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Già con l'enciclica iniziale e in qualche modo programmatica di Giovanni Paolo II Redemptor hominis (1979) la «questione ambientale» si aggiunge, con progressiva importanza, nell'indice dei temi del magistero sociale pontificio. Il rapporto fattosi problematico fra uomo e natura è collocato, infatti, fra i «segni dei tempi» caratteristici della condizione di vita dell'uomo moderno:


«L'uomo oggi, sembra essere sempre minacciato da ciò che produce, cioè dal risultato del lavoro delle sue mani e, ancor più, del lavoro del suo intelletto, delle tendenze della sua volontà (...). L'uomo sembra spesso non percepire altri significati del suo ambiente naturale, ma solamente quelli che servono ai fini di un immediato uso e consumo. Invece, era volontà del Creatore che l'uomo comunicasse con la natura come 'padrone' e 'custode' intelligente e nobile, e non come 'sfruttatore' e 'distruttore' senza alcun riguardo» (n. 15).


Si deve, però, ammettere che la presenza di questa questione all’interno della riflessione cristiana cattolica è un fatto tutto sommato recente. E la cosa non sorprende, dato 1) l'emergere inquietante, negli ultimi due decenni, di problemi fino a prima inimmaginabili e 2) che i primi gruppi e movimenti che hanno avvertito sensibilmente e propugnato efficacemente la questione ecologica non sono di matrice e provenienza culturale cristiana.


Ma c'è di più. Si sono levate, infatti, fin dall’inizio del sorgere del “problema ecologico” voci insistenti ad accusare il filone ebraico -cristiano di essere il responsabile primo, se non l'unico, di quella localizzazione antropocentrica e di quell'atteggiamento d’irresponsabile strumentalizzazione dominatrice che sono alla base dell'incombente disastro ecologico.



La tradizione ebraico – cristiana sta alla radice dell’attuale “crisi ecologica”?

Basti ricordare, già all’indomani della chiusura del Concilio Vaticano II, l’articolo di Lynn White junior1 – della Scuola sociologica di Chicago – che, proponendo per primo l’espressione “crisi ecologica”, chiama direttamente in causa la fede cristiana quale origine dell’attuale scompenso ambientale. Tre, secondo l'Autore, le radici della responsabilità antiecologica del cristianesimo, ereditate dal giudaismo.

La prima, è l'atteggiamento di dominio e di indiscriminato sfruttamento della terra che scaturirebbe dal comando dato da Dio all'uomo di «soggiogarla» e di «dominare» sulle sue creature (Gn 1,26-28).

La seconda è relativa alla desacralizzazione operata dal Cristianesimo sulla natura, ridotta al rango di realtà creata e, come tale, sottratta alla sfera di intangibilità che essa aveva nelle religioni pagane.

La terza è riferibile al ruolo svolto dalla religione giudaico - cristiana sullo sviluppo della scienza e della tecnologia. Infatti, secondo l’autore, l'abbandono della concezione ciclica del tempo, legata ai ritmi della natura, in favore di una visione lineare generatrice d’illusoria fiducia nel progresso. A questo si deve non solo il sorgere della scienza moderna, strumento di sempre più ampio potere manipolatore, ma anche quell’estraneità dell'uomo nei confronti della natura e del cosmo, che ne rende psicologicamente possibile lo sfruttamento e lo scempio.


Da allora diversi autori con diverse motivazioni hanno ricondotto fondamentalmente alla concezione ebraico - cristiana del creato e della posizione dell’uomo nel creato, le radici strutturali dell’attuale “crisi ecologica”. Alle tre motivazioni di White se ne sono aggiunte altre:

il disinteresse della teologia e della spiritualità cristiana per questo mondo, in nome di questioni speculative astratte (processioni trinitarie, presenza reale ... ) e quello sguardo fisso sull'altro mondo2;

la concezione del lavoro sviluppatasi, soprattutto, in ambiente monastico, e volta a trasformare la natura, a dominarla per il servizio dell'uomo3;

ponendo l'uomo non come parte, ma come signore della natura, il cristianesimo ha reso possibile la moderna mentalità consumistica, che distrugge sconsideratamente e pur necessariamente (pena la destabilizzazione dell'intero sociosistema) le risorse naturali4.


Di fronte a tali drastiche prese di posizione, J. Moltmann pone una precisa osservazione storico – ermeneutica sulla questione:


«Spesso responsabile del fatto che l'uomo ha acquisito un rapporto di potere sulla natura ed ha alimentato la propria volontà di potenza fino a renderla sfrenata, è considerata la tradizione giudaico - cristiana, la quale avrebbe riconosciuto nell'uomo la vocazione a esercitare il dominio sulla terra... Ma questa 'concezione antropocentrica del mondo', che la Bibbia prospetterebbe, risale ad oltre tremila anni fa. I fattori determinanti devono essere stati quindi altri»5


Una più attenta lettura della storia, porta a individuare, infatti, le più probabili cause degli attuali danni ambientali in quattro fattori determinanti:

il primo di essi nasce da una duplice erronea convinzione: l'inesauribilità delle risorse naturali (con la conseguente indiscriminata libertà del loro sfruttamento) e la capacità di autoriparazione, da parte della natura, dei danni a essa inferti;

il secondo è relativo alla logica del profitto da ottenersi con i minimi costi, soprattutto quando questi non sono direttamente destinati alla produzione del guadagno;

il terzo va identificato nella politica energetica mondiale che h privilegiato fonti abbondanti e di facile trasporto anche se altamente inquinanti (petrolio e carbone);

l'ultimo, è il riflesso dell'attuale modello di sviluppo occidentale (e dall'Occidente esportato in tutto il mondo) che tende esasperatamente al benessere e al consumo noncurante del danno ambientale.


1 L’intervento apparso sulla rivista «Science» nel 1967 (The historical roots of our ecological crisis) costituisce un punto di riferimento obbligato sia perché cronologicamente fu il primo a porre la questione in questi termini (e molti successivi interventi ad esso si rifanno), sia perché offrì ed offre ancora oggi lo spunto a una serie di fondamentali considerazioni etiche.

2 vedi Carl Amery in un saggio del 1972 dal titolo significativo La fine della provvidenza

3 vedi Udo Krolzik, Crisi dell'ambiente - Conseguenza del cristianesimo

4 vedi la posizione dell'esegeta e psicologo tedesco Eugen Drewermann in Il progresso mortale. Distruzione della terra e dell'uomo nell'eredità del cristianesimo.

5 Dio nella creazione. Dottrina ecologica della creazione, Brescia 1986