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MEDITIAMO LE SCRITTURE (Vol 5) Anno C

Ultimo Aggiornamento: 02/12/2013 08:20
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01/02/2013 08:04
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Senza parabole non parlava loro

Oggi Gesù ci rivela quanto è grande la potenza della Parola del Padre suo. Quando la vera Parola di Dio è seminata in un cuore, in esso prende radici e a poco a poco comincia a produrre i suoi frutti o di salvezza o di perdizione. Nulla è più come prima. Ecco come il profeta Isaia parla di questa parola creatrice del Signore: "Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino. L'empio abbandoni la sua via e l'uomo iniquo i suoi pensieri; ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona. Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri. Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l'ho mandata. Voi dunque partirete con gioia, sarete ricondotti in pace. I monti e i colli davanti a voi eromperanno in grida di gioia e tutti gli alberi dei campi batteranno le mani. Invece di spini cresceranno cipressi, invece di ortiche cresceranno mirti; ciò sarà a gloria del Signore, un segno eterno che non sarà distrutto" (Is 55,6-13).
Se la Parola di Dio è creatrice, perché partecipa della stessa onnipotenza del suo Autore, perché noi non la diciamo, non la insegniamo, non la predichiamo, non formiamo a partire da essa cuori e menti? Non facciamo tutto questo perché Dio e la sua Parola non possono essere divisi. Non è possibile prenderci la Parola del Signore e lasciare Dio nel suo Cielo. La Parola di Dio deve essere sempre proferita da Dio, da Lui detta ed insegnata. Perché questo avvenga, Dio deve essere nel nostro cuore, nella nostra mente, nella nostra anima, in ogni nostro pensiero e desiderio, deve essere anche nel nostro corpo. Questo deve riflettere tutta la divina santità. Se Dio non è in noi, neanche la sua Parola sarà mai sulla nostra bocca ed allora diciamo parole della terra, di uomini, parole di quaggiù che sono senza alcuna forza di redenzione.
Diceva: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell'orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
La Parola del Signore è in tutto paragonata da Gesù ad un seme che viene gettato nella terra. Che l'agricoltore dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme ha una sua particolare vita che viene fuori da se stessa. Al seminatore spetta solo controllarne la crescita in modo che possa mieterlo a suo tempo e mettere nei suoi granai il prezioso frutto. Altra verità della Parola di Dio è questa: essa non crea in un solo giorno un universo nuovo, santo, perfetto. Agisce invece con molta lentezza. All'inizio la sua azione è quasi invisibile, tanto è piccola. Ma poi con il passare del tempo, tutto prende forma e consistenza. Ma anche in questo secondo caso, all'uomo che semina la Parola è chiesto di saper attendere. Dio mai opera senza il tempo. Mille anni per il Signore sono come un turno di notte. Se non impariamo a lavorare con il tempo di Dio, la nostra fretta può produrre disastri nel suo regno. Invece con la pazienza propria del contadino attendiamo la crescita del seme e i frutti verranno in abbondanza.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, insegnateci la pazienza.
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02/02/2013 08:19
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
I miei occhi hanno visto la tua salvezza?

Sono già passati 40 giorni dal Santo Natale. E oggi è festa della Presentazione di Gesù al Tempio, e c'è la processione con le candele benedette in chiesa. E' una bella festa ed ha per protagonisti Gesù, Maria e Giuseppe: Gesù compie l'oblazione di sé al Padre, che si compirà poi sulla Croce. E Maria, assieme a Giuseppe, offre il suo divin Figlio: inizia per Lei la lacerazione intima di una rinuncia che inaugura la sua missione di Corredentrice del genere umano. La processione con le candele benedette sviluppa il tema di Cristo che è "Luce del mondo". San Luca ci racconta come San Giuseppe e la Madonna, secondo la Legge di Mosè, portano il Bambino Gesù a Gerusalemme per presentarlo al Signore. Essi lo offrono per noi al Padre, e un giorno Egli sarà come Agnello Immacolato che verrà sacrificato per noi sulla Croce. Mistero santo che si rinnova in ogni Sacrificio Eucaristico. Preghiamo San Giuseppe e Maria affinché offrano anche ognuno di noi al Padre in offerta a Lui gradita, e sempre unitamente all'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo. In questo modo vivremo anche meglio la Consacrazione battesimale e noi, monaci quella monastica. Vivremo bene anche la nostra Consacrazione personale al Cuore di Gesù e di Maria, che ci sarà di grande aiuto a vivere, con più frutto, sia il nostro Battesimo e sia la nostra vita cristiana e quella religiosa. E chi è che si accorge del divino Messia, che entra nel suo Tempio Santo? Solo il vecchio Simeone e una vecchierella, Anna di Fànuel... E perché soltanto loro due? E...tutti gli altri del Tempio di Dio, che erano i perfetti israeliti, gli osservanti della legge dove sono...? Erano persone religiose e conoscevano tantissime cose, ma erano ciechi dentro al cuore perché privi di umiltà, e di piccolezza interiore. Infatti lo Spirito santo guarda solo il cuore: se dentro c'è terra buona per far germogliare la sua Parola, se c'è davvero posto per Lui, per il Signore. Pensate!... solo questa vecchierella e questo povero vecchio accolgono il Figlio di Dio, che entra nel suo Tempio santo! E oggi com'è la situazione?!... E Simeone può anche profetizzare, illuminato dallo Spirito Santo, di cui è ripieno dentro l'anima: "Ora puoi lasciare che il tuo servo vada in pace... perché i miei occhi han visto la tua Salvezza, preparata davanti a tutti i popoli, Luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele". Egli profetizzò anche a Maria, la Madre, una spada nel Cuore: "affinché siano svelati i pensieri di molti cuori" nella Passione redentrice del suo Figlio Gesù, che è anche la sua Passione dolorosa di Corredentrice del genere umano.
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03/02/2013 07:28
 
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don Alberto Brignoli
Dio, amore allo stato puro

Non è questione di essere "figlio di Giuseppe, il falegname" oppure di Pietro il pescatore o di Matteo il pubblicano. Nella vita - anche se il mondo usa spesso le ristrette logiche della gente di Nazareth - non si è qualcuno per il nome dei propri genitori, per la posizione sociale acquisita o per chissà che sorta di favore concesso dal potente di turno al poveraccio del paese, ma per ciò che la tua storia, la tua cultura, la tua formazione, hanno fatto di te lungo gli anni della tua esistenza: in poche parole, per ciò che sei come persona.
Bello o brutto, simpatico o antipatico, capace o incapace, intelligente, superbo o umile, ciò per cui potrai vantarti di aver lasciato un ricordo nella tua vita è di essere stato sempre te stesso, ad ogni costo e in ogni circostanza. Sia che abbiano puntato gli sguardi fissi su di te in mezzo a un'assemblea di persone, sia che tu passi inosservato pure in un gruppetto di dieci amici; sia che tutti rimangano meravigliati dalle parole di saggezza che escono dalla tua bocca, sia che ti considerino sempre e solo un bifolco, ignorante perché "di Nazareth, da cui non può venire nulla di buono", per cui non puoi fare altro che parlare e mangiare come ti ha insegnato tua madre; sia che tutti un giorno ti portino in palmo di mano e ti votino per entrare a far parte del governo del tuo paese, sia che questi stessi "tutti" vengano a prenderti a casa tua per buttarti giù da un dirupo perché hai veramente dato fastidio; sia che ti chiami Gesù di Nazareth, sia che ti chiami Messia, Cristo, o Figlio di Dio. Alla fine dei conti, vali per ciò che sei, e non per quello che ti hanno chiesto di essere o per ciò che tu credi puoi rappresentare agli occhi degli altri. Perché se aspetti di valere agli occhi degli altri per sentirti realizzato, beh, allora stai fritto...
La Bibbia, per noi credenti, in questo è emblematica. Ci sono figure che noi ora riconosciamo come notoriamente testimoni di Dio, e che nel loro tempo sono state non solo ignorate, ma addirittura disprezzate e osteggiate, per di più dai loro propri confratelli, compaesani, concittadini, compagni di religione. Elia viene riconosciuto e accettato con fede come l'uomo di Dio da una povera vedova fenicia; la parola di Dio proclamata dal suo successore Eliseo viene accolta con fede dagli uomini di Siria, più che dagli Israeliti. E la sorte di Gesù a Nazareth, come ce la narra il Vangelo di oggi, non può certo dirsi migliore di quelle citate...
Ma - come dicevo - la realizzazione piena della vita di un cristiano non può essere il successo o la buona fama o l'essere considerato valido agli occhi delle persone per i titoli o le capacità possedute: altrimenti, la vicenda stessa di Gesù Cristo sarebbe da considerare un fallimento, da questo punto di vista, sin dagli inizi della sua predicazione, e tra l'altro neppure troppo lontano da casa sua. Come spesso avviene.
"Nemo profeta in patria est. Ricordati che in una comunità di credenti come è la Chiesa, i problemi e le difficoltà più grosse non li avrai mai da coloro che consideriamo e spesso sono fuori dalla comunione con la Chiesa, ma da coloro che le sono più vicini". Sono le parole vere e sempre attuali di un mio vecchio parroco, diversi anni fa. E la conferma di quanto ciò sia vero l'ho avuta in tanti anni di contatto con la missione: quell'ostilità di cui si ha paura quando si vive l'esperienza di fede fuori dal proprio paese è assolutamente infondata, perché più sei "lontano" dal tuo mondo e più sei accolto.
Ma non è questo ciò a cui sto pensando, quando parlo della piena realizzazione della vita di un cristiano. E nemmeno parlo della sua capacità di predicare in lingue diverse e di adattarsi a tutte le culture, perché nemmeno questo lo può realizzare fino in fondo. Neppure avere il dono della profezia ci rende più veri, né di fronte al mondo né di fronte a Dio. E anche se la conoscenza di tutti i misteri della vita, della scienza e della natura fosse per me pane quotidiano, non servirebbe a molto; di certo, non mi renderebbe automaticamente più cristiano, solo per il fatto di conoscere ogni mistero di Dio.
Certo, ci vuole fede, non basta dire di conoscere Dio: anche satana lo conosce bene. Occorre credere in lui; ci vuole una fede forte, sconvolgente, imperturbabile e incrollabile, di quelle che sradicano alberi e trasportano montagne. Ma forse, anche quello non basterebbe. Già, perché manca ancora qualcosa a un cristiano per essere perfetto: manca la virtù della generosità. "Va' vendi quello che hai e dallo ai poveri. Poi vieni e seguimi": dare tutti i nostri beni, in cibo a chi non ne ha; dare fino alle ultime nostre sostanze, se fosse necessario anche il nostro corpo per essere bruciato per gli altri...questo, sì, questo è essere cristiani! Questo è credere in Cristo! Questo è riconoscere in lui non un falegname di Galilea, ma il Messia, il Figlio del Dio vivente, colui sul quale si è posato lo spirito del Signore, colui che porta a compimento le scritture!
Parlare le lingue degli uomini e degli angeli, avere il dono della profezia, conoscere tutti i misteri, avere tutta la scienza, possedere una fede onnipotente, dare in cibo beni, anima e corpo a chi chiede di noi...non serve a nulla, proprio a nulla...se - dice oggi Paolo - non avessimo e non ci mettessimo amore.
Le parole ispirate e piena di saggezza di Gesù, figlio di Giuseppe di Nazareth, quel sabato nella sinagoga del suo paese non sarebbero servite a nulla, se non fossero state dette per amore. E credere o non credere in lui come Figlio di Dio, per i suoi compaesani, quel giorno, forse non era nemmeno la questione fondamentale...non era certo facile dare a lui il proprio assenso in pochi minuti...però sì, era fondamentale accoglierlo, fargli spazio nel cuore e nella vita, tenerlo come un tesoro prezioso in sé: in definitiva, amarlo. Sarebbe stato sufficiente. Perché solo l'amore basta a tutto.
Solo l'amore è grande e rende grandi. Solo l'amore vuole sempre il bene dell'altro. Solo l'amore non è invidioso del bene dell'altro; e quando fa il bene, non lo rinfaccia, non se ne vanta, non lo rivendica, non dice all'altro "con tutto quello che io ho fatto per te"...
Solo l'amore rispetta l'altro per quello che è, qualsiasi esso sia, e in qualunque modo esso sia; solo l'amore fa tutto gratuitamente; solo l'amore rimane calmo di fronte alle offese ricevute e alle cattiverie; solo l'amore perdona, e addirittura dimentica i torti ricevuti; solo l'amore è così ingenuo da credere tutto, così fiducioso da sperare sempre che l'altro un giorno cambi, così paziente da sopportare tutto, sempre, senza mai dire la parola "Basta!"...
"L'amore è eterno", diciamo spesso con frasi da cioccolatino, romantiche e anche un po' scontate. Scherziamo, esageriamo...ma in realtà è così Se un amore finisce, è perché non è mai iniziato; se non inizia, è perché non è amore; se inizia, dura per sempre. Perché è più grande di tutto. È onnipotente. È come Dio.
Che Dio fosse amore, già lo sapevamo. Ma che l'amore fosse Dio, e solo Dio, questo ce l'ha detto suo Figlio Gesù.
Solo lui è l'amore; ma per grazia, permette a noi, qui sulla terra, di viverlo; e di vivere per lui.
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04/02/2013 07:33
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto

