CREDENTI

MEDITIAMO LE SCRITTURE (Vol 3)

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    00 02/08/2011 08:18
    don Luciano Sanvito
    Accogliere il Regno

    QUELLO CHE ESCE DALL'UOMO LO RENDE IMPURO...

    Tutto il mondo attorno a noi può essere impuro e cattivo,...
    Ma se non accogliamo in noi questa negatività, ecco che dal nostro cuore questa passa e va via, e non rimane, e da noi non uscirà mai questa negatività, questa impurità.

    Tanti santi hanno convissuto con le esperienze del peccato e del male, ma mai ne sono rimasti invischiati, mai lo hanno condiviso, e quindi hanno mantenuto la loro santità, lasciando scorrere su di essi, come acqua del fiume su una roccia, tutto il male che scorreva...sempre fuori.

    Non illudiamoci che il bene esteriore possa renderci davvero buoni.
    Non spaventiamoci che il male esteriore possa contaminare il cuore.

    Restiamo saldi e ancorati alla roccia che è il Cristo e la sua Parola.
    Tutto il resto viene di conseguenza.

    Tutto ciò che non si collega a Dio e alla sua azione di salvezza finirà comunque "in un fosso", come occasione di cecità morale.
    Tutto quello che invece val la pena di accogliere come volontà di Dio, finirà nel nostro cuore e sarà destinato ad essere azione di salvezza.
    Non abbiamo dunque paura di quello che entra, ma di quello che esce da noi.
    ACCOGLIERE IL REGNO CI GARANTISCE LA PUREZZA DEL CUORE

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    00 03/08/2011 08:40
    Omelia (05-08-2009)
    a cura dei Carmelitani


    1) Preghiera

    Mostraci la tua continua benevolenza, o Padre,
    e assisti il tuo popolo,
    che ti riconosce suo pastore e guida;
    rinnova l?opera della tua creazione
    e custodisci ciò che hai rinnovato.
    Per il nostro Signore Gesù Cristo...




    2) Lettura

    Dal Vangelo secondo Matteo 15,21-28
    In quel tempo, partito da Genesaret, Gesù si diresse verso le parti di Tiro e Sidóne. Ed ecco una donna cananea, che veniva da quelle regioni, si mise a gridare: ?Pietà di me, Signore, figlio di Davide. Mia figlia è crudelmente tormentata da un demonio?. Ma egli non le rivolse neppure una parola.
    Allora i discepoli gli si accostarono implorando: ?Esaudiscila, vedi come ci grida dietro?. Egli rispose: ?Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele?.
    Ma quella si avvicinò e si prostrò dinanzi a lui dicendo: ?Signore, aiutami!?.
    Ed egli rispose: ?Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini?.
    ?È vero, Signore, disse la donna, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni?.
    Allora Gesù le replicò: ?Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri?. E da quell?istante sua figlia fu guarita.



    3) Riflessione

    ? Contesto. Il pane dei figli e la grande fede di una cananea è il tema che presenta il brano liturgico tratto dal cap.15 di Matteo e che propone al lettore del suo vangelo un ulteriore approfondimento della fede in Cristo. L?episodio è preceduto da un?iniziativa dei farisei e scribi che scendono da Gerusalemme e danno luogo a uno scontro con Gesù, che è di breve durata, in quanto insieme ai suoi discepoli si allontanò per recarsi nella regione di Tiro e Sidone. Mentre è in cammino viene raggiunto da una donna proveniente da qui luoghi pagani. Questa donna viene presentata da Matteo con l?appellativo di «cananea» che alla luce dell?At, appare in tutta la sua durezza. Nel libro del Deuteronomio gli abitanti di Canaan sono ritenuti gente piena di peccato per antonomasia, popolo cattivo e idolatrico.
    ? La dinamica del racconto. Mentre Gesù svolge in Galilea la sua attività ed è in cammino verso Tiro e Sidone, una donna gli si avvicina e inizia a importunarlo con una richiesta di aiuto per la sua figlia ammalata. La donna rivolge a Gesù con il titolo «figlio di Davide», un titolo che risuona strano sulla bocca di una pagana a che potrebbe essere giustificato per la situazione estrema che vive la donna. Si potrebbe pensare che questa donna creda già in qualche modo alla persona di Gesù come il salvatore finale, ma lo si esclude perché solo nel v.28 viene riconosciuto il suo atto di fede, proprio da Gesù. Nel dialogo con la donna Gesù sembra mostrare quella scontata distanza e diffidenza che vigeva fra il popolo d?Israele e i pagani. Da un lato Gesù conferma alla donna la priorità per Israele di accedere alla salvezza, e davanti all?insistente preghiera della sua interlocutrice Gesù sembra prendere le distanze; un atteggiamento incomprensibile al lettore ma nell?intenzione di Gesù esprime un alto valore pedagogico. Alla prima invocazione «Pietà di me, Signore, figlio di Davide» (v.22) Gesù non risponde. Al secondo intervento questa volta da parte dei discepoli che lo invitano ad esaudire la preghiera della donna, esprime solo un rifiuto che sottolinea quella secolare distanza fra il popolo eletto e i popoli pagani (vv.23b-24) Ma all?insistenza della preghiera della donna che si prostra davanti a Gesù, segue una risposta dura e misteriosa: «non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini» (v.26). La donna và oltre la durezza delle parole di Gesù e vi coglie un piccolo segnale di speranza: la donna riconosce che il piano di Dio portato avanti da Gesù interessa inizialmente il popolo eletto e Gesù chiede alla donna il riconoscimento di tale priorità; la donna sfrutta tale priorità per presentare un motivo forte per ottenere il miracolo: «Anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni» (v.27). La donna ha superato la prova della fede: «Donna, davvero grande e la tua fede» (v.28); infatti, all?umile insistenza della sua fede risponde con un gesto di salvezza.
    Da questo episodio viene rivolto ad ogni lettore del Vangelo un invito ad avere quell?atteggiamento interiore di «apertura» verso tutti, credenti o no, vale a dire, disponibilità e accoglienza senza riserve verso qualsiasi uomo.



    4) Per un confronto personale

    ? La parola inquietante di Dio ti invita a spezzare le tue chiusure e i tuoi piccoli schemi. Sei capace di accogliere tutti i fratelli che si accostano a te?
    ? Sei consapevole della tua povertà per essere capace come la cananea di affidarti alla parola salvifica di Gesù?




    5) Preghiera finale

    Non respingermi dalla tua presenza
    e non privarmi del tuo santo spirito.
    Rendimi la gioia di essere salvato,
    sostieni in me un animo generoso.
    (Sal 50)

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    00 04/08/2011 09:34
    padre Lino Pedron
    Commento su Matteo 16, 13-23

    Gesù pone la domanda fondamentale, sulla quale si decide il destino di ogni uomo: "Voi chi dite che io sia?". Dire chi è Gesù è collocare la propria esistenza su un terreno solido, incrollabile.

    La risposta di Pietro è decisa e sicura. Ma il suo discernimento non deriva dalla "carne" e dal "sangue", cioè dalle proprie forze, ma dal fatto che ha accolto in sé la fede che il Padre dona.

    Gesù costituisce Pietro come roccia della sua Chiesa: la casa fondata sopra la roccia (cfr 7,24) comincia a prendere il suo vero significato.

    Non è fuori luogo chiedersi se Pietro era pienamente cosciente di ciò che gli veniva rivelato e di ciò che diceva. Notiamo il forte contrasto tra questa professione di fede seguita dall'elogio di Gesù: "Beato te, Simone..." e l'incomprensione del v.22: "Dio te ne scampi, Signore..." e infine l'aspro rimprovero di Gesù: "Via da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!".

    Questo contrasto mette in evidenza la differenza tra la fede apparente e quella vera: non basta professare la messianicità di Gesù. Bisogna credere e accettare che il progetto del Padre si realizza attraverso la morte e la risurrezione del Figlio.

    Pietro riceve le chiavi del regno dei cieli. Le chiavi sono segno di sovranità e di potere. Pietro dunque insieme alle chiavi riceve piena autorità sul regno dei cieli. Egli esercita tale autorità sulla terra e non in funzione di portinaio del cielo, come comunemente si pensa. In qualità di trasmettitore e garante della dottrina e dei comandamenti di Gesù, la cui osservanza apre all'uomo il regno dei cieli, egli vincola alla loro osservanza.

    Gli scribi e i farisei, in quanto detentori delle chiavi fino a quel momento, avevano esercitato la medesima autorità. Ma, rifiutando il vangelo, essi non fanno altro che chiudere il regno dei cieli agli uomini. Simon Pietro subentra al loro posto.

    Se si considera attentamente questa contrapposizione, risulta che il compito principale di cui è incaricato Pietro è quello di aprire il regno dei cieli. Il suo incarico va descritto in senso positivo.

    Non si potrà identificare la Chiesa con il regno dei cieli. Ma il loro accostamento in quest'unico brano del vangelo offre l'opportunità di riflettere sul loro reciproco rapporto. Alla Chiesa, quale popolo di Dio, è affidato il regno dei cieli (cfr 21,43). In essa vivono gli uomini destinati al Regno. Pietro assolve il proprio sevizio nella Chiesa quando invita a ricordarsi della dottrina di Gesù, che permette agli uomini l'ingresso nel Regno.

    Nel giudaismo, gli equivalenti di legare e sciogliere ('asar e sherà') hanno il significato specifico di proibire e permettere, in riferimento ai pronunciamenti dottrinali. Accanto al potere di magistero si pone quello disciplinare. In questo campo i due verbi hanno il senso di scomunicare e togliere la scomunica.

    Questo duplice potere viene assegnato a Pietro. Non è il caso di separare il potere di magistero da quello disciplinare e riferire l'uno a 16,19 e l'altro a 18,18. Ma non è possibile negare che in questo versetto 19 il potere dottrinale, specialmente nel senso della fissazione della dottrina, sta in primo piano.

    Pietro è presentato come maestro supremo, tuttavia con una differenza non trascurabile rispetto al giudaismo: il ministero di Pietro non è ordinato alla legge, ma alla direttiva e all'insegnamento di Gesù.

    Il legare e lo sciogliere di Pietro viene riconosciuto in cielo, cioè le decisioni di carattere dottrinale prese da Pietro vengono confermate nel presente da Dio. L'idea del giudizio finale è più lontana, proprio se si includono anche decisioni disciplinari.

    Nel vangelo di Matteo, Pietro viene presentato come il discepolo che fa da esempio. Ciò che gli è accaduto è trasferibile ad ogni discepolo. Questo vale sia per i suoi pregi sia per le sue deficienze, che vengono impietosamente riferite. Ma a Pietro rimane una funzione esclusiva ed unica: egli è e resta la roccia della Chiesa del Messia Gesù. Pietro è il garante della tradizione su Cristo com'è presentata dal vangelo di Matteo.

    Nel suo ufficio egli subentra agli scribi e ai farisei, che finora hanno portato le chiavi del regno dei cieli. A lui tocca far valere integro l'insegnamento di Gesù in tutta la sua forza.

    Dopo aver comandato ai suoi discepoli di non dire che egli era il Cristo, perché la loro concezione del Messia non era ancora adeguata, Gesù compie un passo avanti decisivo nella sua vita: annuncia che è giunta l'ora della sua passione, della sua morte e della sua risurrezione.

    La dichiarazione di Gesù costituisce un'autentica tentazione per Pietro che protesta e sgrida Gesù. Questa idea di un Messia sofferente è insopportabile per Pietro, e non solo per Pietro. Invece di accettare la rivelazione del Padre (v17) ossia il pensiero di Dio (v.23), egli proietta su Gesù la propria concezione del Messia. Facendo da maestro a Gesù e anteponendosi a lui, egli diviene satana, tentatore del suo Signore.

    Non è per nulla casuale la presenza nel medesimo brano di due aspetti fortemente contrastanti: la professione di fede di Pietro e la sua incomprensione del mistero di Gesù, l'autorità affidata a Pietro e il rimprovero rivoltogli da Gesù.

    L'evangelista sottolinea intenzionalmente questo contrasto per indicarci che Pietro è la roccia sulla quale Cristo fonda la sua Chiesa non per le sue qualità naturali, ma per grazia e per elezione divina.

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    Coordin.
    00 05/08/2011 08:27
    a cura dei Carmelitani


    1) Preghiera

    Mostraci la tua continua benevolenza, o Padre,
    e assisti il tuo popolo,
    che ti riconosce suo pastore e guida;
    rinnova l'opera della tua creazione
    e custodisci ciò che hai rinnovato.
    Per il nostro Signore Gesù Cristo...



    2) Lettura del Vangelo

    Dal Vangelo secondo Matteo 16,24-28
    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: "Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.
    Qual vantaggio infatti avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero, e poi perderà la propria anima? O che cosa l'uomo potrà dare in cambio della propria anima? Poiché il Figlio dell'uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e renderà a ciascuno secondo le sue azioni.
    In verità vi dico: vi sono alcuni tra i presenti che non morranno finché non vedranno il Figlio dell'uomo venire nel suo regno".


