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CAPITOLO QUARTO - Miti e sofismi riguardanti la storia

1. Il mito della storia, divinizzata e beatificante.

Respiriamo un'aria satura di hegelianesimo. Numerosi preti, in articoli eruditi o in modeste conferenze, sembrano volerci irretire in un diffuso hegelianesimo. Anche se non affermano chiaramente, come Hegel, che Dio è immerso nella storia e si compie con la storia, cionondimeno parlano come se lo pensassero. Pur non osando dire grossolanamente che la Chiesa è in uno stato di dipendenza intrinseca nei confronti delle grandi "correnti storiche”, lasciano intendere che essa vi si dovrebbe allineare modificandosi a loro piacimento. Conferiscono alla storia un ruolo messianico e mescolano il regno di Dio con la storia così concepita.
La storia - essi affermano - si sforza di superare l'antagonismo tra razze e popoli, tra schiavi e padroni e infine tra la natura e lo spirito, con una dominazione luminosa dello spirito sulla natura. Essa cerca di vincere tutto ciò che ferisce e sminuisce l'uomo, di far trionfare la vita sulla morte e su quanto può provocare la morte, malattia e decadenza della vecchiaia; di far prevalere la verità sull'errore o le superstizioni e la conoscenza sull'ignoranza; di far regnare la giustizia invece dell'ingiustizia e un ordine razionale al posto del caso, delle abitudini e delle passioni. È un lento parto di un'umanità libera. Ma esprimendoci in questo modo (modo che potrebbe forse condividere anche un marxista) noi non facciamo altro che tradurre concretamente l'idea cristiana della salvezza e del regno di Dio, visti dalla parte in cui sono rivolti all'uomo e inglobano il suo bene ultimo.
In questa veemente tirata percepiamo un'eco indebolita della " Leggenda dei secoli ". L'infiammato cantore del progresso aveva già celebrato " l'immenso movimento di ascesa dell'umanità verso la luce, dai tempi di Eva, madre degli uomini, fino alla Rivoluzione, madre dei popoli,.. Il fiorire del genere umano di secolo in secolo, l'uomo che sale dalle tenebre verso l'ideale, la trasfigurazione paradisiaca dell'inferno terreno, lo sbocciare lento e supremo della libertà ".
Ascesa dell'umanità verso la luce, lento parto di una umanità libera grazie allo sforzo della storia, identificazione dell'umanità generata dalla sorte con il regno di Dio visto sotto una certa visuale: che cosa c'è di cristiano in tutto ciò? Il regno soprannaturale, trascendente, è stato abbassato al piano dei regni terreni, che si suppongono in stato di indefinito perfezionamento.
Il corso dei secoli, o " lo sforzo della Storia ", come ci viene detto, non ha affatto l'incarico di generare lentamente un'umanità libera che si confonderebbe col regno di Dio; in primo luogo perché il regno di Dio sarà sempre a una distanza infinita della città terrena, anche se onesta, giusta e libera; e poi perché la città terrena, anche se giusta, sarà sempre copiosamente intrisa d'iniquità. Il corso dei secoli non può porvi rimedio. Lo "sforzo della Storia " non può far nascere uomini esenti dal peccato originale e dalle tre concupiscenze. È fuori di dubbio che la città terrena ha per meta di far regnare la giustizia al posto dell'ingiustizia, di stabilire un ordine in cui vengano rispettate la dignità della persona, le libertà e i diritti dei corpi intermedi. Ma è la città politica che può ottenere tutto ciò, grazie al valore delle persone e all'onestà delle istituzioni, non la storia in se stessa, quasi che la storia in se stessa fosse una persona che si sforzi di realizzare il bene e la giustizia. D'altra parte la città politica non riesce a realizzare (in proporzioni d'altronde sempre insufficienti) il fine per il quale esiste, se non nella misura in cui accetta l'ordine del Creatore, "qualem Deus auctor indidit", secondo l'enciclica "Graves de communi", e all'espressa condizione di lasciarsi illuminare e correggere dalla città di Dio. Se il male viene contenuto, se viene instaurato un ordine giusto, non è certo per merito dello sviluppo storico in se stesso, ma per la fedeltà senza deroghe (tenendo conto, naturalmente, dell'epoca e delle circostanze) a una regola naturale e immutabile e con l'obbedienza ai lumi della santa Chiesa. Il divenire storico, il susseguirsi dei secoli permettono alla città terrena di far valere le ricchezze spirituali della nostra natura - o di sviluppare alcune possibilità di tradimento - ma non di giungere al fiorire supremo della libertà, di dar vita a poco a poco a un'umanità perfettamente libera.