Gesù è in territorio pagano. In esso non vi regna alcuna Parola di Dio. Dove Dio non regna e non governa i cuori, lo si vede dal valore che acquista un uomo. Che le nostre moderne società e civiltà, che il nostro mondo del benessere e della tecnologia sia senza vero Dio, lo attestano le infinite falsità che governano l'uomo, ormai ridotto al rango di una macchina. La persona umana ha perso la sua dignità, perché è stata privata della sua verità. Essa è un oggetto, una cosa. Al pari di ogni altro oggetto e di ogni altra cosa, è senza alcun valore eterno. Il suo valore è semplicemente momentaneo, occasionale, passionale, facilmente deperibile.
Oggi è proprio questa verità che Gesù ci insegna attraverso la liberazione dell'indemoniato e del permesso che accorda alla legione di demòni di entrare nei porci. Un branco di porci non può valere la vita di un uomo. L'economia di mercato non può distruggere la verità della persona umana. Il mercato comune non può abolire la sacralità e la santità dell'uomo, la sua origine soprannaturale, il suo fine ultraterreno. Non si può fare dell'uomo un porco, una vacca, una capra, un vitello, un orso. L'uomo è infinitamente di più. Eppure oggi vale più un gatto e un cane che non un anziano.
Giunsero all'altra riva del mare, nel paese dei Gerasèni. Sceso dalla barca, subito dai sepolcri gli venne incontro un uomo posseduto da uno spirito impuro. Costui aveva la sua dimora fra le tombe e nessuno riusciva a tenerlo legato, neanche con catene, perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva spezzato le catene e spaccato i ceppi, e nessuno riusciva più a domarlo. Continuamente, notte e giorno, fra le tombe e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre. Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi e, urlando a gran voce, disse: «Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!». Gli diceva infatti: «Esci, spirito impuro, da quest'uomo!». E gli domandò: «Qual è il tuo nome?». «Il mio nome è Legione - gli rispose - perché siamo in molti». E lo scongiurava con insistenza perché non li cacciasse fuori dal paese. C'era là, sul monte, una numerosa mandria di porci al pascolo. E lo scongiurarono: «Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi». Glielo permise. E gli spiriti impuri, dopo essere usciti, entrarono nei porci e la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare; erano circa duemila e affogarono nel mare. I loro mandriani allora fuggirono, portarono la notizia nella città e nelle campagne e la gente venne a vedere che cosa fosse accaduto. Giunsero da Gesù, videro l'indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura. Quelli che avevano visto, spiegarono loro che cosa era accaduto all'indemoniato e il fatto dei porci. Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio. Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo supplicava di poter restare con lui. Non glielo permise, ma gli disse: «Va' nella tua casa, dai tuoi, annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te». Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli quello che Gesù aveva fatto per lui e tutti erano meravigliati.
Dinanzi allo sfacelo valoriale cui ogni giorno si assiste a causa della paganizzazione e secolarizzazione del mondo contemporaneo, annunciare qualche principio non rinunciabile sull'uomo non ha alcun valore. Bisogna intervenire efficacemente. Dobbiamo liberare l'uomo dalla possessione del demonio della falsità e della menzogna. Dobbiamo invitare quanti sono stati liberati, ad annunziare la grande compassione e misericordia di Dio, che ha dato loro la verità, la libertà, la vera umanità. È questa la sfida che ci attende. Non possiamo pensare di dire principi etici al mondo. Dobbiamo presentarci con la potenza di Cristo Gesù, con i suoi poteri divini e scacciare il diavolo che si è annidato nel cuore dell'uomo. Se non abbiamo questa forza, questa determinazione, questa fede, inutile che parliamo. Non serve predicare. Satana va rimesso nel suo inferno e questa opera solo il discepolo di Gesù la può fare.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, fateci veri missionari di Gesù.
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05/02/2013 06:20
 
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Fede che non si stanca

Lettura
Gesù è appena stato nel territorio dei Geraseni, dal quale, dopo aver liberato un uomo dai demoni, si vede scacciato. La gente, visto in Lui un sovvertitore delle proprie sicurezze economiche, aveva avuto paura. Decide allora di passare all'altra riva, dove incontra Giairo e l'emorroissa, esempi di una fede che non si stanca e non smette di cercare.

Meditazione
In alcuni momenti significativi, Gesù chiama a sé alcuni apostoli; gli stessi che le letture di oggi ci presentano come i testimoni della Trasfigurazione. Non si tratta di un privilegio concesso a "pochi eletti". È una consegna che gli apostoli prescelti dovranno custodire per poi condividerla con gli altri nella fede della Resurrezione. Indica, quindi, la solennità di un momento importante della missione di Cristo. È un episodio che può essere letto solo alla luce della fede, di una fede che, sgorgata dalla lettura delle Scritture, diventa piena nel Mistero di Cristo. Così, nella fede che salva e non solo guarisce, troviamo il filo conduttore che lega anche l'altro bellissimo miracolo che ha operato Gesù con la guarigione della donna malata da dodici anni. Questo episodio, così bello ed istruttivo anche se preso isolatamente, non è quindi una interruzione narrativa; vuole sottolineare maggiormente la resurrezione della bambina nella fede e per la fede. La notizia della morte della bambina giunge mentre Gesù stava ancora parlando alla donna guarita. L'esortazione di Gesù, rivolta alla stessa donna a perseverare nella fede, alimenta l'altro episodio. Chi ha chiamato Gesù per guarire la bambina, si trova di fronte alla ineluttabilità della morte. La presenza di Gesù non è l'appello disperato di chi non ha alternative ma è preghiera fiduciosa verso il Dio che salva. La fede che supera ogni ostacolo è l'apertura dei nostri cuori verso una vita nuova, che trova in Cristo il Salvatore sempre pronto a guarirci e salvarci.

Preghiera
Non permettere, Signore, che le evidenze negative della mia vita e della storia dell'umanità schiaccino la mia speranza. Tieni il mio cuore aperto a te, anche quando i miei occhi non ti vedono.

Agire
Di fronte ai tanti eventi della giornata, cercherò di rinnovare la mia fiducia nell'agire, spesso nascosto, di Dio.

Commento a cura di Cristoforo Donadio ? P. Antonio Izquierdo, LC
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06/02/2013 08:38
 
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padre Lino Pedron


La visita di Gesù nella sua patria è un avvenimento penoso che riprende il tema della mancanza di fede del popolo ebraico già sottolineata nell'insegnamento delle parabole e nella discussione su Beelzebùl.
I parenti di Gesù prima (cfr Mc 3,21.31-32), e la gente di Nazaret poi, tentano di impadronirsi di lui per impedirgli di illudersi e di nuocere agli altri, ma egli non accetta di lasciarsi circoscrivere entro i legami naturali. Ormai i legami umani si definiscono in rapporto a lui e non viceversa: i "suoi" sono coloro che vivono con lui, ascoltano la sua voce e fanno la volontà del Padre.
Gli abitanti del suo paese credono di conoscere Gesù meglio di chiunque altro. L'hanno visto crescere ed esercitare il suo mestiere. Incontrano ogni giorno sua madre e i membri della sua famiglia di cui conoscono nomi, vita e miracoli. Di fronte a lui si sentono turbati, imbarazzati, irritati. Rifiutano di lasciar mettere in discussione il loro piccolo mondo e la valutazione che si erano fatta sulla sua persona. Si fa fatica a cambiare parere e a ricredersi: è più facile e sbrigativo cancellare una persona dalla nostra vita che l'immagine o il giudizio che ci siamo fatto di lei. Gli abitanti di Nazaret non sanno aprirsi al Gesù reale, perché restano caparbiamente attaccati al ritratto che si erano fatto di lui.
L'episodio va al di là del rifiuto di un piccolo paese della Galilea: prefigura il rifiuto dell'intero Israele (cfr Gv 1,11). Che un profeta sia rifiutato dal suo popolo non è una novità: c'è perfino un proverbio che lo dice. E' un proverbio nato da una lunga esperienza che ha accompagnato tutta la storia d'Israele, che trova la sua più clamorosa dimostrazione nella storia del Figlio di Dio e che continuerà a ripetersi puntualmente nella storia successiva.
Dio è dalla parte dei profeti, eppure i profeti sono sempre rifiutati; gli uomini di Dio, i giusti, sono sistematicamente tolti di mezzo, salvo poi costruire loro sepolcri e monumenti tardivi (cfr Lc 11,47-48).
"E non vi poté operare nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi ammalati e li guarì" (v. 5). I miracoli di Gesù sono una risposta alla sincerità dell'uomo che cerca la verità; non sono il tentativo di forzare, in ogni modo, il cuore dell'uomo. Diversamente dagli uomini, Dio non usa la violenza per imporre i propri diritti. E neppure fa miracoli per permettere agli uomini di esimersi dal rischio e dalla fatica del credere.
Anche a Nazaret Gesù ha cercato i malati e i poveri; essi sono il buon terreno arato dalla sofferenza e irrigato dalle lacrime: il seme della Parola viene accolto da loro e produce frutto. Nella sua città purtroppo il bilancio è deludente, ma non fallimentare.
A Nazaret tutti si sono scandalizzati di Gesù. Tutti gli uomini inciampano e cadono davanti alla grandezza dell'amore di un Dio che si fa piccolo e insignificante. Tutti rifiutano un Dio la cui sapienza è la follia e l'impotenza dell'amore. Noi lo pensiamo e lo vogliamo diverso. La nostra mancanza di fede è così incredibile che il Signore stesso se ne meraviglia.
In Gesù ci troviamo davanti allo scandalo di un Dio fatto carne, che sottostà alla legge della fatica umana e del bisogno, del lavoro e del cibo, della veglia e del sonno, della vita e della morte. Lo vorremmo diverso. Ci piacerebbe condividere le sue caratteristiche divine, ma non ci piace che egli condivida le nostre prerogative umane, delle quali volentieri faremmo a meno.
Il cristiano e la Chiesa devono sempre misurarsi sulla carne di Gesù, venduta per trenta sicli, il prezzo di un asino o di uno schiavo.
La prima eresia - è e sarà sempre la prima! - non consistette nel negare la divinità di Cristo, ma nel minimizzare e trascurare l'umanità di Gesù che nella sua debolezza e stoltezza crocifissa è la salvezza per tutti. Il cardine della salvezza è la carne crocifissa e risorta di Cristo.
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07/02/2013 08:38
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due

L'Annunzio del Vangelo è vera testimonianza da rendere a Dio su fatti storici, eventi realmente accaduti. I discepoli di Gesù sono i testimoni della storia di Dio in mezzo al suo popolo. Storia particolare perché fatta dal Dio Incarnato, dal Figlio Unigenito del Padre con corpo umano, carne umana, vita veramente umana. Essendo il loro annunzio vera testimonianza, si applica ad esso la legge della testimonianza giuridica.

Queste saranno per voi le regole di giudizio, di generazione in generazione, in tutte le vostre residenze. Se uno uccide un altro, l'omicida sarà messo a morte in seguito a deposizione di testimoni, ma un unico testimone non basterà per condannare a morte una persona. (Num 35,29-30).

Qualora si trovi in mezzo a te, in una delle città che il Signore, tuo Dio, sta per darti, un uomo o una donna che faccia ciò che è male agli occhi del Signore, tuo Dio, trasgredendo la sua alleanza, che vada e serva altri dèi, prostrandosi davanti a loro, davanti al sole o alla luna o a tutto l'esercito del cielo, contro il mio comando, quando ciò ti sia riferito o tu ne abbia sentito parlare, infórmatene diligentemente. Se la cosa è vera, se il fatto sussiste, se un tale abominio è stato commesso in Israele, farai condurre alle porte della tua città quell'uomo o quella donna che avrà commesso quell'azione cattiva e lapiderai quell'uomo o quella donna, così che muoia. Colui che dovrà morire sarà messo a morte sulla deposizione di due o di tre testimoni. Non potrà essere messo a morte sulla deposizione di un solo testimone. La mano dei testimoni sarà la prima contro di lui per farlo morire. Poi sarà la mano di tutto il popolo. Così estirperai il male in mezzo a te. (Dt 17,2-7).

Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male. Oggi, perciò, io ti comando di amare il Signore, tuo Dio, di camminare per le sue vie, di osservare i suoi comandi, le sue leggi e le sue norme, perché tu viva e ti moltiplichi e il Signore, tuo Dio, ti benedica nella terra in cui tu stai per entrare per prenderne possesso. Ma se il tuo cuore si volge indietro e se tu non ascolti e ti lasci trascinare a prostrarti davanti ad altri dèi e a servirli, oggi io vi dichiaro che certo perirete, che non avrete vita lunga nel paese in cui state per entrare per prenderne possesso, attraversando il Giordano. Prendo oggi a testimoni contro di voi il cielo e la terra: io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione. Scegli dunque la vita, perché viva tu e la tua discendenza, amando il Signore, tuo Dio, obbedendo alla sua voce e tenendoti unito a lui, poiché è lui la tua vita e la tua longevità, per poter così abitare nel paese che il Signore ha giurato di dare ai tuoi padri, Abramo, Isacco e Giacobbe». (Dt 30,15-20).

Oltre a questo motivo giuridico della testimonianza, ve n'è un altro fondato sulla carità, sull'aiuto reciproco, sul sostegno vicendevole. Il solo è esposto ad ogni pericolo. È senza difesa, conforto, aiuto, sollievo. In due ognuno è vita per l'altro.

Meglio essere in due che uno solo, perché otterranno migliore compenso per la loro fatica. Infatti, se cadono, l'uno rialza l'altro. Guai invece a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi. Inoltre, se si dorme in due, si sta caldi; ma uno solo come fa a riscaldarsi? Se uno è aggredito, in due possono resistere: una corda a tre capi non si rompe tanto presto (Qo 4,9-12).

La legge della comunione e della testimonianza vanno sempre osservate nel dono del Vangelo. La vita si dona attraverso le regole della vita. Questa è vera sapienza.

Il missionario del Vangelo deve andare per il mondo rivestito solo della potenza di Cristo Gesù, della sua stessa fede e della sua grande carità o compassione per le anime. Deve essere presenza di Gesù in mezzo al mondo. Senza questa forza soprannaturale, il Vangelo difficilmente potrà essere donato. Il missionario stesso mai lo potrà vivere e la sua azione sarà fallimentare in tutto. Sarà senza alcun frutto.
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08/02/2013 07:40
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista

Il Vangelo di oggi ci rivela che tra la realtà di una persona e la sua vera comprensione vi è sempre un abisso. La persona è una cosa, ciò che si dice di essa è tutt'altra cosa, sia in bene che in male. Questo avviene quando non si vede ogni cosa in Dio e attraverso i suoi occhi. Tutti possiamo ingannarci ed ingannare. Anche i profeti a volte si lasciano ingannare dalle apparenze. Poi viene il Signore in loro soccorso e la verità della persona è rivelata loro in tutta la sua verità: "Il Signore replicò a Samuele: «Non guardare al suo aspetto né alla sua alta statura. Io l'ho scartato, perché non conta quel che vede l'uomo: infatti l'uomo vede l'apparenza, ma il Signore vede il cuore»" (1Sam 16,7). Gesù è diventato uomo famoso. La sua verità è però nascosta al cuore di molti. Tuttavia una cosa appare con somma chiarezza: Lui viene da Dio, anche se non si sa la sua perfetta identità. È da Dio, ma non si conosce cosa Dio veramente ha fatto di lui. Perché Cristo sia conosciuto, occorre la parola della rivelazione e questa può essere donata solo da Lui e da nessun altro. Solo Lui ci può dire la sua verità.
Il re Erode sentì parlare di Gesù, perché il suo nome era diventato famoso. Si diceva: «Giovanni il Battista è risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi». Altri invece dicevano: «È Elia». Altri ancora dicevano: «È un profeta, come uno dei profeti». Ma Erode, al sentirne parlare, diceva: «Quel Giovanni che io ho fatto decapitare, è risorto!». Proprio Erode, infatti, aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l'aveva sposata. Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello». Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell'ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri. Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell'esercito e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto. E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.
Giovanni il Battista è il testimone della verità di Dio, della sua volontà. Lui ricorda ad Erode la sacralità e la santità del matrimonio. Questo è inviolabile. La fedeltà va fino alla morte. Solo essa lo può sciogliere. Questa testimonianza gli crea l'odio e l'astio di quella donna adultera che è Erodiade. Il male però di una sola persona può sempre poco. Quando esso si coalizza e si trasforma in una concomitanza di cause delle quali l'una dona forza all'altra, allora non vi è alcuna possibilità di sfuggire ad esso. Erodiade da sola non può nulla. Neanche Erode da solo può qualcosa. Se a questi due si aggiunge la figlia di Erodiade, Salome, e una moltitudine di commensali, allora il male si fa corpo, struttura, masso e diviene invincibile. Salome conquista il re con la sua danza lussuriosa. Il re fa un giuramento stolto ed insipiente. I commensali sono testimoni di questa stoltezza e in qualche modo garanti. Salome non pensa da sé, si lascia consigliare dalla madre, piena di astio e di odio contro Giovanni il Battista e ne chiede la testa sopra un vassoio. Il re pieno di rispetto umano, ordina che Giovanni il Battista venga decapitato. Una verità che dobbiamo mettere nel cuore è questa: dobbiamo porre sempre molta attenzione a non commettere il primo peccato. Commesso il primo peccato, il dopo ci resta completamente ignoto e mai sapremo quale sarà il suo sviluppo. Chi vuole guardarsi da ogni male futuro, dovrà porre ogni attenzione a guardarsi dal male nel presente. È il presente che genera il futuro.
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09/02/2013 07:34
 
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padre Lino Pedron


Gesù non si fida dell'entusiasmo: sa che svanisce di fronte alle prime difficoltà (cfr Mc 4,16-17) e che non è segno di fede. E' la situazione che viene descritta in questo brano. I discepoli sono presi dall'entusiasmo e raccontano a Gesù tutto quello che avevano fatto e insegnato.
Il risultato della loro missione è lì sotto gli occhi di tutti, in quella gente che va e viene e non lascia più loro neppure il tempo per mangiare. Risultato strepitoso. Quella gente li fa sentire veramente "pescatori di uomini" (cfr Mc 1,7) realizzati.
Questo racconto mira a rispecchiare già la futura immagine dell'attività missionaria della Chiesa: fare e insegnare come Gesù.
Dopo le guarigioni descritte nel primo capitolo di questo vangelo, Gesù si era ritirato in un luogo deserto a pregare (1,35) e alla provocante espressione: "Tutti ti cercano" (1,37) aveva risposto con un atteggiamento, umanamente parlando, poco intelligente: "Andiamocene altrove!" (1,38).
Gesù non sfrutta mai le occasioni favorevoli della popolarità e dell'entusiasmo viscerale: ci vuol ben altro per recidere alla radice il peccato del mondo e per immettere la novità di Dio in un'umanità così malandata.
In questo brano, l'entusiasmo della folla è per i discepoli oltre che per Gesù. In questa cornice, la parola di Gesù: "Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po'" (v. 31) acquista il suo giusto valore. Gesù li vuole sfebbrare (cfr Lc 10,17-20). L'entusiasmo è pericoloso: per la folla e per i discepoli.
L'insegnamento è chiaro: se vogliamo evitare i pericoli della popolarità, non dobbiamo lasciarci travolgere dall'entusiasmo viscerale e acritico che fa perdere il senso del limite e dà i fumi alla testa. L'antidoto è la solitudine e la preghiera.
Gesù ha pietà della folla perché è disorganizzata. Non c'è nessuno che si occupi di essa ed è abbandonata a se stessa: non forma un popolo, ma un'accozzaglia di gente. La pietà di Gesù si traduce in insegnamento. Nel vangelo di Marco, quando Gesù si trova con la folla si può stare certi che non perderà l'occasione per istruirla. Il seguito del vangelo ribadirà, con maggiore forza, questo comportamento costante di Gesù: "La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli l'ammaestrava, come era solito fare" (10,1).
Il legame che Marco instaura tra insegnamento e formazione di un popolo non è artificiale. Siamo davanti a un gregge senza pastore: solo la parola di Gesù può radunare e riunire gli smarriti e i dispersi.
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10/02/2013 08:50
 
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don Luigi Trapelli
Dio chiama dei peccatori per annunciare la Sua Parola

Il racconto del Vangelo di Luca di oggi parla della chiamata dei primi discepoli.
In particolare di Simon pietro e dei fratelli Giacomo e Giovanni.
Dio si serve di alcune persone per compiere la sua missione.
Sono persone che non si ritengono a posto, ma dei peccatori.
Dio chiama dei peccatori ad annunciare la Buona novella.
Gesù, nel Vangelo di Luca, non ci presenta subito la chiamata dei discepoli, ma prima compie un tratto da solo.
E' un modo di agire che noi usiamo normalmente.
Prima di accogliere o meno una persona, la studiamo, vediamo come si comporta e solo dopo operiamo la nostra scelta.
Accogliamo una persona, diventiamo amici o rimaniamo distanti, solo quando abbiamo capito qualcosa di quella persona.
Simone e i suoi amici non hanno pescato niente durante la notte.
Sono stanchi e delusi.
Gesù li invita a gettare di nuovo le reti e a prendere il largo.
Infonde loro fiducia.
" Sulla tua parola getterò le reti".
I discepoli hanno capito che Gesù è una persona significativa, si fidano di Lui.
Capiscono che senza di Lui non sono nulla, mentre con Lui sono tutto.
Non sulle nostre forze e capacità giochiamo la nostra esistenza, ma sulla Parola di Gesù siamo disposti a gettare le reti della nostra vita.
Imparare a prendere il largo, osare, uscire dal chiuso dei nostri condizionamenti, dalle nostre visioni ristrette.
Quando mettiamo il nostro io al centro, o le nostre ideologie, viviamo un'esistenza sterile.
Dio ha bisogno di me per la pesca, ma senza Dio non sono nulla.
Davanti al prodigio Simone, a cui viene dato per la prima volta nome di Pietro, cade alle ginocchia di Gesù e si proclama peccatore.
Anche i chiamati sono dei peccatori.
Dio non viene a chiamare i sani, ma i peccatori.
Siamo troppo abituati a giudicare gli altri, per cui non ci accorgiamo della trave che è dentro il nostro occhio.
Siamo persone fragili, che sbagliano spesso.
Siamo peccatori bisognosi di un amore che ci supera.
Dio ci chiama nonostante e proprio grazie ai nostri peccati.
La santità consiste nel riconoscersi umili peccatori davanti a Dio.
Adesso Pietro può diventare non più pescatori di pesci, bensì di uomini.
La sua pesca è cambiata, nasce un'esistenza nuova.
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11/02/2013 08:08
 
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Eremo San Biagio


Dalla Parola del giorno
"Lo pregavano di potergli toccare almeno la frangia del mantello; e quanti lo toccavano guarivano".

Come vivere questa Parola?
Il Vangelo di oggi ci spinge a capire il significato più profondo di un contatto, di un vero incontro con Gesù.
Gli apostoli che vivevano accanto a Lui, stentavano a conoscerlo nell'intimo; nemmeno la moltiplicazione del pane e il Suo andare verso di loro camminando sulle acque del lago, erano stati sufficienti ad aprire loro gli occhi sulla Sua persona. Erano rimasti sorpresi dal mistero degli avvenimenti senza essere mossi al di là dei fatti, là dove la fede invece mette a contatto con il Risorto, il Dio vivente.
Al contrario, nell'episodio di oggi, le folle lo riconoscono. Prese dalle loro sofferenze e infermità, gli presentano la propria miseria, aspettando, quasi come bambini, che Egli faccia qualcosa; hanno intuito che Gesù può guarirli e "accorrendo da tutta quella regione cominciarono a portargli sui lettucci gli ammalati". Ciò che importa è un contatto personale con lui: "e quanti lo toccavano guarivano".
Forse anche noi alle volte, ci troviamo in situazioni simili, cercando spiegazioni logiche umane, invece di allenare lo spirito al livello della fede!
Nella mia pausa contemplativa oggi, mi metto a contatto diretto con Gesù. Egli mi incontra nella mia personale situazione di vita, nella verità di ciò che sono. Allora mi lascio incontrare sostando alla Sua presenza.

Tu, O Gesù, fonte di grazia e di bellezza, vieni nel mio cuore. Tu mi conosci fino in fondo, sai la mia debolezza e il mio desiderio di essere guarito. Vieni! Signore mi fido di Te!

