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CHIARIMENTI SU PAGINE DI STORIA

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    00 29/01/2015 23:09
    Cagliostro Chiesa Sant'Uffizio Inquisizione condanna massoneria Anna PellicciariCagliostro, vittima della "crudeltà della Chiesa?"
    di Angela Pellicciari *

     Poche sono le certezze che ci accompagnano. Fra le poche ce n’è una che spicca per il grado dell’assoluta ovvietà: l’Inquisizione è un’istituzione ecclesiastica di cui c’è solo da vergognarsi. Siccome a suo tempo l’Inquisizione ha condannato al carcere a vita Giuseppe Balsamo - detto conte di Cagliostro -, la conclusione ovvia è che certamente Cagliostro è un martire dell’oscurantismo cattolico.

    E’ sufficiente la notizia della condanna dell’Inquisizione per osannare Cagliostro?

    Qualche anno fa’, mentre scrivevo I papi e la massoneria (Ares2007), ho passato parecchio tempo all’archivio del Sant’Uffizio dove, fra gli altri, ho avuto fra le mani un interessante fascicolo riguardante proprio Cagliostro, capo incontrastato della massoneria “egiziaca” da lui fondata. Questo l’obiettivo dell’ordine: “ringiovanire e recuperare lo stato della perduta innocenza, ed un pieno dominio sopra degli Angeli”. Come fare per ottenere la perfezione spirituale e l’immortalità? Se ne parla nel manuale della “Promozione De’ Compagni al grado di Maestri” in cui si prevedono due quarantene. Alla fine della prima si raggiunge un potere immenso che permette ai maestri di dire: “Ego sum qui sum”, mentre alla fine della seconda si vince la morte. Per farlo bisogna aspettare il plenilunio di maggio e andare in campagna in compagnia di un amico: qui bisogna sottoporsi ad una “dieta estenuante” che porta alla caduta della pelle e alla perdita dei denti, ma che, alla fine, permette di ringiovanire e di diventare fisicamente perfetti. Vale a dire immortali. Viene da domandarsi: Cagliostro ha fatto su qualcuno qualche esperimento per verificare la bontà della propria dottrina?

    Con un simile bagaglio concettuale, gli affiliati alla massoneria egiziaca sono comprensibilmente vincolati ad un segreto impenetrabile e ad una rigidissima obbedienza. Al momento dell’ingresso in loggia, per esempio, gli uomini giurano tenendo una mano sopra un braciere e pronunciano la formula: “Io prometto, mi impegno e giuro di non rivelare mai li segreti, li quali mi saranno comunicati in questo tempio, e di obbedire ciecamente ai miei superiori”.

    L’obbedienza cieca che la massoneria ha sempre condannato imputandola ai fedeli cattolici, è esigita alla lettera all’interno della loggia. Così, per esempio, quando Cagliostro vuole che un affiliato del suo ordine sia nominato “Ambasciatore dell’Ordine rispettabile di Malta presso la Corte di Roma”, si rivolge in questi termini al cardinale di Rohan: “se voi non volete nuocere a voi stesso, ed anche camminare per la vostra rovina contro il vostro modo di pensare, ed agire nella guisa, che noi ve ne abbiamo tracciata la regola, noi vi ordiniamo di risponderci ipso facto. Il che ci metterà nel caso, in virtù dell’autorità, di cui siamo rivestiti, di darvi dei regolamenti saggi, e perfetti, di farvi sapere le nostre intenzioni, e li voleri della Provvidenza Divina”.

    E se un principe di Santa Romana Chiesa non obbedisce ad un ordine dato, all’apparenza, da un signor nessuno? “E se voi disobbedirete alli nostri ordini, non tarderete a riceverne il castigo. Sarete sottoposto alla pena, che soffrirono li nostri nemici. In una parola ve ne pentirete per sempre”. Detto in parole povere: se Rohan disobbedisce, Rohan è un uomo morto. Proprio come, ricorda Cagliostro, è successo a quanti si sono opposti alla “nostra” volontà.
     
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    * Articolo pubblicato sul quotidiano Il Tempo del 23-08-2013 con il titolo Una lezione di CagliostroQuesta e altre utili lezioni di disincanto dalla sirene anticattoliche che vanno per la maggiore è colmo il nuovo libro di Angela Pellicciari, La gnosi al potere. Perché la storia sembra una congiura contro la verità (Fede & Cultura, Verona 2014
    sources: IL TIMONE

