00 07/07/2011 13:51

Mary Eberstadt, filosofa a Stanford, parla delle gravi lacune degli atei moderni

Consigliamo un libro decisamente interessante. S’intitola Le lettere del perdente (Nova Millennium Romae 2011) e l’autrice è Mary Eberstadt, filosofa americana, research fellow alla Hoover Institution della Stanford University, consulting editor di Policy Review ed editorialista, fra gli altri, per il Wall Street Journal, Los Angeles Times, e The Weekly Standard.

Il quotidiano Liberal, sottolinea che la filosofa «riesce ad evidenziare con imbarazzante semplicità tutte le contraddizioni in cui il pensiero puramente ateo cade a contatto con il cristianesimo». Nel suo libro la filosofa fa scrivere ad una giovane ragazza americana apparentemente convertita all’ateismo, dieci lettere rivolte ai nuovi atei, come Christopher Hitchens. In ognuna affronta temi decisivi, come lei racconta:

IL SESSO. I cristiani sono “fermi” su temi come la monogamia, l’autodisciplina, il restare assieme per i figli. Pensieri che spesso la cultura laicista si rifiuta anche solo di prendere in considerazione, sostenendo che il messaggio che la separazione fra sesso e valori religiosi renda più felici. La Eberstadt riconosce che dopo cinquant’anni di pillola, anticoncezionali e liberazione sessuale, tutti sono in grado di comprendere che non è così: siamo circondati da padri e madri single, spesso alle prese con gravi problemi economici e certamente in evidente affanno ad occuparsi della loro prole. Ma per i bambini che crescono senza una vera famiglia, questo non è un bene. Così come non lo è per tutte quelle donne che sono state abbandonate dai mariti e che con l’andare degli anni soffriranno ancora di più. Le vittime della liberazione sessuale sono moltissime e quando i nuovi atei descrivono la loro libertà come una conquista, non considerano proprio le migliaia di persone che la soffrono e che spesso sono le più vulnerabili. Parlano per una sola parte e sembrano invece parlare a nome di tutti. Parlano da uno scranno di potenza e si dimenticano di quella parte di società che invece i cristiani mettono al centro della propria vita: i deboli.

LA RAZIONALITA’. Gli atei, secondo la protagonista del libro, hanno dalla loro parte la Ragione… Tutti gli atei parlano ovunque e sempre di come la Ragione e la Logica sarebbero totalmente dalla loro parte. Ma questa sicurezza si sgretola davanti a più contraddizioni. La più importante: perché mai, con l’eccezione di alcuni Greci, di Spinoza e una manciata di altri impavidi, praticamente l’intera storia umana è inestricabilmente connessa con la credenza in una qualche divinità? Perché, si chiede la filosofa di Stanford, «gli uomini si sono sempre allungati verso Dio?». Ogni risposta fornita non spiega perché il 99 % dell’umanità si sia sbagliata su questa rilevante questione. Dinesh D’Souza ha ragione quando dice: «il motivo per il quale molti atei sono portati a negare Dio, e specialmente il Dio cristiano, è che vogliono sfuggire al dovere di rispondere nella prossima vita della loro incapacità di contegno morale in quella attuale».

LA CARITA’. Anche su questo punto gli atei sono in grave difficoltà. Perché sono costretti a riconoscere l’incessante lavorio dei credenti a favore dei più deboli, sia singolarmente che a livello istituzionale: ospedali, mense, assistenza sociale, reti caritatevoli, missioni, cappellani carcerari, orfanotrofi, cliniche… non si contano le opere messe in piedi dai credenti e dai cristiani. Non si può dire il contrario e questo non perché non si voglia dire, ma perché qualsiasi statistica conferma che sono le opere a carattere religioso a lavorare al fianco dei deboli. È più facile che una donna povera che frequenta la chiesa faccia la carità almeno una volta l’anno che una ricca. Gli atei, secondo la Eberstadt, sembrano propendere per una logica darwiniana, dove vige la legge del più forte: il mondo è di chi se lo guadagna, gli altri sono destinati a soccombere. Qual è il posto che gli atei assegano ai malati, ai vecchi e ai fragili?

EREDITA’ ESTETICA. Mi sono sempre chiesta perché i nuovi atei non diano credito alle opere d’arte e all’estetica dei credenti. O che, come fa Christopher Hitchens nel campo letterario, cerchino di ridicolizzarla alla stregua di favole morali. Personalmente ritengo che l’eredità estetica della religione sia veramente difficile da negare. Qualche esempio a caso: la basilica di San Marco a Venezia, Notre Dame a Parigi, S. Pietro a Roma, la cattedrale di San Paolo a Londra e ancora: La Divina Commedia, La Città di Dio, L’elogio della Follia e potrei citare intere biblioteche. Per non parlare della musica.Non puoi spiegare Bernini soltanto dicendo che per i suoi lavori è stato coperto di denari dal Papa. No, è chiaro che c’è un aspetto che trascende, e questo aspetto è la fede. La cultura che ha eretto un cubo assordante, razionale, angoloso, geometricamente preciso ma essenzialmente privo di sembiante o la cultura che ha prodotto le volteggiature e le bugne, le garguglie e la sacra assenza di monotonia di Notre Dame?

DONNE, BAMBINI E FAMIGLIA. Gli atei ne sanno poco. Christopher Hitchens ha scritto tempo fa che quando lui guarda sua figlia non vede qualcosa di creato davanti a sè, ma uno straordinario insieme di molecole. Lui è solo uno dei tanti darwinisti che considera l’uomo un puro frutto della ragione scientifica. Io sono certa che Hitchens amerà profondamente sua figlia, ma sono anche sicura che non c’è madre che guardando il proprio figlio pensi soltanto: wow, che bell’insieme di molecole che ho partorito. La nascita di un bambino stabilisce un legame non solo con il neonato ma anche con l’universo. Ciò di cui mi sono resa conto è che la maggior parte degli scritti atei (vedi Rousseau, per esempio) dimostrano una scarsa conoscenza, e ancor minor interesse, riguardo a certi “sottoinsiemi”della specie umana. Sto parlando nello specifico dei bambini, delle donne e delle famiglie. Non avete fatto caso di quanto poco gli atei abbiano da dire sulla vita familiare o sul matrimonio o su qualsiasi altra istituzone legata storicamente alla riproduzione della nostra specie? Una mancanza madornale se si considera che la maggior parte della gente vive in famiglia, e che la maggioranza fa esperienza religiosa attraverso e a motivo dei loro familiari. L’antropologia atea non affronta le grandi questioni, non capisce che molte persone cominciano a credere in Dio perché, ad esempio, amano troppo i loro mariti o le loro mogli per credere che la morte veramente li separerà per sempre e che il loro amore per i figli trascenda questa ipotetica catena finita di cellule e sarà superiore alla vita terrena.