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Maria, la Madre del Signore

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    AmarDio
    00 03/02/2010 17:01

    dalla II^ lettera di Cirillo a Nestorio, inserita negli atti del Concilio di Efeso.


    ....confesseremo un solo Cristo un solo Signore; non adoreremo l'uomo e il Verbo insieme, col pericolo di introdurre una parvenza di divisione dicendo insieme, ma adoriamo un unico e medesimo (Cristo), perché il suo corpo non è estraneo al Verbo, quel corpo con cui siede vicino al Padre; e non sono certo due Figli a sedere col Padre ma uno, con la propria carne, nella sua unità. Se noi rigettiamo l'unità di persona, perché impossibile o indegna (del Verbo) arriviamo a dire che vi sono due Figli: è necessario, infatti definire bene ogni cosa, e dire da una parte che l'uomo è stato onorato col titolo di figlio (di Dio), e che, d'altra parte il Verbo di Dio ha il nome e la realtà della filiazione. Non dobbiamo perciò dividere in due figli l'unico Signore Gesù Cristo. E ciò non gioverebbe in alcun modo alla fede ancorché alcuni parlino di unione delle persone: poiché non dice la Scrittura che il Verbo di Dio sì è unita la persona di un uomo ma che si fece carne (5). Ora che il Verbo si sia fatto carne non è altro se non che è divenuto partecipe, come noi, della carne e del sangue (6): fece proprio il nostro corpo, e fu generato come un uomo da una donna, senza perdere la sua divinità o l'essere nato dal Padre, ma rimanendo, anche nell'assunzione della carne, quello che era.

    Questo afferma dovunque la fede ortodossa, questo troviamo presso i santi padri. Perciò essi non dubitarono di chiamare la santa Vergine madre di Dio, non certo, perché la natura del Verbo o la sua divinità avesse avuto l’origine del suo essere dalla santa Vergine, ma perché nacque da essa il santo corpo dotato di anima razionale, a cui è unito sostanzialmente, si dice che il verbo è nato secondo la carne.

    Scrivo queste cose anche ora spinto dall'amore di Cristo esortandoti come un fratello, scongiurandoti, al cospetto di Dio e dei suoi angeli eletti, di voler credere e insegnare con noi queste verità, perché sia salva la pace delle chiese, e rimanga indissolubile il vincolo della concordia e dell’amore tra i sacerdoti di Dio.

    Dalla Summa contra gentiles di S.Tommaso d'Aquino: libro quarto Cap.34 par.13 :

    < Si dice che uno è figlio di una data madre, per il fatto che ha desunto da essa il proprio corpo, sebbene l'anima derivi da una causa esteriore. Ora, il corpo di Cristo fu desunto dalla Vergine Madre....quel corpo era il corpo del figlio naturale di Dio, cioè del Verbo di Dio. Dunque è giusto dire che la Beata Vergine è "Madre del Verbo di Dio" e anche Madre di Dio", sebbene la divinità del Verbo non sia desunta dalla Madre. Infatti non è necessario che un figlio desuma dalla madre tutto quello che egli è nella sua sostanza, ma basta che ne desuma il corpo.>

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    AmarDio
    00 03/02/2010 17:02
    L'ERRORE CIRCA L'UNIONE DEL VERBO CON L'UOMO

    Dalla "Summa contra Gentiles" di S.Tommaso D'Aquino; libro Quarto cap.34

    (Alcuni come Nestorio: ndr) ...affermavano che in Cristo, l'anima umana e un vero corpo umano, confluiscono in una unione naturale a costituire un uomo della stessa specie e natura degli altri uomini; e che in tale uomo Dio ha abitato come nel proprio tempio, cioè mediante la grazia, ossia come negli altri uomini santi.

    Ecco perché egli avrebbe detto ai Giudei (Giov., II, 19): «Distruggete questo tempio ed io in tre giorni lo rimetterò in piedi » ; e l'Evangelista spiega [v. 21] : «Egli però diceva del tempio del proprio corpo>. Inoltre l'Apostolo scrivendo ai Colossesi afferma: «In lui Dio volle che abitasse tutta la pienezza » (Col,, I, 19). - Da ciò sarebbe poi derivata un'unione affettiva tra quell'uomo e Dio; poiché quell'uomo avrebbe aderito a Dio con la sua buona volontà, e Dio con la sua volontà lo avrebbe accolto, secondo le parole riferite in Giov., VIII, 29 : « Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo; perciò io faccio sempre quello che a lui piace>>; cosicché in Cristo l'unione tra l'uomo e Dio sarebbe simile all'unione di cui parla l'Apostolo in I Cor., VI, 17: «Chi aderisce a Dio diviene un solo spirito con lui>>. - E come per quest'unione vengono attribuiti agli uomini nomi che propriamente appartengono a Dio, cosicché essi vengono denominati « dèi », « figli di Dio», « signori », «santi» e «cristi», come risulta dai vari testi della Scrittura; così convengono all'uomo suddetto nomi divini, in modo da potersi denominare, per l'inabitazione di Dio e per l'unione affettiva con lui, « Dio », « Figlio di Dio », « Signore », «Santo » e « Cristo ». - Tuttavia, siccome in codesto uomo la pienezza della grazia fu maggiore che negli altri santi, egli fu più di tutti gli altri tempio di Dio, e più di essi unito a Dio con l'affetto, così da partecipare i nomi divini per un singolare e particolare privilegio. E per questa eccellenza della grazia egli fu reso partecipe della dignità e dell'onore di Dio, in modo da essere coadorato con Dio. - E così, secondo codeste tesi, è necessario che la persona del Verbo di Dio sia distinta da quella di quell'uomo il quale è coadorato col Verbo di Dio. E se si attribuisce ad entrambi un'unica persona, lo si fa per l'unione affettiva suddetta: cosicché di essi si direbbe che sono un'unica persona, come si dice che marito e moglie « non sono più due, ma un'unica carne» [Matt., 19, 6]. " E poiché tale unione non fa sì che quanto si dice di uno si possa affermare dell'altro (infatti non tutto ciò che si attribuisce al marito è vero della moglie, e viceversa), nell'unione del Verbo con l'uomo suddetto costoro pensano che si debba fare attenzione, perché non si possono predicare del Verbo di Dio, o di Dio, cose che sono proprie dell'uomo assunto, e riguardanti la natura umana. Dell'uomo assunto, per es. si dice che è nato dalla Vergine, che ha patito, che e morto ed è stato sepolto, ed altre cose del genere; e queste cose, secondo loro, non si devono dire di Dio, o del Verbo di Dio. - Invece ci sono dei nomi, che pur riferendosi principalmente a Dio, vengono in qualche modo comunicati agli uomini, quali «Cristo», «Signore», «Santo», e persino «Figlio di Dio»; ebbene, codesti nomi, secondo costoro, niente impedisce di attribuirli all' uomo assunto. Perciò sarebbe giusto, secondo loro, dire che Cristo, « Signore della gloria », « Santo dei Santi » e « Figlio di Dio » è nato dalla Vergine, ha sofferto e morto ed è stato sepolto. -

    Ecco perché essi affermano che la Beata Vergine deve essere denominata non madre di Dio, o del Verbo di Dio, bensì madre di Cristo.

    Ma a ben considerare le cose, si avverte che codesta tesi esclude la verità dell'Incarnazione.

