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"Le mie prigioni" è il titolo di un libro di memorie scritto e pubblicato da Silvio Pellico nel Novembre del 1832. In esso è raccontata la dura esperienza carceraria che patì il patriota nativo di Saluzzo, in Piemonte, per dieci anni circa, dal 13 Ottobre del 1820 al 17 Settembre del 1830.

L'opera ottenne uno straordinario successo di pubblico, non soltanto all'interno dei territori della penisola italiana, ma anche all'Estero, in tutta Europa e negli Stati Uniti d'America. In virtù di questo successo Vincenzo Gioberti dedicò al Pellico il trattato del "Primato morale e civile degli Italiani", lo scrittore russo Aleksandr Puškin parlò di lui con ammirazione definendolo un «martire mansueto» e, per restare ai soli casi più significativi, Luigi Filippo, duca d'Orleans e re di Francia dal 1830 al 1848, pensò di affidargli l'educazione del più giovane dei propri figli.

Ma Pellico, che prima dell'arresto era stato precettore di diversi giovani nobili, dopo la scarcerazione preferì ritirarsi nell'ombra, e concluse i propri giorni da bibliotecario al servizio della famiglia del Marchese di Barolo, lontano dagli ardori e dall'impegno di gioventù, che gli erano costati tanto cari.

A lungo considerata un atto d'accusa all'impero austriaco – e in ciò tanto peso avranno le stesse parole del cancelliere di corte dell'impero, Metternich, che riferendosi alla diffusione dell'opera parlò per l'Austria di un danno più grave di una battaglia perduta – e un'opera simbolo del Risorgimento italiano, la narrazione della prigionia di Pellico è stata negli ultimi anni vagliata con maggiore attenzione dalla critica e dalla storia della letteratura, che ne hanno chiarito il reale proponimento, non patriottico e rivendicativo, quanto piuttosto intimistico, religioso, morale.

Pellico ne "Le mie prigioni" voleva infatti fornire un esempio di fede e pazienza, voleva dimostrare come con l'aiuto di Dio, delle Sacre Scritture e della Provvidenza, anche le più dure esperienze potessero essere superate. L'opera dà conto anche dell'evoluzione della personalità del Pellico, della sua edificazione morale. Con uno stile secco ed asciutto, che rifugge tanto dall'invettiva fine a se stessa quanto dal patetismo esasperato, grazie ad un linguaggio capace di aderire alla realtà dei fatti, senza perdersi in ambagi ed ampollosità, Pellico racconta i lunghi anni del carcere, dalla prima detenzione milanese di Santa Margherita, fino al durissimo periodo trascorso nel carcere austriaco dello Spielberg, anni tuttavia allietati dalla tenerezza di quanti saranno al fianco del saluzzese, amici, compagni di prigionia, ma anche alcuni carcerieri, come l'indimenticabile Schiller.