È soltanto un sogno assegnare questo fine alla città terrena e proporle come mezzo per giungervi lo sforzo della storia e la successione dei secoli. Ed è un sogno che offende Gesù Cristo, nostro redentore, poiché viene rifiutata la sua croce, si pretende di abolirla in virtù del progresso storico.
Questo mito della storia beatificante ed infine divinizzante, come non è vero per la città politica, così non lo è per la città di Dio. La storia è accordata alla Chiesa al fine di rendere esplicite, malgrado i peccati dei suoi figli o in occasione di persecuzioni provenienti dall'esterno, le ricchezze definitive di grazia e di verità che il Signore ha deposte in essa; è così che si prepara alle nozze dell'eternità, quando sarà completo il numero degli eletti e l'odio del Drago, dopo essere giunto al parossismo, verrà condannato a un'eterna impotenza. Ecco la ragion d'essere definitiva della successione dei secoli. Tale successione, tale divenire non sono accordati alla Chiesa per farla sfuggire un giorno agli attacchi del mondo e alla malizia del demonio, ne per dispensarla dal portare nel suo seno dei poveri peccatori che deve guarire e santificare, come se un giorno non dovesse più essere contraddistinta dal segno della croce.
Anziché perderci in teorie di non so quale " parto d'una umanità libera ", guardiamo verso il Signore che governa la sua Chiesa, dopo averla dotata di ricchezze eterne e averle fatto il dono di conoscere anch'essa l'umiliazione e la crocifissione. Il corso dei secoli non è di troppo per vivere di queste ricchezze e far rifulgere tutte le bellezze di questo stato di prova e di umiliazione: esso, ad ogni modo, è ben lungi dal farla sparire insensibilmente.

2. Un'espressione equivoca: crescita della storia.

Se parliamo di una crescita naturale, per esempio di un agnello o di un chicco di grano, non possiamo farci illusioni sui limiti di questo sviluppo. Una natura è determinata, limitata; la sua crescita consiste nel raggiungere misure che sono fisse, senza essere rigide. Sappiamo che l'agnello, dopo aver incominciato a succhiare il latte dalla pecora, brucherà molto presto l'erba, poi crescerà coprendosi di abbondante lana e infine verrà ucciso per essere mangiato, a meno che (caso raro) non muoia di vecchiaia. Comunque, la sua crescita non è più indefinita della sua natura. Quando dico crescita di un agnello, non lascio adito a nessun sogno di progresso infinito. Se, invece, dico crescita della storia, per il fatto che la storia non è una natura, corro indubbiamente il rischio di farmi delle illusioni e di illudere gli altri; è esattamente come se dicessi crescita del divenire, senza far allusione al divenire di una cosa o dell'altra, al divenire di una certa natura determinata. Il divenire ha solo il limite della natura che denuncia; se non faccio allusione a tale natura, non alludo neppure ai limiti del suo divenire; mi espongo al rischio di pensare che il divenire sia illimitato.
E non credo che introdurre le parole "bene" o "male" chiarifichi molto le cose e ci prevenga a sufficienza nei confronti dell'illusione del progresso indefinito.
