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2. Non abbiamo la moglie pur avendola quando non diamo ascolto ai pensieri superflui delle donne, dettati dalla loro leziosità e dalla loro mollezza, e quando ci limitiamo ad accogliere solo quella preoccupazione aggiuntiva che riguarda l'anima della donna che ci è stata affidata e che ha scelto una vita basata sulla saggezza e la semplicità. Che intende dire proprio questo, l’apostolo lo mostra nelle parole seguenti: "Chi piange si comporti come chi non piange, chi gioisce dei beni come chi non gioisce". Chi non gioisce non si preoccupa dei beni, e chi non piange non sopporta a malincuore la povertà nè respinge la frugalità. Questo significa "non avere la moglie pur avendola", questo significa fare uso del mondo senza abusarne.

3. "Chi è sposato si preoccupa delle cose del mondo". Se dunque in entrambi i casi ci sono le preoccupazioni - nel primo però sono vane ed inutili, anzi dolorose, giacchè, come dice l’apostolo, "costoro soffriranno i tormenti nella carne", mentre nel secondo producono dei beni ineffabili - perchè non scegliamo questo secondo tipo di ansie, che non solo ci procurano così belle e numerose ricompense, ma sono anche meno forti delle altre? A che cosa pensa la donna non sposata? Forse alle ricchezze, ai servi, agli amministratori, ai terreni ed al resto? Deve forse sorvegliare i cuochi, i tessitori e la rimanente servitù? Per carità! Non pensa a nulla di tutto ciò ma soltanto ad edificare la propria anima e ad adornare il suo santo tempio non con trecce, ori o perle, non con cosmetici e belletti, non con altre cose fastidiose e misere, ma con la santità di corpo e di spirito.

4. "La donna sposata - dice Paolo - si preoccupa invece di piacere al marito". Sagace com’è, non si mette ad esaminare i particolari, e non ricorda le sofferenze fisiche e psichiche a cui vanno incontro le mogli per piacere ai mariti - il loro corpo è torturato, imbellettato e tormentato con altre punizioni, mentre la loro anima è riempita di bassezze, adulazioni, ipocrisie, meschinità e pensieri superflui ed inutili. Alludendo a tutto ciò con una sola parola, lascia riflettere sull'argomento la coscienza degli ascoltatori; e dopo aver mostrato in tal modo l'eccellenza della verginità ed averla sollevata fimo al cielo, passa di nuovo a parlare della liceità del matrimonio, sempre nel timore che qualcuno scambi la verginità per un precetto. Non si contenta quindi delle esortazioni fatte in precedenza: dopo aver detto "Non ho un ordine del Signore" e "La vergine se si sposa non pecca", aggiunge qui "Non perché voglia gettare su di voi un laccio".

 

LXXVI. Il "laccio" non è rappresentato dalla verginità, ma dalla nostra mancanza di entusiasmo

1. A tal proposito, ci si potrebbe chiedere a buon diritto come mai l'apostolo dica qui "Non perché voglia gettare su di voi un laccio": eppure, in precedenza aveva chiamato la verginità "liberazione dai legami", aveva detto che ci consigliava per il nostro bene per evitarci tormenti e preoccupazioni e per risparmiarci, ed aveva in tal modo mostrato che questa pratica era leggera e sopportabile. Di che cosa si tratta? A dire il vero egli ha chiamato "laccio" non la verginità - non sia mai! - ma la scelta di questo bene compiuta sotto la spinta della violenza e della costrizione. In effetti, le cose stanno proprio così. Tutto ciò che si accetta sotto la spinta della violenza e contro la propria volontà, anche se è molto leggero, diventa la cosa più insopportabile e soffoca la nostra anima più di un laccio. Per questo Paolo ha detto "Non perché voglia gettare su di voi un laccio". Queste parole significano: vi ho enumerato e mostrato tutti i beni della verginità; pur tuttavia, dopo aver fatto questo, lascio a voi la scelta e non voglio condurvi alla virtù contro la vostra volontà. Vi ho dato questi consigli non perché volessi tormentarvi, ma perché la vostra bella assiduità non venisse distrutta dalle occupazioni materiali.