parola del giorno
?I giusti si rallegrino, esultino davanti a Dio e cantino di gioia. Cantate a Dio, inneggiate al suo nome, gioite davanti a lui.?

Come vivere questa Parola?
Il periodo pasquale si avvale di queste espressioni appositamente scelte dai liturgisti per dilatare, dentro i nostri giorni, la gioia di una vittoria che, per noi cristiani, è inequivocabile: il Cristo risorto ha vinto la morte per sempre.
Credere è questa fiducia. Ed è respirare a fondo questa fiducia che ti permette di superare l?altalenarsi delle vicende (non sempre facili e gaudiose) del nostro esistere.
Il Salmo, espressione della fede anticotestamentaria, sembra fosse cantato quando processionalmente veniva portata l?arca dell?Alleanza dentro il tempio in memoria dell?Esodo verso Gerusalemme.
C?è in esso il senso di un Dio grande, potente, magnifico nel suo donarsi ai ?giusti?.
In chiave pasquale la gioia si moltiplica (per così dire) nel cuore di noi che crediamo in un Dio che ha rivelato tutto il suo amore in Cristo Gesù, nel suo darsi a noi nella dirompente forza vittoriosa del mistero pasquale.
Se ci credo veramente, posso dunque trascinare la mia vita nello sconforto o nella ricerca di chissà quali surrogati alla gioia vera?
Sono qui a riflettere su questi motivi di letizia piena nella mia vita, più forti in definitiva dei motivi di lutto e di pianto.

Mi concedo un tempo di quiete contemplativa e faccio spazio in me, quietamente, alla gioia. Oggi, festa liturgica di Maria Ausiliatrice, la Madonna di Don Bosco, mi unisco a Lei e canto la gioia del Magnificat.

Signore della resurrezione e della vita, non permettere che io mi ripieghi sulle mie sofferenze. Dammi di ascoltare le tue parole: campane di gioia.

La voce di un grande Papa
La gioia che scaturisce dalla grazia divina non è un'allegria superficiale ed effimera. È una gioia profonda, radicata nel cuore e capace di pervadere l?intera esistenza del credente. Una gioia che può convivere con le difficoltà, con le prove, addirittura ? per quanto ciò possa sembrare paradossale ? con il dolore e la morte.
Giovanni Paolo II
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21/05/2013 07:21
 
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Eremo San Biagio
Commento su Siracide 2,2.6

Abbi un cuore retto e sii costante, non ti smarrire nel tempo della prova...
Sir 2,2.6

Come vivere questa Parola?

Il tema principale del secondo capitolo del Siracide è il timore del Signore: un dono che talvolta ci lascia perplessi, ma è un'attitudine che si radica proprio in quella sapienza che ci abilita a fidarci del Signore anche nei momenti più duri della vita. Anzi, sono proprio le "prove del fuoco" che rafforzano questa fiducia, la purificano da ogni egoismo, la rendono consapevole dell'amore misericordioso del Signore. Allora il "timore" si trasforma in quell'amore che in Dio non ha misura e che pian piano prende dimora in noi, ci rende capaci di agire con cuore sincero e retto, con la costanza che non ci permette di vacillare tra gli ostacoli del quotidiano, con la pazienza che tiene conto della nostra fragilità. È l'amore che ci abilita ad amare come ama il Signore!

Vieni, Spirito del timor di Dio, fonte inesauribile di grazia, donaci di sperimentare l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità dell'amore di Dio; dimora in noi e fa' che noi dimoriamo in te, per amare come ami tu.

La voce di un testimone:

«Lodate il Signore, voi che lo temete, gli dia gloria la stirpe di Giacobbe, lo tema tutta la stirpe di Israele» (Salmo 22,24). Progressione stupefacente dei verbi: «lodate, glorificate, temete il Signore!». Qui il timore è la lode, che è giunta al punto in cui essa non sa più cosa dire: e la lode diventa stupore, silenzio e amore
frère Roger Schutz
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22/05/2013 09:08
 
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Chi non è contro di noi è per noi

Ogni vero bene viene sempre dal Signore. Possiamo applicare al bene, la stessa legge che vale per la Sapienza. Ecco cosa ci insegna il Libro del Siracide.

Ogni sapienza viene dal Signore e con lui rimane per sempre. La sabbia del mare, le gocce della pioggia e i giorni dei secoli chi li potrà contare? L'altezza del cielo, la distesa della terra e le profondità dell'abisso chi le potrà esplorare? Prima d'ogni cosa fu creata la sapienza e l'intelligenza prudente è da sempre. Fonte della sapienza è la parola di Dio nei cieli, le sue vie sono i comandamenti eterni. La radice della sapienza a chi fu rivelata? E le sue sottigliezze chi le conosce? Ciò che insegna la sapienza a chi fu manifestato? La sua grande esperienza chi la comprende? 8Uno solo è il sapiente e incute timore, seduto sopra il suo trono. Il Signore stesso ha creato la sapienza, l'ha vista e l'ha misurata, l'ha effusa su tutte le sue opere, a ogni mortale l'ha donata con generosità, l'ha elargita a quelli che lo amano. L'amore del Signore è sapienza che dà gloria, a quanti egli appare, la dona perché lo contemplino. Il timore del Signore è gloria e vanto, gioia e corona d'esultanza. Il timore del Signore allieta il cuore, dà gioia, diletto e lunga vita. Il timore del Signore è dono del Signore, esso conduce sui sentieri dell'amore. Chi teme il Signore avrà un esito felice, nel giorno della sua morte sarà benedetto.