    Infatti:

    1. Secondo codesta tesi il Verbo di Dio non si sarebbe unito all'uomo assunto se non secondo l'inabitazione che si ha con la grazia, dalla quale deriva l'unione della volontà. Ma l'inabitazione del Verbo di Dio nell'uomo non equivale alla sua incarnazione. Poiché il Verbo di Dio e Dio stesso, fin dall'origine ha abitato in tutti i santi, come si rileva dalle parole di S. Paolo in // Cor., VI, 16: «Voi siete il tempio del Dio vivo, come dice il Signore: "Io abiterò in mezzo a loro" »; ma codesta inabitazione non può dirsi incarnazione; altrimenti Dio si sarebbe incarnato spesso dall'inizio del mondo. - E per avere l'incarnazione non basta neppure che il Verbo di Dio, o Dio, abbia abitato nell'uomo assunto con una grazia più abbondante : perché il più e il meno non possono diversificare la specie della loro unione. - Perciò, siccome la religione cristiana si fonda sulla fede dell'Incarnazione, è evidente che la tesi suddetta distrugge il fondamento della religione cristiana.

    2. Dal modo stesso di esprimersi della Scrittura appare la falsità della tesi suddetta. Infatti la Sacra Scrittura esprime l'inabitazione del Verbo di Dio nei santi con le frasi seguenti: «II Signore parlo a Mosè»; «Disse il Signore a Mosè»; «La parola di Dio fu rivolta a Geremia», oppure a qualche altro profeta; «La parola del Signore fu comunicata ad Aggeo profeta » ; e mai si legge che « la parola o Verbo di Dio si è fatta » o Mosè, o Geremia, o qualche altro. Invece l'Evangelista descrive in questo modo singolare, di cui già sopra abbiamo parlato [c. 33] l'unione del Verbo di Dio con la carne di Cristo: «II Verbo si è fatto carne» [Giov., I, 14]. Perciò è evidente che secondo l'insegnamento della Scrittura, il Verbo di Dio era nell'uomo Cristo non mediante la sola inabitazione.

    3. Tutto ciò che si è fatto qualcosa, è appunto la cosa che si è fatta: l'essere che si è fatto uomo, p. es., è uomo; e ciò che si è fatto bianco è bianco. Ma il Verbo di Dio si è fatto uomo, come si rileva da quanto abbiamo detto. Perciò il Verbo di Dio è un uomo. Ora, è impossibile che due esseri i quali differiscono per la persona, ipostasi o supposito, possano predicarsi l'uno dell'altro: poiché quando si dice che « l'uomo è un animale », la realtà stessa che è animale è uomo; e quando si dice che « l'uomo è bianco », si vuoi dire che quel dato uomo è bianco, sebbene la bianchezza sia estranea alla nozione di uomo. Quindi in nessun modo si può dire che Socrate sia Plafone, o un altro soggetto singolare della medesima o di un'altra specie. Perciò se il «Verbo si è fatto carne», cioè « uomo », come afferma l'Evangelista, è impossibile che il Verbo di Dio e l'uomo assunto abbiano due persone distinte, o due ipostasi, o due suppositi.

    4. I pronomi dimostrativi si riferiscono alla persona, ipostasi o supposito: infatti nessuno direbbe: «Io corro», mentre è un altro a correre, se non in senso figurato, in quanto l'altro corre al posto mio. Ora, l'uomo che fu chiamato Gesù dice di se stesso: «Prima che Abramo fosse, io sono» (Giov., VIII, 58); e ancora: «Io e il Padre siamo una cosa sola» (Giov., 10, 30), e molte altre cose che si riferiscono chiaramente alla divinità del Verbo. Dunque è evidente che la persona o ipostasi di quell'uomo che parlava così è la persona stessa del Figlio di Dio.

    5. Dalle cose già dette è evidente che non discesero dal cielo nè il corpo di Cristo, secondo l'errore di Valentino [c. 30], nè la sua anima, secondo l'errore di Origene [e. 33]. Si deve quindi concludere che il Verbo di Dio è disceso non localmente, bensì per la sua unione con una natura inferiore, come abbiamo già spiegato [c. 30]. Ebbene, codesto uomo, parlando in prima persona, dice di essere disceso dal cielo : « Io sono il pane vivo disceso dal cielo » (Giov 6, 51). Dunque e necessario che la persona, o ipostasi di codesto uomo sia la persona del Verbo di Dio.

    6. È chiaro che a Cristo in quanto uomo va attribuita l'ascensione al cielo; poiché, come è detto in Atti, I, 9, « vedendolo gli Apostoli, egli si elevò ». E d'altra parte discendere dal cielo va attribuito al Verbo di Dio. Ora, l'Apostolo afferma in Ef., 4, 10 : « Colui che discese è quello stesso che ascese.». Dunque la persona, o ipostasi di codesto uomo è identica alla persona, o ipostasi del Verbo di Dio.

    7. A colui che ha origine dal mondo e che prima di essere nel mondo non esìsteva, non si può attribuire di « venire nel mondo ». Ora, l'uomo Cristo, secondo la carne ha origine dal mondo, poiché come abbiamo già visto [cc. 29 ss.], egli ebbe un vero corpo umano e terrestre; e secondo l'anima non è esistito prima di essere nel mondo. Egli infatti ebbe una vera anima umana, la quale per natura non esiste prima di unirsi al corpo [cfr. lib. II, cc. 83 ss.]. Quindi a codesto uomo non spetta di « venire nel mondo » in forza della sua umanità. Ora, lui dice di essere venuto nel mondo : « Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo » (Giov. 16, 28). Dunque è chiaro che quanto spetta al Verbo di Dio viene con verità affermato di quell'uomo: che infatti al Verbo di Dio spetti di venire al mondo lo mostra chiaramente l'Evangelista Giovanni, quando scrive: « Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, e il mondo non lo conobbe: venne in casa propria» (Giov. I, 10). Dunque è necessario che la persona, o ipostasi di colui che così si esprime sia la persona o ipostasi del Verbo di Dio.

    8. L'Apostolo scrive: «Entrando nel mondo egli dice: Non hai voluto nè sacrificio nè oblazione, ma a me hai formato un corpo » (Ebr., 10, 5). Ebbene, colui che cosi entra nel mondo è il Verbo di Dio, come qui sopra abbiamo visto [a. 7]. Quindi il corpo fu formato al Verbo di Dio, in modo da essere il suo corpo. Ora, questo non si potrebbe affermare, se l'ipostasi dell'uomo assunto non fosse identica a quella del Verbo di Dio. Dunque è necessariamente identica l'ipostasi del Verbo di Dio a quella dell'uomo assunto,

    9. Ogni mutazione o menomazione inflitta al corpo di qualcuno, si può attribuire a colui cui quel corpo appartiene. Infatti se il corpo di Pietro, p. es., viene ferito, flagellato o ucciso, si può dire che viene ferito, flagellato e ucciso Pietro stesso. Ora, il corpo dell'uomo assunto era il corpo del Verbo di Dio, come sopra abbiamo visto [n. 8]. Quindi tutte le menomazioni inflitte al corpo di quell'uomo si possono attribuire al Verbo di Dio. Dunque giustamente si può affermare che il Verbo di Dio, e Dio stesso, ha sofferto, è stato crocifìsso, è morto ed è stato sepolto. Cosa che invece Teodoro e Nestorio negavano.

    10. L'Apostolo scrive : « Era conveniente che colui dal quale e per il quale tutte le cose furono fatte, e che aveva condotto alla gloria molti figliuoli, quale autore della loro salvezza, raggiungesse il compimento mediante la passione » (Ebr., 2, 10). Dalle quali parole si rileva che colui dal quale e per il quale esistono tutte le cose, che conduce gli uomini alla gloria, ed è l'autore della salvezza umana, ha sofferto ed è morto. Ora, queste quattro cose appartengono esclusivamente a Dio, e non si possono attribuire a nessun altro; poiché sta scritto in Prov., 16, 4: «Tutte le cose il Signore le ha create da se stesso»; e del Verbo di Dio è detto in Giov., I, 3: «Tutte le cose furono fatte per mezzo di lui»; e nei Salmi [83, 12] si legge: «La grazia e la gloria la darà il Signore»; e ancora: «La salvezza dei giusti viene dal Signore» [Sal., 36, 39]. Dunque è evidentemente giusto affermare che Dio, o il Verbo di Dio ha sofferto ed è morto.