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    00 06/03/2015 21:07
    "Risorgimento" 

    ll mito storiografico della pseudo cultura dominante insegna che l'unità d'Italia fu voluta dalle popolazioni povere e oppresse degli Stati preunitari, compreso quello pontificio. Questo presunto popolo italiano, con rivolte e plebisciti, ottenne l'annessione allo Stato Piemontese e dunque l'unità della penisola. Era la vittoria della democrazia e della volontà popolare contro l'oscurantismo clericale e monarchico.
    Quanto i popoli parteciparono democraticamente a questo processo (in realtà voluto da poche elites e promosso dalla Massoneria) lo si può vedere esaminando un dato interessante. Nel gennaio 1861 si tennero le elezioni per il primo Parlamento unitario. Su 22 milioni di abitanti, il diritto a votare fu concesso dai nuovi governanti solo a 419.938 persone. Ma soltanto poco più della metà di loro si recò a votare e alla fine i voti validi si ridussero a 170.567, dei quali oltre 70.000 erano di impiegati statali, "consigliati" su chi votare dal Governo.
    Sapendo di perdere, il governo liberale e massonico si guardò bene dal concedere il suffragio universale (che avrebbe visto la schiacciante vittoria dei cattolici). II fatto è che i cattolici dell'Ottocento passano per oscurantisti mentre i liberal - massoni per democratici. I fatti dicono il contrario.
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    00 06/03/2015 21:09
    Regno delle Due Sicilie.

    Come si sa, la storia è scritta dai vincitori. Per unire l'Italia attraverso quelle sanguinose guerre di conquista che vanno sotto il nome di Risorgimento, i liberal-massoni piemontesi hanno invaso, occupato e definitivamente cancellato dalla carta geografica il Regno delle Due Sicilie, guidato dai Borboni, In seguito, i vincitori si sono affannati nel raccontare peste e corna di quel regno, dipinto come arretrato, immiserito e privo di libertà: e questo impariamo ancora oggi, grazie ai testi scolastici.
    Pochi sanno che, prima dell'invasione garibaldina, II Regno delle Due Sicilie aveva la terza flotta mercantile di tutta Europa, una solida moneta, un fatturata industriale superiore di dieci volte a quello piemontese, non conosceva l'emigrazione, aveva un numero di impiegati nell'industria e di medici pari al doppio di quello piemontese e una quantità di moneta di due volte superiore.
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    00 10/03/2015 12:51

    La persecuzione religiosa
    iniziò con Lenin (e peggiorò con Stalin)

    GulagDopo che Krusciov denunciò apertamente i crimini di Stalin, si sparse per un buon periodo la teoria che la Rivoluzione Russa era in sé qualcosa di positivo e che fu il dittatore georgiano a farla deviare dai suoi buoni propositi commettendo eccidi e massacri.

    È superfluo dire che questa ipotesi non ha oggi alcun fondamento tra gli storici in quanto il “Terrore”iniziò fin da subito sotto Lenin andato al potere con un colpo di stato nel 1917: deportazioni, incendi di villaggi, fucilazione di ostaggi, eccidi di classe vennero attuati dal dittatore per costruire la nazione russa sulla base dell’ideologia comunista. In questa prospettiva non c’era alcun spazio per la religione in quanto Lenin considerava compito del socialismo educare il popolo alla scienza per “lottare contro le tenebre della religione”.

    Nel fare questo il partito bolscevico utilizzò una tattica binaria che prevedeva di attaccare frontalmente la religione o di utilizzare una fitta opera di propaganda per far si che la popolazione abbandonasse le proprie credenze superstiziose. A farne le spese più pesanti fu la Chiesa ortodossa perché maggioritaria nel paese, ma soffrirono di questa persecuzione tutte le fedi ivi compresa quella cattolica nonostante la Santa Sede avesse accolto con favore la caduta degli zar (questi avevano difatti discriminato e perseguitato i cattolici), e avesse tenuto un atteggiamento di neutralità durante la guerra civile temendo anzi che una vittoria dei “Bianchi” potesse rimettere sul trono l’autocrazia zarista. Tra i primi provvedimenti del governo comunista vi fu quello di confiscare le terre e i monasteri degli ortodossi, furono tolti i sussidi statali ai sacerdoti e furono posti i seminari e le scuole sotto il controllo dello stato. Nella costituzione emanata il 10 luglio 1918 nonostante si stabilisse la separazione tra Chiesa e Stato e si garantisse a tutti i cittadini “libertà di propaganda religiosa o antireligiosa”; in pratica si confermavano i provvedimenti anticlericali e anzi l’articolo 65escludeva dal diritto di voto i ministri di qualsiasi culto (provvedimento esteso anche ai criminali comuni, ai malati di mente e agli agenti della polizia zarista).

    Simile politica suscitò la resistenza di vasti strati della popolazione (stando i rapporti comunisti tra febbraio e maggio del 1918 furono uccise 687 persone mentre tentavano di difendere i beni della chiesa ortodossa). Fino a quando durò la guerra civile tuttavia Lenin si guardò bene dall’effettuare una campagna sistematica di ateismo militante, sebbene la propaganda continuò a dipingere il clero come un “servo del capitalismo” e localmente vi furono violenze contro vescovi, preti, fedeli e luoghi di culto senza che il dittatore intervenisse a porvi termine. Anzi, con il consolidamento del potere, la persecuzione si fece più dura: gran parte dei monasteri e dei conventi furono soppressi e le loro proprietà incorporate dallo stato o vendute, sepolcri e reliquie dei santi furono dissacrati per dimostrare la falsità della credenza ortodossa che stabiliva che i corpi dei santi rimanessero integri dopo la morte e vescovi e preti ortodossi e cattolici furono imprigionati con accuse pretestuose di appoggiare i controrivoluzionari o di non rispettare le leggi sovietiche in materia di culto (le autorità comuniste volevano infatti cercare di evitare che le campagne contro il clero fossero viste come una guerra di religione).