Principio di sapienza è temere il Signore; essa fu creata con i fedeli nel seno materno. Ha posto il suo nido tra gli uomini con fondamenta eterne, abiterà fedelmente con i loro discendenti. Pienezza di sapienza è temere il Signore; essa inebria di frutti i propri fedeli. Riempirà loro la casa di beni desiderabili e le dispense dei suoi prodotti. Corona di sapienza è il timore del Signore; essa fa fiorire pace e buona salute. L'una e l'altra sono doni di Dio per la pace e si estende il vanto per coloro che lo amano. Egli ha visto e misurato la sapienza, ha fatto piovere scienza e conoscenza intelligente, ha esaltato la gloria di quanti la possiedono. Radice di sapienza è temere il Signore, i suoi rami sono abbondanza di giorni. Il timore del Signore tiene lontani i peccati, chi vi persevera respinge ogni moto di collera. (Sir 1,1-21).

È il Signore che ispira il cuore perché faccia il bene. È lo Spirito Santo che ispira quest'uomo, di cui parla il Vangelo di questo giorno, a scacciare i demoni nel nome di Gesù. Chi opera nel nome del Signore non può dire ad un altro che lavora anche lui nel nome del Signore di non operare. Sarebbe come se lo Spirito Santo contraddicesse se stesso. Sarebbe come se un Vescovo, che è proposto da Cristo a parlare nello Spirito Santo, a dare lo Spirito Santo, impedisse ad un vero profeta di profetizzare. Metterebbe lo Spirito Santo in contraddizione con se stesso. In questo caso vi è una sola spiegazione: poiché lo Spirito Santo non può contraddire se stesso, chi proibisce di operare a colui che agisce nello Spirito Santo, di certo non è nello Spirito Santo.

Chi è nello Spirito del Signore riconosce sempre lo Spirito del Signore, qualsiasi cosa Lui faccia attraverso lo strumento umano. Chi non è nello Spirito di Dio, proprio perché manca della luce soprannaturale, non solo non riconosce lo Spirito del Signore, in più lo ostacola, lo mortifica, vorrebbe estinguerlo o spegnerlo. Il Vangelo è la testimonianza storica che quanti erano preposti per dare Dio al popolo del Signore, in nome di Dio, hanno ucciso Dio. Lo hanno crocifisso. Essi non erano in Dio, con Dio.

Gesù è nella pienezza dello Spirito Santo. È avvolto dalla sua luce più piena. Nello Spirito di Dio conosce la verità di quell'uomo e ordina ai discepoli di non impedire che lui possa continuare a scacciare i demoni nel suo nome. In più dona una regola che vale per ogni tempo: chi non lavora contro Gesù è per Gesù. È per Gesù perché lo lascia libero di poter svolgere la sua missione. Nessun ostacolo potrà mai venire da costui. Quanti vorranno convertirsi, lo potranno. Quando desiderano accostarsi per ricevere una parola di verità, lo potranno. Quanti vorranno farsi suoi discepoli, anche questa scelta potrà essere operata con somma libertà. Il non ostacolo è grande bene.

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23/05/2013 07:53
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Marco 9,41-50

1) Preghiera

Il tuo aiuto, Padre misericordioso,
ci renda sempre attenti alla voce dello Spirito,
perché possiamo conoscere
ciò che è conforme alla tua volontà
e attuarlo nelle parole e nelle opere.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Marco 9,41-50
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Chiunque vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa.
Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, sarebbe meglio per lui che gli passassero al collo una mola da asino e lo buttassero in mare.
Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile.
Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare nella vita zoppo, che esser gettato con due piedi nella Geenna.
Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue. Perché ciascuno sarà salato con il fuoco.
Buona cosa il sale; ma se il sale diventa senza sapore, con che cosa lo salerete? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri".