    11. Sebbene anche certi uomini si possano chiamare signori, in quanto partecipi del dominio [di Dio], tuttavia nessun uomo e nessuna creatura può dirsi « Signore della gloria » : poiché solo Dio possiede per natura la gloria della futura beatitudine, mentre gli altri possono averla come dono di grazia. Infatti nei Salmi si legge:

    « II Signore delle virtù, egli è il rè della gloria » [Sal., 23, 8, 10]. Ebbene l'Apostolo afferma che il Signore della gloria è stato crocifisso (/ Cor., 2, 8). Quindi si può dire in verità che Dio è stato crocifisso.

    12. Il Verbo di Dio è Figlio di Dio per natura, l'uomo invece è detto figlio di Dio per la grazia di adozione, in quanto Dio inabita in lui. Perciò, stando alle tesi di costoro, nel Signore Gesù Cristo dovrebbero esserci tutti e due questi tipi di filiazione: poiché il Verbo inabitante è Figlio di Dio per natura; mentre l'uomo « inabitato » è figlio di Dio per adozione. Dunque l'uomo assunto non si può dire Figlio di Dio in senso proprio, o unigenito; ma è tale solo il Verbo di Dio, il quale per la sua propria nascita è singolarmente generato dal Padre. Invece la Scrittura attribuisce al Figlio di Dio proprio ed unigenito la passione e la morte. Infatti l'Apostolo scrive in Rom., 8, 32: «Dio non risparmiò il suo proprio Figlio, ma per noi tutti lo ha consegnato alla morte ». E in Giov., 3, 16, si legge: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo unigenito, affinchè chiunque creda in lui non perisca, ma abbia la vita eterna». E che si tratti della consegna alla morte risulta evidente dalle parole precedenti che si riferiscono al Figlio dell'uomo crocifìsso : « Come Mosé innalzò il serpente nel deserto, così deve essere innalzato il Figlio dell'uomo, affinchè chiunque crede in lui, ecc. )> [Rom., 8, 14]. Inoltre l'Apostolo presenta la morte di Cristo quale prova dell'amore di Dio verso il mondo, dicendo Ìn Rom., 5, 8, 9: « Dio mostra il suo amore verso di noi, poiché mentre eravamo ancora i suoi nemici, Cristo è morto per noi ». Dunque si può affermare correttamente che il Verbo di Dio, o Dio, ha sofferto ed è morto.

    13. Si dice che uno è figlio di una data madre, per il fatto che ha desunto da essa il proprio corpo, sebbene l'anima derivi da una causa esteriore. Ora, il corpo di Cristo fu desunto dalla Vergine Madre; e d'altra parte abbiamo già dimostrato [n. 8] che quel corpo era il corpo del Figlio naturale di Dio, cioè del Verbo di Dio. Dunque è giusto dire che la Beata Vergine è « Madre del Verbo di Dio », e anche « Madre di Dio », sebbene la divinità del Verbo non sia desunta dalla madre. Infatti non e necessario che un figlio desuma dalla madre tutto quello che egli è nella sua sostanza, ma basta che ne desuma il corpo.

    14. L'Apostolo afferma in Gal., 4, 4: « Dio mandò il Figlio suo fatto da una donna »; mostrando con queste parole come sia da intendersi la missione del Figlio di Dio: e cioè che egli si dice inviato perché fu fatto da una donna. Ora, ciò non potrebbe esser vero, se il Figlio di Dio non fosse esistito prima di essere fatto da una donna. poiché chi è inviato per una missione si presuppone che esista prima della missione stessa. Ma l'uomo assunto, che secondo Nestorio sarebbe figlio adottivo di Dio, non esisteva prima di nascere da una donna. Dunque l'affermazione : «Dio mandò il Figlio suo...)), non può riferirsi al figlio adottivo, ma bisogna riferirlo al Figlio naturale, cioè a Dio, ossia al Verbo di Dio. Ma dal momento che uno è fatto da una donna, è figlio di codesta donna. Dunque Dio, ossia il Verbo di Dio, è figlio di una donna.

    Ma forse qualcuno potrebbe cavillare, dicendo che l'affermazione dell'Apostolo non va intesa nel senso che il Figlio di Dio è stato inviato per il fatto che fu generato da una donna; bensì nel senso che il Figlio di Dio, il quale è stato fatto da una donna, è stato inviato allo scopo « di redimere coloro che erano sotto la legge )) [ibid., v. 5]. E in tal senso, l'espressione « il figlio suo » bisognerebbe riferirla non al Figlio naturale, ma al figlio adottivo. - Ma codesto senso viene escluso dalle parole stesse dell'Apostolo. Infatti:

    a) Liberare da una legge rientra nella facoltà solo di chi è sopra la legge, e che è autore di essa. Ora, la legge è stata posta da Dio. Quindi è solo di Dio liberare dal dominio della legge. Ebbene, l'Apostolo attribuisce questo al Figlio di Dio di cui parla. Dunque codesto Figlio di Dio è il Figlio naturale. Perciò è vero affermare che il Figlio naturale di Dio, cioè Dio Verbo di Dio, è stato fatto da una donna.

    b) Lo stesso risulta chiaramente dal fatto che la redenzione del genere umano è attribuita nei Salmi a Dio stesso : « Tu mi hai redento, o Signore, Dio di verità )> (Sal.,30, 6).

    c) L'adozione a figli di Dio è opera dello Spirito Santo, come risulta dalle parole di S. Paolo (Rom. 8, 15): «Avete ricevuto lo Spirito di adozione a figli ». Ma lo Spirito Santo non è dono dell'uomo, bensì dono di Dio. quindi l'adozione dei figli non è causata dall'uomo, ma da Dio. Ebbene, essa viene causata dal Figlio di Dio mandato da Dio e fatto da una donna; il che è evidente dalle parole successive dell'Apostolo [loco rit.] : « affinchè noi ricevessimo l'adozione a figli». Dunque le parole dell'Apostolo vanno riferite al Figlio naturale di Dio. Quindi Dio, ossia il Verbo di Dio, « fu fatto da una donna », cioè dalla Vergine Madre.

    15. S. Giovanni afferma: « II Verbo si è fatto carne » [1, 14]. Ma egli non riceve la carne che da una donna. Dunque il Verbo si è fatto [carne] da una donna, cioè dalla Vergine Madre. Perciò la Vergine è madre del Verbo di Dio.

    16. L'Apostolo in Rom. 9, 5, afferma che «Cristo secondo la carne proviene dai Patriarchi, egli che è sopra tutte le cose, Dio benedetto nei secoli ». Ma egli non proviene dai padri che mediante la Vergine. Dunque Dio, che è sopra tutte le cose, secondo la carne proviene dalla Vergine. Quindi la Vergine, secondo la carne, è la Madre di Dio.