    Nel 1922 vi fu una terribile carestia che provocò milioni di morti. Per alleviare le sofferenze della popolazione il patriarca di Mosca,Belavin Tichon, ordinò che tutti gli oggetti preziosi all’interno delle chiese, esclusi quelli usati per i sacramenti, fossero donati allo stato. Lenin tuttavia ignorò quest’offerta e volle invece approfittare della carestia per rinnovare la persecuzione contro la Chiesa ordinando la confisca di tutti i beni: «È adesso soltanto adesso, mentre nelle regioni afflitte dalla carestia c’è il cannibalismo e le strade sono ingombre di centinaia se non migliaia di cadaveri che possiamo (e perciò dobbiamo) cercare di acquisire i beni preziosi [n.d.a. della Chiesa] con l’energia più brutale e spietata per sopprimere qualsiasi resistenza senza fermarci di fronte a nulla (…) Più rappresentanti della borghesia reazionaria e del clero reazionario riusciremo a giustiziare in questa faccenda, meglio sarà» scrisse ai membri del PolitbjuroOttomila religiosi furono uccisi, migliaia tra vescovi e sacerdoti furono imprigionati ed esiliati senza contare il numero dei fedeli morti mentre difendevano gli oggetti consacrati. Il governo sovietico pose il patriarca agli arresti domiciliari e sostenne un movimento scismatico che dichiarò decaduto il patriarcato. Nel frattempo, i giornali avevano avviato una feroce propaganda ateista e furono inventati riti e festività collettive da contrapporre a quelle religiose tradizionali.

    Su richiesta della Chiesa Ortodossa la Santa Sede cercò di intercedere presso Lenin per chiederli di fermare la persecuzione, ma la risposta del Commissario per gli Affari Esteri all’inviato della Santa Sede fu totalmente negativa e saccente al punto che arrivò ad affermare che «era assolutamente falso parlare di persecuzioni dei ministri della religione». Da parte sua, il Vaticano decise di tenere i contatti aperti per cercare una mediazione nonostante la persecuzione antireligiosa colpisse anche i suoi fedeli, e fra il 1922 e il 1923 la Santa Sede fornì aiuti per la carestia riuscendo a nutrire circa 120.000 persone al giorno, fino a quando la missione non fu interrotta per imposizione del governo bolscevico (cfr. E. Gentile, Contro Cesare, Milano 2010 pp. 49-80).

    Dopo la morte di Lenin e l’ascesa al potere di Stalin la situazione religiosa subì un notevole peggioramento, ma il carattere repressivo dell’Unione Sovietica non fu un’invenzione staliniana ma era già presente fin dagli esordi della presa del potere di Vladimir Lenin.

    Mattia Ferrari


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    00 17/03/2015 11:49
    Guerra Civile in Spagna .

    Il triennio 1936-1939 vide la Spagna immersa in una spaventosa guerra civile. Partiti e movimenti repubblicani (anarchici, socialisti e comunisti) si apponevano a militari e civili (monarchici, cattolici e falangisti, guidati da Francisco Franco, che risultarono alla fine vittoriosi, conquistando Madrid nel marzo 1939. Stando alle cifre riportate da Vittorio Messori neI suo Pensare la storia (volume che non deve mancare nella libreria di ogni cattolico non pentito), dal luglio 1936 "nei modi più atroci furono uccisi 4.188 preti diocesani (includendovi i seminaristi, 2.365 frati, 283 suore", a cui si devono aggiungere ben 11 vescovi. E` bene ricordare che gli assassini militavano nelle fila dei partiti e movimenti repubblicani. Facciamo nostra, la riflessione di Messori: "Per decenni, anche per certo mondo 'cattolico' sembrò che chi doveva farsi perdonare e far dimenticare, nella tragedia spagnola, fosse la Chiesa, non fossero gli anarchici, i socialisti, i comunisti".


    Lenin.
    II 15 febbraio del 1919, il Soviet della Difesa, evidentemente sotto la presidenza di Lenin, emanava una delibera con la quale si ordinava alla Polizia segreta (CEKA) e alla Polizia politica (NKVD) di prendere in ostaggio i contadini di quelle località nelle quali lo sgombero della neve dalle linee ferroviarie non era soddisfacente e di fucilarli nel caso il lavoro non fosse stato eseguito Un esempio, tra i tanti, da ricordare a coloro che, nel penoso tentativo di salvare qualcosa del Comunismo, contrappongono Lenin a Stalin e attribuiscono solo a quest'ultimo, e non anche al primo, la colpa delle immense stragi.

    Hitler e gli ebrei.