3) Riflessione

? Il vangelo di oggi ci narra alcuni consigli di Gesù sul rapporto degli adulti con i piccoli e gli esclusi. In quel tempo, molte persone erano escluse ed emarginate. Non potevano partecipare. Molti di loro perdevano la fede. Il testo che ora meditiamo ha strane affermazioni che, se prese letteralmente, causano perplessità nella gente.
? Marco 9,41: Un bicchiere di acqua sarà ricompensato. Una frase di Gesù viene inserita qui: Vi garantisco che: Chiunque vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa. Due pensieri: (a) "Chi vi darà un bicchiere d'acqua": Gesù si sta recando a Gerusalemme per dare la sua vita. Gesto di grande donazione! Ma lui non dimentica i piccoli gesti di dono della vita di ogni giorno: un bicchiere d'acqua, un'accoglienza, un'elemosina, tanti gesti. Chi disprezza il mattone, non può mai costruire la casa! (b) "Perché voi siete di Cristo": Gesù si identifica con noi che vogliamo appartenere a Lui. Ciò significa che per Lui abbiamo molto valore.
? Marco 9,42: Scandalo per i piccoli. Scandalo, letteralmente, è una pietra lungo il cammino, una pietra nella scarpa; è ciò che allontana una persona dal buon cammino. Scandalizzare i piccoli è essere motivo per cui i piccoli si allontanano dal cammino e perdono la fede in Dio. Chi fa questo riceva la seguente sentenza: "Sarebbe meglio per lui che gli passassero al collo una mola da asino e lo buttassero in mare!" Perché Gesù si identifica con i piccoli? (Mt 25,40.45). Oggi, nel mondo intero, molti piccoli, molti poveri, stanno uscendo dalle Chiese tradizionali. Ogni anno, in America Latina, circa tre milioni di persone vanno verso altre Chiese. Non riescono a credere in ciò che professiamo nella nostra chiesa! Perché avviene questo? Fino a che punto la colpa è nostra? Meritiamo anche noi una mola al collo?
? Marco 9,43-48: Tagliare mano e piede, togliere l'occhio. Gesù ordina alla persona di tagliare la mano, il piede, di cavarsi l'occhio, nel caso in cui fosse motivo di scandalo. E dice: "E' meglio entrare nella vita o nel Regno con un piede (mano, occhio), che entrare nell'inferno o nella geenna con due piedi (mani, occhi)". Queste frasi non possono essere prese letteralmente. Significano che la persona deve essere radicale nella sua scelta di Dio e del vangelo. L'espressione "geenna" (inferno) dove il loro verme non muore ed il fuoco non si spegne", è un'immagine per indicare la situazione della persona che rimane senza Dio. La geenna era il nome di una valle vicino a Gerusalemme, dove si gettava l'immondizia della città e dove c'era sempre un fuoco acceso per bruciare l'immondizia. Questo luogo pieno di cattivo odore era usato dalla gente per simboleggiare la situazione della persona che non partecipava del Regno di Dio.
? Marco 9,49-50: Sale e Pace. Questi due versi aiutano a capire le parole severe sullo scandalo. Gesù dice: "Abbiate sale in voi stessi e state in pace gli uni con gli altri!" La comunità, in cui si vive in pace, gli uni con gli altri, è come un poco di sale che dà sapore a tutto il cibo. Vivere in pace e fraternamente nella comunità è il sale che dà sapore alla vita della gente nel quartiere. E' un segno del Regno, una rivelazione della Buona Novella di Dio. Siamo sale? Il sale che non dà sapore non serve più a nulla!
? Gesù accoglie e difende la vita dei piccoli. Varie volte, Gesù insiste nell'accoglienza da dare ai piccoli. "Chi accoglie uno di questi piccoli nel mio nome, accoglie me" (Mc 9,37). Chi dà un bicchiere d'acqua ad uno di questi piccoli, non perderà la sua ricompensa (Mt 10,42). Lui chiede di non disprezzare i piccoli (Mt 18,10). E nel giudizio finale i giusti saranno ricevuti perché avranno dato da mangiare "ad uno di questi piccoli" (Mt 25,40). Se Gesù insiste tanto nell'accoglienza da dare ai piccoli, è perché c'è molta gente piccola, non accolta! Infatti, donne e bambini non contavano (Mt 14,21; 15,38), erano disprezzati (Mt 18,10) e ridotti al silenzio (Mt 21,15-16). Perfino gli apostoli impedivano che arrivassero vicino a Gesù (Mt 19,13; Mc 10,13-14). In nome della legge di Dio, mal interpretata dalle autorità religiose dell'epoca, molta buona gente era esclusa. Invece di accogliere gli esclusi, la legge veniva usata per legittimare l'esclusione. Nei vangeli, l'espressione "piccoli" (in greco si dice elachistoi, mikroi o nepioi, a volte indica "i bambini", altre volte indica i settori esclusi dalla società. Non è facile discernere. A volte il "piccolo" nel vangelo è "un bambino". Questo perché i bambini appartenevano alla categoria dei "piccoli", degli esclusi. Inoltre, non sempre è facile discernere tra ciò che proviene dal tempo di Gesù e ciò che proviene dal tempo delle comunità per cui furono scritti i vangeli. Pur così stando le cose, ciò che risulta chiaro è il contesto di esclusione che vigeva all'epoca e che le prime comunità conserveranno di Gesù: lui si pone dal lato dei piccoli, degli esclusi, e ne assume la difesa.


4) Per un confronto personale

? Nella nostra società e nella nostra comunità, chi sono oggi i piccoli e gli esclusi? Come avviene l'accoglienza nei loro confronti da parte nostra?
? "Mola al collo". Il mio comportamento merita la mola o una cordicella al collo? E il comportamento della nostra comunità: cosa merita?


5) Preghiera finale

Il Signore perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue malattie;
salva dalla fossa la tua vita,
ti corona di grazia e di misericordia . (Sal 102)
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24/05/2013 07:43
 
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Movimento Apostolico - rito romano
L'uomo non divida quello che Dio ha congiunto

Leggiamo cosa disse Adamo di Eva prima del peccato: "E il Signore Dio disse: «Non è bene che l'uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda». Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all'uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l'uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome. Così l'uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, ma per l'uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna e la condusse all'uomo. Allora l'uomo disse: «Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall'uomo è stata tolta». Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un'unica carne" (Gn 2,18-24).
Gesù è venuto per fare l'uomo nuovo, per ricrearlo con una creazione ancora più mirabile della prima. In questa nuova creazione, nuovo è il cuore, la mente, lo spirito, l'anima, lo stesso corpo si riveste di una spiritualità nuova. In questa nuova realtà l'uomo è chiamato a vivere ogni cosa che era prima del peccato, della trasgressione, della rottura dell'unità e della comunione.
Ecco la vocazione dell'uomo: vivere l'amore coniugale da crocifisso, da persona che sa interamente consacrarsi ad esso, consumando nell'annientamento di sé tutti i suoi giorni. Questo amore crocifisso non nasce però dal cuore dell'uomo, anche se è nuovo. Sgorga perennemente dal cuore di Cristo Gesù ed è in esso che lo si deve attingere quotidianamente, giorno dopo giorno, attimo dopo attimo. Solo in questa perenne ricarica di amore attinto da Gesù, è possibile rimanere fedeli sino alla fine.
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25/05/2013 10:09
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Come accogliere il Regno di Dio