    17. L'Apostolo, a proposito di Gesù scrive che, « essendo egli nella forma o natura di Dio, annienta se stesso, prendendo natura di schiavo, facendosi a somiglianza degli uomini » (Fil.,2, 6, 7). Ora, è evidente che dividendo il Cristo in due, come fa Nestorio, cioè nell'uomo assunto, che è figlio di Dio per adozione, e nei Figlio naturale di Dio, che è il Verbo di Dio, è impossibile che queste parole si possano applicare all'uomo assunto. Questi infatti, se è un puro uomo, non esisteva prima di essere « nella forma di Dio », per poi diventare « a somiglianza degli uomini » : ma piuttosto, al contrario, essendo un uomo è stato fatto partecipe della divinità, per cui non fu annientato, ma esaltato. Quindi vanno applicate al Verbo di Dio, il quale prima, dall'eternità, era « nella forma di Dio », ossia nella natura di Dio, e poi annientò se stesso facendosi a somiglianza degli uomini. - Ora, questo annientamento non può concepirsi mediante la sola inabitazione del Verbo di Dio nell'uomo Gesù Cristo. Poiché il Verbo di Dio abitò con la grazia in tutti i santi fin dal principio del mondo, e tuttavia non si parla di annientamento: poiché Dio comunica la sua bontà alle creature in modo da non depauperarle di nulla, ma piuttosto esaltandole; in quanto la sua grandezza risalta dalla bontà delle creature, e tanto più chiaramente, quanto le sue creature sono più perfette. Perciò se il Verbo di Dio abitò più pienamente nell'uomo Cristo che negli altri santi, a lui meno che agli altri si può attribuire l'annientamento del Verbo. - Dunque è chiaro che l'unione del Verbo con la natura umana non va concepita mediante la sola inabitazione del Verbo di Dio nell'uomo assunto, come diceva Nestorio: ma in quanto il Verbo di Dio veramente si è fatto uomo. Allora soltanto, infatti, abbiamo l'annientamento: si può dire, cioè, che il Verbo di Dio si è « annientato », ovvero «rimpicciolito», non per la perdita della propria grandezza, ma per l'assunzione della piccolezza umana; come se, p. es., si dicesse che un'anima umana, preesistente al suo corpo, diventa la sostanza corporea che è l'uomo, non per la mutazione della propria natura, ma per l'assunzione della natura corporea.

    18. È evidente che nell'uomo Cristo inabitava lo Spirito Santo; poiché in Luca, 4,1 si legge: «Gesù pieno di Spirito Santo si allontanò dal Giordano». Se quindi l'incarnazione del Verbo dovesse concepirsi solo nel senso che il Verbo di Dio abitò nella sua pienezza nell'uomo assunto, si dovrà dire che si è incarnato anche lo Spirito Santo. Il che è assolutamente incompatibile con l'insegnamento della fede.

    19 È noto che il Verbo di Dio dimora anche negli angeli santi. I quali per partecipazione sono ripieni dell'intelligenza del Verbo. Eppure l'Apostolo afferma, in Ebr., 2, 16: «Egli non prese affatto gli angeli, ma prese il seme di Abramo ». Perciò è evidente che l'assunzione della natura umana da parte del Verbo, non va concepita quale semplice inabitazione.

    20. Se in Cristo, secondo la tesi di Nestorio, separiamo due esseri distinti secondo l'ipostasi, cioè il Verbo di Dio e l'uomo assunto, è impossibile che il Verbo di Dio si possa denominare Cristo. Ciò risulta, sia dal modo di esprimersi della Scrittura, la quale prima dell'incarnazione non chiama mai col nome di Cristo nè Dio, nè il Verbo di Dio; sia dal significato stesso di codesto nome. Cristo infatti significa unto, e s'intende unto « con l'olio di esultanza » [Ebr., I, 9], cioè «con lo Spirito Santo» come spiega S. Pietro in Atti, 10, 38. Ora però, non si può dire che il Verbo di Dio sia stato unto di Spirito Santo: perché lo Spirito Santo sarebbe superiore al Figlio, come chi santifica è superiore al santificato. Perciò è necessario che l'appellativo di Cristo si riferisca solo all'uomo assunto. -Perciò quando l'Apostolo scrive ai Filippesi (2, 5): «Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono nel Cristo Gesù », le sue parole vanno riferite all'uomo assunto. Egli però aggiunge: «II quale, essendo nella forma di Dio, non ritenne come una rapina l'essere uguale a Dio». Perciò è vero affermare che codesto uomo è «nella forma », ossia nella natura di Dio, e «uguale a Dio ». Ora, sebbene gli uomini siano denominati « dèi », o « figli di Dio », per la presenza di Dio in essi, tuttavia per essa non si dice mai che essi sono «uguali a Dio». Dunque è chiaro che l'uomo Cristo non è chiamato Dio per la sola inabitazione divina.

    21. Sebbene per l'inabitazione causata dalla grazia agli uomini santi venga attribuito l'appellativo di Dio, tuttavia ad essi non vengono mai attribuite per questo le opere che sono esclusivamente di Dio, come creare il cielo e la terra, e altre cose del genere. Invece all'uomo Cristo viene- attribuita la creazione di tutte le cose. Si legge infatti in Ebr., 3, 1, 2: «Considerate l'apostolo e il pontefice della nostra fede. Gesù Cristo, il quale è fedele a Colui che lo fece, come lo fu Mosè in tutta la sua casa»; le quali espressioni vanno riferite all'uomo Cristo e non al Verbo, sia perché secondo Nestorio il Verbo di Dio non può chiamarsi Cristo; sia perché il Verbo di Dio non è stato fatto, ma è generato. Ebbene, l'Apostolo così continua [v. 3] : « Questi [il Cristo] è stato reputato degno di una gloria tanto superiore a quella di Mosè, quanto l'onore di chi fabbricò la casa è più grande dell'onore della casa stessa». Dunque Cristo ha fabbricato la casa di Dio. E l'Apostolo lo dimostra con le parole che seguono [v. 4] : « Infatti ogni casa è fabbricata da qualcuno; ma colui che ha creato tutte le cose è Dio». Dunque l'Apostolo dimostra che l'uomo Cristo ha fabbricato la casa di Dio, dal fatto che Dio ha creato tutte le cose. Ora, questa prova sarebbe nulla, se Cristo non fosse Dio creatore di tutte le cose. Perciò a codesto uomo viene attribuita la creazione dell'universo: che è opera esclusivamente di Dio. Quindi l'uomo Cristo è Dio secondo l'ipostasi, non già solo a motivo dell'inabitazione divina.

    22. È noto che Cristo, parlando di se stesso, si attribuisce molte cose divine e soprannaturali; p. es., in Giov., 4, 40 egli afferma: " Io lo risusciterò nell'ultimo giorno"; e in Giov., 10, 28: « Io dò loro la vita eterna». Ora, queste parole sarebbero di somma superbia, se chi le ha pronunziate non fosse secondo l'ipostasi, Dio stesso, ma avesse solo l'inabitazione di Dio. E la superbia non si può certo attribuire all'uomo Cristo, il quale dice di se stesso : « Imparate da me, che sono mite e umile di cuore>>(Mt.11,29). Dunque la persona di codesto uomo è identica a quella di Dio.

    23. Nella Scrittura [quando si parla di Cristo] come si legge che l'uomo suddetto è esaltato, p. es., in Atti, II, 33: « Esaltato perciò alla destra di Dio, ecc.»; così si legge che Dio si è annientato, p. es., in Fil., II, 7: «Annientò se stesso, ecc.». Perciò a motivo dell'unione, come si possono dire di quell'uomo cose sublimi, ossia che è Dio, che risuscita i morti, e altre cose del genere; così di Dio si possono dire cose umili, ossia che è nato dalla Vergine, che ha sofferto, che è morto, e che è stato sepolto.

    24. Sia i nomi che i pronomi relativi si riferiscono all'identico supposito. Ebbene, l'Apostolo scrive, parlando del Figlio di Dio (Col., I, 16): « In lui sono state fatte tutte le cose in cielo e in terra, quelle visibili e quelle invisibili »; e poi aggiunge [v. 18] : « Ed egli è il capo del corpo della Chiesa, colui che è il principio, il primogenito [nella resurrezione] dai morti». Ora, è evidente che l'espressione, « in lui sono state create tutte le cose », va riferita al Verbo di Dio: mentre la frase, «primogenito dai morti», va riferita a Cristo in quanto uomo. Perciò il Verbo di Dio e l'uomo Cristo sono un unico supposito, e quindi un'unica persona; ed è necessario che quanto è detto di quell'uomo sia attribuito al Verbo di Dio, e viceversa.