    Secondo lo storico Rainer Zitelmann, il cui nome sembra indicare origine ebraiche, fin dall'anno 1933 organismi ufficiali tedeschi ed ebraici collaborarono a lungo per favorire l'emigrazione degli Ebrei dalla Germania. Negli anni che vanno dal 1933 al 1938 lasciarono la Germania 130.000 ebrei, un terzo dei quali si reca in Palestina. Per lo storico, molti altri ebrei si rifiutarono di abbandonare il Reich convinti che l'allarmismo nei loro confronti fosse del tutto ingiustificato. Lo prova il fatto che, ancora verso la fine del 1937, la Delegazione Nazionale degli Ebrei Tedeschi lanciò un "Appello agli Ebrei di Germania" affinchè non si facessero prendere dal panico. Se stupisce questa collaborazione tra organismi sionisti e autorità nazionalsocialiste, non va dimenticato che nel marzo di quello stesso anno (1937), Papa Pio XI aveva ordinato di leggere, in tutte le chiese cattoliche tedesche, la condanna dei nazismo espressa nell'Enciclica Mit Brennender Sorge. Il Papa comprese prima di molti, anche ebrei, che pure oggi accusano la Chiesa di connivenza con quel regime, il carattere anticristiano e antiumano del Nazionalsocialismo.

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    00 21/03/2015 10:58
    Schiavi.
    Pare che tra il Cinquecento e il 1863, anno in cui venne abolita la schiavitù negli Stati Uniti, vennero deportati come schiavi nelle due Americhe alcune decine di milioni di africani. Nell'immaginario collettivo la colpa di questa immane tragedia viene ascritta in massima parte ai colonizzatori cattolici portoghesi e spagnoli, dimenticando che tra i maggiori responsabili si devono annoverare sì dei cristiani, ma calvinisti olandesi, luterani tedeschi e anglicani britannici, senza contare le indispensabili complicità di animasti africani, che spesso vendevano i loro fratelli, e di arabi musulmani, questi ultimi con il compito di catturare gli schiavi e trasportarli fino all'imbarco. In ogni caso, la Chiesa Cattolica intervenne immediatamente a condannare, già alla fine del Quattrocento, questa pratica disumana. Condanna ribadita da Papa Paolo IV nel 1537 e da Papa San Pio V nel 1568, ripetuto da Papa Urbano VIII nel 1639 e da Papa Benedetto XIV nel 1714.
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    00 28/03/2015 16:15
    Spiritisti.

    Stando alla vulgata di certa pseudo-cultura moderna, il cattolicesi mo, afflitto da "oscurantismo" religioso e pregiudizi, fu combattuto da spiriti illuminati, cultori della ragione, fautori del sapere scientifico e razionale Insomma, trattasi del classico e falso schema che vede contrapposte religione da una parte e ragione dall'altra. Pochi sanno che molti tra i più fieri avversari della Chiesa furono tutt'altro che esenti da superstizioni e credenze inverosimili. Giuseppe Mazzini, per fare un esempio, credeva nella vita extraterrestre e nel linguaggio delle piante. Giuseppe Garibaldi nel 1863 divenne presidente onorano di una società spiritica veneziana e credeva che le anime trasmigrassero negli animali. Massimo D'Azeglio, spiritista, era convinto di comunicare con lo spinto dei defunti Cavour e Cesare Balbo. Come si vede, gli "eroi" del risorgimento anticattolico, che combattevano il papato, praticavano culti a dir poco strani. è proprio vero quando si smette di credere nel vero Dio si finisce per credere a tutto.
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    00 28/03/2015 16:20
    Guerra e pace.

    Nel corso del Medioevo cristiano, la Chiesa riuscì a regolare l'esercizio della guerra. Sapendo bene quanto fosse impossibile eliminare lo scontro fra fazioni, il Papato pose limiti che vennero sostanzialmente rispettati dai sovrani cristiani. Ne parla Vittorio Messori nel suo formidabile Pensare la storia: "Vietato guerreggiare dopo il crepuscolo; vietato la domenica perchè dies Domini, il venerdì perchè giorno di penitenza, il giovedì in ricordo dell'istituzione dell'Eucaristia; vietato in Quaresima e in Avvento, anzi per tutto l'inverno; obbligo di liberare a Pasqua tutti i prigionieri, che, comunque, una volta catturati dovevano essere trattati come fratelli" (p. 606). E poi c'è ancora chi denigra il Medioevo cristiano!
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    00 06/08/2015 13:09
    "Effettivamente, durante tutto il corso del Medioevo l'arte non fu mai avulsa dalle sue origini. Intendiamo dire che essa esprime il Sacro. E questo legame tra arte e il sacro è radicato nelle fibre stesse dell'uomo, in tutte le civiltà; gli specialisti di preistoria ce lo confermano, e sin dall'apparizione dell'arte delle caverne. Tutte le razze, sotto tutti i cieli, volta a volta attestarono quest'intima comunione, questa tendenza che inerisce all'uomo e lo porta a esprimere il Sacro, il Trascendente, in quest'altro linguaggio che è l'arte in tutte le sue forme".