I termini bene o male, buono e cattivo, non ricevono un limite che dalla natura alla quale sono riferiti: un uomo buono o cattivo, un angelo buono o cattivo. Ma nell'espressione " crescita della storia nel bene o nel male " non specifico delle nature. La porta rimane aperta all'illimitato. Se, al contrario, dico: crescita dell'uomo nel bene, in ciò che è bene per lui secondo le sue facoltà intellettuali o affettive; come se dico: crescita della società nel bene, in ciò che è bene per una società di uomini riscattati, secondo le istituzioni che si convengono a detta società; se mi esprimo in tal modo, sono chiaro e metto subito termine al sogno di una crescita senza limiti; poiché le facoltà dell'uomo non sono estensibili all'infinito, sulla via di divenire angeliche, così come le istituzioni della società non sono sulla via di adattarsi ad esseri angelici e immacolati. Parimenti, la crescita della Chiesa non rischia di essere indefinita poiché la Chiesa è un'essenza determinata; l'ordine soprannaturale dal quale proviene, non cambia nulla; la Chiesa è una certa essenza particolare, è la società santa che vive nella grazia eristica; una simile società, sotto pena di non essere niente, è dotata di poteri giuridici che senza dubbio sono apportatori di grazia, ma non cessano di essere giuridici; una simile società è santa poiché riceve la santità da Cristo, santità ben precisa e determinata che non è modificabile; tutto sta nel parteciparvi.
Come accade che la crescita della società nell'ordine del bene viene contenuta in limiti certi e invalicabili, così si verifica per la decadenza e la corruzione. Il progresso della società, nel guastare le anime e corromperle (supponendo che il termine progresso sia adatto), nell'arte di abbrutire o pervertire, non rischia di essere indefinito, di annientare la libertà, benché possa deviarla terribilmente; non rischia di sopprimere la grazia onnipotente di Dio, di impedire ai santi di esistere, di abolire ed eliminare la santa Chiesa; tuttavia, per la malizia degli uomini e della società, la Chiesa può essere ridotta ad un " piccolo avanzo ". Ciò che è certo; ciò che volevo far capire è che non esiste crescita illimitata ne nel bene ne nel male; per essere immunizzati da un simile sogno, è meglio usare un linguaggio appropriato e lasciar quindi da parte le metafore ingannatrici di crescita della storia nel bene o nel male.
È preferibile parlare in maniera da lasciar capire che il divenire, nell'ordine del bene come del male, è limitato dalla natura cui si rapporta: limitato da questa natura.
Attraverso un'attenta osservazione potremo renderci conto che la società, nella misura in cui si lascia manovrare dal demonio, perfeziona con il passare dei secoli i suoi metodi malvagi; ma una riflessione non meno attenta ci dà la convinzione che questo perfezionamento dei metodi di scandalo o di abbrutimento cozza in limiti invalicabili.
Vero è che negli ultimi giorni del mondo le tenebre e il male avranno raggiunto dimensioni spaventevoli, a tal punto che la fede sarà quasi scomparsa dall'umanità. Ne rimarrà tuttavia ancora un po' e vi saranno ancora dei grandi santi, anche se rari e ridotti a vivere lontani da tutto; poiché "le porte dell'inferno non prevarranno".
La parabola del Vangelo, che parla della crescita della zizzania e del buon grano per tutto l'anno, fino alla mietitura, non suggerisce tuttavia una crescita indefinita del mondo. Se abbiamo osservato come cresce il grano in un campo, insieme alle erbacce, da Ognissanti a san Giovanni, non possiamo avere alcun dubbio sui limiti di questa crescita; sappiamo che il grano come le erbacce devono raggiungere l'altezza prevista dalla loro natura, ma non possono andare oltre.

3. Il mito del progresso indefinito; la verità dei rinnovamenti.

Come rimanere insensibili a un certo progresso? In campo meccanico apprezziamo la rapidità dei mezzi di trasporto inventati da due secoli a questa parte. Siamo felici quando vediamo guarire, grazie a nuove terapie, dei poveri infermi che una volta sarebbero stati votati a una morte orribilmente dolorosa. In altro campo, possiamo ammirare le scoperte dell'archeologia e della storia e, in generale, il perfezionamento nelle ricerche sul passato dell'umanità, per non parlare degli sviluppi raggiunti dall'agricoltura e dalle industrie di ogni tipo. Tuttavia, una cosa che mi colpisce quanto il progresso è la sua contropartita: il pesante, massacrante prezzo da cui è gravato.
