00 11/08/2014 10:43
Riconoscendo le responsabilità biologiche con cui siamo evoluti come specie, capiamo che se una persona non è sempre obbligata nei confronti di un estraneo, si è invece obbligati a fornire sostentamento e protezione di base al proprio figlio biologico. Una madre che allatta non può reclamare “l'autonomia del corpo” e abbandonare il proprio figlio mentre viaggia, né una madre incinta può abbandonare la propria responsabilità nei confronti del bambino. Se la vittima di stupro non ha scelto quella situazione ed è messa ingiustamente in quella condizione, il suo dovere fondamentale nei confronti del figlio non è meno reale di quello del marinaio nei confronti di un clandestino indesiderato.

L'aborto non consiste semplicemente nello “staccare la spina a un estraneo morente”. L'aborto smembra e uccide quello che altrimenti sarebbe un essere umano sano che è in un'unione appropriata per la sua età e naturalmente dipendente da sua madre. Rebecca Kiessling, concepita in occasione di uno stupro, afferma: “Può essere che quando avevo quattro anni o quattro giorni non fossi uguale a come ero quando mi trovavo ancora nel grembo di mia madre, ma ero innegabilmente me e sarei stata uccisa [per il crimine di mio padre]”.

L'aborto non elimina lo stupro di una donna né la aiuta a guarire. Puniamo lo stupratore, non suo figlio.

Personalmente pro-life – ma la legge non cambia?

Alcuni risponderanno al peso della scienza e della ragione ammettendo di essere “personalmente pro-life” ma di volere che l'aborto resti legale perché possa rimanere sicuro. Senza addentrarsi nelle statistiche sugli aborti legali contro quelli illegali, sui numeri degli aborti effettuati illegalmente nelle cliniche o sul ruolo giocati dagli antibiotici nel rendere l'aborto più sicuro anche prima della Roe vs. Wade, la domanda è sempre quella: sicuro per chi?

Se una persona si oppone personalmente perché crede che l'aborto ponga fine a una vita umana, non ha senso dire che la fine della vita umana dovrebbe rimanere legale per salvare delle vite. Legale o illegale, tutti gli aborti uccidono. A volte la madre, ma sempre il figlio o la figlia.

Conclusione
L'autrice Frederica Matthews-Green ha sottolineato una volta che “nessuna donna vuole un aborto come vuole un gelato o una Porsche. Vuole un aborto come un animale preso in trappola vuole strappare la propria gamba”. La sfida per la nostra società in continua evoluzione è questa: daremo alla donna una sega e l'aiuteremo ad amputare la propria gamba? O siamo abbastanza saggi e capaci da trovare modi creativi per rimuovere la trappola senza distruggere la gamba nel processo – soprattutto quando quella “gamba” è un altro essere umano?

La società può continuare a opporre le donne ai propri figli o possiamo iniziare a parlare di vere scelte, vere soluzioni e vera misericordia – come quelle suggerite da gruppi come Feminists for Life. La filosofia pro-life secolare significa includere i membri più piccoli e più deboli della nostra specie e non escludere i dipendenti e vulnerabili dai diritti di personalità e di vita. Siamo evoluti come specie in una comunità complessa e interdipendente che sta eliminando gradualmente pregiudizi come il razzismo, il sessismo e la discriminazione nei confronti dei disabili.

Bandiamo ora la discriminazione letale dell'età.

Con le parole della Pro-Life Alliance of Gays and Lesbians, “nessuno di noi è veramente libero fino a che tutti non siamo liberi, con tutti i nostri diritti intatti e garantiti, incluso il diritto fondamentale di vivere senza minacce o vessazioni”.

Possiamo fare meglio dell'aborto.
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Kristine Kruszelnicki è direttore esecutivo di Pro-Life Humanists e scrittrice freelance. Risiede a Ottawa (Canda).