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La Bibbia è credibile?

Ultimo Aggiornamento: 30/06/2018 00:33
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09/02/2012 11:49
 
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Gli autori dei Vangeli sono attendibili?


di Marco Fasol*
*docente di storia e filosofia

 

Nel mio ultimo articolo ho esposto alcune ragioni sul perché i Vangeli possono essere ritenuti un’opera di grande attendibilità storica. Ora ci occupiamo dei loro autori: un criterio importante per dimostrare l’attendibilità degli evangelisti ci viene dato dalla filologia. L’analisi linguistica rivela infatti  che i vangeli canonici, anche se scritti in greco, hanno numerosi termini, frasi e costruzioni di derivazione ebraica o aramaica, le lingue parlate da Gesù. L’aramaico era il dialetto parlato, l’ebraico, molto simile, era la lingua scritta.

Gli autori dei vangeli dovevano essere proprio testimoni diretti dei suoi discorsi, delle sue frasi tipiche, perché i testi conservano alla lettera questo originalissimo stile aramaico. Jean Carmignac ha così riassunto la sua esperienza di filologo, specializzatosi per trent’anni nell’ebraico di Qumram:  “Vidi che il traduttore ebreo-greco (del vangelo di Marco) aveva trasportato parola per parola conservando in greco l’ordine delle parole voluto dalla grammatica ebraica… L’anima invisibile era semitica, ma il corpo visibile era greco”. E’ ormai unanime tra gli studiosi il consenso su questo sottofondo semitico, dopo gli studi di J. Jeremias, J. Dunn, J. P. Meyer.

 
Alcuni esempi dimostrano che gli autori parlavano proprio la stessa madrelingua di Gesù e ci hanno conservato le originali creazioni linguistiche del maestro:

a)   Il testo greco mantiene numerose parole aramaiche, non tradotte: amèn = in verità, almeno 50 volte.  Abbà = papà”, unicum in tutta la letteratura rabbinica. Nessuno aveva mai osato esprimersi con questo vocativo in una preghiera rivolta a Dio. Osanna (salvaci), sabbath (sabato), talita qumi (“ragazza, alzati”) effatà (apriti), Eloì, Eloìlammà sabactani (Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato) , mammona (denaro) raka (stolto),… sono 26 le parole aramaiche nei Vangeli (Joachim Jeremias), senza contare i nomi propri (Golgotha, Getsemani, Bethsaida, Bethlem…)

b)   Parallelismo antiteticoun’unica idea viene espressa con due frasi, una negativa e l’altra positiva. Viene così facilitata la memoria: “Non sono venuto per essere servito // ma per servire”.   “Non sono venuto per i sani // ma per i malati.”    “I cieli e la terra passeranno // ma le mie parole non passeranno”.   “Vi è stato detto: ama il prossimo ed odia il nemico // ma io vi dico: amate i vostri nemici”. Più di cento esempi nei Vangeli! E’ uno stile tipico dell’ebraico. Nell’ebraico, però, è la prima frase la più importante. Gesù ha introdotto una novità: ha voluto concentrare il messaggio forte, più significativo, nella seconda frase, come si vede dagli esempi. E’ la seconda frase che annuncia la luce, la novità del vangelo, come in chiaroscuro. E rimane nella memoria.

c)   Passivo teologicoper osservare con il massimo scrupolo il secondo comandamento che vieta qualsiasi abuso del nome di Dio, Gesù ricorre almeno sessanta volte alla costruzione passiva della frase, lasciando il complemento d’agente sottinteso: “Beati gli afflitti, perché saranno consolati” (da Dio). “Beati gli affamati di giustizia… perché saranno saziati” (da Dio). “Chiedete e vi sarà dato. Bussate e vi sarà aperto” . “Ciò che legherai sulla terra, sarà legato nei cieli…” E’ una novità linguistica senza corrispettivi nella letteratura ebraica dell’epoca.

d)   Costruzione ebraica della frase: rare le subordinate (paratassi, più che ipotassi); la struttura è spesso sovrabbondante, secondo lo stile semitico, molto lontano dal periodare greco: “ha aperto la bocca ed ha parlato”,… “ha alzato gli occhi ed ha visto”…”ha preso la parola ed ha detto”…  Anticipazione del predicato e di complementi al soggetto: “in principio era  il  Verbo”.

e)   Le parabolepiù di quaranta creazioni originalissime di Gesù. Si distinguono da tutti gli esempi simili nelle letterature antiche. I protagonisti, infatti, sono uomini comuni, con messaggi morali indimenticabili, grazie alla concretezza delle immagini, molto più incisive rispetto a norme universali. La paternità misericordiosa di Dio, il perdono, l’amore agapico… sono novità assolute. Le parabole sono anche un’arma polemica che stigmatizza l’ipocrisia del ceto dirigente. Il testo greco è spesso strutturato con stilemi aramaici quali parallelismi, assonanze, ripetizioni ritmate ecc.

f)    Espressioni ebraiche tipiche: figlio della luce (Lc 16,8) , figlio delle tenebre, figlio della pace, figlio del banchetto…

g)   Assonanze e ripetizioni, per facilitare la memoria. E’ uno stile estraneo al greco. “Il seminatore uscì a seminare e mentre seminava una parte del seme…”. “Temettero di grande timore”, “gioirono di grande gioia”, “desiderai con grande desiderio”.