Anche nel settore, evidentemente meno importante, della padronanza dell'uomo sulla natura e sul mondo materiale, è necessario ancora molto tempo affinché l'avanzata sia rettilinea. È fuori dubbio che l'uomo (fino a un certo punto) ha vinto le distanze e si sposta a un ritmo che ha del prodigioso: ma non è meno vero che la sua facoltà di attenzione è rimasta invariata. Il tempo che gli è necessario per commuoversi alla vista di un paesaggio, per assorbire il fascino di una regione o di un paese, in breve, il tempo dell'attenzione umana non è progredito dall'epoca delle vetture a cavalli. L'uomo ha compiuto enormi progressi nella velocità con cui effettua i suoi viaggi, ma non nei mezzi per trarre un profitto spirituale dai suoi viaggi. Il progresso dei mezzi di locomozione non ha proporzionalmente comportato dei progressi in umanità. Potremmo fare considerazioni del genere sulla terapeutica, sulla coltivazione della terra o sulle industrie di ogni genere. Anche se ci siamo liberati di alcune schiavitù che erano connesse alla nostra condizione carnale – diciamo alla nostra condizione umana dopo il peccato - per contro, abbiamo trovato altre schiavitù nell'ordine stesso della condizione carnale. E soprattutto il progresso in campo utilitaristico, nelle macchine e nelle tecniche, è divenuto per esseri così fragili e peccatori quali noi siamo la fonte di una tentazione particolarmente violenta di prometeismo e di messianismo terreno. La nostra civiltà, nel suo insieme, soccombe a questa tentazione; sono rari coloro che resistono. È necessario un immenso amore di Dio per imporsi la mortificazione e il regime ascetico che sono indispensabili quando si vuole usare delle comodità moderne, secondo la saggezza cristiana.
Considerando la storia nel suo insieme, ciò che mi colpisce molto più del progresso meccanico o scientifico, nel dominio di una natura in disarmonia con l'uomo dopo il peccato, ciò che soprattutto ammiro sono le nuove manifestazioni dell'eterno, l'originalità che esplode quotidianamente nella realizzazione dell'immutabile.
Osserviamo, per esempio, una famiglia cristiana. Non so se il focolare cristiano dei nostri giorni sia veramente progredito in confronto a quello del tempo della Vergine Maria e dell'incarnazione o di santa Giovanna d'Arco: ma la cosa di cui sono certo è che le note caratteristiche del focolare cristiano, pur rimanendo le stesse, presentano un aspetto nuovo. La maniera in cui vengono espressi l'affetto, il pudore, il rispetto è di una novità imprevedibile; ma sono sempre le stesse virtù essenziali del focolare cristiano che in fondo ci colpiscono.
Potremmo fare delle analoghe osservazioni per la parrocchia, con le sue leggi permanenti, il suo culto eucaristico, la sua fraternità e la sua coerenza. Finché ci saranno delle parrocchie, queste leggi resteranno in vigore, ma in maniera diversa nel corso dei secoli. Nel tempo dell'agricoltura motorizzata, l'aspetto di una parrocchia di campagna non è lo stesso dell'epoca, ancora vicina, dei carri trainati dai buoi e delle carrette. Tuttavia rimane sempre la fisionomia di una parrocchia e non di quella di un seminario o di un convento. Nel campo di ciò che è profondamente umano, vicino alla vita interiore, come la famiglia o la parrocchia, ciò che mi sembra da sottolineare non è tanto il progresso quanto il rinnovamento.
Per essere chiari, diciamo che in questo campo un progresso decisivo venne realizzato con la venuta di Nostro Signore. Infatti, a partire dalla vita della sacra Famiglia a Nazareth, dalle nozze di Cana, poi dalla consacrazione delle vergini agli inizi della Chiesa, i costumi domestici e la vita familiare sono stati elevati a un livello di purezza, di pietà e di dolcezza che erano sconosciute all'antichità pagana e persino ebraica. Ma tale progresso venne realizzato una volta per tutte, come la venuta dello stesso Salvatore; tutti i perfezionamenti che si sono potuti verificare partendo da quel periodo assolutamente unico, non toccano più l'essenza delle cose. Per contro, da quando questo progresso è stato concesso alle case e alle famiglie degli uomini, grazie all'incarnazione del Figlio di Dio, quanto sono state diverse le realizzazioni, le manifestazioni imprevedibili della nobiltà e della purezza nei focolari cristiani!
