00 24/04/2014 09:47
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6) L'idea di un Messia risorto dai morti era una idea scandalosa e inconcepibile nel contesto giudaico da cui provenivano i discepoli di Gesù e non poteva derivare dai miti di morte e rinascita di dèi ed eroi propri della cultura greco-romana.

L'idea di un Gesù risuscitato dai morti non ha alcuna continuità con ciò che il popolo ebreo conosceva già di Dio. Era uno scandalo. Una speranza di risurrezione corporea alla fine dei tempi emerge in due testi apocalittici che vengono generalmente datati al II sec. a. C. (Is 26,19; Dan 12,2-3). Un libro deuterocanonico – libro dell'Antico Testamento scritto in greco accolto dalla Chiesa cattolica tra i libri sacri ma non dalla religione ebraica – registra un'attesa simile verso una nuova vita attraverso la risurrezione (2 Macc 7,9-14; 12,44). Anche molte opere apocrife attestano questa speranza nella risurrezione (Enoch etiopicoTestamento dei Dodici Patriarchi). Gli ebrei credevano per lo più nella risurrezione dei morti come destino di tutto il popolo di Dio, forse di tutti gli uomini, ma non nella risurrezione attuale di una persona. Gli stessi apostoli, in quanto ebrei devoti, ritenevano che la risurrezione sarebbe avvenuta per tutti alla fine dei tempi. E soprattutto, nessun ebreo aveva prospettato la risurrezione di un Messia crocifisso. Paolo perseguitava i cristiani proprio perché questi ebrei avevano compromesso il monoteismo ebraico adorando Gesù come il Signore.

Il biblista don Bruno Maggioni ha spiegato ad Aleteia “che l'intento non apologetico degli evangelisti si manifesta chiaramente in questa idea del tutto rivoluzionaria di Dio che si rivela in Gesù Cristo, completamente diversa da come gli uomini lo immaginavano fino ad allora: non un imperatore in trono, non onnipotente, non trionfatore”. Per don Rinaldo Fabris: “Tra la fine del I sec. e l'inizio del II sec., troviamo un movimento che si distingue nettamente e si stacca da giudaismo fondandosi su un pensiero inconcepibile, e che non si spiega senza una esperienza reale diretta e che il Gesù non solo era un profeta, un martire, un Messia di carattere politico, un riformatore. Una esperienza totalizzante che subentra a scardinare la mentalità dominante”.

Nel cercare motivazioni a questa netta cesura creata dalla comunità cristiana c'è chi ha tentato di leggere il Nuovo Testamento alla luce delle religioni greco-romane e orientali, giungendo alla formulare la teoria, secondo cui Paolo e gli autori dei Vangeli avrebbero elaborato la concezione di Gesù inteso come figura di culto analoga a quella delle religioni misteriche ellenistiche. A Gesù sarebbe stato applicato il mito di un eroe – come aveva già fatto il filosofo pagano del II sec. Celso nell'opera La vera dottrina – o di un dio morto e risuscitato, come accadde per Iside e Osiride in Egitto, Adone e Astarte e poi Attis e Cibele in Asia Minore. La fede nella risurrezione, tuttavia, è sorta a Gerusalemme, nel cuore dell’ebraismo che rigetta i miti idolatrici. La fede in Gesù risorto esiste già subito dopo la sua morte, cosicché si esclude ogni possibilità di influsso di tali miti. E', inoltre, difficile che i cristiani del primo secolo che aderivano profondamente alla nuova fede ed avevano un retroterra culturale giudaico, abbiano potuto attingere a uno schema mitologico di stampo greco-romano.

7) La risurrezione di Gesù non è tuttavia un dato “scientifico” incontrovertibile: credere in essa è sempre, in ultima analisi, un atto di fede.

La questione della fede nella risurrezione di Gesù non può essere risolta dalla sola prova storica. Accettare la verità della risurrezione e credere in Gesù Cristo risorto è molto più che un semplice ragionamento fondato su annunci e fatti chiusi nel passato cui aderire intellettualmente. Dio entra nel mondo in modo inaspettato, scioccante e paradossale. Come ha scritto il cardinale Gianfranco Ravasi nella introduzione a Inchiesta sulla resurrezione di Andrea Tornielli, indagando nei Vangeli sulla risurrezione di Cristo, “si procede quasi come su un crinale tagliente lungo il quale si devono muovere i piedi con molta circospezione, col rischio costante di scivolare lungo il versante in penombra della storia, ove conta solo ciò che è validamente attestato e sperimentalmente documentato, oppure di avviarsi lungo il versante abbagliante della luce pasquale, della gloria e dell’esperienza di fede”. Il rischio, per dirla con Pascal, è quello di cadere in “due eccessi: escludere la ragione, non ammettere che la ragione”. Don Giuseppe Ghiberti, teologo e biblista che da anni si occupa della Sindone di Torino, ha commentato ad Aleteia: “Della risurrezione non c’è stata esperienza esterna diretta. Tutto fa pensare che quella esperienza non fosse possibile; comunque i primi testimoni sono giunti a fatto avvenuto. Le conseguenze invece sono storicamente qualificabili: colui che era morto, e che era nella impossibilità di qualsiasi rapporto interpersonale con la mediazione del corpo, dopo un tempo ben determinato rientra in rapporto umano, a dimensione corporea, con più interlocutori, in più circostanze. L’interpretazione di questo dato fattuale è offerta dalla fede”.