    (Regine Pernoud, Medioevo. Un secolare pregiudizio, Bompiani, Milano 1992, pp. 34-35).
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    00 16/08/2015 14:33
    secession war chaplains
    L'apporto dei cattolici nella storia degli USA

     
    La posizione dei cattolici negli Stati Uniti non è sempre stata facile, anzi.

    Dall'essere perseguitati (nel Maryland, ai tempi dell'indipendenza, i figli potevano essere strappati legalmente ai loro genitori e mandati da famiglie protestanti se i genitori cercavano di educarli nella fede cattolica) all'attuale Tribunale Supremo, nel quale 6 giudici su 9 si dicono cattolici, il cammino è stato lungo.

    È quello che spiega Jorge Soley in un libro interessante appena pubblicato da Stella Maris con il titolo La historia de los Estados Unidos como jamás te la habían contado (La storia degli Stati Uniti come non te l'hanno mai raccontata).

    Leggendolo si comprendono le difficoltà iniziali, derivate dallo spiccato carattere puritano portato negli Stati Uniti dai coloni che si imbarcarono sul Mayflower fuggendo dall'Inghilterra e dopo aver fallito nel tentativo si stabilirsi in Olanda.

    Potrà sembrare una cosa lontana e aneddotica, ma, spiega Soley, tre Presidenti statunitensi del XX secolo (Franklin D. Roosevelt, George H. Bush e George W. Bush) sono discendenti di uno dei passeggeri del Mayflower, John Howland.

    L'ostilità anticattolica non proveniva solo dalle fila protestanti, perché ha giocato un ruolo non marginale anche l'illuminismo massonico, molto presente anche in ambienti influenti.

    Un esempio curioso del tentativo di adattare il messaggio cristiano alla mentalità illuminista ha avuto come protagonista il Presidente Thomas Jefferson, che si intrattenne a epurare i Vangeli da quelle che considerava opinioni che potevano corrompere. Il Gesù del Vangelo, secondo Jefferson, non fa miracoli, non si proclama Figlio di Dio né ascende ai cieli dopo essere morto in croce.

    Insieme a questi due nemici esterni, Soley segnala due rischi interni che la Chiesa cattolica negli Stati Uniti ha dovuto affrontare: da un lato la tentazione di adattare il suo messaggio al mainstream nordamericano, quello che Leone XIII avrebbe designato, per condannarlo, come americanismo, dall'altro i tentativi di creare una Chiesa nazionale slegata da Roma allo stile di quella anglicana.

    Quest'ultima cosa può sembrare improbabile, ma fu sul punto di accadere. Per fortuna Roma reagì rapidamente, creò due nuove diocesi in Virginia e nella Carolina del Sud e la questione rimase confinata ai libri di storia.

    Il lento cammino dei cattolici verso il pieno riconoscimento è avvenuto a poco a poco, spiega il libro. La realpolitik di George Washington ai tempi della guerra di indipendenza aiutò a compiere i primi passi: interessato a mantenere la neutralità del Canada, Washington mantenne un atteggiamento rispettoso nei confronti dei cattolici e proibì anche di bruciare le effigie papali, cosa che aveva origine nella commemorazione inglese del fallito complotto della polvere da sparo e dell'arresto di Guy Fawkes.

    Anche un'altra guerra, quella civile, è stata importante perché gli statunitensi non cattolici vedessero i propri compatrioti cattolici come cittadini di prima classe. Il ruolo delle suore cattoliche, che si presero cura instancabilmente dei feriti di entrambe le parti, aprì gli occhi a molti.

    Anche se non era una guerra dichiarata, i disturbi che in Indiana videro scontrarsi per vari giorni allievi cattolici dell'Università di Notre Dame e militanti del Klu Klux Klan costrinsero il Governo a intervenire incarcerando la cupola del Klan. Grazie a questa prestigiosa università cattolica iniziava il declino di questa potente organizzazione razzista.

    Dalla lettura del libro si apprende anche che il riconoscimento progressivo dei cattolici negli Stati Uniti è stato raggiunto anche grazie a piccoli passi che hanno avuto come protagonisti dei cattolici con l'impulso che richiedeva questo Paese di frontiera. I nomi sono molti, come quello del monaco benedettino Martin Marty, che si avventurò a evangelizzare in territorio sioux un mese dopo la celebre battaglia di Little Big Horn. Fu Marty a battezzare Toro Seduto prima di essere nominato primo vescovo della diocesi di Sioux Falls.

    Abbiamo già parlato dell'Università di Notre Dame, la cui squadra di football americano era talmente buona che costrinse a rompere le regole del campionato universitario che inizialmente la escludevano dalle grandi competizioni.

    Un altro cattolico divenuto un mito dello sport fu Babe Ruth, probabilmente il più grande giocatore di baseball della storia.