Le considerazioni sul progresso nell'ordine delle cose temporali sono molto spesso ingannevoli. Si insiste sul progresso in un settore alquanto particolare, come per esempio la medicina, ma si trascura, come ho già fatto notare, l'esistenza di una contropartita. Si dimentica soprattutto di constatare che non ne deriva automaticamente un progresso nell'onestà dei costumi e nel retto vivere; e lo stesso si può dire per la riflessione filosofica e per la saggezza. In seguito ai parziali progressi conseguiti nei diversi campi, la civiltà è ora forse più consona al nostro ordine morale, meno ingiusta, meno portata all'impudicizia e alla profanazione? È più incline al rispetto della donna e del bambino, dell'orfano, del vecchio o del povero? Bisogna ammettere di no. Basta guardarci intorno per constatare che il progresso avvenuto nei costumi, nelle usanze e nelle istituzioni non è affatto correlativo al progresso medico o tecnico. Ai nostri giorni la donna può sì disporre di un'auto e servirsi di comodi elettrodomestici, ma non è affatto più onorata, più rispettata né, in definitiva, più tranquilla e felice che ai tempi di Bianca di Castiglia.
Osserviamo i quadri di Le Nain, il pittore degli umili del secolo XVII. L'artista ha rappresentato famiglie contadine in un'epoca in cui i lavori dei campi non erano certo meccanizzati. Ebbene, le figure di quei contadini o artigiani riflettono un equilibrio e una dignità che non si notano molto spesso negli agricoltori contemporanei. Perché quella calma, quella gravità, quella pace impresse sui volti? Senza dubbio perché i contadini che ritraeva conservavano ancora, quasi intatto, il patrimonio delle virtù cristiane portate nelle Gallie più di quindici secoli prima dai primi vescovi e dai primi martiri. Senza queste virtù cristiane non avremmo mai conosciuto quella pace del cuore, quella sicurezza di fronte alle avversità, quella forza d'animo che trasfigurano e innalzano le deboli virtù umane, che rendono la vita di quaggiù, " in questa valle di lacrime ", benché disseminata di prove, né odiosa né disperata. Sui nobili visi di Le Nain sono impresse virtù umane innalzate dalla grazia. E se rifiutassimo la testimonianza del pittore, potremmo ricorrere ai documenti scritti, alle carte di famiglia sulla nascita, il matrimonio e la morte in Francia prima della Rivoluzione. Ci renderemmo conto che le virtù umane e teologali erano appannaggio ordinario di una civiltà cristiana ancora vigorosa. Ciò che intendo dire è che il vero progresso nelle cose umane consiste prima di tutto nel vivere rettamente, il che è intimamente legato alla fede cristiana e alla redenzione. Soltanto dopo che il Figlio di Dio si è fatto uomo per la nostra salvezza, dopo che la Chiesa ha iniziato a diffondere le ricchezze del Vangelo, gli uomini hanno raggiunto (benché in maniera imperfetta) un'onestà di vita e persino una felicità (fra le lacrime e i sacrifici) che prima non esistevano e che non potevano esistere finché il genere umano era avvolto dalle tenebre e non era stato riconciliato col suo Creatore, attraverso il sacrificio della croce. Il balzo decisivo, per quanto riguarda la decenza dei costumi e il retto vivere, è stato realizzato con la venuta del Signore e la fondazione della Chiesa. In quel momento è stata varcata una soglia e non ne restano altre da attraversare fino al ritorno glorioso del Signore. Da allora le realtà che compongono la trama della vita umana hanno saputo qual era il loro significato ultimo: il lavoro e l'amore, l'educazione dei bambini, la cura dei malati e dei vecchi, l'autorità del capo e la lealtà dei sudditi, la protezione degli innocenti e il castigo dei colpevoli; insomma, le realtà fondamentali della vita di questo mondo hanno imparato a porsi di fronte al Crocifisso, alla Messa e ai sacramenti. Abbiamo ormai compreso come queste realtà potessero cessare di essere fonte di disperazione per divenire sante e luminose.