La voce di una grande santa
Per appartenere a Gesù bisogna essere piccolo come una goccia di rugiada. Quante poche sono le persone che desiderano essere piccole così.
Santa Thérèse di Lisieux
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12/02/2013 08:17
 
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Quale splendida immagine dell'uomo ci dà il racconto della Genesi! L'uomo creato signore di tutta la terra, al quale Dio dà il dominio, che Dio incoraggia a essere fecondo, a moltiplicarsi, a riempire la terra e a soggiogarla. Quanto rispetto per l'uomo, quanta fierezza anche è espressa in queste pagine! il salmo responsoriale dice la stessa cosa: "Di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi".
E bene ripensare a queste splendide pagine della Bibbia, perché troppe volte siamo tentati di diminuire l'uomo, in un modo o nell'altro. Dio invece ha ambizioni per l'uomo, lo vuole grande, lo vuole glorioso. Dio non è un padrone meschino, invidioso, non vuoi tenere per sé la sua potenza: Dio vuoi dare, e dare molto. "Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza"; come è possibile una partecipazione così ampia? "E domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra". "L'uomo domini", dice Dio! Dobbiamo avere questa idea di Dio: Dio dà generosamente, vuoi dare sempre di più, ha grandi disegni sull'uomo, non vuole che egli si immiserisca in piccole cose.
Lo vediamo anche nel Vangelo. Gesù si oppone al tentativo di diminuire l'uomo costringendolo in un formalismo, in un legalismo piccolo, meschino, che dà grande importanza a cose che non ne hanno, che sono indifferenti, trasformando la religione in qualcosa di esterno, privo di valore davanti a Dio.
Ogni cosa deve essere al posto giusto. Se una piccola cosa ha piccola importanza, non bisogna drammatizzarla; non bisogna trovare scandalo in una cosa che è piccola in se stessa. E piccola e deve rimanere piccola.
Sono le cose importanti che fanno l'uomo grande, nella fedeltà, certamente, ai comandamenti di Dio, che non vuole che l'uomo sminuisca se stesso ma sia veramente un uomo cosciente, libero, amante del bene. Gesù insiste sui comandamenti importanti per l'uomo. "Onora tuo padre e tua madre", questo è un comando importante, proprio perché onora l'uomo: dà onore al padre e alla madre, dà onore anche al figlio che agisce così verso i suoi genitori. Le piccole cose che sono tradizioni umane, che possono cambiare col cambiare dei tempi, non possono sovrapporsi al comandamento di Dio. "Onora tuo padre e tua madre" significa essere un uomo che rispetta l'uomo e tutte le relazioni umane. E l'egoismo umano che cerca pretesti per essere infedele alla parola di Dio e infedele alla grande vocazione dell'uomo. Chiediamo al Signore che ci dia di essere fieri della vocazione umana e ci comunichi il sentimento profondo della nostra grandezza e della sua ambizione per ogni uomo.
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13/02/2013 07:59
 
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Gaetano Salvati


Oggi la liturgia ci introduce nel tempo di Quaresima, e ci offre l'occasione per crescere nella vita di fede.
Nella prima lettura, il profeta Gioele indica il criterio fondamentale per (ri)cominciare il cammino dietro il Maestro: "Ritornate a me con tutto il cuore" (Gl 2,12), e ancora: "Laceratevi il cuore e non le vesti" (v.13); vale a dire, evitiamo di vivere la Quaresima nella superficialità, "come fanno gli ipocriti" (Mt 6,2); puntiamo, invece, lo sguardo del cuore e della mente all'essenziale, a Cristo. Ritornare a Dio significa sforzarsi di rientrare nel proprio cuore, nel "segreto" (v.4) della coscienza, e lasciarsi riconciliare con Dio (2Cor 5,20). In questo luogo l'uomo redento comprende di essere amato da Dio e, perciò, in grado di rispondere al Suo appello misericordioso. La Quaresima, come la vita cristiana, quindi, è un continuo, instancabile atto di affidamento a Dio: è relazione profonda fra il Creatore che chiama la creatura a ritornare sui suoi passi, e il discepolo che a volte è fedele e a volte no. Fra la ragionevole tensione di non essere all'altezza di corrispondere con l'Altro e il timore di non trovare la via del ritorno verso sé, cioè non scoprirsi amati da Lui, si pone la parola del Signore. Egli invita ciascuno di noi alla conversione. Conversione è vivere con pienezza, con il "cuore" (Gl 2,13), Cristo Gesù. Egli ci invita ad abbandonare la nostra esistenza nella Sua persona: ad orientare i nostri passi, le nostre scelte verso la Sua volontà. In altre parole, ci chiede di essere fedeli alla Sua chiamata. Ora però, non dobbiamo pensare che noi non siamo consapevoli delle decisioni per Cristo, quasi che la nostra libertà sia condizionata dalla volontà divina: la conversione, piuttosto, ci aiuta a purificare le nostre azioni e ad essere disposti per amore ad agire in Lui. Agendo in Lui siamo, liberamente, servi fedeli, attenti e docili. Attenti per conoscere meglio la volontà di Dio che si manifesta con i suggerimenti di una coscienza perfezionata dalla conversione, dalla penitenza, e con la voce delle circostanze dell'esistere quotidiano. Docili per fare la volontà di Dio con animo sereno e generoso. Il servo fedele, che s'incamina docilmente e attentamente verso la conversione del cuore, di tutta la sua persona, è imitazione di Gesù: non subisce la volontà del Padre, ma la fa. Allora, viviamo Cristo senza paura o ansia, affidiamo la nostra vita a Colui che ci rialza quando cadiamo, che ci sorprende quando tutto sembra perduto, che si fa sentire quando chiudiamo la porta (Mt 6,6) alle distrazioni del mondo. Amen.
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14/02/2013 07:25
 
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Movimento Apostolico - rito romano
La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai!

Gesù instaura uno stile nuovo di missione evangelizzatrice. Non manda i suoi nel mondo per dire qualcosa. Li invia invece per dare qualcosa. Essi devono portare nel mondo la pace di Dio. La devono creare. La loro è opera di vera creazione.
Come creano la pace i discepoli di Gesù? Donando lo Spirito Santo, soffiandolo nel cuore di ogni uomo che li accoglie, che vuole essere fatto nuovo. Gli inviati di Gesù sono sempre come il Signore Dio, il Creatore dell'universo, quando si trovò dinanzi a della creta modellata. L'immagine era stupenda. Ma rimaneva sempre creta. Non aveva vita in sé. Dio spirò in essa il suo soffio vitale e la creta divenne essere vivente.
Il discepolo di Gesù non deve modellare la creta. Questa è già dinanzi a lui. È creta secca, indurita dal peccato, contorta dalla concupiscienza, sgretolata dai vizi, annerita dalle passioni, frantumata dalle infinite trasgressioni e disobbedienze alla Legge di Dio. L'inviato di Cristo deve operare in tutto come il profeta Ezechiele. Egli deve soffiare su questa creta arida lo Spirito del Signore e comandargli di rifare l'uomo, ricrearlo, ricomporlo, rimetterlo nella sua vera vita.
È questa la pace che l'apostolo deve dare al mondo intero. Per darla, Gesù lo ha ricolmato dei suoi poteri, lo ha riempito del suo Santo Spirito, lo ha animato con la sua divina carità, lo ha illuminato con la sua verità eterna. Lo ha reso persona nuova. Lo ha fatto pace datore di pace, luce portatore di luce, carità che infonde carità, amore che si consuma perché dalla sua morte sgorghi sempre una nuova vita.
Può dare la pace, se è persona libera, persona cioè che sa solo donare, persona spoglia, povera, umile, che nulla porta con sé. Egli non può portare nulla perché non cada nella tentazione di prendere. Sempre questa tentazione busserà al suo cuore, sempre cercherà di conquistare la sua mente. Ricordandosi che lui nulla potrà portare con sé è obbligato anche a non poter prendere mai nulla.
Se porta, contravviene al suo mandato. Se prende tradisce la sua missione. Non può essere più uomo che porta la pace. Vi è un solo modo di portare la pace: essere obbediente al comando di colui che lo ha inviato. Egli sarà uomo di pace se lui stesso è nella pace e di certo non è nella pace chi ha bisogno di prendere e di portare, affaticando così il suo cammino e creando scandalo in coloro presso i quali è mandato. Loro non sono nella pace perché nella grande guerra di ignoranza. Se neanche lui è nella pace, perché in guerra con i suoi desideri, come farà a dare agli altri la pace? Se lui non è l'uomo nuovo, come potrà sperare di fare nuovi tutti gli uomini. Se lui non è ricolmato di Spirito Santo, mai potrà pretendere di ricolmare gli altri.
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15/02/2013 06:02
 
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Eremo San Biagio
Commento su Matteo 9,15

Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto finché lo sposo è con loro?
Mt 9,15

Come vivere questa parola?

La domanda di Gesù nel Vangelo di oggi rivela una verità fondamentale della vita spirituale cristiana: Dio è con noi! Dal momento dell'incarnazione, Gesù Uomo/ Dio è entrato nella storia umana per risanarla e divinizzarla. Come dice un canto: Dio si è fatto come noi per farci come lui; è un capovolgimento davvero.

Durante la sua vita terrena Gesù favoriva la mensa come luogo di incontro familiare con le persone e in quel contesto iniziava dialoghi di conversione e di approfondimento di vita. Poi, ha scelto di rimanere come ?Pane di Vita' per sfamare i discepoli di tutti i tempi. In questo senso non c'è motivo per i discepoli di digiunare: lo Sposo era con loro, ed è con noi oggi in modo diverso ma altrettanto reale. Ecco perché quando si ha Gesù con sé non è necessario digiunare.

Ma siccome il nostro essere con Lui non è in pienezza, allora il digiuno è un modo per privarci di qualcosa per concentrare il nostro cuore in Lui: metterci in attesa, in ascolto...

Oggi, nel mio rientro al cuore, mi fermo qualche momento davanti a Gesù Eucaristia, presente al Presente, e Gli chiedo di saziare la mia fame di Lui.

Saziami di Te, Signore Gesù: possa sedere alla tua mensa con cuore puro e riconoscente!

La voce di un Vescovo di oggi

Preso in comune, il pasto aggiunge una nota tipicamente umana all'atto di nutrirsi, poiché ne fa un elemento di convivialità. Sicché, mangiare con gli altri e attingere alla stessa sorgente di vita conferiscono alla convivialità un alto valore sociale e spirituale, manifestando la propria unità di origine e la propria solidarietà.
Mons Felice di Molfetta
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16/02/2013 08:15
 
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a cura dei Carmelitani
Commento Luca 5,27-32

1) Preghiera

Guarda con paterna bontà, Dio onnipotente,
la debolezza dei tuoi figli,
e a nostra protezione e difesa
stendi il tuo braccio invincibile.
Per il nostro Signore Gesù Cristo...

2) Lettura del Vangelo

Dal Vangelo secondo Luca 5,27-32
In quel tempo, Gesù vide un pubblicano di nome Levi seduto al banco delle imposte, e gli disse: "Seguimi!" Egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì.
Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa. C'era una folla di pubblicani e d'altra gente seduta con loro a tavola.
I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: "Perché mangiate e bevete con i pubblicani e i peccatori?"
Gesù rispose: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi".

3) Riflessione

? Il Vangelo di oggi presenta lo stesso tema su cui abbiamo riflettuto a Gennaio nel vangelo di Marco (Mc 2,13-17). Solo che questa volta ne parla il Vangelo di Luca ed il testo è ben più corto, concentrando l'attenzione sulla scena principale che è la chiamata e la conversione di Levi e la conversione che ciò implica per noi che stiamo entrando in quaresima.
? Gesù chiama un peccatore ad essere suo discepolo. Gesù chiama Levi, un pubblicano, e costui, immediatamente, lascia tutto, segue Gesù ed entra a far parte del gruppo dei discepoli. Subito Luca dice che Levi ha preparato un grande banchetto nella sua casa. Nel Vangelo di Marco, sembrava che il banchetto fosse in casa di Gesù. Ciò che importa è l'insistenza nella comunione di Gesù con i peccatori, attorno al tavolo, cosa proibita.
? Gesù non è venuto per i giusti, ma per i peccatori. Il gesto di Gesù produsse rabbia tra le autorità religiose. Era proibito sedersi a tavola con pubblicani e peccatori, poiché sedersi a tavola con qualcuno voleva dire trattarlo da fratello! Con il suo modo di fare, Gesù stava accogliendo gli esclusi e li stava trattando da fratelli della stessa famiglia di Dio. Invece di parlare direttamente con Gesù, gli scribi dei farisei parlano con i discepoli: Perché mangiate e bevete con i pubblicani e i peccatori? E Gesù risponde: Non sono i sani che hanno bisogno del medico; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi!" La coscienza della sua missione aiuta Gesù a trovare la risposta e ad indicare il cammino per l'annuncio della Buona Novella di Dio. Lui è venuto per riunire la gente dispersa, per reintegrare coloro che erano stati esclusi, per rivelare che Dio non è un giudice severo che condanna e respinge, bensì un Padre/Madre che accoglie ed abbraccia.

4) Per un confronto personale

? Gesù accoglie ed include le persone. Qual è il mio atteggiamento?
? Il gesto di Gesù rivela l'esperienza che ha di Dio Padre. Qual è l'immagine di Dio di cui sono portatore/portatrice verso gli altri mediante il mio comportamento?

