00 23/01/2011 22:20

(di Mons.Biffi)

A ben guardare, il nostro disagio nasce dal fatto che non solo di complessità molte volte si tratta, ma anche di eterogeneità: le voci che risuonano nei moderni areopaghi sono spesso del tutto estranee tra loro e incomunicabili, sicché il dialogo - da tutti invocato - quando non è superficiale e retorico, è senza approdi gratificanti.

È notevole che si tratta, per così dire, di una "eterogeneità soddisfatta". È una confusione delle lingue dove tutti sono benvenuti. Quanto più eterogeneo è il multiloquio, tanto più appare esaltato e si radica nelle coscienze il solo assioma che nessuno oggi contesta - una specie di verità di fede senza Rivelazione - e cioè la "relatività assoluta" (per così dire) di ogni affermazione e la certezza dell'impossibilità a raggiungere delle vere certezze.

In questo affollato circolo culturale - dove più gente entra più lo spettacolo si fa agli occhi di molti piacevole e interessante - i soli a non essere graditi e a venire guardati con sufficienza, perché ritenuti intolleranti e dogmatici (e quindi impresentabili nella società moderna e postmoderna), sono quelli che contestano la "verità di fede" di cui si parlava e rifiutano l'indiscutibilità delle premesse relativistiche e scettiche.

Quanto ai dogmatismi, sarebbe onesto riconoscere che ciascuno ha i suoi, e li ritiene indiscutibili, mentre biasima fieramente quelli degli altri. In realtà, senza qualche certezza preliminare e fondante, non si può dire alcunché, neppure la tavola pitagorica; non si può scrivere neppure il sillabario.

Una differenza sostanziale però c'è tra i così detti dogmatismi: ci sono certezze che, appoggiate sul niente, avviano l'uomo al niente; e ci sono certezze che provengono dall'Essere che si manifesta, e guidano verso la vita eterna.