    25. L'Apostolo afferma, in I Cor., 8, 6 : « Unico è il Signore Gesù, per mezzo del quale tutte le cose esistono ». Ora, è chiaro che Gesù, nome di quell'uomo per mezzo del quale tutte le cose esistono, va attribuito al Verbo di Dio. Perciò il Verbo di Dio e l'uomo suddetto sono un unico Signore, e non due signori, o due figli, come diceva Nestorio. Quindi da ciò segue che il Verbo di Dio e codesto uomo hanno un'unica persona.

    Questa opinione di Nestorio circa il mistero dell'Incarnazione differisce poco dall'opinione di Fotino [cfr. cc. 4, 28]. Perché essi concordano nell'asserire che l'uorno assunto si denominerebbe Dio solo per l'inabitazione dovuta alla gloria. Fotino diceva però che l'uomo suddetto avrebbe meritato il nome e la gloria di Dio mediante la passione e le opere buone; mentre Nestorio confessava che tale uomo avrebbe avuto codesto nome e codesta gloria fin dall'inizio del suo concepimento, per la pienissima inabitazione di Dio esistente in lui. - Invece circa l'eterna generazione del Verbo essi differivano assai: poiché Nestorio l'ammetteva, mentre Fotino la negava del tutto.

    Nota. Questi argomenti che S. Tommaso ha diretto efficacemente contro l'eresia nestoriana, valgono pure, e a maggior ragione, contro tutti quei razionalisti che tentano di negare la divinità di Cristo, facendosi forti di questa o di quell'altra frase del Nuovo Testamento.

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    AmarDio
    00 03/02/2010 17:04
    Madre nostra

    Il titolo onorifico di "Madre di Dio" appare per la prima volta in una preghiera già attestata verso l'anno 300. La diciamo ancora oggi: "Sotto il riparo della tua misericordia, ci rifugiamo, santa Madre di Dio. Non disprezzare le nostre preghiere quando siamo nella prova, ma da tutti i pericoli liberaci sempre, Vergine gloriosa. Vergine benedetta." Questa bella e antica preghiera ci ricorda che, come madre di Dio, Maria è anche nostra madre. Ma in quanto tale, non ha altra missione che condurci a Gesù Cristo, suo Figlio. Perché, come madre di Gesù Cristo, è la porta della salvezza per tutti quelli che appartengono a Gesù Cristo. È la madre dei membri del Corpo di Cristo la cui testa è Gesù, suo figlio, cf. LG 53. Il Suo amore materno include la preoccupazione per i fratelli e le sorelle di suo Figlio il cui pellegrinaggio sulla terra non è finito, e che si trovano ad affrontare pericoli e prove di ogni tipo. E' per questo che viene invocata "nella chiesa sotto i titoli di avvocata, di ausiliatrice, di soccorritrice, di mediatrice" (LG 62).
    Questa fede nell'intercessione, nell'aiuto e assistenza di Maria è attestata abbondantemente nelle preghiere che ci ha tramandato la tradizione della Chiesa. Traspare specialmente nella seconda parte dell'Ave Maria, la più conosciuta fra tutte le preghiere mariane:
    "Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori, adesso e nell'ora della nostra morte."
    Ciò che sembra scontato nelle preghiere tradizionali cattoliche, suscita delle obiezioni da parte dei protestanti. Questi venerano Maria (ed i santi in generale), come modelli di fede; ma rifiutano di invocarli per chiedere la loro intercessione ed il loro aiuto. Secondo la concezione cattolica, c'è una distinzione essenziale tra le invocazioni rivolte ai santi e l'adorazione riservata a Dio solo; questa non può rivolgersi mai ad una creatura, compresa quindi anche Maria (cf. LG 66). L'invocazione rivolta a Maria, ed ai santi, non implica, non nega o trascura la verità che Gesù Cristo è l'unico Mediatore della salvezza (cf. l Tm 2,5-6). Già Sant' Ambrogio affermava che l'intercessione di Maria nulla toglie e nulla aggiunge alla dignità ed all'efficacia dell'unico Mediatore. L'intercessione di Maria dipende difatti totalmente dall'azione redentrice di Gesù Cristo, da dove trae tutto il suo potere. (cf. LG 60-62). Risulta finalmente dal fatto che tutti i membri del Corpo di Cristo sono solidali gli uni verso gli altri. "Se un membro soffre, tutti le membra soffronoinsieme; se un membro è onorato tutti le membra gioiscono con lui" (l Co 12,26). Secondo la concezione cattolica, la fiducia nella mediazione e nell'intercessione di Maria illustra bene il modo misterioso di servirsi, da parte di Dio, di certi esseri umani per portare ad altri la salvezza.
    In Maria, è tutto il genere umano che si trova onorato. Per esprimere la sua venerazione al riguardo di Maria e la fiducia che ha nella sua intercessione, la pietà cattolica le dà numerosi titoli. Accanto a quelli già indicati: "Madre che intercede, ausiliatrice, mediatrice", ci sono certe espressioni che sono un po' eccessive e possono urtare i cristiani non cattolici e indurli in errore sulla vera dottrina cattolica; tuttavia, quando li si colloca nel contesto di un sana teologia mariana, possono giustificarsi. Questa osservazione si applica innanzitutto al titolo di "Mediatrice di tutte le grazie". Questa denominazione non tende per niente a negare o a sminuire il fatto che Gesù Cristo è l'unico Mediatore; vuole dire che Maria, con il suo sì, ha accettato in nome di noi tutti la venuta di questo Mediatore di tutte le grazie e che si associa continuamente a questa mediazione salvifica di Gesù con la sua intercessione. Per significare che Maria supera in grazia tutti gli altri santi, la si invoca e la si onora come Regina del cielo. Troviamo ciò in una preghiera molto conosciuta come la Salve Regina: "Salve Regina, madre di misericordia" (XI" secolo), o nel Regina caeli: "Regina del cielo, rallegrati" (XII" secolo). Infine, per esprimere il posto unico di Maria nella storia della salvezza come prototipo della chiesa, la si chiama non solo la madre dei cristiani, ma anche la Madre della chiesa.
    Di fronte a queste forme di pietà e ad altre, bisogna tenere conto dell'avvertimento del papa Paolo VI nella sua "Lettera apostolica Marialis cultus" (1974). Il papa chiedeva un rinnovamento della devozione a Maria, radicata nella Bibbia, coerente con la fede al Cristo e alla Trinità, e che, senza sacrificare nulla di essenziale, tenesse conto della sensibilità dei cristiani non cattolici e dei modi di espressione proprie alla nostra epoca e ad ogni cultura. Metteva espressamente in guardia, col concilio Vaticano II ( cf. LG 67), contro le forme aberranti della pietà mariana che supera i limiti della sana dottrina, sollecitano la credulità o la curiosità popolare con racconti di miracoli fantasiosi, moltiplicano le pratiche formalistiche o degenerano in una sentimentalità tutta superficiale. Il culto reso a Maria deve avere per obiettivo ultimo la glorificazione di Dio e la cristianizzazione della vita. Da questo punto di vista, bisogna riconoscere che la pietà mariana cattolica ha portato, nonostante certi eccessi da condannare, frutti abbondanti.

    (dal catechismo della Chiesa cattolica tedesca)
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    Coordin.
    00 09/09/2010 14:54

    LA MADRE DI DIO

    1) DIO  FIGLIO  DIMORA  PER  NOVE  MESI  NEL GREMBO DI  MARIA

    La Madonna è la Madre di Dio. Basterebbe questa affermazione per nutrire verso questa gran Signora un amore sommo, sebbene inferiore a quello che si dà a Dio. Per capire chi è Maria, prima bisogna capire chi sia Dio. Però Dio è ineffabile, per cui anche Maria non è comprensibile da mente umana. Pensi che Dio per Madre avrebbe scelto una donna qualsiasi, oppure fin dall’eternità fissò la mente su Maria? Dio Padre quando pensò a Dio Figlio pensò anche alla Divina Madre, a Maria. Eletta dall'eternità ad essere la Madre di Colui che viveva dall'eternità. Lei per speciale privilegio, è nata Immacolata, senza peccato, per questo fin dal primo istante di vita, è stata tutta Pura, tutta Bella, tutta di Dio. La massima aspirazione di Maria fu sola quella di assomigliare a Gesù nelle virtù, come Lui assomigliava a Lei nel fisico.