5) Preghiera finale

Signore, tendi l'orecchio, rispondimi,
perché io sono povero e infelice.
Custodiscimi perché sono fedele;
tu, Dio mio, salva il tuo servo, che in te spera. (Sal 85)
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17/02/2013 09:20
 
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Ileana Mortari - rito romano
Gesù, nel deserto, viene tentato dal diavolo

"La Quaresima di sua natura è simile al deserto che fa fondale al racconto evangelico delle tentazioni di Gesù. Come il deserto riduce l'uomo all'essenziale, spogliandolo delle sovrastrutture, del superfluo e delle vanità e proiettandolo verso alcune poche fondamentali cose (acqua, cibo, strada giusta, riparo dal sole), così la Quaresima ci vuole riportare alla sostanza dell'esistenza cristiana" (G. Ravasi); e in questo percorso possono esserci di grande aiuto le letture della liturgia festiva.

La pericope odierna fa seguito all'episodio del battesimo di Gesù; questo perché, nell'intenzione di Luca, battesimo e tentazione formano un dittico che illustra uno stesso tema: Gesù (che nel Battesimo è stato proclamato "Figlio unico") si rivela Figlio di Dio.

E' su questa identità che fanno leva le tre tentazioni di Satana nel deserto: perseguire un'immagine di Figlio di Dio che non è secondo il volere del Padre, ma risponde ad una esclusiva affermazione di sé.Non a caso il nome stesso del diavolo (dal gr. "diabàllein" = separare) indica colui che separa e divide da Dio: il "divisore" si pone in mezzo tra l'uomo e Dio per spezzare la loro alleanza, perché sa bene che con Dio l'uomo può vincerlo.

v.2 "Non mangiò nulla in quei giorni"

I critici non possono stabilire con certezza se Gesù compì un digiuno ascetico o se in tale periodo di tempo, essendo Egli vissuto completamente in preghiera e in comunione con Dio, semplicemente non sentì bisogno di cibo (e allora il "digiuno" è simbolo della pienezza di Spirito in Gesù).

La prima tentazione è: "Se tu sei Figlio di Dio, dì a questa pietra che diventi pane." (v.3). Il tentatore suggerisce a Gesù di servirsi della sua qualità di Figlio unico per le sue personali necessità e dunque di usare la potenza di Dio a proprio vantaggio. Ma il Maestro replica alla suggestione diabolica appellandosi (come farà ancora due volte) ad un testo della Scrittura introdotto con la formula solenne e sacra: "Sta scritto" (v.4): la parola del Signore costituisce per il pio israelita la norma alla quale attenersi in ogni circostanza.

v.4: "Non di solo pane vivrà l'uomo"; cioè c'è qualcosa di molto più importante per l'uomo del cibo materiale, che peraltro la Provvidenza del Padre in qualche modo gli assicura sempre: poiché "nulla è impossibile a Dio", Egli può anche mantenere in vita un uomo che non tocca cibo per 40 giorni! Piuttosto, quello che più conta è il vivere della Parola; infatti, il pane è buono e dà vita, ma dalla Parola di Dio viene una vita più profonda e autentica. Inoltre più importante del pane materiale è pure l'affidamento al Padre e l'amore verso di Lui e i propri fratelli: solo in questa direzione vanno fatti i miracoli. E infatti Gesù più tardi moltiplicherà i pani (Lc.9,10-17), ma per la folla, non per sé. Egli non ha mai sfruttato la sua condizione di Figlio di Dio a proprio vantaggio.

La seconda tentazione si svolge in una scenografia immaginaria: il diavolo conduce Gesù su un punto talmente alto (inesistente nella geografia), che consente la panoramica di tutti i regni della terra; il loro potere e gloria è nelle mani del "principe di questo mondo", che li dà a chi vuole.

Il tema del diavolo padrone del mondo è popolare nel giudaismo (cfr. 2°Cor.4,4; Gv.12,41 etc.) e risente dell'influenza apocalittica che oppone dualisticamente il regno di Dio e il regno di Satana, e considera i regnanti attuali strumenti di Satana (cfr. Ap.13,1-8).

Ora il diavolo promette a Gesù di dargli tutti i regni della terra e la loro gloria (cioè il regno messianico ottenuto in modo trionfale, senza passare per la croce e la morte), se si prostrerà ad adorarlo: radicale pervertimento del rapporto filiale di Gesù con Dio! La tentazione consiste infatti nell'indurre Gesù alla disobbedienza al Padre e a spezzare la relazione di figliolanza che l'unisce a Lui.

Ma il Figlio di Dio rifiuta questa suggestione citando il Deuteronomio "Sta scritto: il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto". Da vero israelita, Egli riafferma il culto al solo Dio, anima del "credo" ebraico: Gesù si inserisce nel solco della tradizione dell'Israele fedele.

La terza tentazione ha come scenario Gerusalemme e più precisamente il pinnacolo del tempio.

Dopo che Gesù si è rifiutato di adorare il diavolo, questi gli si rivolge nuovamente con malizia richiamandosi alla sua pretesa di essere "Figlio" ("Se tu sei Figlio di Dio......" v.9). E poiché Gesù per due volte si è rifatto a direttive di Dio nella Scrittura, ora il diavolo, da ultimo e come si addice anche all'area sacra del tempio, muove la sua tentazione ricorrendo a due frasi bibliche tratte dal Salmo 90, in cui il salmista afferma con assoluta fiducia che Dio lo proteggerà da ogni pericolo, inviando anche i suoi angeli a custodirlo e a sostenerlo con le loro mani.

Con questa suggestione il demonio vuole indurre Gesù a mettere alla prova Dio, verificando la verità di questa promessa fatta al giusto; Gesù non dubita dell'autenticità della promessa divina, ma si rifiuta di mettere alla prova Dio gettandosi giù dal pinnacolo del tempio, poiché ciò equivarrebbe a tentare Dio. Egli replica a Satana citando il testo di Dt.6,16 in cui è detto: "non tenterai il Signore Dio tuo" (v.12), esprimendo così la sua ferma volontà di obbedire al comando del Padre. Anche in questo caso, Gesù si comporta al contrario di quegli israeliti che nel deserto, mancando di fede nelle promesse di Dio, lo hanno tentato esigendo una prova delle verità di esse (cfr. Es.17).

A Gerusalemme Gesù non cede alla tentazione del prodigioso e non si sottrae ai limiti della corporeità. Egli non impone la propria messianicità con l'evidenza di un gesto straordinario che costringa la gente ad aderire a lui, non piega le Scritture all'affermazione di sé.

E' come se dicesse: "So bene che Dio è presente, ma a modo suo, non a modo mio. Non ho bisogno di costringerlo all'evidenza. Dio è già in me, forza della mia forza."

Cerchiamo ora di cogliere il significato dell'episodio nella sua globalità.

Anzitutto l'ambientazione nel deserto richiama il deserto attraversato dagli ebrei nell'esodo dall'Egitto. Durante quel periodo il popolo di Israele non resse alla "prova", mormorò contro Mosè e Aronne lamentandosi per la mancanza di cibo (cfr. Es.16), tentò Dio a Massa e Meriba e spesso si lasciò trascinare ad adorare divinità straniere (cfr. Deut. 32,15-18); in sostanza, non seppe vincere le tentazioni del deserto.

Com'è noto, Gesù è il "nuovo Israele", che compie in positivo quanto nell'A.T. veniva prefigurato e preannunziato; con il rimando a vari a passi del Deuteronomio, il racconto lucano vuole evidenziare l'obbedienza del "Figlio" in grande contrasto con la disobbedienza di Israele. Il Figlio di Dio, al contrario del "popolo eletto", si dimostra vincitore rispetto alle tentazioni del deserto (e anche successivamente, nel corso di tutta la sua missione) e mostra come esserlo: con l'arma invincibile della Parola di Dio, quale guida unica e incontrovertibile.

Ma il soggiorno di Gesù nel deserto è paradigmatico anche per tutti i credenti, di tutti i tempi, in tutte le tentazioni della vita. Egli è stato tentato nel deserto in una maniera unica e caratteristica, superiore a tutte le possibilità di tentazione alle quali i credenti possano mai andare incontro. Dunque, nella comunione con Lui e seguendo il suo esempio, sarà possibile anche ad ogni cristiano raggiungere questa vittoria, mediante l'obbedienza alla Parola e nella dedizione all'unico Signore. Sono queste le due virtù che sconfiggono Satana.
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18/02/2013 09:53
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare

Nell'Antica Legge la carità verso i fratelli era la via perché la carità di Dio, la sua misericordia, la sua pietà e compassione, si riversassero tutte sull'uomo. Dio viveva con i misericordiosi la legge della misericordia. Era pietoso con chi aveva pietà.

Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri in terra d'Egitto. Non maltratterai la vedova o l'orfano. Se tu lo maltratti, quando invocherà da me l'aiuto, io darò ascolto al suo grido, la mia ira si accenderà e vi farò morire di spada: le vostre mogli saranno vedove e i vostri figli orfani. Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all'indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio: voi non dovete imporgli alcun interesse. Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai prima del tramonto del sole, perché è la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle; come potrebbe coprirsi dormendo? Altrimenti, quando griderà verso di me, io l'ascolterò, perché io sono pietoso. (Es 22,20-26).

Quando presterai qualsiasi cosa al tuo prossimo, non entrerai in casa sua per prendere il suo pegno. Te ne starai fuori e l'uomo a cui avrai fatto il prestito ti porterà fuori il pegno. Se quell'uomo è povero, non andrai a dormire con il suo pegno. Dovrai assolutamente restituirgli il pegno al tramonto del sole, perché egli possa dormire con il suo mantello e benedirti. Questo ti sarà contato come un atto di giustizia agli occhi del Signore, tuo Dio. Non defrauderai il salariato povero e bisognoso, sia egli uno dei tuoi fratelli o uno dei forestieri che stanno nella tua terra, nelle tue città. Gli darai il suo salario il giorno stesso, prima che tramonti il sole, perché egli è povero e a quello aspira. Così egli non griderà contro di te al Signore e tu non sarai in peccato. Non lederai il diritto dello straniero e dell'orfano e non prenderai in pegno la veste della vedova. Ricòrdati che sei stato schiavo in Egitto e che di là ti ha liberato il Signore, tuo Dio; perciò ti comando di fare questo. Quando, facendo la mietitura nel tuo campo, vi avrai dimenticato qualche mannello, non tornerai indietro a prenderlo. Sarà per il forestiero, per l'orfano e per la vedova, perché il Signore, tuo Dio, ti benedica in ogni lavoro delle tue mani. Quando bacchierai i tuoi ulivi, non tornare a ripassare i rami. Sarà per il forestiero, per l'orfano e per la vedova. Quando vendemmierai la tua vigna, non tornerai indietro a racimolare. Sarà per il forestiero, per l'orfano e per la vedova. Ricòrdati che sei stato schiavo nella terra d'Egitto; perciò ti comando di fare questo. (Dt 24,10-15. 17-22).

Nel Nuovo Testamento cambiano le regole della misericordia e della pietà. Misericordia e pietà sono la chiave che ci introducono nel regno eterno di Cristo Signore. Il povero è Cristo. Chi è pietoso verso Cristo povero, da Lui è accolto nella sua gloria eterna.