In conclusione, il testo greco dei Vangeli è scritto da testimoni oculari diretti di Gesù, fedeli ai suoi ipsissima verba.  Un’origine tardiva dei Vangeli è improponibile a livello linguistico. Solo gli ascoltatori diretti delle parole di Gesù potevano scrivere un testo così pieno di aramaismi. L’esperienza diretta, per ogni testo storico, è evidentemente un criterio di grande attendibilità.

 

Questa attendibilità degli autori è ulteriormente avvalorata anche dalle seguenti considerazioni.

  • Martiri   per   testimoniare   quanto   avevano   scritto. Quasi tutti gli autori del Nuovo Testamento: Pietro, Paolo, Luca, Matteo, Marco, Giuda Taddeo, Giacomo … morirono martiri per quello che avevano scritto. Diedero la vita pur di non rinnegare quello che avevano predicato e scritto.

 

  •  Raccontano colpe e difetti.  Gli evangelisti hanno presentato anche fatti che avrebbero potuto tacere per rendere umanamente più verosimile il racconto (verosimile secondo una logica naturale).   Ad esempio hanno sostenuto laconcezione verginale di Maria, hanno descritto il pianto di Cristo, il suo sudar sangue, hanno evidenziato i loro difetti personali e le loro colpe (il rinnegamento di Pietro, la loro mancanza di fede durante la passione), hanno descritto le sofferenze e le umiliazioni  del Maestro… Hanno riferito che alcune donne furono le prime testimoni della risurrezione, benché la testimonianza femminile non fosse giuridicamente accettata in quell’epoca.   Si tratta di tanti episodi che secondo una logica “umana” avrebbero potuto sminuire Gesù e la sua comunità. Invece si ha l’impressione che agli evangelisti interessasse il fatto oggettivo, realmente accaduto, anche se questo andava contro le aspettative umane e sembrava essere “imbarazzante” (criterio dell’imbarazzo, indica l’oggettività del racconto).

 

  • La   sobrietà   dello   stile   narrativo. Il racconto evangelico non presenta toni epici o spettacolari. La nascita di Gesù è narrata in due righe, così la guarigione del cieco nato. Gesù è presentato in tutta la sua umanità, umiliato fino alla morte di croce. Il momento della risurrezione non viene descritto; solo le apparizioni del risorto vengono raccontate, e la descrizione presenta toni tutt’altro che epici ed esaltati.  Da queste considerazioni si ricava unafedeltà al dato storico, anche quando questo potrebbe incontrare difficoltà ad essere creduto. Il grande teologo Karl Barth nota come l’annuncio di un Dio fatto uomo, che si lasciava umiliare e crocifiggere, e che addirittura risorgeva da morte, doveva essere uno scandalo difficilissimo da accettare per la ragione e in particolare per la mentalità ebraica che si aspettava un Messia vincitore e capace di sconfiggere militarmente i nemici d’Israele.  Ed anche per i pagani fu uno scandalo, come risulta dal discorso di Paolo all’Areopago (Atti 17). Gli evangelisti non volevano, insomma, “adattare” il racconto agli ascoltatori, ma raccontare i fatti per quello che erano, anche se ciò costava loro derisioni, incomprensioni e persecuzioni.

 

  • Un popolo intero di testimoni. Un popolo intero era stato testimone dei fatti narrati nei Vangeli, eppure nessuna smentita dei fatti. E’ chiaro che, ad esempio, l’annuncio della risurrezione non avrebbe potuto reggere neppure un pomeriggio se non ci fosse stato davvero il sepolcro vuoto, visibile a tutti e se non ci fossero state le apparizioni del Risorto.  E così i miracoli della moltiplicazione dei pani, o della guarigione del cieco nato, o della risurrezione di Lazzaro, erano tutti facilmente smentibili dagli abitanti di Gerusalemme che avrebbero coperto di ridicolo un racconto falso e inventato.    Migliaia furono poi i martiri contemporanei a Cristo, che hanno testimoniato con la vita quello che affermavano. Tacito parla di una “ingens multitudo” di martiri sotto Nerone (64-67 d. C.). Questo martirio in nome della fedeltà alla propria coscienza è un fatto assolutamente nuovo per la mentalità greco-romana, in cui si riteneva che la legge politica avesse un’autorità inderogabile.  Questa novità, questa “obiezione di coscienza”  (di cui furono protagonisti non individui eccezionali come Antigone o Socrate, ma enormi moltitudini) non è storicamente spiegabile senza una motivazione oggettiva e storicamente fondata.

 

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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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