La venuta di Cristo e la fondazione della Chiesa sono dei misteri ultimi, non penetrabili. La luce che ci dispensano e il progresso che hanno determinato sono egualmente, per la parte essenziale, ultimi e impenetrabili. Ciò che le generazioni umane devono fare non è inventare una formula di rette vivere diversa da quella che deriva dal Vangelo, ma piuttosto di dare a questa formula una versione originale, poiché essa proviene dalla loro vitalità più autentica, più segreta. Che tale originalità apporti talora un progresso, è cosa certa; ma tale progresso consiste nel realizzare meglio le virtualità di un dato preesistente e non nel creare un dato differente. Anche se pensassimo che su questo o quel punto i costumi familiari dei focolari cristiani di oggi siano progrediti nei confronti di quelli del secolo XIII, non dimentichiamoci che sono rimasti immutati nell'essenziale. La famiglia cristiana non deve essere inventata.
La stessa cosa si può dire per l'ordine civico. Come scriveva san Pio X quando colpiva il " Sillon " nel 1910: "La civiltà cristiana non è più da inventare, e neppure la nuova città da erigere nelle nuvole. Essa è stata, essa è: è la civiltà cristiana, è la città cattolica. Non si tratta che di instaurarla e restaurarla senza sosta sulle sue fondamenta naturali e divine contro gli attacchi sempre rinnovati della malsana utopia, della rivolta e dell'empietà ". Che si tratti dei diritti del cittadino o di quelli dello Stato, dei diritti dei corpi intermedi o di quelli della Chiesa, esistono su questi e altri punti, dal tempo dell'incarnazione, da quando la Chiesa ha goduto della libertà in seno alla città temporale, delle istituzioni civili degne dell'uomo. Istituzioni che devono essere realizzate secondo le necessità e le risorse della nostra epoca (il che può apportare alcuni progressi in uno o nell'altro campo), ma che non si può pensare di creare di tutto punto come se, per la parte essenziale, esse si trovassero ancora nel nulla. Lanciarsi con i rivoluzionari in questa folle impresa da demiurgo, significa gettarsi in sconvolgimenti senza fine, spaventosi e sterili.
Esaminiamo ora tutto ciò che vi è di modestia e di vitalità in questi rinnovamenti autentici, che sono in qualche modo degli accrescimenti. In effetti, rinnovamenti di questa specie si realizzano soltanto quando l'uomo ha raccolto con pietà le ricchezze autentiche che gli furono trasmesse, se ha avuto la forza necessaria per portarle con sé e farle fruttificare con le sue personali risorse. Molto spesso, soprattutto da due secoli a questa parte, l'atteggiamento che prevale è purtroppo del tutto diverso: è un atteggiamento di orgoglio, d'impotenza e di bramosia, caratteristico dei sovvertimenti rivoluzionari.
Che cosa si nasconde in molti rivoluzionari? Un orgoglio forsennato che rifiuta i valori umani più incontestabili per la sola ragione che sono trasmessi e che bisognerebbe avere l'umiltà di accogliere; e questo orgoglio va di pari passo con l'impotenza a comunicare con queste ricchezze e a valorizzarle; si preferisce allora distruggerle o corromperle. Si tocca la vetta del male quando l'orgoglio, impotente e devastatore, osa rifarsi al Vangelo, pretende di giustificarsi con la rivelazione divina e legittimarsi, ad esempio, in nome della beatitudine dei poveri, della misericordia per i peccatori, dell'universalità della redenzione che, nel Cristo, " non opera distinzioni " fra ebrei o greci. Certamente, questa dottrina evangelica è la verità stessa, ma tolta dalla sua sfera soprannaturale diviene una menzogna infinitamente pericolosa; il Vangelo viene completamente falsato dall'orgoglio dei rivoluzionari. L'orgoglio, sotto qualsiasi forma si presenti, non è mai lodevole; ma l'orgoglio dell'impotente che si ammanta del mantello evangelico è particolarmente spaventoso.
Dicevamo che, per compiere un rinnovamento degno di questo nome, è importante che l'uomo metta a frutto l'eredità trasmessa con le sue forze più vive e più intime. Altrimenti, il rinnovamento non si compie. È la sclerosi. Di fronte a una simile inerzia, i sovvertimenti rivoluzionari avranno partita vinta.