    3) Riflessione

    ? I cinque versi del vangelo di oggi continuano le parole di Gesù a Pietro che abbiamo meditato ieri. Gesù non nasconde né mitiga le esigenze del discepolato. Non permette che Pietro prenda l'iniziativa e lo mette al suo giusto posto: "Lungi da me!" Il vangelo di oggi esplicita queste esigenze per tutti noi;
    ? Matteo 16,24: Prenda la sua croce e mi segua. Gesù trae le conclusioni che valgono fino ad oggi: "Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua". In quel tempo, la croce era la pena di morte che l'impero romano infliggeva agli emarginati e ai banditi. Prendere la croce e caricarla dietro Gesù era lo stesso che accettare di essere emarginati dal sistema ingiusto che legittimava l'ingiustizia. La Croce non è fatalismo, né esigenza del Padre. La Croce è la conseguenza dell'impegno liberamente assunto da Gesù per rivelare la Buona Notizia che Gesù è Padre e che, quindi, tutti e tutte dobbiamo essere accettati e trattati da fratelli e sorelle. A causa di questo annuncio rivoluzionario, Gesù fu perseguitato e non ebbe paura di dare la sua vita. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i suoi amici (Gv 15,13). La testimonianza di Paolo nella lettera ai Galati indica la portata concreta di tutto ciò: "Quanto a me invece, non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo del quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo". (Gal 6,14) E termina alludendo alle cicatrici delle torture da lui sofferte: "D'ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: difatti io porto le stigmate di Gesù nel mio corpo" (Gal 6,17).
    ? Matteo 16,25-26: Chi perde la vita per causa mia la troverà. Questi due versi esplicitano valori umani universali che confermano l'esperienza di molti cristiani e non cristiani. Salvare la vita, perdere la vita, trovare la vita. L'esperienza di molti è la seguente: Chi vive dietro beni e ricchezze, non è mai sazio. Chi si dona agli altri, dimentica di sé, sente una grande felicità. E' l'esperienza delle madri che si donano, e di tanta gente che non pensano a sé, ma agli altri. Molti fanno e vivono così quasi per istinto, come qualcosa che viene dal fondo dell'anima. Altri agiscono così perché hanno avuto un'esperienza dolorosa di frustrazione che li ha portati a cambiare atteggiamento. Gesù ha ragione nel dire: "Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà". Importante è il motivo: "per causa mia", o come dice Marco: "per causa del Vangelo" (Mc 8,35). E termina dicendo: "Che giova, infatti, all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima? E che cosa potrebbe mai dare un uomo in cambio della propria anima?" Questa ultima frase evoca il salmo dove si dice che nessuno è capace di pagare il prezzo di riscatto della vita: "Nessuno può riscattare se stesso, o dare a Dio il suo prezzo. Per quanto si paghi il riscatto di una vita, non potrà mai bastare per vivere senza fine, e non vedere la tomba" (Sal 49,8-10).
    ? Matteo 16,27-28: Il Figlio dell'Uomo darà a ciascuno secondo la sua condotta. Questi due versi si riferiscono alla speranza riguardo alla venuta del Figlio dell'Uomo negli ultimi tempi, quale giudice dell'umanità, come è presentato nella visione del profeta Daniele (Dan 7,13-14). Il primo verso dice: "Poiché il Figlio dell'uomo verrà nella gloria del Padre suo, con i suoi angeli, e renderà a ciascuno secondo le sue azioni" (Mt 16,27). In questa frase si parla della giustizia del Giudice. Ognuno riceverà secondo la propria condotta. Il secondo verso dice: "Vi sono alcuni tra i presenti che non morranno finché non vedranno il Figlio dell'uomo venire nel suo Regno" (Mt 16,28). Questa frase è un avviso per aiutare a percepire la venuta di Gesù, Giudice, nei fatti della vita. Alcuni pensavano che Gesù sarebbe venuto dopo (1Ts 4,15-18). Ma Gesù, di fatto, era già presente nelle persone, soprattutto nei poveri. Ma loro non lo percepivano, Gesù stesso aveva detto: "Ogni volta che avete aiutato il povero, l'infermo, il senza tetto, il carcerato, il pellegrino, ero io!" (cf. Mt 25,34-45).


    4) Per un confronto personale

    ? Chi perde la vita, la trova. Qual è l'esperienza che ho al riguardo?
    ? Le parole di Paolo:
    "Quanto a me invece, non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo del quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo". Ho il coraggio di ripeterle nella mia vita?


    5) Preghiera finale

    Celebrate con me il Signore,
    esaltiamo insieme il suo nome.
    Ho cercato il Signore e mi ha risposto
    e da ogni timore mi ha liberato.
    (Sal 33)

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    Coordin.
    00 06/08/2011 11:21
    Gaetano Salvati
    Commento su Matteo 17,1-9

    La liturgia odierna celebra la trasfigurazione del nostro Salvatore.
    Gesù, dopo aver annunciato la sua passione e morte ai discepoli (Mt 16,22), intende rafforzare la loro fede vacillante, messa in crisi proprio dalla predizione della sua crocifissione. San Matteo narra che il Maestro prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su di un alto monte "in disparte" (17,1). Molti studiosi di Sacra Scrittura identificano il monte con il Tabor; altri propongono il monte Hermon. L'evangelista molto spesso parla di "monte" attribuendo al termine un valore simbolico: un luogo privilegiato per la preghiera, più vicino a Dio.
    La trasfigurazione di Gesù indica una trasformazione momentanea del suo corpo, prefigurazione della gloria pasquale. Qui è Dio che svela ai discepoli la vera identità del Signore: "è il mio Figlio diletto"; in Lui il Padre si compiace perché attua il suo progetto di salvezza attraverso la morte in croce; per questo motivo, l'intera umanità deve ascoltare Gesù che rivela ad essi l'amore infinito del Padre (v.5).
    La presenza di Mosè ed Elia (v.3) designa la pienezza della rivelazione divina dell'Antico Testamento, rispettivamente Legge e Profeti, concretizzata dall'incarnazione del Verbo e dalla Sua missione in mezzo agli uomini.
    Quando Gesù ritorna al suo stato normale (v.7) tocca i Suoi discepoli che, intanto, erano rimasti come morti: "alzatevi" significa "risorgete". Il Signore impose loro il silenzio fino alla Sua risurrezione (v.9).
    Cari fratelli, il Signore trasfigurato è la salvezza dell'uomo: nella Sua gloria Egli intende condurre ogni uomo; è il profeta escatologico (del compimento finale di ogni cosa) che va ascoltato per conseguire i beni futuri del regno.

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    Coordin.
    00 07/08/2011 09:16
    padre Ermes Ronchi
    La mano di Dio tra le tempeste

    I discepoli si sentono abbandonati nel momento del pericolo, lasciati soli a lottare contro le onde per una lunga notte. Come loro anche noi ci siamo sentiti alle volte abbandonati, e Dio era lontano, assente, era muto. Eppure un credente non può mai dire: «Io da solo, io con le mie sole forze», perché non siamo mai soli, perché intrecciato al nostro respiro c'è sempre il respiro di Dio, annodata alla nostra forza è la forza di Dio.
    Infatti Dio è sul lago: è nelle braccia di chi rema, è negli occhi che cercano l'approdo. E la barca, simbolo della nostra vita fragile, intanto avanza nella notte e nel vento non perché cessa la tempesta, ma per il miracolo umile dei rematori che non si arrendono, e ciascuno sostiene il coraggio dell'altro.
    Dio non agisce al posto nostro, non devia le tempeste, ma ci sostiene dentro le burrasche della vita. Non ci evita i problemi, ci dà forza dentro i problemi.
    Poi Pietro vede Gesù camminare sul mare: «Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque». Pietro domanda due cose: una giusta e una sbagliata. Chiede di andare verso il Signore. Domanda bellissima, perfetta: che io venga da te. Ma chiede di andarci camminando sulle acque, e questo non serve. Non è sul mare dei miracoli che incontrerai il Signore, ma nei gesti quotidiani; nella polvere delle strade come il buon samaritano e non nel luccichio di acque miracolose.
    Come Pietro, fissare lo sguardo su Gesù che ti viene incontro quando intorno è buio, quando è tempesta, e sentire cosa ha da dire a te, solo a te: vieni! Con me tutto è possibile .
    «E venne da Gesù» dice il Vangelo. Pietro guarda a lui, non ha occhi che per quel volto, ha fede in lui, e la sua fede lo rende capace di ciò che sembrava impossibile.
    Poi la svolta: ma vedendo che il vento era forte, si impaurì e cominciò ad affondare. In pochi passi, dalla fede che è saldezza, alla paura che è palude dove sprofondi. Cosa è accaduto? Pietro ha cambiato la direzione del suo sguardo, la sua attenzione non va più a Gesù ma al vento, non fissa più il Volto ma la notte e le onde.
    Quante volte anch'io, come Pietro, se guardo al Signore e alla sua forza posso affrontare qualsiasi tempesta; se guardo invece alle difficoltà, o ai miei limiti, mi paralizzo. Tuttavia dalla paura nasce un grido: Signore salvami!
    Un grido nel buio, nel vento, nel gorgo che risucchia. E dentro il grido c'è già un abbraccio: ho poca fede, credo e dubito, ma tu aiutami!
    Ed è proprio là che il Signore Gesù ci raggiunge, al centro della nostra debole fede. Ci raggiunge e non punta il dito per accusarci, ma tende la mano per afferrare la nostra, e tramutare la paura in abbraccio.

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    Coordin.
    00 08/08/2011 13:55
    a cura dei Carmelitani
    Commento Matteo 17,22-27

    1) Preghiera

    Dio onnipotente ed eterno,
    che ci dai il privilegio di chiamarti Padre,
    fa' crescere in noi lo spirito di figli adottivi,
    perché possiamo entrare
    nell'eredità che ci hai promesso.
    Per il nostro Signore Gesù Cristo...



    2) Lettura del Vangelo

    Dal Vangelo secondo Matteo 17,22-27
    In quel tempo, mentre si trovavano insieme in Galilea, Gesù disse ai suoi discepoli: "Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà". Ed essi furono molto rattristati.
    Venuti a Cafarnao, si avvicinarono a Pietro gli esattori della tassa per il tempio e gli dissero: "Il vostro maestro non paga la tassa per il tempio?" Rispose: "Sì".
    Mentre entrava in casa, Gesù lo prevenne dicendo: "Che cosa ti pare, Simone? I re di questa terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli altri?" Rispose: "Dagli estranei".
    E Gesù: "Quindi i figli sono esenti. Ma perché non si scandalizzino, va' al mare, getta l'amo e il primo pesce che viene prendilo, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d'argento. Prendila e consegnala a loro per me e per te".


    3) Riflessione

    ? I cinque versi del vangelo di oggi parlano di due temi assai diversi tra loro: (a) Il secondo annuncio della passione, morte e risurrezione di Gesù (Mt 17,22-23); (b) Informano sulla conversazione di Gesù con Pietro sul pagamento delle tasse e delle imposte al tempio (Mt 17,24-27).
    ? Matteo 17,22-23: L'annuncio della morte e risurrezione di Gesù. Il primo annuncio (Mt 16,21) aveva prodotto una forte reazione da parte di Pietro che non voleva saperne della sofferenza né della croce. Gesù aveva risposto con la stessa forza: "Lungi da me, satana!" (Mt 16,23) Qui, nel secondo annuncio, la reazione dei discepoli è più blanda, meno aggressiva. L'annuncio produce tristezza. Sembra che loro cominciano a comprendere che la croce fa parte del cammino. La prossimità della morte e della sofferenza pesa su di loro, generando un forte scoraggiamento. Anche se Gesù cerca di aiutarli, la resistenza di secoli contro l'idea di un messia crocifisso, era più grande.
    ? Matteo 17,24-25a: La domanda a Pietro degli esattori della tassa. Quando giungono a Cafarnao, gli esattori della tassa del Tempio hiedono a Pietro: "Il vostro maestro non paga la tassa per il Tempio?" Pietro risponde: "Sì!" Fin dai tempi di Neemia (V secolo aC), i giudei che erano ritornati dall'esilio in Babilonia, si impegnarono solennemente nell'assemblea a pagare le diverse tasse ed imposte per fare in modo che il Tempio continuasse a funzionare e per curare la manutenzione sia del servizio sacerdotale che dell'edificio del Tempio (Ne 10,33-40). Da ciò che emerge nella risposta di Pietro, Gesù pagava questa imposta come facevano tutti i giudei.
    ? Matteo 17,25b-26: La domanda di Gesù a Pietro sull'imposta. E' strana la conversazione tra Gesù e Pietro. Quando loro giungono a casa, Gesù chiede: "Che cosa ti pare, Simone? I re di questa terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli altri?" Pietro risponde: "Dagli estranei". E Gesù dice: ""Quindi i figli sono esenti!". Probabilmente, qui si rispecchia una discussione tra i giudei cristiani prima della distruzione del Tempio, nell'anno 70. Loro si chiedevano se dovevano o meno continuare a pagare l'imposta del Tempio, come facevano prima. Per la risposta di Gesù, scoprono che non hanno l'obbligo di pagare questa tassa: "I figli sono esenti". I figli sono i cristiani, ma pur non avendo l'obbligo di pagare, la raccomandazione di Gesù e di farlo per non provocare scandalo.
    ? Matteo 17,27: La conclusione della conversazione sul pagamento della tassa. Più strana ancora della conversazione è la soluzione che Gesù dà alla questione. Dice a Pietro: "Ma perché non si scandalizzino, va' al mare, getta l'amo e il primo pesce che viene prendilo, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d'argento. Prendila e consegnala a loro per me e per te". Strano miracolo, strano come quei 2000 porci che si precipitarono nel mare (Mc 5,13). Qualunque sia l'interpretazione di questo fatto miracoloso, questo modo di risolvere il problema suggerisce che si tratta di un tema che non ha molta importanza per Gesù.


    4) Per un confronto personale

    ? La sofferenza della croce scoraggia e intristisce i discepoli. E' successo già nella tua vita?
    ? Come interpreti l'episodio della moneta trovata nella bocca del pesce?



    5) Preghiera finale

    Lodate il Signore dai cieli, lodatelo nell'alto dei cieli.
    Lodatelo, voi tutti, suoi angeli,
    lodatelo, voi tutte, sue schiere.
    (Sal 148)

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    Coordin.
    00 09/08/2011 15:16
    padre Lino Pedron
    Commento su Matteo 17, 14-20

    Il brano si articola sull'impotenza dei discepoli di guarire il fanciullo a causa della loro poca fede (v.20), nel mezzo di una generazione senza fede (v.17) e conclude presentando la potenza della vera fede (v.20).

    Per Matteo questo ragazzo è simbolo del popolo d'Israele incredulo (cfr Dt 32,5) che non ha percepito la presenza di Dio in mezzo a sé (v.17).

    I discepoli non possono scacciare il demonio con le loro forze, ma solo con la potenza di Dio. La fede è l'unico mezzo per mettersi in contatto con Dio e usufruire della sua potenza.

    Matteo richiama la parabola del granello di senapa (13,31-32) la cui crescita va molto al di là delle attese iniziali.

    Questo testo sembra contenere una contraddizione. Gesù rimprovera i discepoli per la loro poca fede e poi dice che un granellino di fede sposta le montagne.

    Alcuni codici non parlano di poca fede (oligopistìa), ma di "nessuna fede" o di "incredulità". Comunque si voglia leggere il testo, si tratta nel primo caso di "nessuna fede" o di "poca fede" esitante, contraddittoria e dubbiosa; nel secondo caso si parla di un granellino di fede autentica.

