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Padre


Sin dalla sua prima parola, Cristo mi introduce in una nuova dimensione del rapposto con Dio. Egli non è più solo il mio "Dominatore", il mio "Signore" o il mio "Padrone" nostro. È mio Padre. E io non sono solo servo, ma figlio. Mi rivolgo dunque a Te, Padre, con il rispetto dovuto a Colui che è anche quelle cose, ma con la libertà, la fiducia e l'intimità di figlio, consapevole di essere amato, fiducioso anche nella disperazione e nel mezzo della schiavitù del mondo e del peccato. Lui, il Padre che mi chiama, in attesa del mio ritorno, io il figliol prodigo che tornerà a Lui pentito.


nostro


Perché non solo Padre mio o dei "miei" (la mia famiglia, i miei amici, il mio ceto sociale, il mio popolo,...), ma Padre di tutti: del ricco e del povero, del santo e del peccatore, del colto e dell'illetterato, che tutti chiami instancabilmente a Te, al pentimento, al Tuo amore. "Nostro", certamente, ma non confusamente di tutti: Dio ama tutti ed ognuno singolarmente; Egli è tutto per me quando sono nella prova e nel bisogno, è tutto mio quando mi chiama Sé con il pentimento, la vocazione, la consolazione. L'aggettivo non esprime un possesso, ma una relazione con Dio totalmente nuova; forma alla generosità, secondo gli insegnamenti di Cristo; indica Dio come comune a più persone: non c'è che un solo Dio ed è riconosciuto Padre da coloro che, mediante la fede nel Suo Figlio unigenito, da Lui sono rinati mediante l'acqua e lo Spirito Santo. È la Chiesa questa nuova comunione di Dio e degli uomini (CCC, 2786, 2790).


che sei nei Cieli


Straordianariamente altro rispetto a me, eppure non lontano, anzi ovunque nell'immensità dell'universo e nel piccolo del mio quotidiano, Tua mirabile creazione. Questa espressione biblica non significa un luogo, come potrebbe essere lo spazio, bensì un modo di essere; non la lontananza di Dio, ma la sua maestà e pur se Egli è al di là di tutto è anche vicinissimo al cuore umile e contrito (CCC, 2794).