    Il Cuore di Maria ha provato gioie e dolori indicibili. È un Cuore che ha sofferto immensamente, tanto che non c'è dolore umano paragonabile al suo. Che lacerazione del Cuore ha provato Maria  nei giorni della perdita di Gesù nel Tempio e negli ultimi mesi della vita del Figlio, quando era vicina la Passione e Morte?  Dice San Bernardo che “nella Passione, Maria soffrì nel Cuore tutte le pene che Gesù soffrì nel Corpo: per questo Dio L'ha tanto esaltata”. E il Beato Duns Scoto dice che “Maria è vera Genitrice di Dio, in forza della sostanziale unione del Verbo eterno alla Carne da Lei generata”.

    Gesù ha preso Carne, formata dal purissimo Sangue di Maria per opera dello Spirito Santo.  Il periodo di gravidanza di Maria durato nove mesi, è stato una continua adorazione a Dio, che portava dentro di sé, che doveva nascere da Lei, che aveva bisogno di Lei per respirare, e il respiro di Gesù, che già faceva tremare i demoni, era il respiro di Maria.

    Maria alimentava il Bambino che portava nel Grembo, Li univa il cordone ombelicale. L’unione spirituale tra Gesù e Maria in Cielo attualmente, è quasi identica all’unione che avevano quando Gesù era nel Grembo in Maria. Che sublime unione tra Gesù e Maria, tra Figlio e Madre!

    Il Verbo eterno, Dio Figlio da Dio Padre si è fatto Bambino, ha lasciato i cieli che non Lo potevano contenere, ed entra nel Corpo di una Fanciulla, trovando in Lei il Paradiso, un Luogo incontaminato, perché solo la Grazia aveva trovato posto in Maria. “Se le stelle fossero lingue e i grani di sabbia parole, non potrebbero dire tutte le Grandezze che Dio radunò nell'Anima di Maria”, sostiene San Tommaso da Villanova.

    2) MARIA CREATA PER DARE UN CORPO AL CREATORE

    Gesù aveva scelto Maria  come Casa di Dio e Tempio dello Spirito Santo. Maria era stata creata solamente per divenire la Madre di Dio e al tempo stesso doveva rimanere Vergine. E la Maternità del Capo del Corpo, implica anche quella delle membra, che siamo noi. Maria è stata Madre di Gesù secondo la Carne, Madre nostra secondo lo Spirito. Gesù lo portò nel suo Grembo, noi ci porta nel suo Cuore Immacolato. Per entrare nel mondo Gesù scelse Maria, allo stesso modo, per entrare nelle anime, Gesù lo farà sempre per mezzo di Maria.

    Dio Padre affidò il suo Neonato alla Madre, perché Lui sapeva con quale amore, sollecitudini e attenzioni Maria avrebbe accudito al più Santo dei neonati: Dio fatto Bambino. “Per arrivare a misurare adeguatamente le Grandezze e la Grazia di Maria -dice San Bernardino-, ci vuole solo la Sapienza e la Potenza di Dio, il quale solo poteva dare a Maria tanta Dignità, che nessuna creatura può comprendere”. “E per essere Maria Madre di Dio -continua San Tommaso d’Aquino-, la sua Dignità va all’infinito, perché Dio non può formare una creatura insignita di maggiore dignità di quella che ha comunicata a Maria, con farla sua Madre”.

    San Bonaventura afferma che “l’Onnipotenza Divina  ha raccolto quanto di grande, di santo, di glorioso, di amabile e di ammirabile aveva diviso fra tutte le migliori creature, create e da creare, ed in modo superiore  lo ha posto tutto e collocato in Maria”. Per questo come dicono Sant’Agostino e Sant’Anselmo, “Dio ama la sola Vergine più di tutti gli altri Santi”.

    Dio era pienamente libero di scegliere la Madre che voleva, ma una volta scelta doveva dare tutto ciò che Le occorre per la sua Dignità di Madre di Dio. Uno onora la propria madre secondo le proprie condizioni, e Dio deve onorare in grado sommo sua Madre, dato che Egli è la Somma Bontà ed Essere Infinito. Se uno è povero dà quello che può alla madre, il  ricco darà certamente molto di più. Allora Dio, datore di Grazie, quanto avrà dato alla propria Madre?

    3) CHI HA AMATO DIO PIU’ DI MARIA?

    Quale creatura ha mai amato Dio come Maria? Prescelta dall'eternità a divenire Madre di Dio, fu ripiena dell'Amore di Dio come mai nessuna creatura, anzi, è indescrivibile la pienezza di Grazia in Maria. Chi ha compiuto perfettamente la Volontà di Dio? Solo la Madre di Dio.

    San Bernardo rivela: “Il Divino Amore ferì talmente l'Anima di Maria, da non lasciarvi alcuna parte non ferita di Amore; affinchè Ella amasse con tutto il Cuore, con tutta la Mente, con tutte le forze, e fosse piena di Grazia”. Solo Maria ha potuto adempiere il precetto dell'Amor di Dio, amando Dio sopra tutte le cose e più di tutte le creature messe insieme. San Pier Damiani afferma: “Maria, qual aquila reale, teneva sempre fissi gli occhi al Divin Sole, in modo tale che nè le azioni della vita Le impedivano l'Amore, nè l'Amore Le impediva di trattare con gli uomini o di attendere a tutto il suo lavoro domestico”. “Il suo Cuore era costantemente unito a Dio, di notte e di giorno -dice Sant'Ambrogio-, che quando riposava il Corpo, vigilava l'Anima”.

    Dio Padre, già prima dell’Incarnazione, aveva provato l’infuocato amore di Maria verso di Lui nelle lodi, benedizioni e continue adorazioni. L’Amore di Maria penetrava i cieli, lasciava meravigliati gli Angeli, superava quello dei Serafini e trovava grande compiacenza in Dio, perché Maria è la più amata da Dio, ed è a Dio più cara di tutti i gradi dei Beati e tutte le Gerarchie Angeliche messe insieme.

    Chi ha amato Dio più di Maria? Chi ha trovato Grazia presso Dio? Solo Maria. È la  Primogenita Figlia del Padre, Madre del Figlio di Dio, Sposa dello Spirito Santo, ed ha ricevuto i tesori delle Divine Grazie e tutti quei privilegi che la SS. Trinità poteva comunicare ad una creatura, facendo così trionfare in Maria la sua Potenza, Sapienza e Bontà.

    Il Cardinale Pietro De Bèrulle sembra sognare: “Madre di Dio... se noi potessimo capire l'oceano di grandezza racchiuso in queste parole rimarremmo estatici davanti a Maria per tutta la vita”. Aggiunge Sant'Alberto Magno, che “Maria, non poteva unirsi più intimamente con Dio senza diventare Lei stessa un altro Dio”.

    “Essendo diventata Madre di Dio -svela Dionisio Cartusiano-, Maria appartiene all'ordine dell'unione ipostatica e quindi partecipa all'infinita Santità di Dio”. Continua San Tommaso d'Aquino: “Dio, eleggendola a quest'altissima Dignità, La santificò anteriormente in modo da renderla idonea ad essa”. E San Pier Damiani sospira: “Come il sole supera talmente in splendore le stelle che queste scompaiono davanti ad esso, così Maria supera in Santità tutta la Corte celeste”.