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    Coordin.
    00 10/08/2011 16:41
    Movimento Apostolico - rito romano
    Se uno serve me, il Padre lo onorerà

    Oggi Gesù ci chiama ad avere sulla nostra vita la stessa sua fede. Qual era allora esattamente la fede di Gesù sulla sua vita? Gesù paragona la sua vita ad un chicco di grano che cade a terra. Se questo chicco di grano non perde tutta la sua natura, se non si trasforma in nutrimento per una nuova vita, rimane solo, non produce frutto. Se invece, cadendo a terra, si annienta, si annulla, si lascia consumare dal germe che porta nel suo seno, diventa nuova vita, cresce, si fa spiga, produrrà molti frutti e potrà sfamare il mondo intero. È questa la forza del morire a se stessi in questo mondo .
    Gesù dal Cielo è caduto sulla nostra terra. In mezzo a noi si è annientato, umiliato fino alla morte di croce. La vita eterna che era in Lui ha trasformato il suo corpo in una nuova pianta, nella pianta dell'Eucaristia, che potrà sfamare fino alla consumazione dei secoli tutta l'umanità. Non solo la potrà sfamare, ma anche dissetare, perché anche il suo sangue è divenuto questa nuova linfa di vita per tutto il genere umano.
    È questa la vera sequela di Cristo Gesù: portare a compimento nel nostro corpo, in questo tempo, sulla terra, nella storia, questo annientarsi a se stessi, questo annullarsi alla propria umanità, perché il germe della vita eterna, posto dallo Spirito Santo nel nostro cuore, possa produrre veri frutti di carità, giustizia, santità, per oggi e per l'eternità, per noi e per tutti i nostri fratelli. Dalla nostra morte è la vita del mondo.
    Andare dietro Gesù non è frequentare qualche Santa Messa domenicale, quando non abbiamo nulla da fare e ci annoia rimanere in casa o recarci altrove. Non è neanche quella religiosità fatta di riti, processioni, usanze, tradizioni popolari, celebrazione scenica di questo o quell'altro mistero della fede. Non è neppure qualche opera di carità che siamo costretti a fare per l'insistenza di questa o di quell'altra persona.
    La sequela di Gesù è una cosa seria: è prendere la via della vera morte del nostro io. Noi siamo chiamati a morire alla superbia, all'invidia, all'egoismo, alla concupiscienza, alla vanagloria, alla sete di potere, di denaro, di successo, a tutte le opere della nostra carne, opere che oscurano il volto di Cristo Gesù nella nostra quotidiana esistenza.
    La sequela di Gesù ci fa consegnare la nostra vita al solo amore, alla sola carità, alla sola misericordia. Viviamo per essere degli altri, per gli altri, mai però secondo la nostra volontà, sempre in obbedienza purissima alla volontà di Cristo Gesù e del padre nostro Celeste. È questo un morire quotidiano, ininterrotto, perenne.
    Quello del cristiano è un vero morire a se stesso, perché solo Cristo viva in lui e per lui. Questo morire quotidiano spirituale potrà anche divenire un morire fisico con il più atroce dei martiri. Anche questa morte è accolta dal discepolo di Gesù, sapendo che da essa scaturirà un frutto di vita eterna per la salvezza del mondo intero.
    Quanta è differente la vita e la morte del discepolo di Gesù che si fa vero chicco di grano da colui che si conserva la vita solo per se stesso e la consuma in un esasperato egoismo! Questa vita così consumata non produce alcun frutto. È una vita secca, buona solo per l'inferno e la perdizione perenne. Questa vita non giunge nel Cielo.
    Vergine Maria, Madre della Redenzione, Angeli e Santi di Dio fate che la nostra vita sia sequela di Gesù Signore, vero chicco di grano che muore per produrre molto frutto.

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    Coordin.
    00 11/08/2011 08:59
    a cura dei Carmelitani


    1) Preghiera

    Dio onnipotente ed eterno,
    che ci dai il privilegio di chiamarti Padre,
    fa' crescere in noi lo spirito di figli adottivi,
    perché possiamo entrare
    nell'eredità che ci hai promesso.
    Per il nostro Signore Gesù Cristo...



    2) Lettura del Vangelo

    Dal Vangelo secondo Matteo 18,21-19,1
    In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: "Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?" E Gesù gli rispose: "Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette.
    A questo proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito.
    Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa.
    Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito.
    Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito.
    Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto.
    Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto.
    Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello".
    Terminati questi discorsi, Gesù partì dalla Galilea e andò nel territorio della Giudea, al di là del Giordano.


    3) Riflessione

    ? Nel vangelo di ieri abbiamo ascoltato le parole di Gesù sulla correzione fraterna (Mt 18,15-20). Nel vangelo di oggi (Mt 18,21-39) il tema centrale è il perdono e la riconciliazione.
    ? Matteo 18,21-22: Perdonare settanta volte sette! Dinanzi alle parole di Gesù sulla correzione fraterna e la riconciliazione, Pietro chiede: "Quante volte devo perdonare? Sette volte?" Sette è un numero che indica una perfezione e, nel caso della proposta di Pietro, sette è sinonimo di sempre. Ma Gesù va oltre. Elimina tutto e qualsiasi limite possibile per il perdono: "Non ti dico fino a sette, ma settanta volte sette!" É come se dicesse: "No Pietro, devi perdonare sempre!" Poiché non c'è proporzione tra l'amore di Dio per noi ed il nostro amore verso il fratello. Qui si evoca l'episodio di Lamech del VT. "Lamech disse alle mogli: Ada e Silla ascoltate la mia voce; porgete l'orecchio al mio dire. Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette" (Gen 4,23-24). Il compito delle comunità è quello di invertire il processo della spirale di violenza. Per chiarire la sua risposta a Pietro, Gesù racconta la parabola del perdono senza limiti.
    ? Matteo 18,23-27: L'atteggiamento del padrone. Questa parabola è un'allegoria, cioè, Gesù parla di un padrone, ma pensa a Dio. Ciò spiega gli enormi contrasti della parabola. Come vedremo, malgrado si tratti di cose molte quotidiane, c'è qualcosa in questa storia che non avviene nella vita quotidiana. Nella storia che Gesù racconta, il padrone segue le norme del diritto dell'epoca. Era un suo diritto prendere un impiegato con tutta la famiglia e tenerlo in prigione fino a quando non avesse pagato il suo debito compiendo un lavoro da schiavo. Ma dinanzi alla richiesta dell'impiegato indebitato, il padrone perdona il debito. Ciò che colpisce è la quantità del debito: dieci mila talenti. Un talento equivale a 35 kg. Secondo i calcoli fatti diecimila talenti equivalgono a 350 tonnellate di oro. Anche se il debitore e la sua famiglia avessero lavorato tutta la vita, non sarebbero mai stati capaci di mettere insieme 350 tonnellate di oro. Il calcolo estremo è fatto a proposito. Il nostro debito dinanzi a Dio è incalcolabile ed impagabile.
    ? Matteo 18,28-31: L'atteggiamento dell'impiegato. Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! Costui gli doveva cento denari, cioè il salario di cento giorni di lavoro. Alcuni calcolano che si trattava di 30 grammi d'oro. Non c'era paragone tra i due! Ma ci fa capire l'atteggiamento dell'impiegato: Dio gli perdona 350 tonnellate di oro e lui non è capace di perdonare 30 grammi d'oro. Invece di perdonare, fa con il compagno ciò che il padrone potrebbe aver fatto, ma non fece. Fa mettere in carcere il suo compagno secondo le norme della legge, fino a che paghi tutto il debito. Atteggiamento disumano, che colpisce anche i suoi compagni. Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto. Anche noi avremmo fatto lo stesso, avremmo avuto lo stesso atteggiamento di disapprovazione.
    ? Matteo 18,32-35: L'atteggiamento di Dio. "Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto". Dinanzi all'amore di Dio che perdona gratuitamente il nostro debito di 350 tonnellate di oro, è più che giusto da parte nostra perdonare il fratello che ha un piccolo debito di 30 grammi d'oro. Il perdono di Dio è senza limiti. L'unico limite per la gratuità della misericordia di Dio viene da noi stessi, dalla nostra incapacità di perdonare il fratello! (Mt 18,34). E' ciò che diciamo e chiediamo nel Padre Nostro: "Perdona i nostri debiti, come noi li perdoniamo ai nostri debitori" (Mt 6,12-15).
    La comunità: spazio alternativo di solidarietà e di fraternità. La società dell'Impero Romano era dura e senza cuore, senza spazio per i piccoli. Loro cercavano un rifugio per il cuore e non lo trovavano. Le sinagoghe erano esigenti e non offrivano un luogo per loro. Nelle comunità cristiane, il rigore di alcuni nell'osservanza della Legge portava nella convivenza gli stessi criteri della società e della sinagoga. Così, nelle comunità, cominciavano ad apparire le stesse divisioni che esistevano nella società e nella sinagoga tra ricchi e poveri, dominio e sottomissione, uomo e donna, razza e religione. La comunità, invece di esser uno spazio di accoglienza, diventava un luogo di condanna. Unendo le parole di Gesù, Matteo vuole illuminare il cammino dei seguaci di Gesù, affinché le comunità siano uno spazio alternativo di solidarietà e di fraternità. Devono essere una Buona Notizia per i poveri.


    4) Per un confronto personale

    ? Perdonare. C'è gente che dice: "Perdono, ma non dimentico!" E io? Sono capace di imitare Dio?
    ? Gesù dà l'esempio. Nell'ora della morte chiede perdono per i suoi assassini (Lc 23,34). Sono capace di imitare Gesù?



    5) Preghiera finale
    Dal sorgere del sole al suo tramonto
    sia lodato il nome del Signore.
    Su tutti i popoli eccelso è il Signore,
    più alta dei cieli è la sua gloria.
    (Sal 112)

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    Coordin.
    00 12/08/2011 11:00
    Monaci Benedettini Silvestrini
    Fedeltà creativa

    Se il discorso sul perdono visto ieri spinge ad irrobustire la nostra fede e a viverla coerentemente, non meno esigente si mostra la richiesta di fedeltà di cui è portatore il vangelo odierno. L'episodio si inserisce all'interno di una diatriba tra Gesù e i farisei. Questi da rigidi custodi della legge sanno che c'è una norma, fatta risalire a Mosé (Dt 24, 1), per cui è lecito ripudiare la propria moglie, ma Gesù vi si oppone decisamente facendo prevalere i diritti-doveri della persona sulla legge stessa. È la legge a servizio della persona e non questa sottomessa a quella. Nel libro di Giosuè troviamo una grande liturgia commemorativa, probabilmente una celebrazione di rinnovamento dell'Alleanza, in cui Israele fa memoria, attraverso l'ascolto, delle grandi gesta compiute da Dio in favore del suo popolo. Ascolto e Parola sono due dimensioni che troviamo in entrambe le letture. Se l'ascolto avviene come memoriale allora la Parola si attualizza: ciò che viene letto non è la storia di altre persone, ma è la mia storia, ne sono coinvolto personalmente. Così il vangelo ci indica che verso la Parola occorre una "fedeltà creativa": sappiamo quanto siano deleteri i fondamentalismi di ogni genere, specialmente dove hanno a che fare con il letteralismo. Preservare la lettera è certamente cosa buona, ma esserne ostinatamente vittime è distruttivo per sé e per gli altri. Non c'è bisogno di scandalizzarci per la rigidità dei farisei, pensiamo invece ai vari fondamentalismi, in campo religioso e non, che scorgiamo oggi in questo nostro mondo ed anche, perché no, dentro di noi!

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    Coordin.
    00 13/08/2011 08:44
    padre Gian Franco Scarpitta
    Dio munifico fino in fondo

    Non solamente l'anima, ma anche il corpo di Maria è stato elevato alla dignità celeste. Non perché Maria fosse una donna naturalmente eccezionale rispetto alle altre, non perché avesse delle facoltà o dei privilegi straordinari rispetto ai comuni mortali, ma perché non poteva conoscere corruzione né senescienza il corpo di colei che aveva ospitato il Figlio di Dio mentre si incarnava, apportando così il notevole contributo all'opera divina di salvezza. Maria non è, naturalmente parlando, una donna eccezionale e le sue fattezze sono ben lungi da quelle di una divinità o di una creatura straordinariamente strutturata: è una persona semplice e sensibile, umile e dalle condizioni sociali e ambientali tutt'altro che elevate, debole e priva di ogni garanzia e di ogni certezza relativamente alla propria incolumità fisica. Eppure, come ella stessa aveva previsto, tutte le generazioni l'avrebbero chiamata beata. E di fatto ancora oggi il culto e la venerazione a lei rivolta è notevole. Perché il fatto che lei abbia accettato senza riserve di voler essere la Madre del Dio che entrava nella storia dell'uomo, mettendo a disposizione il suo grembo immacolato e inviolato perché fosse luogo primario di contatto fra lo spazio e l'eternità, le ha meritato molteplici conseguenze di gloria e di riconoscimenti terreni. Da ultimo, anche che il suo corpo venisse sottratto allo sfacelo della terra: è stato elevato alle alte sfere celesti perché non si confondesse con polvere del sepolcro e non fosse preda di vermi e di tarme, come inesorabilmente avviene per qualsiasi altro cadavere umano; ma questo semplicemente a motivo della sua continua fedeltà alla volontà di Dio, per la costanza e perseveranza nella fedeltà a Lui, per essere stata Madre del suo Verbo deliberatamente e consapevolmente e soprattutto perché non poteva accadere assolutamente che il gembo di Colei che aveva partorito nella carne il Cristo Messia potesse fare l'ignobile fine di altri cadaveri. Ecco perché era necessario che Dio elevasse Maria alla gloria celeste anche nel corpo oltre che nell'anima.
    Appunto perché Maria non è una divinità ma una semplice creatura umana, occorre precisare che ella "è stata assunta", cioè è stata innalzata ai Cieli per opera di Dio, a differenza del Cristo del quale si può dire che è Asceso di sua iniziativa, essendo invece Egli Dio incarnato.
    Anima e corpo di Maria sono stati insomma assunti al Cielo, ossia preservati da ogni corrosivo contatto terreno e da ogni possibile corruzione.
    Questa è in sintesi la dottrina dell'Assunzione della Vergine Maria al Cielo, avallata nel 1950 dal Dogma di Pio XII, che ne offriva i contenuti e le legittimazioni teologiche nella bolla "Munificientissimus Deus". Quando un papa, quale successore di Pietro, si pronuncia ex Chatedra su una verità di fede o di morale, quanto egli afferma è da ritenersi verità di fede indiscutibile: il papa esercita un mandato di provenienza divina, una funzione vicaria di guida e di lume per tutti i fedeli conferitagli da Cristo quale successore di Pietro, ragion per cui non va messa in discussione un atto del suo "Magistero Infallibile". Tuttavia nessun dogma scaturisce dalla volontà arbitraria e libera di un papa: ogni verità di fede definita è studiata in precedenza, valutata e soppesata sulle basi della Scrittura e della Tradizione e soprattutto viene riconosciuta obiettivamente come una verità già riconosciuta dalla Chiesa, anche appurando che essa sia stata oggetto di fede sin dai tempi più reconditi del cristianesimo. L'intervento risolutivo del papa non è quindi quello di un'aggiunta ulteriore alle verità di fede già ben note e conosciute, né uno spropositato esercizio di un potere personale sulla massa dei fedeli, bensì un servizio alla verità e una ricerca obiettiva e radicale di essa, che in questo caso si dà con un avallo, ossia una conferma definitiva: se prima potevano sorgere dubbi, incertezze, inquietitudini, errori e si potevano ingenerare anche confusioni dottrinali, adesso il pontefice ha eseguito opportuni accertamenti, verifiche, pervenendo alla verità e definisce in via certa e definitiva che Maria davvero è stata assunta al Cielo.