Chi non ha amato Gesù povero, non entrerà nel suo regno di luce e i beatitudine.
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19/02/2013 08:03
 
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padre Lino Pedron


Gesù ci insegna la preghiera cristiana, che si contrappone alla preghiera dei farisei e dei pagani: il Padre nostro.
E' un testo di grande importanza che ci aiuta a comprendere chi è il cristiano. Il Padre nostro è una parola di Dio rivolta a noi, più che una nostra preghiera rivolta a lui. E' il riassunto di tutto il vangelo. Non è Dio che deve convertirsi, sollecitato dalle nostre preghiere: siamo noi che dobbiamo convertirci a lui.
Il contenuto di questa preghiera è unico: il regno di Dio. Ciò è in perfetta consonanza con l'insegnamento di Gesù: "Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta" (Mt 6,33).
Padre nostro. Il discepolo ha diritto di pregare come figlio. E sta in questo nuovo rapporto l'originalità cristiana (cfr Gal 4,6; Rm 8,15). La familiarità nel rapporto con Dio, che nasce dalla consapevolezza di essere figli amati dal Padre, è espressa nel Nuovo Testamento con il termine parresìa che può essere tradotto familiarità disinvolta e confidente (cfr Ef 3,11-12). L'aggettivo nostro esprime l'aspetto comunitario della preghiera. Quando uno prega il Padre, tutti pregano in lui e con lui.
L'espressione che sei nei cieli richiama la trascendenza e la signoria di Dio: egli è vicino e lontano, come noi e diverso da noi, Padre e Signore. Il sapere che Dio è Padre porta alla fiducia, all'ottimismo, al senso della provvidenza (cfr Mt 6,26-33).
Sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà. Il verbo della prima invocazione è al passivo: ciò significa che il protagonista è Dio, non l'uomo. La santificazione del nome è opera di Dio. La preghiera è semplicemente un atteggiamento che fa spazio all'azione di Dio, una disponibilità. L'espressione santificare il nome dev'essere intesa alla luce dell'Antico Testamento, in particolare di Ez 36,22-29. Essa indica un permettere a Dio di svelare il suo volto nella storia della salvezza e nella comunità credente. Il discepolo prega perché la comunità diventi un involucro trasparente che lasci intravedere la presenza del Padre.
La venuta del Regno comprende la vittoria definitiva sul male, sulla divisione, sul disordine e sulla morte. Il discepolo chiede e attende tutto questo. Ma la sua preghiera implica contemporaneamente un'assunzione di responsabilità: egli attende il Regno come un dono e insieme chiede il coraggio per costruirlo. La volontà di Dio è il disegno di salvezza che deve realizzarsi nella storia.
Come in cielo, così in terra. Bisogna anticipare qui in terra la vita del mondo che verrà. La città terrestre deve costruirsi a imitazione della città di Dio.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano. Il nostro pane è frutto della terra e del lavoro dell'uomo, ma è anche, e soprattutto, dono del Padre. Nell'espressione c'è il senso della comunitarietà (il nostro pane) e un senso di sobrietà (il pane per oggi). Il Regno è al primo posto: il resto in funzione del Regno.
Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Anche queste tre ultime domande riguardano il regno di Dio, ma dentro di noi. Il Regno è innanzitutto l'avvento della misericordia.
Questa preghiera si apre con il Padre e termina con il maligno. L'uomo è nel mezzo, conteso e sollecitato da entrambi. Nessun pessimismo, però. Il discepolo sa che niente e nessuno lo può separare dall'amore di Dio e strappare dalle mani del Padre.
Matteo commenta il Padre nostro su un solo punto, rimetti a noi i nostri debiti.... Ecco il commento: "Se voi, infatti, perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi...".
Nel capitolo precedente Matteo aveva messo in luce l'amore per tutti. Ora mette in luce la sua concreta manifestazione: il perdono.
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20/02/2013 07:14
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona

Salomone era il re cui il Signore aveva concesso una sapienza grande, grandissima. Era un uomo singolare, particolare, unico per questo dono di Dio.

A Gàbaon il Signore apparve a Salomone in sogno durante la notte. Dio disse: «Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda». Salomone disse: «Tu hai trattato il tuo servo Davide, mio padre, con grande amore, perché egli aveva camminato davanti a te con fedeltà, con giustizia e con cuore retto verso di te. Tu gli hai conservato questo grande amore e gli hai dato un figlio che siede sul suo trono, come avviene oggi. Ora, Signore, mio Dio, tu hai fatto regnare il tuo servo al posto di Davide, mio padre. Ebbene io sono solo un ragazzo; non so come regolarmi. Il tuo servo è in mezzo al tuo popolo che hai scelto, popolo numeroso che per quantità non si può calcolare né contare. al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male; infatti chi può governare questo tuo popolo così numeroso?». Piacque agli occhi del Signore che Salomone avesse domandato questa cosa. Dio gli disse: «Poiché hai domandato questa cosa e non hai domandato per te molti giorni, né hai domandato per te ricchezza, né hai domandato la vita dei tuoi nemici, ma hai domandato per te il discernimento nel giudicare, ecco, faccio secondo le tue parole. Ti concedo un cuore saggio e intelligente: uno come te non ci fu prima di te né sorgerà dopo di te. Ti concedo anche quanto non hai domandato, cioè ricchezza e gloria, come a nessun altro fra i re, per tutta la tua vita. Se poi camminerai nelle mie vie osservando le mie leggi e i miei comandi, come ha fatto Davide, tuo padre, prolungherò anche la tua vita». Salomone si svegliò; ecco, era stato un sogno (1Re 3,4-15).

Giona invece era un profeta, anche lui, per certi aspetti, singolare. La conclusione del suo Libro ci dice quanto fosse strano teologicamente quest'uomo.

Ma Giona ne provò grande dispiacere e ne fu sdegnato. Pregò il Signore: «Signore, non era forse questo che dicevo quand'ero nel mio paese? Per questo motivo mi affrettai a fuggire a Tarsis; perché so che tu sei un Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira, di grande amore e che ti ravvedi riguardo al male minacciato. Or dunque, Signore, toglimi la vita, perché meglio è per me morire che vivere!». Ma il Signore gli rispose: «Ti sembra giusto essere sdegnato così?». Giona allora uscì dalla città e sostò a oriente di essa. Si fece lì una capanna e vi si sedette dentro, all'ombra, in attesa di vedere ciò che sarebbe avvenuto nella città. Allora il Signore Dio fece crescere una pianta di ricino al di sopra di Giona, per fare ombra sulla sua testa e liberarlo dal suo male. Giona provò una grande gioia per quel ricino. Ma il giorno dopo, allo spuntare dell'alba, Dio mandò un verme a rodere la pianta e questa si seccò. Quando il sole si fu alzato, Dio fece soffiare un vento d'oriente, afoso. Il sole colpì la testa di Giona, che si sentì venire meno e chiese di morire, dicendo: «Meglio per me morire che vivere» Dio disse a Giona: «Ti sembra giusto essere così sdegnato per questa pianta di ricino?». Egli rispose: «Sì, è giusto; ne sono sdegnato da morire!». Ma il Signore gli rispose: «Tu hai pietà per quella pianta di ricino per cui non hai fatto nessuna fatica e che tu non hai fatto spuntare, che in una notte è cresciuta e in una notte è perita! E io non dovrei avere pietà di Ninive, quella grande città, nella quale vi sono più di centoventimila persone, che non sanno distinguere fra la mano destra e la sinistra, e una grande quantità di animali?» (Gn 4,1-11).

Gesù è la Sapienza eterna, increata, fattasi sapienza creata. Non solo. È anche la grazia e la vita. È il dono all'uomo di ogni grazia e di ogni vita. Lui ricolma i cuori di speranza, liberazione, verità, giustizia, pace, perdono, ma pochi si convertono.
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21/02/2013 06:40
 
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padre Lino Pedron


Il cristiano è colui che vuole essere come Cristo. Nella preghiera la vita di Dio diventa la nostra vita. L'unica condizione per riceverla è volerla e chiederla.
San Giacomo scrive: "Se qualcuno manca di sapienza, la domandi a Dio che dona a tutti generosamente e senza rinfacciare, e gli sarà data. La domandi però con fede, senza esitare, perché chi esita somiglia all'onda del mare mossa e agitata dal vento, e non pensi di ricevere qualcosa dal Signore un uomo che ha l'animo oscillante e instabile in tutte le sue azioni" (Gc 1,5-8). E aggiunge: "Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male" (Gc 4,2-3).
La preghiera è infallibile se chiediamo ciò che è conforme alla volontà di Dio, con una fiducia che desidera tutto e non ritiene impossibile nulla, con un'umiltà che tutto attende e nulla pretende.
La preghiera non è un importunare Dio per estorcergli ciò che vogliamo, ma l'atteggiamento di un figlio che chiede ciò che il Padre vuole donare.
Chiedete, cercate, bussate sono degli imperativi presenti che ci comandano di continuare a chiedere, a cercare e a bussare, senza stancarci mai (cfr Lc 18,1).
La condizione dell'efficacia della preghiera non è solo la fede dell'uomo, ma soprattutto la bontà di Dio. Dio è molto migliore di qualsiasi padre. Ciò che vale tra padre e figlio, vale incomparabilmente di più tra Dio e l'uomo che lo invoca.
Il v. 12 è chiamato solitamente "la regola d'oro". Gesù afferma che la perfezione cristiana consiste nella perfezione dell'amore del prossimo. Tutto l'insegnamento evangelico si riassume nel servizio prestato all'altro, anche a prezzo del proprio interesse, perché l'altro è il proprio fratello. L'imperativo "fate" richiede un amore concreto e operoso.
L'amore cristiano è più di una semplice comprensione o benevolenza verso i bisognosi e i deboli: è considerare l'altro come parte integrante del proprio essere. Per questo il peccato più grande è l'egocentrismo, e la virtù più importante è l'impegno sociale e comunitario.
La "regola d'oro" consiste soprattutto nella "regola dell'immedesimazione" o, più prosaicamente, "nel sapersi mettere nei panni degli altri", nella capacità di trasferirsi con amore e fantasia nella situazione dell'altro (anche del nemico). La mancanza di fantasia è mancanza d'amore.
Nel processo di Majdanek risultò evidente che questa mancanza di immedesimazione negli altri può avere conseguenze disastrose. Gli accusati di questo orribile campo di concentramento dimostrarono la quasi totale incapacità di trasferirsi nella situazione delle loro vittime.
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22/02/2013 06:58
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà

L'elemosina è virtù cara a Dio. Non è forse Lui l'elemosiniere eterno che sempre ci inonda di doni divini e celesti? L'elemosina è una vero scudo di difesa contro ogni intemperie spirituale e materiale: "Molti si rifiutano di prestare non per cattiveria, ma per paura di essere derubati senza ragione. Tuttavia sii paziente con il misero, e non fargli attendere troppo a lungo l'elemosina. Per amore del comandamento soccorri chi ha bisogno, secondo la sua necessità non rimandarlo a mani vuote. Perdi pure denaro per un fratello e un amico, non si arrugginisca inutilmente sotto una pietra. Disponi dei beni secondo i comandamenti dell'Altissimo e ti saranno più utili dell'oro. Riponi l'elemosina nei tuoi scrigni ed essa ti libererà da ogni male. Meglio di uno scudo resistente e di una lancia pesante, essa combatterà per te di fronte al nemico" (Sir 29,713).
Assieme all'elemosina Dio gradisce l'offerta per il culto: "Chi osserva la legge vale quanto molte offerte; chi adempie i comandamenti offre un sacrificio che salva. Chi ricambia un favore offre fior di farina, chi pratica l'elemosina fa sacrifici di lode. Cosa gradita al Signore è tenersi lontano dalla malvagità, sacrificio di espiazione è tenersi lontano dall'ingiustizia. Non presentarti a mani vuote davanti al Signore, perché tutto questo è comandato. L'offerta del giusto arricchisce l'altare, il suo profumo sale davanti all'Altissimo. Il sacrificio dell'uomo giusto è gradito, il suo ricordo non sarà dimenticato. Glorifica il Signore con occhio contento, non essere avaro nelle primizie delle tue mani. In ogni offerta mostra lieto il tuo volto, con gioia consacra la tua decima. Da' all'Altissimo secondo il dono da lui ricevuto, e con occhio contento, secondo la tua possibilità, perché il Signore è uno che ripaga e ti restituirà sette volte tanto" (Sir 35, 1-13). Anche il culto ha bisogno della nostra carità, frutto del nostro buon cuore.
Cosa insegna Gesù ai suoi discepoli, che non fosse già stato insegnato nell'Antico testamento? Tutto quello che si fa e si dice a Dio e al prossimo, ogni offerta che viene presentata a Dio e ai fratelli, deve essere fatta nel segreto. Mai dovrà essere opera e parola, preghiera ed azione per la nostra gloria. Gesù vuole che noi agiamo da uomini, con vera umanità, mai da falsi uomini, con disumanità. La superbia ci fa sempre disumani assieme alla ricerca della nostra gloria mondana, terrena, futile, vana.
State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c'è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. Dunque, quando fai l'elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere lodati dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, mentre tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. E quando pregate, non siate simili agli ipocriti che, nelle sinagoghe e negli angoli delle piazze, amano pregare stando ritti, per essere visti dalla gente. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. E quando digiunate, non diventate malinconici come gli ipocriti, che assumono un'aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profùmati la testa e làvati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.
Gesù ci chiede di servire solo il Signore. Ci dice di non servire noi stessi e neanche i fratelli, perché il fratello da servire è Lui. Noi serviamo Lui e Lui ci pagherà con ricompensa eterna. Se invece serviamo noi stessi servendo Dio e i fratelli, perché facciamo ogni cosa per la nostra gloria effimera e passeggera, Lui non ci pagherà, non ci ricompenserà e noi avremo perduto la nostra opera. Siamo puramente stolti.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli, Santi, dateci la sapienza del cuore.
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23/02/2013 07:40
 