    Non poteva mancare la dedizione dei cattolici nello sforzo bellico statunitense, vera “prova del fuoco” del fatto che era possibile essere un buon cattolico e un buon patriota: durante la I Guerra Mondiale, spiega Soley, la percentuale di giovani cattolici che si arruolarono fu superiore a quella dei giovani di altre confessioni.

    Ovviamente non è stato tutto rose e fiori. La mafia diffusa dagli immigrati italiani (anche se nel libro si scopre che Al Capone finì i suoi giorni affidandosi alla misericordia di Gesù) o le diserzioni dei soldati irlandesi che decisero di passare tra le fila messicane e formare il battaglione di San Patrizio generarono forti tensioni.

    Non poteva poi mancare l'impronta dell'evangelizzazione spagnola in quello che oggi è territorio statunitense - dal primo giorno di rendimento di grazie della spedizione di Juan de Oñate nel Nuovo Messico, quasi un quarto di secolo prima dei Padri Pellegrini, al beato Junípero Serra, evangelizzatore della California e fondatore, tra le altre cose, delle missioni di San Diego o San Francisco, embrioni delle attuali città californiane omonime.

    Gli Stati Uniti hanno riconosciuto il suo ruolo con una scultura al Salone Nazionale delle Statue situato nel Campidoglio, che alcuni ora vorrebbero sostituire con quella di un'astronauta lesbica in un gesto che sembra marcare una nuova tendenza che escluderebbe nuovamente i cattolici dalla vita pubblica.

    Non invano, il cardinale di Chicago, Francis George, morto di recente, ha detto: “Io morirò nel mio letto, il mio successore in carcere e il suo successore martirizzato sulla pubblica piazza”.



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    00 15/05/2016 23:48

    Leggende anticattoliche,
    in arrivo il nuovo libro del sociologo Rodney Stark

    bearing false witnessNe sentivamo la mancanza. Parliamo dei libri del celebre sociologo americano Rodney Stark, che dal 2006 ha sfornato anche in lingua italiana nove volumi -molti diventati best seller- che dovrebbero essere presenti nella biblioteca di ogni occidentale appassionato alla storia della sua cultura.

    Portati puntualmente in Italia dalla casa editrice Lindau -a cui vanno la nostra stima e i nostri ringraziamenti-, i lavori di Stark sono l’antidoto più riuscitodocumentato ed efficace delle leggende nere anticristiane che circolano in Occidente da almeno due secoli. Docente di Sociologia e Religione comparata presso l’Università di Washington fino al 2004, già presidente della Society for the Scientific Study of Religion e della Association for the Sociology of Religion, dal 2004 è professore di Scienze Sociali presso la Baylor University. Si definisce un agnostico culturalmente cristiano e ha portato da pochi giorni in libreria la sua ultima fatica: Bearing False Witness: Debunking Centuries of Anti-Catholic History(Templeton Press 2016).

    Si tratta della approfondita confutazione di dieci miti sulla storia della Chiesa, ha parlato del suo libro in una intervista alCatholic World Report, nella quale ha toccato alcuni di questi miti.

     1) MITO DELLA CHIESA ANTISEMITA.

    «Quando ho cominciato a lavorare come studioso», ha spiegato Stark, «tutti, tra cui i leader cattolici, ritenevano la Chiesa una fonte primaria di antisemitismo». Oggi non è più così, lui lo ha capito «quando ho lavorato sui materiali dei cronisti ebrei medievali che ho scoperto il ruolo effettivo della Chiesa nel contrastare e reprimere tali attacchi. Eppure ancora oggi tanti intellettuali continuano ad accettare l’idea, ad esempio, che Papa Pio XII sia stato il “Papa di Hitler”. Ovviamente è una menzogna e può sostenersi soltanto a causa dell’odio verso la Chiesa. Si tenga a mente che a difendere Pacelli sono innanzitutto rabbini ebrei di primo piano».

    2) MITO DEI SECOLI BUI MEDIOEVALI.
    «Voltaire ed i suoi soci», ha commentato il noto sociologo americano, «hanno creato tale finzione sul Medioevo in modo da poter esaltare l’Illuminismo. Eppure, come sa ogni storico competente (comprese le enciclopedie), non sono mai esistiti i secoli bui. Al contrario, è stato proprio nel corso di questi secoli che l’Europa ha avuto il grande salto in avanti, culturale e tecnologico, che l’ha messa in prima linea rispetto al resto del mondo». Su questo argomento specifico, consigliamo i sui libri La Vittoria della ragione. Come il cristianesimo ha prodotto libertà, progresso e ricchezza (Lindau 2006), A gloria di Dio. Come il cristianesimo ha prodotto le eresie, la scienza, la caccia alle streghe e la fine della schiavitù (Lindau 2010) e Il trionfo del Cristianesimo (Lindau 2012).

    3) e 4) MITO DELLE CROCIATE E DELL’INQUISIZIONE.
    «Sono competente a spiegare che le Crociate furono legittime guerre difensive e che l’Inquisizione non fu affatto sanguinolenta come viene descritta. Non sono tuttavia competente a spiegare perché la marea di ricerche storiche che sostengono tutto questo non abbiamo avuto alcun impatto sugli opinionsti occidentali. Ho il sospetto che questi miti siano troppo preziosi per l’anti-religiosità».