    Cosicché, seppure la verità dell'Assunzione di Maria è stata definita dogmaticamente solo nel 1950, essa ha origini antichissime e ha avuto nella vita della Chiesa, sin dalle origini, la sua evidenza liturgica e teologica. E' vero che essa non è affermata esplicitamente dalla Scrittura e ogni riferimento biblico su di essa è solo sotteso e indiretto, ma la sua verità è sempre stata sostenuta, difesa e promulgata. Una delle testimonianze più accreditate di essa è l'omelia antica di Germano da Costantinopoli, per non parlare di alcune attestazioni di Epifanio di Salamina e altri Padri antichi e altre testimonianze (alcune di fatto leggendarie) che raccontano della "Dormitio Mariae", episodio per cui la Vergine, mentre dormiva sul suo lettino circondata dagli apostoli e dai discepoli, fosse stata prelevata e portata al cielo da una schiera di angeli improvvisamente discesa dall'alto. Oltretutto se anche la Scrittura non menziona in alcun modo l'episodio in se stesso, afferm comunque che l'elevazione del corpo di un uomo verso la volta celeste è sempre stata cosa possibile e non escludibile: " Conosco un uomo in Cristo che, quattordici anni fa se con il corpo o fuori del corpo non lo so, lo sa Dio fu rapito fino al terzo cielo" (2 Cor 12, 2); il che fa pensare che l'essere elevato al cielo con il Corpo non doveva essere privilegio del tutto raro.

    Ribadiamo poi ancora una volta il concetto sopra menzionato: non può mai confondersi con la terra il grembo materno terreno di Dio che si faceva uomo.
    Ma al di là di tutte le spiegazioni teologiche possibili e di tutte le legittimazioni dottrinali, il titolo del documento pontificio sopra ricordato, "Munificentissimus Deus", è di grande ispirazione quanto al valore di questa verità da noi custodita e professata perché parla - appunto- della munificenza di Dio, della sua generosità, del suo amore di ricompensa che non manca di attribuire il giusto merito e di premiare i giusti nella forma proporzionata alla loro fedeltà. In altre parole, Dio non è semplicemente giusto e munifico, ma usa esserlo in proporzione al bene che noi possiamo aver fatto e alla fedeltà che gli avremo usato. Quindi, quale altra ricompensa poteva concedere a Maria, in forza dei suoi meriti di Madre di Dio e di discepola fedele, se non quella della preservazione del suo corpo dalla putredine della terra? Quale atto di riconoscenza più appropriato se non quello di concedere che il corpo di una donna così determinata e risolutiva nel voler essere sua Madre potesse essere difeso dalle intemperie di questo secolo? Se è vero che Dio compensa in oro ogni minimo atto di fedeltà da parte nostra (Il pellegrino russo) è lapalissiano che egli elargisca premi di alta preziosità a chi, come Maria, ha voluto mostrare fedeltà ineguagliabile.
    Maria infatti merita molto per essere stata colei che nella maternità divina ha contribuito notevolmente alla nostra redenzione e che nella sana condotta di prima redenta nonché ancella del Signore ha seguito le orme indelebili del suo stesso Verbo divino incarnato.
    Ne deriva allora una conseguenza concreta anche per noi, visto che ci sentiamo incoraggiati a perseverare a nostra volta nella fedeltà al Signore nonostante le continue difficoltà e la tentazione alla resa e alla sconfitta; l'elevazione del Corpo della Vergine ci ispira fiducia che anche noi otterremo le ricompense appropriate e conformi ai nostri sforzi e intanto la certezza che possiamo confidare nell'amore riconoscente del Signore con l'ulteriore verità che la Vergine Assunta non ci si presenta come un semplice modello statico da contemplare o da invidiare nell'assoluta passività, ma che Ella stessa ci viene in aiuto con la sua potente intercessione ispirandoci rinnovato slancio verso Dio, poiché Maria pone a nostra vantaggio la propria assunzione corporale. Ci sentiamo cioè ravvivati, incoraggiati spronati sempre al meglio da colei che ha guadagnato grandi ricompense di in forza di grandi meriti e sostenuti da Colei che si aspetta che anche noi raggiungiamo i nostri traguardi di perfezione per la definitiva contemplazione di Dio.

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    Coordin.
    00 14/08/2011 09:02
    don Bruno Maggioni
    Nessuno è escluso dal cuore di Dio

    Il passo evangelico riprende ancora una volta il tema della fede, indicandone alcune sue caratteristiche fondamentali. Si tratta, anzitutto, di una fede che possiamo indicare meglio con il termine fiducia. Non una fede intellettuale, teorica, che ha come oggetto la dottrina, ma una fede esistenziale, che ha come oggetto l'amore di Dio e il suo aiuto.
    In una situazione concreta, precisa, di disagio, la donna Cananea si rivolge a Gesù, sicura di essere aiutata. La sua fede è insistente, coraggiosa, umile, più forte dell'apparente rifiuto. La fede deve essere nel contempo sicura e paziente. Non deve lasciarsi scoraggiare nemmeno dal silenzio di Dio: «Non le rivolse neppure la parola». Ma l'episodio della Cananea non svolge soltanto il tema della fede, sottolineandone l'umiltà e la pazienza, bensì anche il tema dell'universalismo. È questo forse il tema più interessante, che Matteo sottolinea di fronte a una comunità tentata di rinchiudersi e di imprigionare la presenza di Dio: Dio è qui e non là, tutto il bene di qua e tutto il male di là.
    La donna Cananea è una straniera, una pagana. Gesù afferma di essere venuto in primo luogo per Israele, ma poi salva una straniera: un gesto prefiguratore. Il vangelo è aperto anche ai pagani. E c'è di più: non soltanto è aperto ai pagani, ma alle volte si trova più fede in mezzo a loro che all'interno della comunità cristiana. E' un pensiero, questo, che nel vangelo di Matteo ritorna con sorprendente frequenza: i magi vengono da lontano a cercare Gesù, mentre Erode e gli abitanti di Gerusalemme lo rifiutano; Dio può far sorgere figli di Abramo anche nelle pietre; il centurione pagano ha più fede degli israeliti; gli abitanti di Ninive e la regina del Sud sono più disponibili di «questa generazione».
    Torniamo a questo episodio. Il gioco delle domande e delle risposte tra Gesù e la donna verte sul posto che i pagani occupano nel disegno di Dio. I figli sono gli ebrei, i cagnolini sono i pagani. Gesù giustifica il suo rifiuto appellandosi al piano di Dio, come se questo piano contemplasse un prima (i giudei) e solo eventualmente dopo un poi (i pagani). Così in effetti si pensava. Ma la donna riprende l'immagine di Gesù e la sviluppa capovolgendola. Non rifiuta la priorità di Israele, però ricorda che anche i pagani hanno un posto. C'è modo e modo di intendere la priorità.
    Anche l'amore di Dio può avere le sue priorità, ma si tratta sempre di priorità che non separano e non escludono. Se i figli sono i primi non è per escludere gli altri, ma per far posto anche agli altri. E così per la parola di una donna pagana la priorità, che Israele vantava, viene allargata e purificata. E Gesù riconosce e ne dà atto, come se quella donna pagana lo avesse in un certo senso illuminato. Anche dai pagani può venire una parola di verità.

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    Coordin.
    00 16/08/2011 15:02
    Giudici 6, 11-24
    Nella vocazione di Gedeone, riferita nella prima lettura di oggi, si manifesta il modo apparentemente strano con cui Dio sceglie i suoi strumenti per intervenire nella storia del suo popolo. Gedeone non è un personaggio di grande rilievo, lui stesso lo fa notare al Signore che lo chiama: "Signore mio, come salverò Israele? Ecco, la mia famiglia è la più povera di Manasse, e io sono il più piccolo nella casa di mio padre".
    Come mai il Signore sceglie uno strumento così debole, così disprezzabile, dalla famiglia più povera e, in questa famiglia, il più piccolo?
    Questo modo di fare di Dio lo ritroviamo ancora dopo, quando Gedeone deve combattere i Madianiti. Egli, vedendo la loro forza, convoca tutti gli Israeliti; un gran numero viene per combattere: sono trentaduemila uomini. Cosa dice Dio? Dice: "La gente che è con te è troppo numerosa". Come mai troppo numerosa? I Madianiti sono molto forti, forse trentaduemila uomini non basteranno! Ma Dio dice di no, perché Israele potrebbe vantarsi e dire: "La mia mano mi ha salvato!". Quindi il Signore ordina a Gedeone di rimandare a casa prima tutti quelli che non si sentono troppo forti, troppo coraggiosi, che hanno qualche obiezione possibile. Rimangono diecimila uomini. "E ancora troppo", dice Dio. E allora propone una prova un po' speciale: vedere come questi uomini si mettono per bere l'acqua di un torrente. Trecento prendono una posizione insolita: proprio questi trecento sono scelti. Così il numero va bene, è abbastanza piccolo perché si manifesti la potenza e la grandezza di Dio.
    Dio regolarmente sceglie i suoi strumenti in questo modo. San Paolo lo diceva quando, parlando della sua vocazione che stimava in modo straordinario, osservava: "Abbiamo questo tesoro in vasi di creta", cioè portiamo queste grazie in condizione di debolezza, di infermità umana, "perché appaia che la potenza straordinaria viene da Dio e non da noi". Questo è importante: che l'uomo non possa attribuire a se stesso ciò che in realtà viene da Dio. Sarebbe un gran danno, anzitutto per lui stesso, perché se l'uomo si chiude in sé, nella sua superbia, non vive più nella corrente dell'amore di Dio, si separa dalla fonte di ogni bene e si ritrova isolato, senza vera gioia, senza vera pienezza. Invece, se accetta una condizione umile, allora può veramente ricevere tutta l'abbondanza della grazia divina. San Paolo lo ha esperimentato. Essendo provato, supplicava il Signore di liberarlo, e Gesù gli rispose: "Ti basta la mia grazia; la potenza si rivela nella debolezza". E la regola per le opere di Dio.
    Quindi non dobbiamo avvilirci quando ci sentiamo deboli, incapaci, quando i nostri mezzi appaiono inadeguati per l'opera che ci è affidata, quando sopravvengono difficoltà da ogni parte, ostacoli che non siamo in grado, umanamente parlando, di superare. Invece di lamentarci, dobbiamo allora proclamare la nostra fiducia. Se cerchiamo di fare l'opera del Signore con amore, lui manifesterà la sua potenza e la sua bontà, darà una grande fecondità apostolica ai nostri umili sforzi.
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    Coordin.
    00 17/08/2011 12:09
    a cura dei Carmelitani


    1) Preghiera

    O Dio, che hai preparato beni invisibili
    per coloro che ti amano,
    infondi in noi la dolcezza del tuo amore,
    perché, amandoti in ogni cosa e sopra ogni cosa,
    otteniamo i beni da te promessi,
    che superano ogni desiderio.
    Per il nostro Signore Gesù Cristo...



    2) Lettura del Vangelo

    Dal Vangelo secondo Matteo 20,1-16a
    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: "Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna.
    Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono.
    Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto.
    Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna.
    Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi.
    Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro.
    Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero un denaro per ciascuno. Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo.
    Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?
    Così gli ultimi saranno i primi e i primi, gli ultimi".


    3) Riflessione

    ? Il vangelo di oggi narra una parabola che solo Matteo riporta. Non c'è negli altri vangeli. Come in tutte le parabole, Gesù racconta una storia fatta di elementi quotidiani della vita della gente. Lui fa un ritratto della situazione sociale del suo tempo, in cui gli uditori si riconoscono. Ma nello stesso tempo, nella storia di questa parabola, avvengono cose che non avvengono mai nella realtà della vita della gente. Perché, parlando del padrone, Gesù pensa a Dio, a suo Padre. Per questo, nella storia della parabola, il padrone fa cose sorprendenti che non avvengono nella vita quotidiana degli uditori. In questo atteggiamento strano del padrone bisogna trovare la chiave per capire il messaggio della parabola.
    ? Matteo 20,1-7: Le cinque volte che il padrone esce alla ricerca degli operai. "Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna." Così inizia la storia che parla da sé e non ha bisogno di molti commenti. In ciò che segue, il padrone esce quattro volte a chiamare gli operai perché vadano a lavorare nella sua vigna. Gesù allude alla terribile mancanza di impiego di quell'epoca. Alcuni dettagli della storia:
    (a) Il padrone stesso esce personalmente cinque volte per contattare operai.
    (b) Quando contatta gli operai, fissa il salario solo con il primo gruppo: un denaro al giorno. A quelli delle nove del mattino dice: Quello che è giusto, ve lo darò. Con gli altri non fissò nulla. Li contattò solo per lavorare nella vigna.
    (c) Alla fine della giornata, quando si trattava di dar la paga agli operai, il padrone ordina all'amministratore di occuparsi di questo servizio.
    ? Matteo 20,8-10: Lo strano modo di fare i conti alla fine della giornata. Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. Qui, nel momento di fare i conti, avviene qualcosa di strano, che non avviene nella vita normale. Sembra che le cose si invertano. Il pagamento inizia da coloro che sono stati contattati appena qualche ora prima. Il pagamento è uguale per tutti: un denaro, come era stato combinato con coloro contattati all'inizio della giornata. Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero un denaro per ciascuno. Perché il padrone agisce così? Tu faresti così? E' proprio in questo gesto sorprendente del padrone che è nascosta la chiave del messaggio di questa parabola.
    ? Matteo 20,11-12: La reazione nomale degli operai dinanzi allo strano atteggiamento del padrone. Gli ultimi a ricevere il salario sono quelli contattati per primi. Costoro, dice la storia, nel ricevere il pagamento cominciano a mormorare contro il padrone e dicono: "Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo". E' la reazione normale del buon senso. Penso che tutti noi avremmo la stessa reazione e diremmo la stessa cosa al padrone. O no?
    ? Matteo 20,13-16: La spiegazione sorprendente del Padrone che fornisce la chiave della parabola. La risposta del padrone è questa: "Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?" Queste parole danno la chiave che spiega l'atteggiamento del padrone e indica il messaggio che Gesù ci vuole comunicare:
    (a) Il padrone non fu ingiusto, poiché agisce d'accordo con quello che aveva stipulato con il primo gruppo di operai: un denaro al giorno.
    (b) E' decisione sovrana del padrone dare agli ultimi la stessa paga che aveva stipulato con quelli della prima ora. Costoro non hanno diritto a reclamare.
    (c) Agendo con giustizia, il padrone ha diritto di fare il bene che lui vuole con le cose che gli appartengono. L'operaio da parte sua ha questo stesso diritto.
    (d) La domanda finale tocca il punto centrale: Oppure, tu sei invidioso perché io sono buono? Dio è diverso! I suoi pensieri non sono i nostri pensieri (Is 55,8-9).
    ? Lo sfondo della parabola è la congiuntura di quell'epoca, tanto di Gesù come di Matteo. Gli operai della prima ora sono il popolo ebreo, chiamato da Dio a lavorare nella sua vigna. Loro sopportano il peso della giornata, da Abramo a Mosè, da oltre mille anni. Ora, nell'undicesima ora, Gesù chiama i pagani a lavorare nella sua vigna e loro giungono ad avere la preferenza nel cuore di Dio. "Così, gli ultimi saranno i primi e i primi, gli ultimi".