È ormai quasi istintivo in noi, dopo la triste esperienza del peccato, che ha annebbiato i sensi della nostra anima, pensare e credere che ciò che infinitamente grande in tutte le sue perfezioni, debba essere per noi altrettanto complicato e inaccessibile. Ne facciamo esperienza quando con la fioca lanterna della nostra intelligenza tentiamo di immergersi in quel mare sconfinato che è il nostro Dio. Ci condanniamo così ad un inevitabile naufragio. Con una minuscola conchiglia vorremmo riversare tutta l'acqua dell'oceano nella piccola pozza che abbiamo scavato nella sabbia della spiaggia. Gesù ci indica una strada completamente diversa. Ci dice che le ascese più sublimi verso l'infinito, le possiamo fare quando abbiamo conservato o acquisito di nuovo la semplicità e la purezza del cuore. Sono le doti che si riscontrano nei bambini e sono annesse alla loro candida innocenza. È per questo che Gesù ci dice: «Lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio. In verità vi dico: Chi non accoglie il regno di Dio come un bambino, non entrerà in esso». Ribadirà più volte il Signore questa verità e ce ne darà la piena conferma quando si lascerà sconfiggere dalla cattiveria degli uomini fino a subire una assurda condanna, una atroce passione e la morte ignominiosa della croce. Dirà ad Erode che lo interroga prima di condannarlo: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Gli umili e i piccoli sanno accogliere le verità di Dio. Il cielo è velato per gli arroganti e i presuntuosi.

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26/05/2013 07:52
 
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padre Ermes Ronchi
Ciò che è del Padre è anche nostro

La Trinità si delinea in filigrana, nel Vangelo di oggi, non come fos­se un dogma astratto ma come un accadimento di vita, una azione che ci coinvolge.
Lo Spirito mi glorificherà: prenderà del mio e ve lo an­nuncerà.
La gloria per Ge­sù, ciò di cui si vanta, la pie­nezza della sua missione consiste in questo: che tut­to ciò che è suo sia anche nostro.
Dio gode nel mettere in co­mune. Ciò per cui Cristo è venuto: trasmettere se stesso e far nascere in noi tutti un Cristo iniziale e in­compiuto, un germe divino incamminato.
Tutto quello che il Padre pos­siede è mio. Il segreto della Trinità è una circolazione di doni dentro cui è preso e compreso anche l'uomo; non un circuito chiuso, ma un flusso aperto che riversa amore, verità, intelligenza fuori di sé, oltre sé. Una ca­sa aperta a tutti gli amici di Gesù.
La gloria di Gesù diventa la nostra: noi siamo glorifica­ti, cioè diamo gioia a Dio e ne ricaviamo per noi godi­mento e pienezza, quando facciamo circolare le cose belle, buone e vere, le idee, le ricchezze, i sorrisi, l'amo­re, la creatività, la pace...
Nel dogma della Trinità c'è un sogno per l'umanità. Se Dio è Dio solo in questa co­munione di doni, allora an­che l'uomo sarà uomo solo nella comunione.
E questo contrasta con i modelli del mondo, dove ci sono tante vene strozzate che ostruiscono la circola­zione della vita, e vene trop­po gonfie dove la vita rista­gna e provoca necrosi ai tes­suti. Ci sono capitali accu­mulati che sottraggono vita ad altre vite; intelligenze cui non è permesso di fiorire e portare il loro contributo al­l'evoluzione dell'umanità; linee tracciate sulle carte geografiche che sono come lacci emostatici, e sia di qua che di là, per motivi diversi, si soffre...
Tutto circola nell'universo: pianeti e astri e sangue e fiu­mi e vento e uccelli migra­tori... È l'economia della vi­ta, che si ammala se si fer­ma, che si spegne se non si dona. Come nel racconto della ospitalità di Abramo, alla querce di Mambre: ar­riva uno sconosciuto all'ac­campamento e Abramo con dolce insistenza lo forza a fermarsi e a mettersi a ta­vola. All'inizio è uno solo, poi senza spiegazione apparente, i personaggi sono tre.
E noi vorremmo capire se è Dio o se sono solo dei vian­danti. Vorremmo distingue­re ciò che non va distinto. Perché quando accogli un viandante, tu accogli un an­gelo, l'ha detto Gesù: ero straniero e mi avete accolto.
L'ospitalità di Abramo al Dio Viandante, Uno e Tre, ha un premio: la fecondità di Sara che sarà madre. For­se qui c'è lo scintillio di un rimedio per la nostra epoca che sta appassendo come il grembo di Sara: riprendia­mo anche noi il senso del­l'accoglienza e ci sarà vita nella tenda, vita nella casa.
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27/05/2013 08:12
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Marco 10,17-27

1) Preghiera

Concedi, Signore,
che il corso degli eventi nel mondo
si svolga secondo la tua volontà nella giustizia e nella pace,
e la tua Chiesa si dedichi con serena fiducia al tuo servizio.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Marco 10,17-27
In quel tempo, mentre Gesù usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: "Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?" Gesù gli disse: "Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre".
Egli allora gli disse: "Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza". Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: "Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi". Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni.
Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: "Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno di Dio!" I discepoli rimasero stupefatti a queste sue parole; ma Gesù riprese: "Figlioli, com'è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio".
Essi, ancora più sbigottiti, dicevano tra loro: "E chi mai si può salvare?" Ma Gesù, guardandoli, disse: "Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio".