    5) MITO DELLA MODERNITA’ NATA DAL PROTESTANTESIMO.
    «Il problema di questa tesi è semplicemente che il capitalismo si è è stato sviluppato ed è fiorito in Europa molti secoli prima della Riforma protestante», ha osservato Stark.

     

    Il sociologo tiene a precisare di aver scritto non “una difesa della Chiesa”, ma “una difesa della storia”. Purtroppo, lo sappiamo già in partenza, nemmeno quest’ultimo suo lavoro influenzerà le masse, lui stesso riconosce che «la maggior parte degli americani non potrà mai sapere che questo libro è stato scritto. Posso solo sperare che influenzerà intellettuali e scrittori, forse anche libri di testo». Nel frattempo aspettiamo che arrivi anche in Italia, auguriamo per questo buon lavoro e buona traduzione alla casa editrice Lindau!


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    00 13/06/2016 09:18

    La soppressione dei Gesuiti causata dal loro impegno antischiavista



    Gesuiti espulsiLa Compagnia di Gesù, che all’epoca contava circa 23.000 membri in 42 province, fu soppressa il 21 luglio del 1773 da papa Clemente XIV con la lettera apostolica “Dominus ac Redemptor”. Ma si conoscono davvero le motivazioni che spinsero a questa decisione? Purtroppo no, occorre infatti sapere che essa maturò sopratutto in seguito a false accuse arrivate al Pontefice, scagliate contro i gesuiti da parte del mondo illuminista.


    Queste sono le conclusioni del saggio “I gesuiti” scritto da Claudio Ferlan, storico e ricercatore dell’Istituto storico Italo-Germano, recensito recentemente dallo storico Paolo Mieli. Abbiamo qualche simpatico sospetto che l’ex direttore de “Il Corriere della Sera” abbia dato una lettura al nostro apposito dossier sul colonialismo, prelevando diverse citazioni, frasi e concetti che compaiono nella sua recensione.


    Nel volume di Claudio Ferlan si sottolinea, innanzitutto, che i Gesuiti non erano affatto in declino al momento della soppressione, anzi, «l’immagine del declino è stata costruita a posteriori, al fine di trovare una spiegazione alla soppressione del 1773». Per oltre un secolo infatti, la Compagnia formò buona parte delle élite nazionali, culturali e politiche, da loro vennero ad esempio educati Voltaire, Diderot, Robespierre, Cartesio, furono consiglieri e confessori di Luigi XIV. La guerra ai gesuiti iniziò, infatti, non in Occidente ma in America Latina a causa della loro ostilità allo schiavismo.


    Infatti, come hanno ben documentato gli storici francesi Jean Andreau e Raymond Descat«è nel corso dell’alto Medioevo che si sono prodotti icambiamenti più importanti e che si è definitivamente usciti, in Europa occidentale, dalla società schiavista» (“Gli schiavi nel mondo greco e romano”, Il Mulino 2006, p.222). E la Chiesa cattolica è stata in prima fila nella battaglia contro la schiavitù, «lo fu ai tempi di Carlo Magno. Nel IX secolo con il vescovo Agobardo di Lione. Nell’XI con Sant’Anselmo. Nel XIII con Tommaso d’Aquino. Nel 1435 con papa Eugenio IV. E lo fu soprattutto quando il tema degli schiavi riemerse nel nostro continente dopo la scoperta dell’America». Diverse bolle, infatti, condannarono la schiavitù e minacciarono la scomunica a coloro che avessero ridotto in schiavitù i nativi. Ne abbiamo parlato in un nostro altro dossier.


    Furono proprio i gesuiti ad essere il “braccio operativo” della Chiesa in America Latina, difendendo personalmente i nativi dalle bandeiras(spedizioni) dei colonizzatori e costruendo delle missioni. In esse i gesuiti di formazione militare (Juan Cardenas, Antonio Bernal, Domingo Torres) aiutarono anche i guaraní a formare un vero e proprio esercito,  famosa la battaglia del fiume Mbororé dove i colonizzatori affrontarono i nativi e i gesuiti e vennero da loro sconfitti. Le missioni gesuiti si allargarono ai territori che oggi appartengono all’Argentina, Brasile e Uruguay. Il grande storico americano, Eugene D. Genovese, fra i massimi esperti di schiavismo americano, ha scritto: «Il cattolicesimo ha impresso una profonda differenza nella vita degli schiavi. E’ riuscito a creare un’etica nuova ed autentica nella società schiavista americana, brasiliana e spagnola» (E. Genovese, “Roll, Jordan, Roll: The World the Slaves Made”, 1974, pag. 179). E’ così che, secondo lo storico Ferlan, nelle città schiaviste in mano ai portoghesi le missioni divennero assai impopolari. I gesuiti vennero espulsi dal Brasile, in Portogallo si vararono «una serie di provvedimenti antigesuitici preceduti da un’articolata campagna diffamatoria alimentata da libelli accusatori pubblicati e diffusi in buona parte d’Europa proprio con il sostegno del primo ministro portoghese», ne avevamo parlato in un precedente articolo. Vennero definitivamente espulsi da Giuseppe I nel 1756.