    4) Per un confronto personale

    ? Quelli dell'undecima ora arrivano, hanno vantaggi e ricevono priorità nella fila d'entrata del Regno di Dio. Quando tu aspetti due ore in fila, ed arriva una persona che senza dir nulla ti si mette davanti, tu l'accetteresti? Le due situazioni sono paragonabili?
    ? L'azione di Dio supera i nostri calcoli e il nostro modo umano di agire. Lui sorprende e a volte è scomodo. E' successo a volte nella tua vita? Che lezione ne hai tratto?



    5) Preghiera finale

    Felicità e grazia mi saranno compagne
    tutti i giorni della mia vita,
    e abiterò nella casa del Signore
    per lunghissimi anni.
    (Sal 22)

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 18/08/2011 08:45
    padre Lino Pedron
    Commento su Matteo 22, 1-14

    Il banchetto è organizzato da un re per le nozze del figlio. I primi invitati, il popolo d'Israele, manifestano indifferenza colpevole (v.5). I vv.6-7 sono ispirati alla parabola dei vignaioli. Probabilmente Matteo ha presente le persecuzioni contro i predicatori cristiani e la distruzione di Gerusalemme nell'anno 70.

    Dopo il rifiuto dei primi chiamati, l'invito è rivolto a tutti, "buoni e cattivi" (v.10).La sala piena di commensali è immagine della Chiesa.

    La parabola è un appello a tutti perché sappiano che il momento è decisivo e non si può differire: "Tutto è pronto" (v.4). Di fronte alla chiamata del vangelo non c'è niente di più importante da fare.

    Per stare nella sala del banchetto (la Chiesa) bisogna accettare di ricevere il vestito di nozze: la conversione, la fede. la grazia. La comparsa del re nella sala significa il giudizio dei convitati. Il giudizio non riguarda solo i primi invitati che hanno rifiutato l'invito alle nozze. I secondi non si illudano che basti essere nella Chiesa per essere salvati.

    L'avvertimento finale della parabola ricorda ai convitati della comunità cristiana l'esigenza della loro vita secondo il battesimo e la serietà del loro impegno.

    La chiamata di Dio non pone condizioni preliminari: la Chiesa è il luogo del grande raduno e gli invitati sono tutti peccatori. Ma peccatori che si convertono.

    Il detto riguardante i chiamati e gli eletti non invita a fare i conti sui salvati e i dannati: sarebbe in contraddizione con l'uno senza abito di nozze tra i tanti invitati che riempivano la sala. Questa frase è una interpellanza personale all'ascoltatore perché cerchi di non essere nella condizione di colui che viene gettato nelle tenebre.

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 19/08/2011 13:22
    Monaci Benedettini Silvestrini
    Il primo dei comandamenti

    La frantumazione della legge aveva fatto degenerare in uno sterile formalismo la religiosità del popolo d'Israele. Finalmente c'è qualcuno che cerca l'essenziale e vuole scoprire una gerarchia nella selva dei precetti: "Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?" L'interrogante non è mosso proprio da zelo autentico; è un dottore della legge che ritiene ancora una volta di mettere in imbarazzo il Signore. La richiesta conserva comunque tutta la sua validità ed importanza. Gesù, sapendo di parlare con un fariseo, riprende un testo del Deuteronomio, dove è contenuta la Torah, il cammino della vita. Secondo Gesù tutto s'incentra nell'appello all'amore a Dio e al prossimo: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti». È un'anticipazione del comandamento nuovo che lo stesso Gesù scandirà. Ci appaiono evidenti le motivazioni teologiche del comando del Signore: Dio è amore nella sua essenza, egli è il nostro creatore e Signore, ci ha creati per se, per amore e ci ha quindi legati a se con vincoli indissolubili da vivere, sperimentare e godere nel tempo e nell'eternità. Creatore e creatura, come genitore e figlio, istintivamente, salvo aberranti deviazioni, sono uniti dall'amore. Quando poi prendiamo coscienza che quell'amore si spinge fino all'immolazione, al dono della vita in una ineguagliabile passione, fino alla morte, il bisogno di ricambiare quell'immenso dono diventa urgenza insopprimibile. Facciamo un prodigioso passaggio dalla somiglianza connaturale, impressa in noi con la creazione, a quella soprannaturale scaturita dalla redenzione. Non siamo quindi più schivi ed estranei di Dio, ma figli ed eredi e come tali abbiamo l'onore e l'ardire di chiamarlo con l'appellativo di Padre. È poi normale che in lui ci scopriamo anche fratelli, essendo figli dell'unico Signore che sta nei cieli. Accomunati dall'unica fede, amati dall'unico Padre, in cammino verso lui insieme come umanità e come chiesa, la nostra fraternità non può non essere vissuta che nell'amore, in Dio, nostro Padre, Padre di tutti.

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 20/08/2011 13:52
    a cura dei Carmelitani
    Commento Matteo 23,1-12

    1) Preghiera

    O Dio, che hai preparato beni invisibili
    per coloro che ti amano,
    infondi in noi la dolcezza del tuo amore,
    perché, amandoti in ogni cosa e sopra ogni cosa,
    otteniamo i beni da te promessi,
    che superano ogni desiderio.
    Per il nostro Signore Gesù Cristo...



    2) Lettura del Vangelo

    Dal Vangelo secondo Matteo 23,1-12
    In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: "Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno.
    Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: allargano i loro filatteri e allungano le frange; amano posti d'onore nei conviti, i primi seggi nelle sinagoghe e i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare ''rabbì'' dalla gente.
    Ma voi non fatevi chiamare ''rabbì'', perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate nessuno ''padre'' sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello del cielo. E non fatevi chiamare ''maestri'', perché uno solo è il vostro Maestro, il Cristo.
    Il più grande tra voi sia vostro servo; chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato".


    3) Riflessione

    ? Il vangelo di oggi fa parte di una lunga critica di Gesù contro scribi e farisei (Mt 23,1-39). Luca e Marco hanno appena qualche tratto di questa critica contro i capi religiosi dell'epoca. Solo il vangelo di Matteo la espone lungamente. Questo testo così severo lascia intravedere la polemica delle comunità di Matteo con le comunità dei giudei di quell'epoca in Galilea e Siria.
    ? Nel leggere questi testi fortemente contrari ai farisei dobbiamo prestare molta attenzione a non essere ingiusti contro il popolo ebreo. Noi cristiani, durante secoli, abbiamo avuto atteggiamenti contro i giudei e, per questo, contro i cristiani. Ciò che importa nel meditare questi testi è scoprire il suo obiettivo: Gesù condanna la mancanza di coerenza e la mancanza di sincerità nella relazione con Dio e con il prossimo. Lui sta parlando di ipocrisia tanto quella di ieri come della nostra, oggi!
    ? Matteo 23,1-3: L'errore di fondo: dicono, ma non fanno. Gesù si rivolge alla moltitudine e ai discepoli e critica gli scribi e i farisei. Il motivo dell'attacco è l'incoerenza tra le parole e i fatti. Parlano e non fanno. Gesù riconosce l'autorità e la conoscenza degli scribi. "Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno!"
    ? Matteo 23,4-7: L'errore di fondo si manifesta in molti modi. L'errore di fondo è l'incoerenza: "Dicono, ma non fanno". Gesù enumera i diversi punti che rivelano l'incoerenza. Alcuni scribi e farisei imponevano pesanti leggi sulla gente. Loro conoscevano bene le leggi, però non le praticavano, né usavano la loro conoscenza per alleggerire il carico sulle spalle della gente. Facevano tutto per essere visti ed elogiati, si servivano di tuniche speciali per la preghiera, a loro piacevano i primi posti ed essere salutati sulla piazza pubblica. Volevano essere chiamati "Maestro". Rappresentavano un tipo di comunità che manteneva, legittimava e alimentava le differenze di classe e di posizione sociale. Legittimava i privilegi dei grandi e la posizione inferiore dei piccoli. Ora, se c'è una cosa che a Gesù non piace è l'apparenza che inganna.
    ? Matteo 23,8-12: Come combattere l'errore di fondo. Come deve essere una comunità cristiana? Tutte le funzioni comunitarie devono essere assunte come un servizio: "Il più grande tra di voi sia il vostro servo!" Nessuno dovete chiamare Maestro (Rabbino), né Padre, né Guida. Poiché la comunità di Gesù deve mantenere, legittimare ed alimentare non le differenze, bensì la fraternità. Questa è la legge fondamentale: "Voi tutti siete fratelli e sorelle!" La fraternità nasce dall'esperienza di Gesù di Dio Padre, e che fa di tutti noi fratelli e sorelle. "Chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà sarà innalzato".
    ? Il gruppo dei Farisei. Il gruppo dei farisei nasce nel II secolo prima di Cristo, con la proposta di un'osservanza più perfetta della Legge di Dio, soprattutto delle prescrizioni sulla purezza. Loro erano più aperti alle novità che i Sadducei. Per esempio, accettavano la fede nella risurrezione e la fede negli angeli, cosa che i Sadducei non accettavano. La vita dei farisei era una testimonianza esemplare: pregavano e studiavano la legge per otto ore al giorno; lavoravano otto ore per poter sopravvivere; si dedicavano al riposo otto ore. Per questo, erano molto rispettati dalla gente. E così, aiutavano la gente a conservare la propria identità e a non perderla, nel corso dei secoli.
    ? La mentalità chiamata farisaica. Con il tempo, i farisei si afferrano al potere e non ascoltano più gli appelli della gente, né la lasciano parlare. La parola "fariseo" significa "separato". La loro osservanza era così stretta e rigorosa che si distanziavano dal resto della gente. Per questo erano chiamati "separati". Da qui nasce l'espressione "mentalità farisaica" E' tipica delle persone che pensano di conquistare la giustizia mediante un'osservanza rigida e rigorosa della Legge di Dio. Generalmente, sono persone che hanno paura, che non hanno il coraggio di assumere il rischio della libertà e della responsabilità. Loro si nascondono dietro le leggi e le autorità. Quando queste persone ottengono una funzione importante, diventano dure e insensibili per nascondere la propria imperfezione.
    ? Rabbino, Guida, Maestro, Padre. Sono i quattro titoli che Gesù proibisce alla gente di usare. Oggi, nella Chiesa, i sacerdoti sono chiamati "padre". Molti studiano in università della Chiesa ed ottengono il titolo di "Dottore" (maestro). Molte persone fanno direzione spirituale e si consigliano con persone che sono chiamati "Direttore spirituale" (guida). Ciò che importa è tener conto del motivo che spinse Gesù a proibire l'uso di questi titoli. Se fossero usati dalla persona per affermare la sua posizione di autorità e il suo potere, questa persona sarebbe nell'errore e sarebbe criticata da Gesù. Se fossero usati per alimentare ed approfondire la fraternità ed il servizio, non sarebbero criticati da Gesù.


    4) Per un confronto personale

    ? Quali sono i motivi che ho per vivere e lavorare in comunità?
    ? La comunità, come mi aiuta a correggere e migliorare le mie motivazioni?