È veramente una disgrazia quando la buona dottrina, i sani costumi e i princìpi della saggezza vengono insegnati e difesi da pigri o, ancor peggio, da profittatori. Allora, degli esseri pieni di vita e di vigore, desiderosi di impiegare le proprie energie al servizio di una nobile causa, ansiosi di dedicarsi ad essa anche con rischio, si vedono messi da parte, senza una seria ragione, da " tradizionalisti " abulici o interessati. " Soprattutto, che nulla si muova e che non ci venga richiesto un dispendio supplementare di energia, un nuovo sforzo di virtù! ".
Scartati, messi alla porta, gli esseri ardenti e generosi non riescono a capacitarsi del motivo per cui la tradizione (o perlomeno coloro che la proteggono) non voglia impiegare la loro giovane forza, soprattutto perché hanno compreso immediatamente che le intemperanze della loro generosità e vitalità non sono la ragione determinante per cui sono stati messi in disparte; ciò che non viene loro scusato, più delle imprudenze e della stessa generosità, è il fuoco di cui ardono.
Rischiano in tal modo di venire scandalizzati da quelle famose buone tradizioni che, almeno in apparenza, fanno corpo con l'inerzia o con miseri interessi. Possono arrivare a pensare che la vita, l'originalità e il rischio siano incompatibili con i buoni costumi e la sana dottrina; da qui a gettarsi a corpo morto in sfrenate innovazioni, e persino in violenze rivoluzionarie, il passo può essere breve.
Il deviamento dovuto alla pigrizia e allo sfruttamento delle migliori tradizioni è una delle cause non trascurabili delle rivoluzioni. Non è però la causa determinante. Per credere una cosa simile bisognerebbe non essere coscienti della terribile gratuità delle forze del male, bisognerebbe ignorare che per l'uomo l'odio per l'autorità è una triste conseguenza della sua natura decaduta.
Tuttavia esiste un accordo fondamentale fra la vera tradizione e le forze vive, generose e creatrici. Le risorse della vita, per la loro realizzazione e la loro diffusione, chiedono di votarsi al servizio dell'autentica tradizione. Qualche volta possono essere esaudite. Ed è così che vengono alla luce rinnovamenti fecondi.
Se consideriamo ora la Chiesa e non più la città politica, come ci apparirà il progresso? Anche qui, la cosa che più ci colpisce è la novità nella partecipazione a ciò che è stato dato una volta per tutte. Con questa partecipazione, nuova e originale in ogni cristiano e in ogni generazione di cristiani, sono rese esplicite alcune ricchezze della redenzione; in questo senso si compie certamente un progresso, ma non è che si inventino altre ricchezze: non si scopre la rivelazione di un dato nuovo, non si aggiungono nuovi sacramenti. Non si giunge alla santità per una strada che non sia tracciata dal Vangelo. Così, nel campo del culto, le benedizioni del santissimo Sacramento ci hanno portati a venerare con maggiore pienezza il mistero della reale presenza eucaristica: in ciò rappresentano un progresso, ma non ci inducono certo a venerare chissà quale mistero, ad esempio quello di un Cristo evolutore o di un Cristo cosmico. Inteso in questo senso, il progresso non rappresenterebbe che una corruzione. Parimenti, nella vita spirituale, una Giovanna d'Arco ha posto in una luce sconosciuta sino al secolo XV la via del sacrificio nelle responsabilità temporali, e in questo senso possiamo parlare anche qui di progresso; ma esso non consiste assolutamente (ed è evidentissimo) nel fatto che Giovanna d'Arco avrebbe scoperto una santità diversa da quella del Vangelo per coloro che esercitano delle responsabilità temporali e sono colpiti dall'insuccesso e dal tradimento. Un'altra santità da scoprire non esiste, poiché Gesù è il solo santo, " Tu solus sanctus ", e da lui deriva ogni santità. L'unica cosa da fare è di lasciarsi plasmare dalla sua azione, lasciarsi purificare e santificare dallo Spirito Santo. Solo allora, per l'ennesima volta, rifulgerà la novità imprevedibile degli effetti della sua grazia e l'immutabile Magnificat verrà cantato con un timbro di voce non ancora udito.