    Conveniva di certo a Dio e alla sua Grandezza, arricchire Maria a proporzione della sua Dignità, rendendola degna Madre di un Dio Figlio.

    San Tommaso d'Aquino dice che “Maria è Madre di Dio, che come tale è posta in una dignità tanto grande da partecipare all’infinito”. San Bonaventura esclama che “Dio potrebbe fare un mondo più bello, più ricco, più meraviglioso di questo che ha creato, ma non potrebbe fare una madre più grande della Madre di Dio”.

    Colui che ha cantato “Le Glorie di Maria”, Sant’Alfonso dè Liguori, ha scritto una preghiera così dolce e commovente, che chi la recita rimane compunto. “Santissima Vergine Immacolata e Madre mia Maria, a Te che sei la Madre del mio Signore, la Regina del mondo, l’Avvocata, la Speranza, il Rifugio dei peccatori, ricorro oggi io, che sono il più miserabile di tutti. Ti venero, o gran Regina, e Ti ringrazio di quante Grazie mi hai fatte finora, specialmente di avermi liberato dall’inferno, tante volte da me meritato. Io Ti amo, Signora amabilissima, e per l’amore che Ti porto, Ti prometto di volerti sempre servire e di far quanto posso, affinchè sia amata anche dagli altri. Io ripongo in Te tutte le mie speranze, tutta la mia salute; accettami per tuo servo ed accoglimi sotto il tuo manto, Tu Madre di Misericordia. E poiché sei così potente presso Dio, Tu liberami da tutte le tentazioni, oppure ottienimi forza di vincerle sino alla morte. A Te domando il vero Amore a Gesù Cristo. Madre mia Maria, per l’amore che porti a Dio, Ti prego di aiutarmi sempre, ma più nell’ultimo punto della mia vita. Non mi lasciare, fintanto che non mi vedrai già salvo in Cielo, a benedirti e a cantare le tue misericordie per tutta l’eternità. Così spero. Così sia”.

    Quale bocca potrà mai parlare degnamente della Grandezza di Maria? Se chiamo in soccorso San Giuseppe mi dice che è commosso; invito gli Angeli e ricordano il Loro stupore; interpello i Santi del Paradiso e Li trovo in estasi nell'ammirare la gran Signora e Avvocata Suprema.

    Tutti i Santi in Cielo e i giusti in terra Ti amano, o Beatissima Vergine. Ma, perché il mondo non Ti ama come Tu meriti? La ragione è che molti non Ti conoscono come Ti hanno conosciuta ed esaltata tutti i Santi.

    Perché i cuori non sono ricolmi del Tuo Amore? Chi potrà vivere senza Te, Madre della Vita, e salvarsi? Non guardare le nostre colpe, ma il nostro amore.

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    Credente
    00 27/02/2016 20:56
    Nessuno pretende di svelare il mistero dell'Incarnazione, ma che la Chiesa per tre secoli si sia impegnata a scoprire le eresie (termine nato dai Padri della Chiesa) offrendo al mondo la dottrina sulla Trinità, è un motivo che non può dividere oggi i cristiani in un mondo in continua confusione.


     

    Non si può avere la Trinità che è un solo Dio, con la sua dottrina se si rifiuta di riconoscere la Theotokos: Colei che ha partorito Dio. Perchè abbiamo la Trinità nella distinzione delle Tre Persone solo attraverso l'Incarnazione, il CONCEPIMENTO del Verbo nel seno della Vergine.

    Questa è stata la lotta dei Padri della Chiesa quando era tutta unita.

     

    Delle due vie delineate da Paolo e da Giovanni, la prima a essere ripresa e utilizzata è quella di Giovanni. Con il ti­tolo di Logosessa offriva lo strumento ideale per un dia­logo con la cultura del tempo e per combattere le eresie, specie l'arianesimo. Fissiamo un momento di questo svi­luppo, lungo tre secoli, che ha il suo epicentro,  in Alessandria di Egitto, precisamente il momento che va da sant'Atanasio (ispirato nel definire lo Spirito Santo quale Terza Persona) a san Cirillo.

    In essi, infatti, è dato contemplare questo modello cristologico nella sua forma più matura, rispet­tivamente, prima e dopo la crisi verificatasi al suo inter­no con l'eresia di Apollinare di Laodicea. Il punto di partenza di Atanasio, come era da atten­dersi, è Giovanni 1,e vv. 14: « E il Verbo era Dio - E il Verbo si è fatto carne». Egli interpreta la frase nel senso che «ilLogos è divenuto uo­mo, non semplicemente che è entrato in un uomo» Maria, la Vergine attesa, ha dunque CONCEPITO per mezzo dello Spirito Santo, Dio!

     

    L'incarnazione non distrugge tuttavia la trascendenza del Verbo, dal momento che «assumendo la carne, egli non diviene differente, ma rimane ciò che è» qui è il cuore del Mistero imperscrutabile dell'Incarnazione.

     

           Mentre si trova in un corpo umano, il Verbo continua a esercitare la sua sovranità sull'universo come prima. Egli è dentro e fuori tutte le cose, allo stesso tempo.Nell'incarnazione avviene che il Logos prende una carne e si modella un corpo nel seno della Vergine che egli usa poi come suo "organo". Si tratta dunque di una "incarnazione" nel senso più stretto del termine, di un "farsi" carne del Verbo, senza tuttavia mutarsi in carneL'unita di Cristo è qui un dato acquisito in partenza.

     

    Atanasio ha orrore di quelle descrizioni del Cristo che distinguono in lui il Verbo dall'uomo GesùCome pos­sono, esclama, chiamarsi ancora cristiani quelli che di­cono che il Verbo è entrato in un uomo santo, esatta­mente come era solito entrare nei profeti, anziché dire che è divenuto uomo? Come fanno ad essere cristiani quelliche affermano che uno è Cristo e altro il Logos?

     

    È ormai chiara l'intuizione fondamentale di questa scuola, divenuta in seguito l'asse portante di tutta la cristologia della Chiesa: Cristo è un'unica persona e questa persona è quella eterna del VerboIl linguaggio non è an­cora così ben definito, ma l'idea dentro la Chiesa per mezzo della Tradizione, lo è perfettamente.

     

    Il Logos è dunque per Atanasio il principio domi­nante in Gesù Cristo, l'unico soggetto cui va riferito tut­to ciò che si dice di lui, tutte le esperienze e le azioni de­scritte nei vangeli. Era lo stesso identico Verbo che com­piva miracoli e che piangeva, era affamato, diceva di ignorare il giorno della parusia, pregava nel Getsemani gridava dalla croce Poteva sembrare difficile conciliare, nella stessa per­sona, esperienze tanto differenti tra loro - e questo era l'argomento degli ariani -, ma Atanasio traccia una di­stinzione attenta tra quello che appartiene al Verbo nel suo essere eterno e quello che gli appartiene in quanto in­carnatoLa sua spiegazione delle limitazioni o dell'an­goscia di Cristo è che si tratta di limiti non reali, ma pe­dagogici. Se la Scrittura dice che Gesù cresceva in sa­pienza e grazia, il significato è che c'era una concomi­tanza tra il suo sviluppo corporale e la manifestazione della sua sapienza.Essendo il Logos stesso, egli cono­sceva ogni cosa, solo che essendosi fatto carne, ed es­sendo la carne per natura ignorante, era giusto che mo­strasse di ignorare. Si è così impiantata saldamente nella coscienza cristia­na l'idea di Cristo come soggetto divino che entra nella storia assumendo la carne umana, senza che questo crei in lui alcun dualismo, alcuna spaccatura.

     

    Una grave lacuna impedisce tuttavia ancora che questa visione del Cristo possa essere accolta pacificamente tra tutti i cristiani, nascono per questo le eresie. Sarà proprio un discepolo e amico di Atanasio, Apollinare, vesco­vo di Laodicea, che farà esplodere questa lacuna, esplici­tandola e teorizzandola.