    5) Preghiera finale

    Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore:
    egli annunzia la pace.
    La sua salvezza è vicina a chi lo teme
    e la sua gloria abiterà la nostra terra.
    (Sal 84)

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    Coordin.
    00 21/08/2011 15:32
    mons. Roberto Brunelli
    Insondabili sono i suoi giudizi

    "O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!" Queste parole dell'apostolo Paolo, comprese nella seconda lettura (Romani 11,33-36), sono il più adeguato commento al vangelo odierno (Matteo 16,13-20) che appare sconcertante tanto da non trovare spiegazione se non nel mistero della sapienza divina.
    Gesù chiede agli apostoli che cosa dice la gente di lui. Le risposte sono varie: per qualcuno è Giovanni Battista redivivo, per altri è uno degli antichi profeti, quali ad esempio Elia o Geremia. Allora lo chiede direttamente a loro: "Voi, chi dite che io sia?" Per tutti risponde il pescatore sino ad allora chiamato Simone: "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente". La risposta è quella giusta: il Maestro che Pietro e gli altri hanno deciso di seguire è proprio il Cristo, cioè il Messia annunciato dai profeti come il salvatore del popolo d'Israele; ma dice di più: il salvatore promesso, e finalmente giunto, non è un uomo come gli altri: Dio ha mandato il suo stesso Figlio. La risposta è giusta, ma tanto acuta che un uomo, un semplice uomo fatto di carne e sangue, non può averlo capito da sé: "Beato sei tu, Simone figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli". Con queste parole Gesù riconosce in quel modesto pescatore il compiersi di un disegno superiore, e lo manifesta aggiungendo: "E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa".
    Il cambio del nome significa un cambio di destino, una vita nuova, una missione particolare: e nel caso si tratta nientemeno che di diventare il fondamento della Chiesa, vale a dire lo strumento ideato da Gesù per portare la salvezza da lui guadagnata a tutti gli uomini, di tutti i tempi. Di questo piano grandioso Simone diventa Kefa', in ebraico la roccia, la pietra incrollabile, quella dell'uomo di cui Gesù aveva già parlato (Matteo 7,24-25), "l'uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia". Parole che sembrano anticipare tanti eventi della storia futura, i duemila anni di bufere e forze avverse che si sono abbattute sulla Chiesa, senza riuscire a farla crollare.
    Questo è confortante, per chi nella Chiesa riconosce la propria casa, la casa dell'anima. Ma leggendo anche il resto del vangelo appare singolare, anzi proprio sconcertante, che a fondamento della "casa" destinata a sfidare i secoli sia stato posto non un uomo di spiccata intelligenza, abile a destreggiarsi tra i marosi della storia, insomma una guida sicura e affidabile. Anche cambiandogli il nome, Simone-Pietro restava un semplice pescatore, un uomo dall'istruzione sommaria, i cui orizzonti non erano andati al di là del suo lago e di qualche pio pellegrinaggio al tempio; un uomo impulsivo, capace di slanci generosi ma sostanzialmente fragile: basti pensare che nell'orto degli ulivi estrae la spada per impedire l'arresto di Gesù, ma poco dopo nega persino di conoscerlo. Proprio un uomo così doveva essere scelto a fondamento della Chiesa? Possibile che Gesù non ne abbia trovato uno migliore?
    La risposta è forse simile a quella che si può dare a chi si chiede perché la Madonna abbia affidato i suoi messaggi a una ragazzina analfabeta come Bernardetta o a pastorelli ancora bambini come quelli di Fatima: essi sono incapaci di manipolazioni, sanno soltanto riferire ciò che hanno visto e sentito. Pietro, proprio perché umanamente semplice e fragile, forse è stato scelto per rendere evidente che se la Chiesa continua a reggersi non è per l'intelligenza, la forza, l'abilità degli uomini cui è affidata, ma per la volontà, la grazia, la misericordia di Colui che l'ha istituita. Così Egli ha voluto: davvero insondabili sono i suoi giudizi.

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 22/08/2011 07:18
    a cura dei Carmelitani


    1) Preghiera

    O Dio, che unisci in un solo volere le menti dei fedeli,
    concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi
    e desiderare ciò che prometti,
    perché fra le vicende del mondo
    là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia.
    Per il nostro Signore Gesù Cristo...



    2) Lettura del Vangelo

    Dal Vangelo secondo Matteo 23,13-22
    In quel tempo, Gesù parlò dicendo: "Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini; perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci.
    Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che percorrete il mare e la terra per fare un solo proselito e, ottenutolo, lo rendete figlio della Geenna il doppio di voi.
    Guai a voi, guide cieche, che dite: Se si giura per il tempio non vale, ma se si giura per l'oro del tempio si è obbligati. Stolti e ciechi: che cosa è più grande, l'oro o il tempio che rende sacro l'oro? E dite ancora: Se si giura per l'altare non vale, ma se si giura per l'offerta che vi sta sopra, si resta obbligati. Ciechi! Che cosa è più grande, l'offerta o l'altare che rende sacra l'offerta? Ebbene, chi giura per l'altare, giura per l'altare e per quanto vi sta sopra; e chi giura per il tempio, giura per il tempio e per Colui che l'abita. E chi giura per il cielo, giura per il trono di Dio e per Colui che vi è assiso".


    3) Riflessione

    ? Nei prossimi tre giorni meditiamo il discorso pronunciato da Gesù che critica i dottori della legge ed i farisei, chiamandoli ipocriti. Nel vangelo di oggi (Mt 23,13-22), Gesù pronuncia contro di loro quattro volte l'espressione "Guai a voi..." (Mt 23,23-26), e nel vangelo di dopodomani, la pronuncia altre due volte (Mt 23,27-32). Sono espressioni contro i capi religiosi dell'epoca e sono parole molto dure. Nel meditarle, devo pensare non solo ai dottori ed ai farisei del tempo di Gesù, ma anche e soprattutto all'ipocrita che si trova in me, in noi, nella nostra famiglia, nella comunità, nella nostra Chiesa, nella società di oggi. Guardiamo nello specchio del testo per scoprire ciò che c'è di sbagliato in noi stessi.
    ? Matteo 23,13: Il primo 'Guai a voi...' contro coloro che chiudono la porta del Regno, perché così voi non vi entrate, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrarci. Come chiudono il Regno? Presentando Dio come un giudice severo, lasciando poco spazio alla misericordia. Imponendo in nome di Dio leggi e norme che non hanno nulla a che vedere con i comandamenti di Dio, falsificando l'immagine del Regno ed uccidendo il desiderio di servire Dio e il Regno. Una comunità che si organizza attorno a questo falso Dio "non entra nel Regno", non è nemmeno espressione del Regno, ed impedisce che i suoi membri entrino nel Regno.
    ? Matteo 23,14: Il secondo "Guai a voi..." va contro coloro che usano la religione per arricchirsi. Voi che sfruttate le vedove e rubate nelle loro case, e per occultarlo dite lunghe orazioni! Per questo, voi riceverete una condanna più severa".Gesù permette ai discepoli di vivere il vangelo, poiché dice che l'operaio ha diritto al suo salario (Lc 10,7; cf. 1Cor 9,13-14), ma usare la preghiera e la religione come mezzo per arricchirsi, ciò è ipocrisia e non rivela la Buona Novella di Dio. Trasforma la religione in un mercato. Gesù scaccia i commercianti dal Tempio (Mc 11,15-19) citando i profeti Isaia e Geremia: "La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti. Voi invece ne avete fatto una spelonca di ladroni" (Mc 11,17; cf Is 56,7; Jr 7,11). Quando il mago Simone volle comprare il dono dello Spirito Santo, Pietro lo maledisse (At 8,18-24). Simone ricevette la "condanna più severa" di cui Gesù parla nel vangelo di oggi.
    ? Matteo 23,15: La terza espressione di 'Guai a voi...' è contro coloro che fanno proselitismo "che percorrete il mare e la terra per fare un solo proselito e, ottenutolo, lo rendete figlio della Geenna il doppio di voi". Ci sono persone che si fanno missionari e annunciano il vangelo non per irradiare la Buona Novella, ma per attrarre le persone per il loro gruppo o la loro chiesa. Una volta Giovanni proibì ad una persona di usare il nome di Gesù perché non faceva parte del suo gruppo. Gesù rispose: "Non lo proibite, poiché chi non è contro di noi è a nostro favore (Mc 9,39). Il documento dell'Assemblea Plenaria dei vescovi dell'America Latina, che si è svolta a marzo del 2008 ad Aparecida, Brasile, ha come titolo: "Discepoli e missionari di Gesù Cristo, affinché in Lui i nostri popoli abbiano vita." Ossia, lo scopo della missione non è fare in modo che la gente diventi cattolica, ma che i popoli abbiano vita, e vita in abbondanza.
    ? Matteo 23,16-22: Il quarto Guai a voi...! è contro coloro che fanno giuramento: "Voi dite: se si giura per il tempio non vale, ma se si giura per l'oro del tempio si è obbligati". Gesù fa una lunga disquisizione per mostrare l'incoerenza di tanti giuramenti che la gente faceva o che la religione ufficiale ordinava di fare: giuramenti per l'oro del Tempio o per l'offerta che sta sull'altare. L'insegnamento di Gesù, dato nel Discorso della Montagna, è il migliore commento del messaggio del vangelo di oggi: "Ma io vi dico: non giurate in modo alcuno, né per il cielo perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello per i suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del gran re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno." (Mt 5,34-37)


    4) Per un confronto personale

    ? Sono quattro 'Guai a voi...', quattro motivi per ricevere una critica severa da parte di Gesù. Quale delle quattro critiche si riferisce a me?
    ? La nostra Chiesa, merita oggi questi 'Guai a voi' da parte di Gesù?



    5) Preghiera finale

    Cantate al Signore un canto nuovo,
    cantate al Signore da tutta la terra.
    Cantate al Signore, benedite il suo nome.
    (Sal 95)

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 23/08/2011 07:16
    a cura dei Carmelitani


    1) Preghiera

    O Dio, che unisci in un solo volere le menti dei fedeli,
    concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi
    e desiderare ciò che prometti,
    perché fra le vicende del mondo
    là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia.
    Per il nostro Signore Gesù Cristo...



    2) Lettura del Vangelo

    Dal Vangelo secondo Matteo 23,23-26
    In quel tempo, Gesù parlò dicendo: "Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell'aneto e del cumino, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!
    Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l'esterno del bicchiere e del piatto mentre all'interno sono pieni di rapina e d'intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l'interno del bicchiere, perché anche l'esterno diventi netto!"


    3) Riflessione

    ? Il vangelo di oggi riporta altri due 'Guai a voi...' di cui Gesù parla contro i capi religiosi del suo tempo. I due 'Guai a voi...' di oggi denunciano la mancanza di coerenza tra parola ed atteggiamento, tra esterno ed interno. Continuiamo oggi la nostra riflessione iniziata ieri.
    ? Matteo 23,23-24: Il quinto Guai a voi...! contro coloro che insistono nell'osservanza e dimenticano la misericordia: "Che pagate la decima della menta, dell'aneto e del cumino, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà". Questo quinto Guai a voi! di Gesù è contro i capi religiosi di quell'epoca, può essere ripetuto contro molti religiosi dei secoli successivi, fino ad oggi. Molte volte, in nome di Gesù, insistiamo su i dettagli e dimentichiamo la misericordia. Per esempio, il giansenismo ridusse ad arido il vissuto della fede, insistendo in osservanze e penitenze che deviarono la gente dal cammino dell'amore. La suora carmelitana Teresa di Lisieux crebbe nell'ambiente giansenista che marcava la Francia della fine del XIX secolo. A partire da una dolorosa esperienza personale, seppe recuperare la gratuità dell'amore di Dio, forza che deve animare dal di dentro l'osservanza delle norme. Poiché, senza l'esperienza dell'amore, le osservanze fanno di Dio un idolo.
    ? Matteo 23,25-26: Il sesto 'Guai a voi...' contro coloro che puliscono le cose fuori e sono sporchi dentro: "che pulite l'esterno del bicchiere e del piatto mentre all'interno sono pieni di rapina e d'intemperanza". Nel Discorso della Montagna, Gesù critica coloro che osservano alla lettera la legge e trasgrediscono lo spirito della legge. Lui dice: "Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna. Avete inteso che fu detto: non commettere adulterio, ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore" (Mt 5,21-22.27-28). Non basta osservare alla lettera la legge. Non basta non uccidere, non rubare, non commettere adulterio, non giurare, per essere fedeli a ciò che Dio ci chiede. Osserva pienamente la legge di Dio solo colui che, oltre alla lettera, va fino alla radice e strappa da dentro di sé "i desideri di rapina e intemperanza" che possono condurre all'assassinio, alla rapina, all'adulterio. La pienezza della legge si realizza nella pratica dell'amore.


    4) Per un confronto personale

    ? Sono due espressioni di 'Guai a voi...', due motivi per ricevere una critica da parte di Gesù. Quale dei due si applica a me?
    ? Osservanza e gratuità: quali delle due si applica in me?



    5) Preghiera finale

    Annunziate di giorno in giorno la salvezza del Signore.
    In mezzo ai popoli narrate la sua gloria,
    a tutte le nazioni dite i suoi prodigi.
    (Sal 95)

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    00 24/08/2011 07:22
    padre Lino Pedron
    Commento su Matteo 23, 23-26

    In questo brano Gesù continua a smascherare l'ipocrisia, o meglio gli ipocriti. L'ipocrita è un uomo che recita. Ama la pubblicità. Ogni suo gesto ha il solo scopo di attirare l'attenzione su di sé (cfr Mt 6,1-6). La radice profonda dell'ipocrisia è la ricerca di sé, il fare tutto per sé, non per gli altri o per Dio. E' l'egoismo, l'esatto contrario dell'amore (cfr 1Cor 13,1-7).

    Il quarto "guai" è rivolto contro il capovolgimento dell'ordine dei valori. Gli scribi e i farisei ritenevano più importanti le prescrizioni esterne che i doveri morali fondamentali.

    Il pagamento della decima della menta, dell'aneto e del cumino, le erbe aromatiche più in uso, pare un'esagerazione. Nella legge era previsto solo il pagamento della decima per l'olio, il mosto, i cereali, che poi fu esteso al raccolto in genere (cfr Nm 18,22; Dt 14,22-23; Lv 27,30). Le cose più importanti nella legge sono il diritto, la misericordia, la fede.

    Il quinto "guai" riguarda quelli che non tengono in debito conto il nesso inscindibile tra interno ed esterno. In termini concreti si parla di pulire il bicchiere e la scodella, come prevedevano le prescrizioni farisaiche sulla purità. Ma lo scopo del discorso è la pulizia della coscienza piena di rapina e di iniquità.

    La cura della pulizia del bicchiere viene utilizzata per evidenziare la discutibilità di un comportamento morale che si preoccupa solamente dell'apparenza esterna e non della realtà interiore. L'esortazione rivolta al fariseo cieco, a pulire anzitutto l'interno del bicchiere, è ora un invito ad allontanare dal cuore e dalla vita ogni malvagità.

