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Il santo Fratel Benildo   


           

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I testimoni del Fratel Benildo dicono sul suo amore per la regolarità le cose più belle. «La Regola fu tutta la sua vita, afferma uno di essi; si può dire, anzi, che egli non conosceva nulla così perfettamente come quella». E un altro: «Non ho mai visto nessuno operare come lui; anche malato, si trascinava agli Esercizi comuni con la fedeltà di un Novizio; egli era la Regola vivente». E ancora: «Per essere un santo, credo che basti osservare la Regola come ha fatto lui».
Non c’è chi non veda, osservando il corso silenzioso e modesto della sua vita, come questa sia una fusione di due volontà, quella propria e quella divina (notificata dai precetti che improntano le regole della vita religiosa), sia stata costantemente fedele.
Così lo stesso Fratel Benildo: «Je serais heureux si je pouvais mourir en accomplissant un point de Règle».

E ancora. La visione fugace che stiamo dando, si arresta sopra un altro aspetto, che lo qualifica e investe tutta la sua esistenza. Fu un maestro, un maestro di scuola elementare e popolare, un maestro d’un Istituto quant’altri mai insigne e benemerito dell’istruzione e dell’educazione della gioventù. Un umile maestro, povero, malaticcio, in un paese di montagna.
Basta questo titolo per dirlo santo? Siamo tentati di dire che sì. Quale altro titolo rivendicò a se stesso Gesù, che quello di Maestro (cf. Matth. 23, 8; Io. 13, 14)?
La sua biografia lo documenta, specialmente per i meriti che fanno anche d’un oscuro insegnante un uomo grande e benefico; i meriti della sapienza, dell’abnegazione, dell’amore.

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