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L'UOMO E' RELIGIOSO PER NATURA

Ultimo Aggiornamento: 06/02/2015 22:06
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28/04/2012 23:07
 
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tratto dal libro IL SENSO RELIGIOSO di don Giussani

Capitolo 1: il senso religioso

 

‘Partire da se stessi’: è questo l’imperativo con cui si inizia il cammino di scoperta del reale. Evitare dunque di ragionare su concetti astratti (opinioni, disquisizioni, etc): al centro deve essere l’io, colto nel momento in cui incontra la realtà e si paragona con essa seriamente (io-in-azione).

In questo impegno con la vita si incontra da una parte la ‘tradizione’ (ciò che si riceve dal passato) e dall’altra il ‘presente’ (la realtà attuale di sé). La tradizione è il patrimonio in cui ci viene trasmessa l’esperienza degli altri; il presente è il luogo in cui l’io prende coscienza di ciò che lo costituisce. In questo modo emerge nel presente la straordinaria evidenza di un duplice fattore operante in noi: quello ‘materiale’ e quello ‘non-materiale’.

Il senso religioso è il fenomeno in cui si esprime nel modo più chiaro il fattore ‘non-materiale’ che ci costituisce.

La natura di questo senso religioso è quella di essere una grande domanda in cui ad esprimersi è il nostro stesso io. Domanda inevitabile, strutturale, insopprimibile. Domanda che esige una risposta esauriente, non parziale o superficiale.

Di fronte  a questa grande domanda sperimentiamo la sproporzione del nostro io in merito alla possibilità di trovarne la risposta. Questa sproporzione appare paradossalmente sempre più grande quanto più progredisce la nostra conoscenza del reale. La conseguenza di questo fatto è quella profonda tristezza-nostalgia che caratterizza ogni uomo che sia serio di fronte alla vita. L’io in effetti appare come una ‘promessa’: da qui la sua permanente ‘attesa’. Essa diventa dimensione di ogni gesto che l’uomo compie.

La conclusione è che se non si ammette l’esistenza di una risposta –benchè insondabile- si sopprime la domanda stessa che è l’uomo e la sua ragione.

  

Capitolo 2: atteggiamenti irragionevoli di fronte all’interrogativo ultimo

 Giussani indica sei atteggiamenti irragionevoli in cui comunemente l’uomo cade di fronte alla grande domanda che emerge dalla sua ragione e dal suo cuore.

Nelle prime tre (negazione teoretica del senso stesso della domanda; sostituzione di essa con un irrazionale volontarismo; negazione pratica o atarassia) si tenta una negazione radicale (svuotamento) della domandastessa, come se fosse priva di significato o di peso esistenziale.

Nelle seconde tre (riduzione a sentimento; negazione disperata della risposta; proiezione alienante della risposta nel futuro) si tenta di ridurre la domanda negando che abbia possibilità di risposta, pur considerandone il grande peso esistenziale.

Le conseguenze di questi atteggiamenti irragionevoli sono pesanti: la rottura con il passato (non c’è più legame tra l’esperienza degli uomini, privata di ogni significato), l’incomunicabilità e la solitudine (non ci si mette insieme per una più attenta sequela del Mistero Ultimo, ma solo per istintività, sentimentalità passeggera o sfruttamento reciproco), la perdita della libertà (l’uomo viene ridotto a prodotto dei suoi antecedenti biologici).

La conclusione è che la vera libertà consiste nella piena realizzazione di sé, cioè nella scoperta-incontro con l’Infinito, negando il quale si nega l’uomo stesso.

  

Capitolo 3: itinerario del senso religioso

 Ma come sorge la grande domanda in noi? C’è un itinerario che il nostro io compie quasi come una progressione.

Tutto comincia dall’incontro-impatto con la realtà: sorge lo stupore per la presenza delle cose, perché non le abbiamo fatte noi, ci sono date, sono ‘altro’ da noi e suscitano in noi un’attrattiva. Questa realtà si dimostra subito dopo come un ‘cosmo’, una realtà ordinata, strutturata secondo un disegno stupefacente. E, procedendo in questo sguardo al reale, esso ci appare come ‘provvidenziale’ all’io.

Il momento decisivo è quando l’io riguardo a sé prende coscienza di essere lui stesso dato a sé: io non mi do l’essere, dipendo da ‘altro’. Ecco allora cos’è l’io: tu-che-mi-fai, essendo questo ‘tu’ la realtà misteriosa che mi genera e che mi genera come un ‘io’. Sorge qui un dialogo che si chiama preghiera: scoprire al fondo di sé un altro.

Infine l’io si accorge di avere dentro di sé una legge non scritta che fa dire ‘questo è bene, questo è male’: non ce la diamo noi, è data, quasi imposta da altro.

Così la strada per arrivare al riconoscimento del Mistero Ultimo –cioè la strada della religiosità- è l’impegno con la realtà, considerata in tutta la sua ampiezza. La realtà è infatti ana-logia: parola che rimanda più in su.

 

A questo punto si è scoperto il concetto di segno: una realtà che rimanda ad un’altra realtà, una realtà il cui significato è un’altra realtà. E’ come una provocazione. Negare questa altra realtà sarebbe irrazionale.

Il rimando a questa altra realtà è esigito soprattutto dal segno potente che è il nostro io quando è considerata nel suo carattere esigenziale: la vita dell’io è esigenza di verità, felicità, giustizia, amore. Rimanda energicamente ad ‘altro’.

Questo altro è senza volto, ma per indicarlo il termine più adeguato è il ‘Tu’. Infatti il nostro io è ultimamente esigenza di un ‘tu’, come dimostra l’esperienza quotidiana (nulla ci appaga come il ‘tu’).

Questo ‘Tu’ rimane comunque ignoto; sorge l’idea di Mistero: è la percezione di un esistente ignoto, irraggiungibile, cui tutto il movimento dell’uomo è destinato, perché anche ne dipende.

Anche i termini che usiamo per indicarlo (in-finito, in-effabile, im-menso…) sono solo ‘negazioni’ per avvicinarsi ad un concetto inesprimibile: sono aperture al Mistero.

 

La ragione è costretta ad ammettere l’esistenza di questo ‘incomprensibile’. Ma la libertà dell’uomo può rifiutare questo riconoscimento.

La libertà è necessaria perché l’uomo possa essere se stesso, raggiungere liberamente il suo destino, riconoscerlo liberamente. Essa pone di fronte ad una opzione decisiva: o vado di fronte alla realtà spalancato e desideroso di conoscerla, oppure ci vado chiuso in una mia misura. E’ una opzione quotidiana.

Questa libertà si gioca nell’interpretazione di quel grande ‘segno’ che è tutta la realtà, il mondo.

Il problema fondamentale è dunque l’educazione della libertà come responsabilità, cioè come capacità di rispondere alla grande chiamata della realtà. Richiede un atteggiamento insieme di domanda e di positività (cioè ammettere la possibilità della risposta).

L’uomo si incontra qui con l’esperienza del rischio. Esso non è la mancanza di ragioni, ma una debolezza quasi psicologica e strutturale a seguire l’indicazione della ragione. Questa debolezza viene superata solo attraverso il fenomeno della comunità. 

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