    Possiamo riassumere così il pen­siero suo e dei suoi seguaci: « Cristo ha una carne umana, ma non un'anima; in lui l'anima, intesa nel suo senso più alto di intelligenza e di volontà, è sostituita dal Verbo stes­so che ne fa le funzioni. Se infatti l'anima non è che "una scintilla diLogos", non c'è bisogno evidentemente che vi sia la parte là dove c'è il tutto. Senza contare che la presen­za di una volontà libera in Cristo comprometterebbe la sua impeccabilità e quindi la nostra salvezza». Da qui, l'incapacità di trovare un'adeguata spiegazio­ne a fatti come l'angoscia e l'ignoranza di Cristo. Man­cando un'anima umana cui attribuire questi limiti, non restava che negarli, a meno di attribuirli al Verbo stesso, come facevano gli Ariani, con la conseguenza di com­promettere così la sua piena divinità e immutabilità. Questa lacuna viene superata con san Cirillo Ales­sandrino che porterà questa visione di Cristo alla sua perfezione. In lui, più che mai, dobbiamo prescindere dai mezzi e dai modi pratici usati per affermare la sua posizione dottrinale, e concentrarci solo su di essa. Sulla scia di Atanasio, anch'egli non distingue in Cri­sto due nature (è un primo passaggio), Dio e l'uomo, ma solo due fasi di un'uni­ca esistenza, prima senza la carne, poi nella carne; una anteriore all'incarnazione, l'altra posteriore a essaL'in­carnazione si conferma come la cerniera e lo spartiacque fondamentale.

     

    Il Logos - egli ama dire - rimane ciò che era, cioè Dio; quello che avviene con l'incarnazione è che, conti­nuando a esistere nella forma di Dio, egli aggiunge a es­sa qualcosa, assumendo la forma di servo. Non due forme o due nature che si uniscono, ma una persona che riunisce in sé due forme (due nature verrà stipulato al Concilio), due modi di essere. Cirillo non dirà mai, se non alla fine e con riserva, "due nature", ma userà la celebre formula «una sola natura del Verbo, (an­che se) incarnata». (Il rifiuto di abbandonare questa for­mula di Cirillo, in seguito al concilio di Calcedonia, portò alla formazione della Chiesa orientale monofisita, che solo nel 1990, con la dichiarazione comune di Chambésy, è ritornata in comunione con la Chiesa or­todossa calcedonese in comunione con la Chiesa Cattolica, avendo le due Chiese riconosciuto che il disaccordo era di termini e non di dottrina) infatti il problema era nella terminologia ma non nella dottrina.

     

     L'apporto di Cirillo al perfezionamento di questo modello cristologico ricevuto da Atanasio è duplice. Da una parte egli supera lo scoglio dell'apollinarismo, rico­noscendo in Cristo unapiena umanità dotata non solo di carne, ma anche di anima razionale; dall'altra egli intro­duce la categoria definitiva con cui spiegare l'unione delle due realtà di Cristo, quella di unione ipostatica. Che cosa vuol dire?

    L'u­nione ipostatica è più che una "congiunzione" basata sull'armonia delle due volontà, umana e divina; va oltre ogni spiegazione esterna e artificiale dell'unità di Cristo, per vederla realizzata a livello della sua persona o ipo­stasi, cioè a livello più intimo e profondo che si possa pensare. Una unione per la quale l'esperienza umana non offre alcun esempio, per questo la Trinità e l'Incarnazione resta di per sè un mistero.

     

    Ed è proprio per questo che Cri­sto è unico, assolutamente diverso, nella sua costituzio­ne intima, da tutti i santi e i profeti, in questa visione, il corpo di Cristo è il corpo "di Dio", non di un uomo, per questo i magi lo riconoscono e lo "adorano", per questo Simeone lo riconosce, per questo gli apostoli assistono alla sua Trasfigurazione, per questo Egli "attira le folle", pur non essendoci assolutamen­te tra l'umanità e la divinità in Cristo alcuna confusione o mescolanza, o assorbimento dell'una nell'altra. Se l'incarnazione, intesa in senso forte, è, insieme con la dottrina della Trinità, lo specifico del cristianesi­mo, ciò che lo distingue da ogni altra religione, dobbia­mo dire che qui questo "specifico" è stato, per la prima volta, posto in tutta la sua forza e collocato al centro stesso dell'edificio della fede.

     

    Tutto il resto scaturisce coerentemente da qui, e in primo luogo la strenua dife­sa del titolo di Theotokos dato a Maria: ella è vera Madre di Dio, perché unica e divina è la persona nata da leiÈ l'esaltazione massima del cristianesimo come reli­gione della grazia, della discesa di Dio verso l'uomo, e non dell'ascesa dell'uomo verso Dio.

     

    Cristo appare in questa visione più il dono di Dio da accogliere con stu­pore e gratitudine, che non il modello da imitare nella vita, come fece Maria che rimase "stupita" tanto da sfolgorare nel Magnificat, stupita resta la cugina Elisabetta "a che debbo che la Madre del mio Signore venga a me? Beata sei che hai creduto!" Il vero cristiano prima si stupisce, poi dopo aver contemplato, agisce.

     

    La Theotokos sostituisce ogni studio teologico, è Lei che ci dice chi è il Figlio:  Egli è l'Emmanuele, letteralmente il Dio-con-noi, e non è un Dio simbolico, ma è proprio Dio, il Logos ha preso dimora dentro di me letteralmente, mi ha resa Madre del mio Signore e mio Dio. Ora tu, figlio mio, per mezzo di questa natura umana Dio ti è Padre, fratello, amico, Salvatore, ti è TUTTO perchè ha preso della mia carne perchè tutti fossimo uguali a Lui, figli e salvati.

     

    Per capire la fecondità spirituale di questa immagine di Cristo, si deve tener conto di un particolare. Pur ri­manendo distinte, ognuna delle due realtà di Cristo par­tecipa alle prerogative dell'altra. Così se il Verbo condi­vide le umiliazioni e le sofferenze della carne, che di­ventano "patimenti di Dio", allo stesso modo, la carne di Cristo partecipa delle divine energie e della gloria del Verbo, diventa essa stessa "vivificante", per la sua unio­ne alla vita del Verbo. Le conseguenze di questo princi­pio sul piano spirituale e salvifico, appariranno chiare solo considerando nella sua verità anche l'Eucaristia. Il contatto con la carne di Cristo diventa contatto con il Verbo stes­so e con la sua vita, natura, divina. Prima però di passare a illustrare le conseguenze di questa visione sul piano spirituale, è utile mostrare come questa visione di Cristo non è qualcosa di arcaico che non ha nessun impatto sui problemi attuali della Chiesa, ma al contrario è più che mai utile e necessaria oggi. Nel­la enciclica Redemptoris missio si leggono, tra le altre, queste parole: «È contrario alla fede cristiana introdurre una qualsiasi separazione tra il Verbo e Gesù Cristo». È una risposta a quelle teorie che fanno leva su una pre­sunta "eccedenza rivelativa del Logosrispetto a Cristo", per concludere che assoluto e necessario non sarebbe, per le varie religioni, l'orientamento a Cristo Verbo in­carnato, sia pure implicito e "anonimo", ma solo l'orien­tamento al Logos eterno e atemporale, a cui tutte le reli­gioni, in modo diverso, autonomamente si ricollegano. Un punto di vista che toglie ogni giustificazione alla mis­sione verso tutti i popoli, e quindi all'esplicito comando di Cristo di andare e fare discepole "tutte le genti". La cristologia che abbiamo tratteggiato fin qui contiene la risposta più chiara e il no più fermo a questa separazio­ne tra il Logos eterno e il Cristo storico, tra la Madre, la Thetokos e il Figlio.