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    00 25/08/2011 08:48
    Commento a Matteo 24,42-51

    È possibile agire nella vita da servo fedele. Il servo fedele sa che il mondo e la vita sono un dono di Dio, non sono una proprietà personale e, per quanto egli si senta a casa propria in questa terra meravigliosa, non dimentica mai che il Padrone di casa è un altro. L’atteggiamento mentale e spirituale, che mai dimentica che il Padrone di casa è un altro, permette di vivere questa vita e questa terra come un dono, come una speciale predilezione, come un’occasione ricchissima e irripetibile, permette di scegliere di rispondere al dono della vita con una vita piena di amore, una vita intera di amorevole servizio all’uomo, una vita completa di frutti, una vita come lo Spirito da dentro chiama che sia. L’atteggiamento mentale e spirituale, che dimentica che il Padrone di casa è un altro, porta a vivere questa vita e questa terra in un profondo e dilaniante senso di sospensione e sfida, porta a considerare la vita come una strada senza vie di fuga, come un peso da cui svincolarsi, un dovere per schiavi precettati che vivono ogni secondo tristi e in rivolta. È così che l’esistenza si tramuta in un’occasione utile solo a risolvere i propri interessi e a perseguire i propri vantaggi, tra rigurgiti di frustrazione, attacchi di violenza e sete inestinguibile di successo, possesso e potere. Questo atteggiamento mentale e spirituale conduce irrimediabilmente l’uomo a svuotare la vita, ogni vita, del suo valore intrinseco e sacro, e lo trascina in un’esistenza vergognosa, senza pace, nel degrado totale e nella piena ipocrisia.
    È alla luce di queste due possibili scelte rispetto alla vita che le parole di Gesù, vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà, acquistano un tono e un valore particolare, ma non univoco. Infatti, per coloro che, servi fedeli, hanno cercato con tutto il cuore di vivere la vita come un dono a servizio del bene, del bello, della giustizia, della misericordia e della fedeltà, le parole di Gesù, vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà, non sono altro che il meraviglioso annuncio che Lui, il Signore, l’Amore amato, può tornare da un momento all’altro. Per chi lo ama, è l’annuncio del ritorno, anche improvviso, dell’amato, e non può che suscitare nel cuore gioia, entusiasmo, eccitazione santa, gratitudine e brividi celesti. Ma, per coloro che, servi malvagi, hanno abusato con tutta la forza e la violenza della vita e dei viventi, per condurre una vita a servizio del potere, della propria convenienza, della vanagloria, nella competizione e nel conflitto, le parole di Gesù, vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà, hanno un suono e un significato diversi, molto diversi. Sono il temibile annuncio che Lui, il Signore, il Re dei re, può tornare da un momento all’altro, e può usare la potenza del creato e della vita stessa per mettere al loro posto coloro che, con venefica ipocrisia, in nome dei propri interessi e nello spregio più arrogante, hanno trasformato la meraviglia della creazione in oceani di lacrime e sudore senza senso, in foreste di totale disperazione, in catene montuose di terrore, in ghiacciai di paura, in fiumi di miseria, in abissi di morte. Per costoro, che si sono eretti a padroni della vita e del mondo, le parole di Gesù, vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà, non possono che essere considerate il frutto dello storico inganno di una ridicola setta religiosa così da non pensarci più, ed è per questo che, nella comunicazione di massa, oggi si può parlare di tutto fuorché del vangelo. Ma una cosa è certa: se anche il potere umano è riuscito a rendere mute e ridicole le parole del vangelo alla mente dell’uomo, a Gesù, come nella sua prima venuta, rimane sempre il suo modo prediletto di scrivere i suoi messaggi, tra le pagine cosmiche delle potenze dei cieli, tra stelle e pianeti, galassie e comete.
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    Coordin.
    00 26/08/2011 09:00
    Monaci Benedettini Silvestrini
    Saggezza e stoltezza secondo Cristo

    Alcuni elementi della nota parabola di oggi ci offrono spunti interessanti di riflessione. Il tema dominante rimane ancora quello della vigilanza nell'attesa dello sposo che viene. Viene ribadito che non ci è dato di conoscere il momento e l'ora della sua venuta. Non possiamo perciò abbandonarci al sonno e ancor meno restare al buio perché privi di olio per alimentare le lampade. Vengono definite con chiarezza stolte o sagge le due categorie di vergini, tutte chiamate ad accogliere con puntualità e con il dovuto onore lo sposo in arrivo nel cuore della notte. Tutte e dieci hanno la lampada, tutte hanno avuto, come noi, il dono della fede. Tutte sono in attesa dello sposo e al grido che annuncia il suo arrivo tutte si destano per andargli incontro e illuminare il suo cammino verso la casa della sposa. Tutte sono consapevoli che la loro attesa non sarà priva di un premio adeguato: c'è per loro un invito ed una partecipazione al banchetto nuziale. La differenza è data da un particolare che però risulterà di fondamentale importanza: l'avere o non con se l'olio per alimentare le lampade. S. Giacomo cos' ammoniva i suoi fedeli: "Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo?". E a conclusione del suo discorso affermava categoricamente: "La fede senza le opere è morta". È appunto come una lampada senz'olio. Le conseguenze del ritardo e del mancato appuntamento con lo poso sono davvero tragiche: solo le vergini che erano pronte entrano nel banchetto nuziale, le altre si sentono dire: "In verità vi dico: non vi conosco". Sono escluse dalla festa, restano fuori perché la porta per loro era già chiusa. Dobbiamo riflettere sui nostri ritardi e sulle nostre sprovvedutezze, potrebbero significare per noi l'esclusione dalla festa finale che attendiamo da tutta la vita.

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    Coordin.
    00 28/08/2011 15:08
    a cura dei Carmelitani Commento Matteo 25,14-30

    1) Preghiera

    O Dio, che unisci in un solo volere le menti dei fedeli,
    concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi
    e desiderare ciò che prometti,
    perché fra le vicende del mondo
    là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia.
    Per il nostro Signore Gesù Cristo...



    2) Lettura del Vangelo

    Dal Vangelo secondo Matteo 25,14-30
    In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: "Avverrà come di un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì.
    Colui che aveva ricevuto cinque talenti, andò subito a impiegarli e ne guadagnò altri cinque.
    Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due.
    Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone.
    Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò, e volle regolare i conti con loro.
    Colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque. Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.
    Presentatosi poi colui che aveva ricevuto due talenti, disse: Signore, mi hai consegnato due talenti; vedi, ne ho guadagnati altri due. Bene, servo buono e fedele, gli rispose il padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone.
    Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento, disse: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il talento sotterra: ecco qui il tuo.
    Il padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti.
    Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha. E il servo fannullone gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti".


    3) Riflessione

    ? Il vangelo di oggi ci narra la parabola dei talenti. Questa parabola era tra due parabole: la parabola delle Dieci Vergini (Mt 25,1-13) e la parabola del Giudizio Finale (Mt 25,31-46). Le tre parabole chiariscono ed orientano le persone sulla venuta del Regno. La parabola delle Dieci Vergini insiste sulla vigilanza: il Regno può arrivare in qualsiasi momento. La parabola del Giudizio Finale dice che per possedere il Regno bisogna accogliere i piccoli. La parabola dei Talenti orienta su come fare per far crescere il Regno. Parla dei doni o carismi che le persone ricevono da Dio. Ogni persona ha delle qualità, sa qualcosa che può insegnare agli altri. Nessuno è solo alunno, nessuno è solo professore. Impariamo gli uni dagli altri.
    Una chiave per capire la parabola: Una delle cose che più influisce nella vita della gente è l'idea che ci facciamo di Dio. Tra i giudei della linea dei farisei, alcuni immaginavano che Dio fosse un giudice severo, che trattava alle persone secondo il merito conquistato dalle osservanze. Ciò produceva paura ed impediva alle persone di crescere. Soprattutto impediva che si aprissero uno spazio dentro di sé, per accogliere la nuova esperienza di Dio che Gesù comunicava. Per aiutare queste persone, Matteo racconta la parabola dei talenti.
    ? Matteo 25,14-15: La porta d'ingresso nella storia della parabola. Gesù racconta la storia di un uomo che, prima di viaggiare, distribuisce i suoi beni ai servi, dando loro cinque, due o un talento, secondo la capacità di ognuno. Un talento corrisponde a 34 chili d'oro, il che non è poco. In definitiva, ognuno riceve lo stesso, perché riceve "secondo la sua capacità". Ogn'uno riceve la sua piccola o grande coppa piena. Il padrone se ne va all'estero e vi rimane molto tempo. La storia produce una certa suspense. Non si sa con quale scopo il padrone consegna il suo denaro ai servi, né si sa quale sarà la fine.
    ? Matteo 25,16-18: Il modo di agire di ogni servo. I due primi lavorano e fanno duplicare i talenti. Ma colui che ha ricevuto un talento lo sotterra per non perderlo. Si tratta dei beni del Regno che sono dati alle persone e alle comunità secondo le loro capacità. Tutti ricevono qualche bene del Regno, ma non tutti rispondono allo stesso modo!
    ? Matteo 25,19-23: Rendiconto del primo e del secondo servo, e risposta del Signore. Dopo molto tempo, il padrone ritorna. I due primi dicono la stessa cosa: "Signore, mi hai consegnato cinque/due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque/due!" E il padrone dà la stessa risposta: "Bene, servo buono e fedele, gli disse il suo padrone, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone!"
    ? Matteo 25,24-25: Rendiconto del terzo servo. Il terzo servo giunge e dice. "Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; per paura andai a nascondere il talento sotto terra: ecco qui il tuo!" In questa frase appare un'idea sbagliata di Dio che è criticata da Gesù. Il servo considera Dio come un padrone severo. Dinanzi a un Dio così, l'essere umano ha paura e si nasconde dietro l'osservanza esatta e meschina della legge. Pensa che, agendo così, la severità del legislatore non lo castigherà. In realtà, una persona così non crede in Dio, ma crede solo in se stessa e nella sua osservanza della legge. Si rinchiude in sé, si allontana da Dio e non riesce a preoccuparsi degli altri. Diventa incapace di crescere come una persona libera. Questa immagine falsa di Dio isola l'essere umano, uccide la comunità, termina con la gioia ed impoverisce la vita.
    ? Matteo 25,26-27: La risposta del Signore al terzo servo. La risposta del Signore è ironica. Dice: "Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse!" Il terzo impiegato non è stato coerente con l'immagine severa che aveva di Dio. Se lui immaginava che Dio era severo, avrebbe dovuto per lo meno mettere il denaro in banca. Ossia è condannato non da Dio ma dall'idea sbagliata che aveva di Dio e che lo lascia più immaturo e timoroso di quanto doveva essere. Non gli era stato possibile essere coerente con quella immagine di Dio, perché la paura lo disumanizza e gli paralizza la vita.
    ? Matteo 25,28-30: La parola finale del Signore che chiarisce la parabola. Il padrone ordina di andare a prendere il talento e di darlo a colui che ne ha dieci, "Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha". Ecco la chiave che chiarisce tutto. In realtà, i talenti, il "denaro del padrone", i beni del Regno, sono l'amore, il servizio, la condivisione. E' tutto quello che fa crescere la comunità e rivela la presenza di Dio. Chi si chiude in sé con la paura di perdere il poco che ha, costui perderà perfino quel poco che ha. Ma la persona che non pensa a sé, e si dona agli altri, cresce e riceve a sua volta, in modo inesperto, tutto ciò che ha dato e molto di più. "Chi perde la vita la ottiene, e ottiene la vita chi ha il coraggio di perderla"
    ? La moneta diversa del Regno. Non c'è differenza tra coloro che hanno ricevuto di più o di meno. Tutti hanno il loro dono secondo la loro capacità. Ciò che importa è che questo dono sia messo al servizio del Regno e faccia crescere i beni del Regno che sono amore, fraternità, condivisione. La chiave principale della parabola non consiste nel far rendere e produrre i talenti, ma nel relazionarsi con Dio in modo corretto. I due primi non chiedono nulla, non cercano il proprio benessere, non tengono per sé, non si chiudono in se stessi, non calcolano. Con la maggiore naturalezza del mondo, quasi senza rendersene conto e senza cercarsi merito, cominciano a lavorare, in modo che il dono dato da Dio renda per Dio e per il Regno. Il terzo ha paura, e per questo non fa nulla. D'accordo con le norme dell'antica legge, lui agisce correttamente. Si mantiene nelle esigenze. Non perde nulla e non guadagna nulla. Per questo, perde perfino ciò che aveva. Il regno è rischio. Chi non vuole correre rischi, perde il Regno!


    4) Per un confronto personale

    ? Nella nostra comunità, cerchiamo di conoscere e valorizzare i doni di ogni persona? La nostra comunità è uno spazio dove le persone possono far conoscere e mettere a disposizione i loro doni? A volte, i doni di alcuni generano invidia e competitività negli altri. Come reagiamo?
    ? Come capire la frase:
    "Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha?"

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    Coordin.
    00 28/08/2011 15:10
    Omelia (28-08-2011)
    mons. Roberto Brunelli
    Mi hai sedotto, Signore

    Le letture delle Messe festive sono state scelte dalla Bibbia secondo precisi criteri. Salvo motivate eccezioni, per tutto un anno si legge di seguito uno dei vangeli sinottici (quest'anno, Matteo) e secondo l'argomento del brano è stata individuata la prima lettura: un passo dell'Antico Testamento, con un suo commento costituito dal salmo responsoriale. La seconda lettura segue invece un percorso distinto (in genere la lettura continua di una lettera dell'apostolo Paolo; in questo periodo, quella ai Romani) e perciò non è intenzionale che il suo argomento sia in sintonia con gli altri due. Però accade, come oggi: e in fondo non se ne stupisce, chi ricorda la profonda unità e coerenza tra tutte le parti che compongono la Sacra Scrittura.
    Gesù annuncia ai discepoli la sua imminente passione e Pietro, che si era appena sentito esaltare come fondamento della Chiesa (lo si è letto domenica scorsa), protesta e promette: "Questo non ti accadrà mai!" guadagnandosi il più severo rimprovero del Maestro, che addirittura lo chiama Satana e aggiunge: "Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!". Poi, rivolto a tutti i discepoli che forse dal seguire lui si aspettavano onori e gloria, li disillude: "Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà. Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita?"
    Queste espressioni basate sul binomio salvare-perdere delineano la condizione del credente rispetto a chi non lo è: la differenza consiste nel valutare la vita presente e le cose di questo mondo come le uniche e definitive, o come semplice preludio ad altre, che valgono infinitamente di più. Chi non crede cerca di "salvare" la propria vita, cioè darle valore, spremendone tutte le soddisfazioni che gli riesce, al limite sottomettendo a sé il mondo intero; ma questo non gli assicura, anzi gli preclude la vita futura: tutto subito, e poi più niente, per l'eternità. Conviene? Chi invece fa un po' di conti per garantirsi il poi, l'avrà, dice Gesù, seguendo lui, i suoi insegnamenti, il suo esempio: e come lui si è sottomesso alla croce, così il discepolo resiste alla tentazione di ritirarsi di fronte alle difficoltà, alle rinunce, ai sacrifici che può comportare il mantenersi fedeli a lui.
    Ne dà un impressionante esempio il profeta Geremia, del cui libro la prima lettura presenta la pagina più drammatica (20,7-9). Egli racconta di sé, della propria vocazione, ed esordisce con una frase di un'audacia inimmaginabile: "Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto violenza e hai prevalso". Ma la chiamata divina non comporta una vita facile: "Sono diventato oggetto di derisione ogni giorno; ognuno si beffa di me? La parola del Signore è diventata per me causa di vergogna e di scherno". Di qui la tentazione di lasciar perdere: "Mi dicevo: Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!" subito però superata, perché "nel mio cuore c'era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo".
    Ed ecco, in coerenza con le parole di Geremia e di Gesù, quelle della seconda lettura (Lettera ai Romani 12,1-2): "Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto". Insomma è lo stesso invito di Gesù a "pensare secondo Dio": dunque a non temere di andare controcorrente; pur se non è facile, pur se questo comporta incomprensioni e derisioni, il credente non si blocca sull'immediato, perché sa valutarne le conseguenze, sa guardare più in là. E' stato anche l'invito del papa, domenica scorsa, ai due milioni di giovani riuniti a Madrid.