3) Riflessione

? Il vangelo di oggi narra due fatti: (a) racconta la storia dell'uomo ricco che chiede come raggiungere la vita eterna (Mc 10,17-22), e (b) Gesù avverte sul pericolo delle ricchezze (Mc 10,23-27). L'uomo ricco non accetta la proposta di Gesù, poiché era molto ricco. Una persona ricca è protetta dalla sicurezza che le viene data dalla ricchezza. Ha difficoltà ad aprire la mano e a lasciar andare questa sicurezza. Afferrata ai vantaggi dei suoi beni, vive preoccupata per difendere i suoi propri interessi. Una persona povera non è abituata ad avere questa preoccupazione. Ma ci possono essere poveri con la mentalità di ricchi. E allora il desiderio delle ricchezze crea in loro dipendenza e fa sì che anche loro diventino schiavi del consumismo. Non hanno tempo per dedicarsi al servizio del prossimo. Con questi problemi nella mente, problemi di persone e di paesi, leggiamo e meditiamo il testo dell'uomo ricco.
? Marco 10,17-19: L'osservanza dei comandamenti e la vita eterna. Una persona arriva vicino a Gesù e chiede: "Maestro buono, cosa devo fare per ereditare la vita eterna?" Il vangelo di Matteo informa che si trattava di un giovane (Mt 19,20.22). Gesù risponde bruscamente: "Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non Dio solo!" Gesù distoglie l'attenzione da sé per portarla verso Dio, poiché ciò che importa è fare la volontà di Dio, rivelare il progetto del Padre. Poi Gesù afferma: "Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre". É importante osservare sempre la risposta di Gesù. Il giovane aveva chiesto qualcosa sulla vita eterna. Voleva vivere insieme a Dio! Ma Gesù non menziona i tre primi comandamenti che definiscono la nostra relazione con Dio! Lui ricordò solo quelli che indicano un rispetto per la vita insieme agli altri! Per Gesù, riusciamo a stare bene con Dio solo se sappiamo stare bene con il prossimo. Non serve a nulla ingannarsi. La porta per giungere a Dio è il prossimo.
? Marco 10,20: Osservare i comandamenti, a cosa serve? L'uomo risponde dicendo che osservava i comandamenti fin dalla sua gioventù. Ciò che è strano è quanto segue. Lui voleva sapere qual era il cammino della vita. Ora, il cammino della vita era e continua ad essere: fare la volontà di Dio espressa nei comandamenti. Vuol dire che lui osservava i comandamenti senza sapere a cosa servissero. Altrimenti, non avrebbe posto nessuna domanda. E' quanto succede oggi a molti cattolici: non sanno dire a cosa serve essere cattolici. "Sono nato in un paese cattolico, per questo sono cattolico!" E' un'abitudine!
? Marco 10,21-22: Condividere i beni con i poveri e seguire Gesù. Udendo la risposta del giovane "Gesù lo guardò e lo amò e gli disse: Una cosa ti manca: va', vendi tutto ciò che hai e dallo ai poveri ed avrai un tesoro nel cielo, poi vieni e seguimi!" L'osservanza dei comandamenti non è che il primo gradino di una scala che va più in alto. Gesù chiede di più! L'osservanza dei comandamenti prepara la persona a poter giungere al dono totale di sé a favore del prossimo. Gesù chiede molto, ma lo chiede con molto amore. Il giovane non accetta la proposta di Gesù e se ne va, "perché era molto ricco".
? Marco 10,23-27: Il cammello e la cruna dell'ago. Dopo che il giovane se ne andò, Gesù commentò la sua decisione: Quanto difficilmente coloro che hanno le ricchezze entreranno nel Regno di Dio! I discepoli rimasero ammirati. Gesù ripete la stessa frase ed aggiunge: È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio"! L'espressione "entrare nel Regno" indica non solo ed in primo luogo l'entrata in cielo dopo la morte, ma anche e soprattutto l'entrata nella comunità attorno a Gesù. La comunità è e deve essere un modello del regno. L'allusione all'impossibilità da parte di un cammello di entrare per la cruna di un ago viene da un proverbio popolare del tempo usato dalla gente per dire che una cosa era umanamente impossibile. I discepoli si stupiscono dinanzi all'affermazione di Gesù e si chiedono tra di loro: "Allora, chi può salvarsi?" Segno, questo, che non avevano capito la risposta di Gesù all'uomo ricco: "Va', vendi tutto, dallo ai poveri e seguimi" Il giovane aveva osservato i comandamenti fin dalla sua gioventù, ma senza capire il perché dell'osservanza. Qualcosa di simile stava avvenendo con i discepoli. Loro avevano già abbandonato tutti i beni come richiesto da Gesù al giovane ricco, ma senza capire il perché dell'abbandono! Se avessero capito, non si sarebbero stupiti dinanzi all'esigenza di Gesù. Quando la ricchezza o il desiderio di ricchezza occupa il cuore e lo sguardo, la persona non riesce a percepire il senso del vangelo. Solo Dio può aiutare! Gesù guarda i discepoli e dice: "Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio. Presso Dio tutto è possibile."