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padre Lino Pedron


Il comandamento dell'amore, esteso indistintamente a tutti, è il supremo completamento della Legge (v. 17). A questa conclusione Gesù è arrivato lentamente dopo aver parlato dell'astensione dall'ira e dell'immediata riconciliazione (vv. 21-26), del rispetto verso la donna (vv. 27-30) e la propria moglie (vv. 31-32), della verità e sincerità nei rapporti interpersonali (vv. 33-37), fino alla rinuncia alla vendetta e alle rivendicazioni (vv. 38-42).
Il principio dell'amore del prossimo è illustrato con due esemplificazioni pratiche: pregare per i nemici e salutare tutti senza discriminazione. La più grande sincerità di amore è chiedere a Dio benedizioni e grazie per il nemico. Questo vertice dell'ideale evangelico si può comprendere solo alla luce dell'esempio di Cristo (cfr Lc 23,34) e dei suoi discepoli (cfr At 7,60). Colui che prega per il suo nemico viene a congiungersi con lui davanti a Dio. In senso cristiano la preghiera è la ricompensa che il nemico riceve in cambio del male che ha fatto.
Il precetto della carità non tiene conto delle antipatie personali e dei comportamenti altrui. Il prossimo di qualsiasi colore, buono o cattivo, benevolo o ingrato dev'essere amato. Il nemico è colui che ha maggiormente bisogno di aiuto: per questo Gesù ci comanda di offrirgli il nostro soccorso.
Il comandamento dell'amore dei nemici rivoluziona i comportamenti tradizionali dell'uomo. La benevolenza cristiana non è filantropia ma partecipazione all'amore di Dio. La sua universalità si giustifica solo in questa luce: "affinché siate figli del Padre vostro (v. 45), e "siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli" (v 48). Il cristiano esprime nel modo più sicuro e più vero la sua parentela con Dio amando indistintamente tutti.
L'amore del nemico è l'essenza del cristianesimo. Sant'Agostino ci insegna che "la misura dell'amore è amare senza misura", ossia infinitamente, come ama Dio.
In quanto figli di Dio i cristiani devono assomigliare al loro Padre nel modo di essere, di sentire e di agire. L'amore verso i nemici è la via per raggiungere la sua stessa perfezione.
La perfezione di cui parla Matteo è l'imitazione dell'amore misericordioso di Dio verso tutti gli uomini, anche se ingiusti e malvagi. Il cristiano è una nuova creatura (cfr 2Cor 5,17) e non può più agire secondo i suoi istinti e capricci, ma conformemente alla vita nuova in cui è stato rigenerato.
Gesù pone come termine della perfezione l'agire del Padre, che è un punto inarrivabile. L'imitazione del Padre, e conseguentemente di Gesù, è l'unica norma dell'agire cristiano, l'unica via per superare la morale farisaica. Essere perfetti come il Padre è in concreto imitare Cristo nella sua piena ed eroica obbedienza alla volontà del Padre, e nella sua dedizione ai fratelli. E' perciò diventando perfetti imitatori di Cristo, che si diventa perfetti imitatori del Padre.
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24/02/2013 07:24
 
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don Luca Orlando Russo
Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo!

Il nostro cammino quaresimale, come il cammino di Gesù necessita di un'iniezione di coraggio. Il Signore, che ci conosce molto bene (più di noi stessi), non esita a prendersi cura anche di questo bisogno e, nella Sua misericordia, vi provvede amorosamente.
La liturgia di domenica scorsa ci ha presentato un Gesù molto deciso a percorrere la via di Dio, cioè la via di un messianismo deludente agli occhi degli uomini, avidi di ricchezza e di potere per essere autosufficieti. Non sarà cosa facile scegliere di camminare in questa direzione, senza mai tergiversare. E risulterà ancora più difficile se questa scelta è accompagnata dalla consapevolezza che restarvi fedele comporterà trovarsi di fronte all'ostilità degli uomini. E che ostilità!
Solo qualche versetto prima (cfr. 9,22), infatti, Gesù ha condiviso con i suoi il destino che Lo attende, il "calice" che sarà chiamato a bere. Sa, e sa bene!
Deve aver molto sconcertato i suoi discepoli questo parlare di Gesù. Matteo e Marco ci riferiscono che Pietro, e con lui tutti i Dodici, rimprovera Gesù che parla così del Messia. Il Dio dell'Esodo, che ha sconfitto la potenza del Faraone, re di Egitto, non può permettere che il Suo Consacrato sia sconfitto, fino alla suprema umiliazione della morte. Gesù reagì molto severamente al punto che non esitò a chiamare Satana il discepolo Pietro che poco prima aveva eletto fondamento della Chiesa.
Luca ci riferisce che proprio "otto giorni dopo" (per Matteo e Marco sono sei) Gesù decise di salire con tre dei suoi discepoli sul monte Tabor. Non è per collegare l'episodio della Trasfigurazione alla crisi che sta vivendo il gruppo dei Dodici dopo Cesarea di Filippo che tutti e tre gli evangelisti riportano questa indicazione temporale? Purtroppo la liturgia taglia la notazione temporale, slegando così l'episodio della Trasfigurazione dall'episodio di Cesarea di Filippo.
Diventa molto più semplice ora capire il perché di questo momento di ascolto sul Tabor. Gesù sa che solo nell'ascolto della Parola può trovare la conferma sulla bontà del cammino intrapreso e la forza per camminare e sa anche bene che di questo hanno bisogno i suoi per seguirLo. L'incontro con la Parola del Signore (Mosè ed Elia) sortisce l'effetto desiderato. Mosè ed Elia sull'argomento (la via di Dio passa attraverso la morte) hanno molto da dire e possono testimoniare che Dio non lascia solo Colui che in Lui spera.
Per i discepoli questo dialogo tra tre "campioni" di speranza nel Signore deve essere molto piaciuto se Pietro vuole fare per loro tre tende per trattenerli. A conferma di quanto si sono detti Gesù, Mosè ed Elia, interviene direttamente la voce del Padre che invita Pietro e compagni a non nutrire più dubbi sulle scelte di Gesù.
Lui è il Figlio e vale la pena ascoltarLo, anche se ai nostri occhi le Sue scelte sono follia.
Quindi in cammino! È ora di scendere dal Monte e di andare verso Gerusalemme. Sul Monte il dono è solo promesso, a Gerusalemme ne faremo esperienza.
Buona domenica e buna settimana!
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25/02/2013 07:43
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso

Gesù vuole ogni suo discepolo misericordioso come il Padre nostro celeste. È giusto allora che noi ci chiediamo in che cosa consista esattamente la misericordia di Dio. Qual è la perfetta, eterna, divina verità della misericordia con la quale il Signore ci ama. Possiamo scoprirla non direttamente attraverso il Padre, bensì attraverso l'opera che il Padre ha chiesto a Gesù Signore e che si può riassumere nelle parole che il Figlio di Dio oggi ci dice di praticare: non giudicare, non condannare, perdonare, dare.
Cristo Gesù è la visibilità storica di Dio Padre nella verità dello Spirito Santo. Studiando l'opera di Cristo siamo in grado di comprendere quanto è alta, profonda, larga e spessa la misericordia del Signore nostro Dio. Per questo però non basta conoscere un solo episodio della vita di Gesù. Il Vangelo deve essere la nostra perenne fonte di studio e di riflessione. Da una prima lettura si può comprendere poco. Dalla meditazione quotidiana possiamo giungere a capire le altezze e profondità della misericordia del Signore nostro Gesù Cristo, che è tutta la misericordia del Padre.
Gesù non è venuto per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui. Vedere l'altro come persona da salvare, sempre, richiede non solo l'astensione da ogni giudizio di condanna, mormorazione, pettegolezzo, parole vane, soprattutto vuole una somma attenzione da parte nostra affinché ogni parola da noi proferita sia solo di testimonianza del Vangelo, della Volontà del Padre, della sua grande ed infinità carità, nel dono dell'intera nostra vita per la salvezza dei peccatori.
Gesù non è venuto per condannare, ma per scusare, pregare, implorare aiuto, misericordia, pietà per tutti i peccatori del mondo, prendendo il loro posto ed espiando in vece loro. La sua fu tutta una vita consacrata al perdono. Gesù è l'agnello che toglie il peccato del mondo. Lo toglie crocifiggendolo nel suo corpo sulla croce.
Gesù è venuto per perdonare. Il suo però non è un perdono semplice, una parola, un'assoluzione, una remissione totale della colpa e della pena. Il perdono costò a Lui il sangue, la vita, la morte in croce. Lui si spese tutto per la cancellazione delle nostre colpe. Noi siamo stati lavati e purificati nel suo sangue preziosissimo.
Gesù è venuto per dare tutto se stesso. Tutto ha donato di sé fino all'ultima goccia di sangue. Niente si è tenuto per sé. La sua misura nell'amore è stata senza misura, senza limiti né umani e né divini. Pienamente, interamente, totalmente si è donato in ciò che era e in ciò che aveva: la sua carne, il suo sangue, la sua vita, il Padre Celeste, lo Spirito Santo, la sua dolcissima Madre. Si è veramente spogliato di tutto. Ecco la misura del suo dare: essa è stata veramente buona, pigiata, colma e traboccante.
Ora sappiamo lo spessore della misericordia del Padre: ci ha donato il Figlio e nel Figlio ci ha donato tutto il Cielo e tutta la terra. Sappiamo ora come dobbiamo amare noi: donando tutta la nostra vita nel nostro corpo e nelle nostre cose. Il nostro dono deve essere salvezza reale, efficace, vera per ogni altro uomo. Anima, spirito, corpo devono essere portati nella vera salvezza. La salvezza dell'altro costa tutt'intera la nostra esistenza, senza risparmiarci in nulla, né in beni spirituali e né in beni materiali. Ciò che siamo ed abbiamo non è più nostro nell'amore, ma dei nostri fratelli.
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26/02/2013 08:08
 
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padre Lino Pedron


Ogni pagina del vangelo è scritta per la Chiesa. Gli scribi e farisei siamo noi, invitati a riconoscerci in loro. Il problema presentato da questo brano è sempre lo stesso: al centro di tutto poniamo Dio o il nostro io?
Gesù critica gli scribi e i farisei, e noi con loro, perché fanno tutto per essere visti e lodati: "Fanno tutte le loro opere per essere visti dagli uomini" (v. 5). Si preoccupano di recitare la parte dell'uomo pio e devoto più che di vivere un sincero rapporto con Dio.
La falsità è abbinata ovviamente a una buona dose di vanità e di orgoglio. In un mondo in cui la religione è tenuta in considerazione le persone religiose acquistano automaticamente la massima reputazione. Esse occupano, quasi per convenzione comune, il posto di onore dovuto a Dio. Difatti gli scribi e i farisei con la loro pietà simulata hanno posti di riguardo nelle sinagoghe e nei conviti, e quando appaiono in pubblico ricevono da ogni parte inchini, ossequi e saluti nei quali vengono scanditi con esattezza i loro titoli onorifici.
Anche i discepoli di Gesù sono esortati a rifuggire da questi comportamenti segnalati nei farisei e negli scribi. I titoli onorifici e le rivendicazioni di potere sono fuori luogo perché essi sono tutti fratelli, figli dello stesso Padre (v. 8) e sono guidati dallo stesso Cristo presente in loro (v. 10).
Nella comunità cristiana i più grandi sono gli ultimi e l'unico primato che conta è quello dell'abbassamento e del servizio (v. 11). In essa non devono nemmeno circolare gli appellativi che indicano distinzione e discriminazione che mettono in evidenza un preteso diritto di controllo e di dominio di alcuni sugli altri. Spesso succede che il nostro Signore, al quale diamo del tu, è predicato da signori ai quali diamo del lei.
Alla fine Gesù deve ricorrere ai comandi (sia vostro servo: v. 11) e alle minacce per abbassare chi si era elevato al di sopra degli altri (v. 12).
Matteo sta mettendo a confronto due immagini di Chiesa. L'una farisaica, pomposa, appariscente e vuota, dominata da capi avidi di onore e di potere; l'altra cristiana, costituita da amici e da fratelli. Quest'ultima non è anarchica, perché è guidata direttamente da Cristo e dal Padre, di cui tutti sono ugualmente figli. Coloro che vi esercitano funzioni o incarichi sono chiamati a testimoniare con le opere più che con le parole (cfr v. 3) la presenza invisibile del Padre, non a sostituirla. Perché egli non è mai assente.
La Chiesa di Cristo è una comunità di uguali, una fraternità che ha come criterio di discernimento il servizio. In essa esiste una diversità di ruoli e di responsabilità, che però devono essere svolti come servizio. Questo stile ha come modello Gesù stesso, il quale è venuto per servire (cfr Mt 20,26).
La logica dei rapporti che deve regolare la comunità cristiana è quella dell'umiltà. La condizione dettata da Gesù: "se non vi convertirete e non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli" (Mt 18,3) è l'atteggiamento esattamente opposto a quello dell'autoesaltazione degli scribi e dei farisei.
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27/02/2013 08:24
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Voi non sapete quello che chiedete

Congiure, stratagemmi, complotti, intrighi sono sempre esistiti nei palazzi dei re. Ognuno cerca il potere più grande ed ogni mezzo è buono pur di ergersi sopra gli altri. Attraverso vie subdole, quasi diaboliche e sataniche, si cerca anche di soppiantare lo stesso re. La storia antica di Israele conosce molto bene queste cose.