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    Coordin.
    00 29/08/2011 08:52
    padre Lino Pedron
    Commento su Marco 6, 17-29

    Questo brano del vangelo ci dà la versione "religiosa" della morte del Battista. Flavio Giuseppe ci dà quella "politica". Leggiamo in Antichità giudaiche 18,119: "Erode, temendo che egli con la sua grande influenza potesse spingere i sudditi alla ribellione (sembrando in effetti disposti a fare qualsiasi cosa che egli suggerisse loro), pensò che era meglio toglierlo di mezzo prima che sorgesse qualche complicazione per causa sua, anziché rischiare di non potere poi affrontare la situazione. E così, per questo sospetto di Erode, egli fu fatto prigioniero, inviato nella fortezza di Macheronte e qui decapitato".

    Quando i profeti mettono il dito sulla piaga e arrivano al nocciolo della questione, vengono tolti di mezzo senza scrupoli. La testa di Giovanni Battista su un vassoio, nel pieno svolgimento di un banchetto, può sembrare una "portata" insolita. A pensarci bene, non è poi un "piatto" tanto raro: quante decapitazioni durante pranzi, cene...!

    Questo brano, posto dopo l'invio in missione dei Dodici, indica il destino del missionario, del testimone di Cristo. In greco, testimone si dice "martire".

    La morte di Giovanni prelude la morte di Gesù e di quanti saranno inviati. Ciò può sembrare poco confortante, ma l'uomo deve comunque morire. La differenza della morte per cause naturali e martirio sta nel fatto che la prima è la fine, il secondo è il fine della vita. Il martire infatti testimonia fin dentro ed oltre la morte, l'amore che sta a principio della vita.

    Il banchetto di Erode nel suo palazzo fa da contrappunto a quello imbandito da Gesù nel deserto, descritto immediatamente di seguito (Mc 6,30-44). Il primo ricorda una nascita festeggiata con una morte; il secondo prefigura il memoriale della morte del Signore, festeggiato come dono della vita.

    Gli ingredienti del banchetto di Erode sono ricchezza, potere, orgoglio, falso punto d'onore, lussuria, intrigo, rancore e ingiustizia e, infine, il macabro piatto di una testa mozzata. La storia mondana non è altro che una variazione, monotona fino alla nausea, di queste vivande velenose.

    Il banchetto di Gesù invece ha la semplice fragranza del pane, dell'amore che si dona e germina in condivisione e fraternità.

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    Coordin.
    00 30/08/2011 09:01
    Eremo San Biagio


    Dalla Parola del giorno
    ?Che parola è mai questa che comanda con autorità e potenza agli spiriti immondi ed essi se ne vanno??

    Come vivere questa Parola?
    Un sabato (il giorno particolarmente sacro a Dio per gli ebrei) Gesù è lì che ammaestra la gente nella sinagoga. Le potenze demoniache si mettono ad opporgli palese resistenza. Non vogliono saperne della sua presenza ma, loro malgrado, ne proclamano l?identità: ?So bene chi sei: il santo di Dio? (v. 34)
    Gesù pronuncia solo due parole, due brevissimi verbi all?imperativo: ?Taci, Esci da costui? (v35). All?istante l?uomo, che era posseduto da queste forze demoniache, è liberato. È a questo punto che la gente sgomenta e meravigliata esclama ?Che parola è mai questa che comanda con autorità e potenza?? (v 36). Ecco, ci soffermiamo su queste due qualità della Parola di Gesù Signore: l?autorità e la potenza.
    In un mondo connotato da sempre nuovi e prestigiosi, utilissimi mezzi di comunicazione ma anche da un?infausta marea di parole vuote, è importante prendere coscienza di quanta forza, libertà, efficacia abbia la Parola di Gesù che ogni giorno noi possiamo ascoltare. Oggi come ieri vibra in essa l?autorità dell?uomo Dio, L?autorità di chi ha ?ingoiata la morte? e ?ha fatto risplendere la vita?.
    Inoltre è una Parola dove si effettua una totale potenza che può dare scacco non solo alla morte, ma al male che serpeggia anche dentro di me e dilaga nel mondo.

    Signore, aumenta la mia fede (= piena fiducia) nella tua Parola. Fa che io la legga, la mediti, la viva fino a darle libertà di agire dentro di me perché trionfi il bene, la luce tua nel mio vivere e attorno a me.

    Le parole di un uomo spirituale
    La tua parola ci assolve, ci libera dall?angoscia e ci dona nuova fiducia. Ti preghiamo: fa' che quella parola possa radicarsi e crescere, fiorire, maturare e portare frutto in tutti noi.
    Christian Zippert

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    Coordin.
    00 31/08/2011 08:09
    padre Lino Pedron
    Commento su Luca 4, 38-44

    Il breve racconto della guarigione della suocera di Pietro si conclude con un insegnamento importante:" Levatasi all'istante, la donna cominciò a servirli" ( v.39). Qui troviamo il significato di tutto il miracolo e di tutti i miracoli. Il fatto che essa si metta al servizio degli altri indica una guarigione molto più profonda di quella dalla semplice febbre del corpo. Ella è liberata da quella febbre che le impedisce di servire e la costringe a servirsi degli altri per essere servita. " Servire" è una parola carica di significati nel Nuovo Testamento. Gesù è il Servo di Dio e dei fratelli, il Giusto che per amore si fa carico del peso della debolezza altrui. Il servirsi degli altri è il principio di ogni schiavitù nel male, il servire gli altri è il principio di ogni liberazione dal male. E' nel servire che l'uomo diventa se stesso e rivela la vera identità di Dio di cui è immagine e somiglianza.

    Con la parola "servire" il Nuovo Testamento intende l'amore fraterno concreto "non a parole, né con la lingua, ma coi fatti e nella verità" (1Gv 3,18). Questa è la caratteristica specifica e fondamentale di Gesù, lasciata in eredità ai suoi discepoli prima di morire (Lc 22,24-27; Gv 13,1-17). La liberazione che Gesù ci ha portato non ottiene il suo risultato nella semplice professione della fede, come fanno i demoni ( Lc 4,34.41; Gc 2, 9), ma nel servire che è la vera liberazione dal male profondo dell'uomo, l'egoismo, che lo fa essere il contrario di Dio che è amore (1Gv 4,8.16). Alle tante domande " Chi conta veramente nella Chiesa?; con quali occhi dobbiamo leggere la storia della Chiesa?; chi dobbiamo guardare per imparare dal vivo il vangelo?;... la risposta è una sola: A quelle persone "insignificanti" per il mondo, ma tanto significative per i credenti, che servono con umiltà e nel nascondimento. Essi ed esse sono la presenza viva e costante del Signore in mezzo a noi, essi ed esse sono i nostri maestri di vita cristiana. Anche alla fine della sua vita, Gesù chiamerà i suoi discepoli ad osservare una povera vedova che "dà tutta la sua vita"(Lc 21,4) perché imparino da lei la lezione fondamentale del suo vangelo.

    Nei vv.40-41 Gesù ci insegna come dobbiamo accostarci ai malati. Prima di tutto per Gesù il malato non è un numero:" egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva", inoltre Gesù si occupa del malato, non del male. Il malato non è un caso clinico o un oggetto di studio: è una persona. All'arrivo di Gesù, il demonio, che è la causa del male, è sconfitto e fugge. Il diavolo conosce la vera identità di Cristo e la proclama, ma la vera fede che salva viene solo dall'adesione del cuore all'annuncio della salvezza (Rm 10,8-10). E questa adesione del cuore e della vita il demonio non ce l'ha.

    Il popolo comincia a seguire Gesù, ma Gesù si sottrae da loro perché la volontà del Padre, che egli ha compreso a pieno di buon mattino nel luogo deserto dove aveva conversato filialmente col Padre suo, lo vuole altrove. Questa volontà del Padre è presentata con le parole:" Bisogna che io annunzi il regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato". Il regno di Dio è esattamente il contrario del regno dell'uomo. Questo regno ci viene donato da Dio in Gesù. Esso non viene né per azione, né per evoluzione, ma solo per umile invocazione:" Venga il tuo regno" (Lc 11,12).

    Nei vv.40-41 Luca ci offre un primo sommario di opere miracolose. Nella storia della salvezza Dio si è sempre rivelato con parole e azioni, e Gesù ora fa lo stesso. Un lungo discorso aveva aperto il suo ministero a Nazaret, una lunga serie di guarigioni conclude ora a Cafarnao la sua attività missionaria. Per la prima volta Gesù si incontra con una folla numerosa di malati, venuti o trasportati da ogni luogo.

    I vangeli presentano più spesso Gesù attorniato da folle bisognose di guarigione che desiderose di ascoltare la parola di Dio. In questa circostanza appare come un medico premuroso che si prende cura di ciascuno e impone le sue mani ad uno ad uno dei malati e li guarisce.

    I miracoli biblici sono stati visti spesso più come una manifestazione della potenza di Dio che come momenti della salvezza dell'uomo. Essi, invece, sono come delle piccole luci che Dio accende sul cammino dell'uomo per dimostrargli che fa storia con lui, che non l'abbandona a se stesso o in balia del male, ma che l'assiste sempre con la sua paterna presenza. Il miracolo ha pure un significato di protesta contro il male e di annuncio di salvezza presente e futura. Cristo combatte il male con tutte le sue forze e comanda a noi di continuare la sua missione facendo altrettanto, ossia il massimo.

    La malattia, la miseria d'ogni genere non sono un bene, ma uno squilibrio che deve scomparire grazie all'operosità congiunta di Dio e dell'uomo.

    Gesù ha bisogno di solitudine e di raccoglimento. Deve incontrarsi con il Padre per comprendere le scelte da fare e il cammino da percorrere. L'inseguimento della folla è ben spiegabile, dopo i successi e i prodigi del giorno prima. Forse qui c'è anche un richiamo polemico ai suoi concittadini di Nazaret: qui a Cafarnao è trattenuto perché non parta, lì era stato cacciato con ira e con violenza, rischiando persino di essere spinto nel burrone.

    Gli uomini vogliono trattenerlo, ma la sua partenza è fuori discussione perché non dipende dalla sua volontà. Il suo cammino ha ben altre motivazioni e non può essere arrestato né dai nemici né tanto meno dagli amici. Nemmeno da lui stesso. L'incontro con il Padre suo, nel luogo deserto (cfr v.42), gli ha rivelato con certezza la volontà di Dio:" Bisogna che io annunzi il regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato (dal Padre)". Il cammino che Gesù è chiamato ad intraprendere fin dal suo battesimo è quello del servo-figlio obbediente e non del signore.

    Gesù annuncia il regno di Dio. L'instaurazione di questo regno segnerà la fine del peccato, del male e di qualunque ingiustizia. Per Gesù "evangelizzare il regno di Dio" sintetizza tutta la sua missione. Evangelizzare i poveri significa aprire ad essi le porte del regno: qui la loro miseria finirà e le loro aspirazioni saranno pienamente esaudite.

    Il Signore non verrà a sedersi tra i sovrani della terra, accanto a quelli che opprimono gli uomini, ma instaurerà, in mezzo ai credenti e agli uomini che seguono onestamente i dettami della loro coscienza, lo stesso regime di vita, di pace, di santità che vige presso di lui in cielo.

    Il regno di Dio è già instaurato e la strada per arrivarci è quella percorsa da Cristo. Egli è il salvatore e il liberatore nel senso più pieno e totale della parola.

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    Coordin.
    00 01/09/2011 08:57
    Eremo San Biagio
    Commento su 1Cor 3,21-23

    Dalla Parola del giorno
    Nessuno ponga il suo vanto negli uomini, perché tutto è vostro: Paolo, Apollo, Cefa', il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio.

    Come vivere questa Parola?
    Prima di aver incontrato Cristo Gesù, Paolo aveva posto la sua gloria in se stesso e negli uomini con un raffinato corredo di conoscenze biblico-teologiche e una grande capacità di primeggiare nel rapporto con gli altri uomini. Ma la luce del Cristo era stata così forte da accecarlo dapprima, come per renderlo persuaso che è tenebra il porre speranza nel successo umano con quella mentalità schiavizzata all'idea che è solo il "qui e ora" che conta. La mentalità del vangelo apre e ti offre un'ampiezza ben più vasta di orizzonte. Sì, bisogna "gridarlo sui tetti" e non solo dirlo in sordina con una timidezza del tutto fuori luogo. Bisogna dire, soprattutto con la vita, che il cristiano, lungi dall'essere un rinunciatario, è uno che può afferrare la vita intera. Non solo i miei cari sono miei, ma gli amici, la scienza, la cultura, tutto ciò che nel creato e nell'arte, è vero buono e bello, è mio. Disse Terenzio Afro: come posso non dire che tutto quello che è umano appartiene a me? C'è però un punto nodale che fa luce sulla natura di questo avere tutto: il fatto che io - se sono cristiano - non mi appartengo. Sono di Cristo che mi coinvolge nell'amplesso trinitario del Padre nell'amore persona che è lo Spirito Santo. E allora, se la natura di Dio è quella dell'amore che si dona, io esisto solo se amo donandomi.

    A questo penso nella mia odierna pausa contemplativa.

    Signore Gesù, amore vivente che fai vivere chi ha tutto in te e con te, fammi vivere come te: nella continua volontà di amare, di donarmi come il Padre vuole.

    La voce di un dottore della Chiesa
    Chi ha Dio non manca di nulla. Dio solo basta.
    Santa Teresa d'Avila

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