4) Per un confronto personale

? Una persona che vive preoccupata per la sua ricchezza o che vive volendo comprare le cose di cui la televisione fa propaganda, può liberarsi di tutto per seguire Gesù e vivere in pace in una comunità cristiana? E' possibile? Cosa pensi tu? Come fai e cosa fai tu?
? Conosci qualcuno che è riuscito ad abbandonare tutto per il Regno? Cosa significa per noi oggi: "Va', vendi tutto, dallo ai poveri"? Come capire e praticare oggi i consigli che Gesù dà al giovane ricco?


5) Preghiera finale

Renderò grazie al Signore con tutto il cuore,
nel consesso dei giusti e nell'assemblea.
Grandi sono le opere del Signore:
le contemplino coloro che le amano. (Sal 110)
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28/05/2013 07:35
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito

Nell'Antica Scrittura solo per l'osservanza dei Comandamenti, il Signore ricolmava di ogni benedizione il suo popolo. Ogni bene era il frutto dell'obbedienza dell'uomo al suo Dio e Signore. L'uomo era fedele al Patto dell'Alleanza e Dio lo arricchiva oltremisura.

Se tu obbedirai fedelmente alla voce del Signore, tuo Dio, preoccupandoti di mettere in pratica tutti i suoi comandi che io ti prescrivo, il Signore, tuo Dio, ti metterà al di sopra di tutte le nazioni della terra. Poiché tu avrai ascoltato la voce del Signore, tuo Dio, verranno su di te e ti raggiungeranno tutte queste benedizioni. Sarai benedetto nella città e benedetto nella campagna. Benedetto sarà il frutto del tuo grembo, il frutto del tuo suolo e il frutto del tuo bestiame, sia i parti delle tue vacche sia i nati delle tue pecore. Benedette saranno la tua cesta e la tua madia. Sarai benedetto quando entri e benedetto quando esci. Il Signore farà soccombere davanti a te i tuoi nemici, che insorgeranno contro di te: per una sola via verranno contro di te e per sette vie fuggiranno davanti a te. Il Signore ordinerà alla benedizione di essere con te nei tuoi granai e in tutto ciò a cui metterai mano. Ti benedirà nella terra che il Signore, tuo Dio, sta per darti.

Il Signore ti renderà popolo a lui consacrato, come ti ha giurato, se osserverai i comandi del Signore, tuo Dio, e camminerai nelle sue vie. Tutti i popoli della terra vedranno che il nome del Signore è stato invocato su di te e ti temeranno. Il Signore, tuo Dio, ti concederà abbondanza di beni, quanto al frutto del tuo grembo, al frutto del tuo bestiame e al frutto del tuo suolo, nel paese che il Signore ha giurato ai tuoi padri di darti. Il Signore aprirà per te il suo benefico tesoro, il cielo, per dare alla tua terra la pioggia a suo tempo e per benedire tutto il lavoro delle tue mani: presterai a molte nazioni, mentre tu non domanderai prestiti. Il Signore ti metterà in testa e non in coda e sarai sempre in alto e mai in basso, se obbedirai ai comandi del Signore, tuo Dio, che oggi io ti prescrivo, perché tu li osservi e li metta in pratica, e se non devierai né a destra né a sinistra da alcuna delle cose che oggi vi comando, per seguire altri dèi e servirli (Dt 28,1-14).

Con Pietro e gli altri Discepoli del Signore è avvenuta una cosa inaudita, unica. Essi non solo osservano i Comandamenti del loro Dio e Signore, per Lui hanno abbandonato ogni cosa, si sono spogliati di tutto. Niente più possiedono. Niente è più loro proprietà. Essi hanno posto la loro vita interamente nelle mani di Dio. Di certo per essi ci sarà la beatitudine eterna. Loro non sono come il giovane ricco.

La risposta di Gesù rassicura Pietro ed ogni altro suo discepolo che verrà nel corso dei secoli. Il Padre celeste non solo darà loro l'eredità eterna, un posto nel più alto dei cieli, dopo la loro morte. Su questa terra darà ad essi cento volte tanto quello che hanno lasciato. Questa affermazione di Gesù di certo non va presa in senso letterale, ma secondo la verità dello Spirito Santo. Il Padre celeste darà tanta vita sulla terra ai discepoli di Gesù come se avessero cento mogli, cento padri, cento madri, cento fratelli, cento sorelle, cento campi, cento altre infinite cose. Il loro cuore sarà così pieno di pace e di gioia da non aver bisogno di nessuna di queste cose, perché in esso regna il Signore con tutto il suo Paradiso e la corte celeste.

San Paolo dichiarava: "Noi apostoli non abbiamo nulla eppure possediamo tutto". Possediamo Dio con tutta la sua celeste ricchezza e possiamo fare ricchi molti. Questa visione di fede oggi fa difetto a molti discepoli del Signore. Lo attesta il loro affanno per le cose di questo mondo. Lo rivela il loro cuore sempre inquieto. Lo testimonia la loro simonia velata ed ipocrita con la quale trattano le cose sante. Giuda cadde da questa fede e per trenta miseri denari d'argento si vendette ai Giudei il suo Maestro.
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29/05/2013 06:56
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Marco 10,32b-45

1) Preghiera

Concedi, Signore,
che il corso degli eventi nel mondo
si svolga secondo la tua volontà nella giustizia e nella pace,
e la tua Chiesa si dedichi con serena fiducia al tuo servizio.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...