Adonia, figlio di Agghìt, si recò da Betsabea, madre di Salomone, che gli chiese: «Vieni con intenzioni pacifiche?». «Pacifiche», rispose quello, soggiunse: «Ho da dirti una cosa». E quella: «Parla!». Egli disse: «Tu sai che il regno spettava a me e che tutti gli Israeliti si attendevano che io regnassi. Eppure il regno mi è sfuggito ed è passato a mio fratello, perché gli era stato decretato dal Signore. Ora ti rivolgo una sola domanda: non respingermi». Ed essa: «Parla!». Adonia disse: «Di' al re Salomone, il quale nulla ti può negare, che mi conceda in moglie Abisàg, la Sunammita». Betsabea rispose: «Bene! Parlerò io stessa al re in tuo favore». Betsabea si presentò al re Salomone per parlargli in favore di Adonia. Il re si alzò per andarle incontro, si prostrò davanti a lei, quindi sedette sul trono, facendo collocare un trono per la madre del re. Questa gli sedette alla destra e disse: «Ti rivolgo una sola piccola domanda: non respingermi». Il re le rispose: «Chiedi, madre mia, certo non ti respingerò». E quella: «Si conceda Abisàg, la Sunammita, in moglie ad Adonia, tuo fratello». Il re Salomone rispose a sua madre: «Perché tu mi chiedi Abisàg, la Sunammita, per Adonia? Chiedi pure il regno per lui, poiché egli è mio fratello maggiore e per lui parteggiano il sacerdote Ebiatàr e Ioab figlio di Seruià». Il re Salomone giurò per il Signore: «Dio mi faccia questo e altro mi aggiunga, se non è vero che Adonia ha avanzato questa proposta a danno della sua vita. Ebbene, per la vita del Signore che mi ha reso saldo, mi ha fatto sedere sul trono di Davide, mio padre, e mi ha fatto una casa come aveva promesso, oggi stesso Adonia verrà ucciso». Il re Salomone ordinò l'esecuzione a Benaià, figlio di Ioiadà, il quale lo colpì e quegli morì. (1Re 2,13-25).

Anche alla "corte di Gesù" - Lui era creduto vero futuro re d'Israele - si vive di intrighi e di sotterfugi, di complotti e di battaglie strategiche finalizzate alla conquista del primo posto. Giacomo e Giovanni, per conservarsi apparentemente puri, santi, liberi da ogni desiderio di primo posto, fanno intervenire la madre. Questa si presenta a Gesù e gli fa una richiesta senza alcuna diplomazia o giro di parole: "Di' che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno". Gesù risponde ai due fratelli che lui può solo dare il calice del martirio ad ogni suo discepolo. Altre cose non sono in suo potere, ma del Padre suo che è nei cieli.

Gesù non vuole intrighi nei "palazzi" della sua Chiesa. Non ama i giochi della diabolica diplomazia. Lui ama e desidera che siano banditi sotterfugi, arrivismi, nepotismi, favoritismi, raccomandazioni, ogni azione degli uomini che toglie al Padre suo il potere di assegnare Lui soltanto i posti che ognuno dei discepoli dovrà occupare. Neanche un amore di amicizia e di fratellanza deve interferire in questa faccenda. Simpatie ed antipatie anche queste devono essere messe da parte. Adora il Signore chi rispetta il Padre in questo suo potere esclusivo. Tutte queste cose tradiscono la falsità dell'appartenenza a Gesù Signore. È di Gesù chi offre la vita per la redenzione.
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28/02/2013 08:12
 
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Movimento Apostolico - rito romano
Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro

La salvezza dell'uomo è dall'ascolto dei profeti. Ecco cosa insegna il Libro dei Proverbi: "Quando non c'è visione profetica, il popolo è sfrenato; beato invece chi osserva la legge" (Pr 29,18). Abramo dice oggi al ricco epulone che per la salvezza bastano Mosè e i profeti. È giusto che venga spiegata questa sua affermazione, altrimenti corriamo il rischio di addentrarci su false piste e false concezioni della "visione profetica".

Quando si parla di Mosè, si parla della stabilità della Legge del Sinai. Mosè è il mediatore dell'Antica Alleanza. È colui che ha sancito il patto tra Dio e il suo popolo. Mosè appartiene ad un tempo, un'ora, un giorno particolare della storia della rivelazione. Mosè non è la rivelazione, non è la Legge, non è il Comandamento del Signore, perché Mosè non è tutta la storia d'Israele. Mosè è solo la storia di quaranta anni di deserto. Poi il deserto finisce e si entra in una storia senza fine.

Ogni momento della storia deve essere assunto da Dio e illuminato dalla sua eterna verità. Questa illuminazione costante, perenne, quotidiana, infinita, è affidata da Dio ai suoi profeti. Questi sono inviati per "aggiornare, fa avanzare, progredire, portare a pienezza di verità" la volontà di Dio sull'uomo in ogni ora e in ogni tempo. Il profeta è presenta attuale di Dio in mezzo al suo popolo.

Questa verità vale anche per il Vangelo, il Nuovo Testamento. È vero. Con il Nuovo Testamento, che finisce con la morte dell'Ultimo Apostolo, cioè Giovanni, noi conosciamo tutto il mistero della salvezza. Questa conoscenza non basta perché ci possiamo salvare. Ci occorrono i nuovi profeti del nuovo patto che ci conducano alla verità tutta intera ogni giorno. Questo ministero da Gesù è stato assegnato allo Spirito Santo, il quale si serve dei nuovi profeti, perché conducano il popolo di Dio di verità in verità fino alla pienezza della comprensione della verità che mai si esaurirà.

Quando il popolo di Dio non ascolta i profeti è segno che in esso non regna più la purezza della verità della salvezza, né quella scritta e né quella orale, né quella di ieri e né quella di oggi. Il popolo ha smarrito la via della verità, della giustizia, della vera santità. È un popolo immerso nelle tenebre, dal cuore impuro, pieno di peccato. Quando poi questo popolo si scaglia contro i veri profeti dello Spirito Santo e getta su di essi fango e luridume, è questo il fango morale e il luridume spirituale che è nel loro cuore. Il cuore impuro pronuncia cose impure e la mente lurida pensa cose luride per i veri profeti. Un coltivatore di putridume morale altro non può vendere se non putridume. Lo venderà servendosi della falsa testimonianza, della calunnia, della menzogna, dell'inganno, approfittando di anime anch'esse prive di Spirito Santo, perché maligne nell'anima e nel corpo, per spargere il suo putridume nel mondo. Il Signore permette che questo avvenga per saggiare dolcezza e mitezza dei suoi profeti.
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01/03/2013 06:56
 
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padre Lino Pedron


Gesù interpella di nuovo i capi del popolo facendo loro capire che è il momento dei frutti, il momento nel quale Dio chiede conto della sua vigna. L'applicazione è chiara: dopo aver rifiutato i profeti, i responsabili d'Israele possono ancora cogliere l'ultima occasione per pentirsi: accogliere il Figlio, l'erede. La parabola presenta la morte del Figlio come un crimine premeditato.
Dopo aver chiesto ai suoi interlocutori di tirare essi stessi le conclusioni della parabola (nel senso di Is 5,5-7), Gesù rende esplicito il loro giudizio. A chi sarà tolto il regno di Dio? Non a Israele, rappresentato dalla vigna, ma ai sommi sacerdoti e ai farisei, i quali "capirono che parlava di loro" (v. 45). E a chi sarà dato questo regno? "A un popolo che lo farà fruttificare" (v. 43). Per Matteo si tratta ancora di Israele, ma trasfigurato attraverso la presenza del Cristo risuscitato che adempie l'alleanza di Dio con gli uomini e fa loro produrre i suoi frutti.
I servitori mandati dal padrone della vigna sono i profeti. Ricordiamo due passi dell'Antico Testamento: "Il Signore inviò loro profeti perché li facessero ritornare a lui. Essi comunicarono loro il proprio messaggio, ma non furono ascoltati" (2Cr 24,19); "Da quando i vostri padri uscirono dal paese d'Egitto fino ad oggi, ho mandato a voi in continuazione tutti i servitori, i profeti. Ma non fui ascoltato e non mi si prestò orecchio; anzi rimasero ostinati e agirono peggio dei loro padri" (Ger 7,25-26). Neemia 9,26 constata in sintesi: "I tuoi profeti li ammonirono, ma essi li uccisero e commisero grandi iniquità".
Il Messia umiliato e ucciso diventerà, dal giorno della sua risurrezione, la pietra angolare della Chiesa, il suo fondamento incrollabile.
Fin dall'inizio la parabola ha richiamato la nostra attenzione sui frutti. I frutti del regno di Dio coincidono con la fedeltà nell'amore attivo, che è la sintesi della volontà di Dio. Alla fine il giudizio sarà in base ai frutti dell'amore fedele e attivo e non sull'appartenenza a Israele o alla Chiesa.
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02/03/2013 09:12
 
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padre Lino Pedron


Questa parabola rivela il centro del vangelo: Dio come Padre di tenerezza e di misericordia. Egli prova una gioia infinita quando vede tornare a casa il figlio da lontano, e invita tutti a gioire con lui.
Gesù fin dall'inizio mangia con i peccatori (cfr Lc 5,27-32). Ora invita anche i giusti. Attaccato da essi con cattiveria, li contrattacca con la sua bontà, perché vuole convertirli. Ma la loro conversione è più difficile di quella dei peccatori. Non vogliono accettare il comportamento di Dio Padre che ama gratuitamente e necessariamente tutti i suoi figli: la sua misericordia non è proporzionata ai meriti, ma alla miseria. I peccatori a causa della loro miseria sentono la necessità della misericordia. I giusti, che credono di essere privi di miseria, non accolgono la misericordia.
Questo brano è rivolto al giusto perché occupi il suo posto alla mensa del Padre: deve partecipare alla festa che egli fa per il proprio figlio perduto e ritrovato. Questa parabola non parla della conversione del peccatore alla giustizia, ma del giusto alla misericordia.
La grazia che Dio ha usato verso di noi, suoi nemici, deve rispecchiarsi nel nostro atteggiamento verso i nemici (cfr Lc 6,27-36) e verso i fratelli peccatori (cfr Lc 6,36-38). Il Padre non esclude dal suo cuore nessun figlio. Si esclude da lui solo chi esclude il fratello. Ma Gesù si preoccupa di ricuperare anche colui che, escludendo il fratello, si esclude dal Padre.
Nel mondo ci sono due categorie di persone: i peccatori e quelli che si credono giusti. I peccatori, ritenendosi senza diritti, hanno trovato il vero titolo per accostarsi a Dio. Egli infatti è pietà, tenerezza e grazia: per sua natura egli ama l'uomo non in proporzione dei suoi meriti, ma del suo bisogno.
I destinatari della parabola sono gli scribi e i farisei, che si credono giusti. Gesù li invita a convertirsi dalla propria giustizia che condanna i peccatori, alla misericordia del Padre che li giustifica. Mentre il peccatore sente il bisogno della misericordia di Dio, il giusto non la vuole né per sé né per gli altri, anzi, come Giona (4,9), si irrita grandemente con Dio perché usa misericordia.
La conversione è scoprire il volto di tenerezza del Padre, che Gesù ci rivela, volgersi dall'io a Dio, passare dalla delusione del proprio peccato, o dalla presunzione della propria giustizia, alla gioia di esser figli del Padre.
Radice del peccato è la cattiva opinione sul Padre: e questa opinione è comune ai due figli. Il più giovane, per liberarsi del Padre, si allontana da lui con le degradazioni della ribellione, della dimenticanza, dell'alienazione atea e del nihilismo. L'altro, per imbonirselo, diventa servile.
Ateismo e religione servile, dissolutezza e legalismo, nihilismo e vittimismo scaturiscono da un'unica fonte: la non conoscenza di Dio. Questi due figli, che rappresentano l'intera umanità, hanno un'idea sbagliata sul conto del Padre: lo ritengono un padre-padrone.
Questa parabola ha come primo intento di portare il fratello maggiore ad accettare che Dio è misericordia. Questa scoperta è una gioia immensa per il peccatore e una sconfitta mortale per il giusto. E' la conversione dalla propria giustizia alla misericordia di Dio. La conversione consiste nel rivolgersi al Padre che è tutto rivolto a noi e nel fare esperienza del suo amore per tutti i suoi figli. Per questo il giusto deve accettare un Dio che ama i peccatori. Per accettare il Padre bisogna convertirsi al fratello.
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