2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Marco 10,32-45
In quel tempo, Gesù, prendendo in disparte i Dodici, cominciò a dir loro quello che gli sarebbe accaduto: "Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi: lo condanneranno a morte, lo consegneranno ai pagani, lo scherniranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno; ma dopo tre giorni risusciterà".
E gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: "Maestro, noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo". Egli disse loro: "Cosa volete che io faccia per voi?" Gli risposero: "Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra". Gesù disse loro: "Voi non sapete ciò che domandate. Potere bere il calice che io bevo, o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?" Gli risposero: "Lo possiamo". E Gesù disse: "Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato".
All'udire questo, gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: "Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti".


3) Riflessione

? Il vangelo di oggi narra il terzo annuncio della passione e, di nuovo, come nelle volte precedenti, ci mostra l'incoerenza dei discepoli (cf. Mc 8,31-33 e Mc 9,30-37). Gesù insiste nel servizio e nel dono della propria vita, e loro continuano a discutere sui primi posti nel Regno, uno a destra e l'altro a sinistra del trono. Tutto indica, quindi, che i discepoli continuano ad essere ciechi. Segno che l'ideologia dominante dell'epoca era penetrata profondamente nella loro mentalità. Malgrado il fatto di aver vissuto diversi anni con Gesù, loro non avevano cambiato il loro modo di vedere le cose. Guardavano Gesù con lo sguardo di prima. Volevano essere retribuiti per il fatto di seguire Gesù.
? Marco 10,32-34: Il terzo annuncio della passione. Erano in cammino verso Gerusalemme. Gesù li precedeva. Aveva fretta. Sapeva che l'avrebbero ucciso. Il profeta Isaia l'aveva annunciato (Is 50,4-6; 53,1-10). La sua morte non era il frutto di un destino cieco o di un piano prestabilito, ma la conseguenza dell'impegno assunto con la missione che ricevette dal Padre insieme agli esclusi del suo tempo. Per questo Gesù avverte i discepoli sulla tortura e la morte che affronterà a Gerusalemme. Il discepolo deve seguire il maestro, anche se se si tratta di soffrire con lui. I discepoli erano spaventati, e coloro che stavano dietro avevano paura. Non capivano cosa stava succedendo. La sofferenza non andava d'accordo con l'idea che avevano del messia.
? Marco 10,35-37: La richiesta del primo posto. I discepoli non solo non capiscono, ma continuano con le loro ambizioni personali. Giacomo e Giovanni chiedono un posto nella gloria del Regno, uno alla destra e l'altro alla sinistra di Gesù. Vogliono passare davanti a Pietro! Non capiscono la proposta di Gesù. Sono preoccupati solo dei propri interessi. Ciò rispecchia le tensioni ed il poco intendimento esistenti nelle comunità, al tempo di Marco, e che esistono fino ad oggi nelle nostre comunità. Nel vangelo di Matteo è la madre di Giacomo e di Giovanni che rivolge questa richiesta per i figli (Mt 20,20). Probabilmente, dinanzi alla situazione difficile di povertà e mancanza di lavoro crescente di quell'epoca, la madre intercede per i figli e cerca di garantire un impiego per loro nella venuta del Regno di cui Gesù parlava tanto.
? Marco 10,38-40: La risposta di Gesù. Gesù reagisce con fermezza: "Voi non sapete ciò che state chiedendo!" E chiede se sono capaci di bere il calice che lui, Gesù, berrà e se sono disposti a ricevere il battesimo che lui riceverà. E' il calice della sofferenza, il battesimo di sangue! Gesù vuole sapere se loro, invece di un posto d'onore, accettano di dare la vita fino alla morte. I due rispondono: "Lo possiamo!" Sembra una risposta non pensata, perché, pochi giorni dopo, abbandoneranno Gesù e lo lasceranno solo nell'ora della sofferenza (Mc 14,50). Loro non hanno molta coscienza critica, né percepiscono la loro realtà personale. Quanto al posto di onore nel Regno accanto a Gesù, quello lo concede il Padre. Ciò che lui, Gesù, può offrire, è il calice e il battesimo, la sofferenza e la croce.
? Marco 10,41-44: Tra di voi, non sia così. Alla fine della sua istruzione sulla Croce, Gesù parla di nuovo, sull'esercizio del potere (Mc 9,33-35). In quel tempo, coloro che ostentavano il potere nell'Impero Romano non si occupavano della gente. Agivano secondo i propri interessi (Mc 6,17-29). L'Impero Romano controllava il mondo e lo manteneva sottomesso con la forza delle armi e, così, attraverso i tributi, le tasse e le imposte, riusciva a concentrare la ricchezza della gente nelle mani di pochi a Roma. La società era caratterizzata dall'esercizio repressivo ed abusivo del potere. Gesù ha un'altra proposta. Dice: "Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti". Insegna contro i privilegi e contro la rivalità. Rovescia il sistema ed insiste nel servizio, quale rimedio contro l'ambizione personale. La comunità deve presentare un'alternativa per la convivenza umana.
? Marco 10,45: Il riassunto della vita di Gesù. Gesù definisce la sua missione e la sua vita: "Il Figlio dell'Uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e per dare la propria vita in riscatto di molti". Gesù è il Messia Servo, annunciato dal profeta Isaia (cf. Is 42,1-9; 49,1-6; 50,4-9; 52,13-53,12). Imparò da sua madre che disse all'angelo: "Ecco l'ancella del Signore!" (Lc 1,38). Proposta totalmente nuova per la società di quel tempo. In questa frase in cui lui definisce la sua vita, appaiono i tre titoli più antichi, usati dai primi cristiani per esprimere e comunicare agli altri ciò che significava per loro: Figlio dell'Uomo, Servo di Yavé, colui che riscatta gli esclusi (colui che libera, che salva). Umanizzare la vita, servire i fratelli e le sorelle, accogliere gli esclusi.


4) Per un confronto personale

? Giacomo e Giovanni chiedono il primo posto nel Regno. Oggi molte persone pregano per chiedere denaro, promozioni, guarigioni, successo. Cosa cerco io nella mia relazione con Dio e cosa chiedo a Dio nella preghiera?
? Umanizzare la vita, servire i fratelli e le sorelle. Accogliere gli esclusi. E' il programma di Gesù, è il nostro programma. Come le metto in pratica?


5) Preghiera finale

Il Signore ha manifestato la sua salvezza,
agli occhi dei popoli ha rivelato la sua giustizia.
Egli si è ricordato del suo amore,
della sua fedeltà alla casa di Israele. (Sal 97)
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30/05/2013 08:14
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Rabbunì, che io veda di nuovo!

La grandezza di Gesù è infinitamente più di quella di Mosè, più di quella di ogni altro profeta e giusto dell'Antico Testamento. Nessuno uomo prima di Lui aveva aperto gli occhi ad un cieco. Nel cantare la giustizia della sua coscienza, Giobbe si limita a dire che lui era stato "occhio per il cieco". Non ha detto: "Io ho dato la vista ai ciechi". Questo miracolo era sconosciuto.

Io ero gli occhi per il cieco, ero i piedi per lo zoppo. Padre io ero per i poveri ed esaminavo la causa dello sconosciuto, spezzavo le mascelle al perverso e dai suoi denti strappavo la preda. (Gb 29,15-17).

Tobia, affetto da cecità, fu guarito per intervento dell'Angelo Raffaele. È l'unico caso narrato dall'Antico Testamento. L'intervento è celeste, non della terra.

Tobi si alzò e, incespicando, uscì dalla porta del cortile. Tobia gli andò incontro, tenendo in mano il fiele del pesce. Soffiò sui suoi occhi e lo trasse vicino, dicendo: «Coraggio, padre!». Gli applicò il farmaco e lo lasciò agire, poi distaccò con le mani le scaglie bianche dai margini degli occhi. Tobi gli si buttò al collo e pianse, dicendo: «Ti vedo, figlio, luce dei miei occhi!». E aggiunse: «Benedetto Dio! Benedetto il suo grande nome! Benedetti tutti i suoi angeli santi! Sia il suo santo nome su di noi e siano benedetti i suoi angeli per tutti i secoli. Perché egli mi ha colpito, ma ora io contemplo mio figlio Tobia». Tobia entrò in casa lieto, benedicendo Dio con tutta la voce che aveva. Poi Tobia informò suo padre del viaggio che aveva compiuto felicemente, del denaro che aveva riportato, di Sara, figlia di Raguele, che aveva preso in moglie e che stava venendo e si trovava ormai vicina alla porta di Ninive.

Allora Tobi uscì verso la porta di Ninive incontro alla sposa di lui, lieto e benedicendo Dio. La gente di Ninive, vedendolo passare e camminare con tutto il vigore di un tempo, senza che alcuno lo conducesse per mano, fu presa da meraviglia. Tobi proclamava davanti a loro che Dio aveva avuto pietà di lui e che gli aveva aperto gli occhi. Tobi si avvicinò poi a Sara, la sposa di suo figlio Tobia, e la benedisse dicendole: «Sii la benvenuta, figlia! Benedetto sia il tuo Dio, che ti ha condotto da noi, figlia! Benedetto sia tuo padre, benedetto mio figlio Tobia e benedetta tu, o figlia! Entra nella casa, che è tua, sana e salva, nella benedizione e nella gioia; entra, o figlia!». Quel giorno fu grande festa per tutti i Giudei di Ninive. Anche Achikàr e Nadab, suoi cugini, vennero a congratularsi con Tobi. (Tb 11,10-19).

Il potere di dare la vista ai ciechi il Signore l'ha riservato come dono esclusivo per il suo Messia. Se al tempo di Gesù fossero comparsi altri diecimila uomini e tutti e diecimila si fossero proclamati Messia del Signore, uno solo sarebbe stato il Messia vero: quello che avrebbe aperto gli occhi ai ciechi. Gli altri avrebbero attestato la loro falsità, perché questo potere appartiene solo al Servo del Signore.

Così dice il Signore Dio, che crea i cieli e li dispiega, distende la terra con ciò che vi nasce, dà il respiro alla gente che la abita e l'alito a quanti camminano su di essa: «Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano; ti ho formato e ti ho stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni, perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre (Is 42,1-7).

Dopo Cristo Gesù, negli scritti del Nuovo Testamento non si narra la guarigione di nessun altro cieco. È come se si volesse ricordare al mondo intero l'unicità di Gesù.
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