    La cultura illuminista che, come ha fatto notare lo storico Rodney Stark della Baylor University, «era stato indifferente alla battaglia antischiavista di Malagrida, e anzi da John Locke a Voltaire, da David Hume a Denis Diderot, aveva accettato la schiavitù, quando non aveva addirittura investito i propri risparmi nel commercio degli schiavi» (R. Star, “A gloria di Dio”, Lindau 2011), esultò e «ritenne fosse venuta l’ora di mettere i gesuiti fuori gioco». Lo fece accusandoli di diversi reati, accuse che arrivarono fino a Benedetto XIV il quale mandò un visitatore pontificio a compiere indagini. Peccato che, prosegue Mieli, «subito dopo morirono all’improvviso sia il Papa che il patriarca di Lisbona. In un attimo si diffuse la voce che entrambi fossero stati “avvelenati dai gesuiti”», Erano ovviamente dicerie senza fondamento, ma quando i gesuiti furono direttamente accusati di un attentato fallito a Giuseppe I il 3 settembre 1758, «molti gesuiti furono tratti in arresto». La stessa sorte toccherà agli altri in tutto l’impero portoghese. Nel 1764 l’ordine fu abolito anche in Francia, nel 1767 la Spagna espulse i suoi cinquemila gesuiti sempre in seguito di false accuse (aver organizzato la sommossa popolare contro il ministro riformatore siciliano Leopoldo de Gregorio). La decisione venne presa in seguito anche nel Regno di Napoli e nel Ducato di Parma.


    Papa Clemente XIII, commenta in conclusione lo storico Mieli, «a cui fu chiesta una bolla di soppressione universale, disse che si sarebbe tagliato una mano piuttosto che concederla. Ma di lì a breve, nel 1773, il suo successore, Clemente XIV, dopo aver tergiversato per quattro anni, acconsentì».



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    00 11/07/2016 08:23

    Le radici cristiane sono un’evidenza laica per gli storici



    CroceTutti coloro che hanno a cuore l’autentico umanesimo e il futuro dell’Europa sappiano riscoprire, apprezzare e difendere il ricco patrimonio culturale e religioso di questi secoli”. Con queste parole Benedetto XVI ha concluso un’udienza generale nel 2009, richiamando il desiderio di Giovanni Paolo II di veder ricordato nel Trattato costituzionale dell’Unione Europea un riferimento alle radici cristiane, patrimonio comune dell’Oriente e dell’Occidente.


    Molti storici, credenti e non credenti, cristiani e non cristiani, presero posizione sostenendo la richiesta di Giovanni Paolo II e tra questi anche l’italiano Sergio Romano, laico e anticlericale. Nel 2002 scrisse sul “Corriere della Sera”«Dovrebbe dunque la Costituzione europea, come chiede ora implicitamente Giovanni Paolo II, menzionare le religioni e riconoscere, come suggerisce Francesco Cossiga, le radici cristiane dell’ Europa? Se accettassimo questi suggerimenti renderemmo onore alla verità. La storia politica dell’Europa è cristiana». Tuttavia, spiegò, c’è la possibilità che «in epoca di ecumenismo e multiculturalismo» in futuro anche gli islamici chiederanno di riconoscere «le radici giudeo-cristiano-islamiche dell’ Europa». Per questo, scrisse, «le costituzioni non dovrebbero essere documenti filosofici. Le migliori sono quelle che definiscono con la massima precisione possibile la struttura dello Stato, i compiti delle istituzioni, le regole da adottare per il trasferimento dei poteri da un governo all’altro e qualche indispensabile principio generale». I suoi timori tuttavia non sono per nulla giustificati: se occorre riconoscere le radici cristiane in quanto evidenza storica, come ha scritto ad inizio articolo, lo stesso non si può dire per le radici islamiche e per lo stesso motivo non potranno mai essere riconosciute. Indipendentemente dal multiculturalismo.


    In ogni caso questa più o meno è rimasta la sua posizione nel tempo. Il dibattito si è riaperto in questi giorni nelle lettere a cui risponde sul quotidiano di via Solferino. Il 13 giugno 2013 Romano ha scritto: «Europa e cristianesimo sono due termini indissociabili di una lunga storia comune, ed è impossibile scrivere la storia dell’uno senza scrivere la storia dell’altro. Ma un testo costituzionale non è un trattato storico-filosofico, e uno Stato non è meglio governato se la sua Carta è preceduta da un breve manifesto ricco di buoni propositi e ampollosi luoghi comuni». Il 19 giugno 2013, dopo un’accozzaglia di luoghi comuni sul presunto potere ricattatorio della Chiesa, ha comunque affermato ancora: «pur riconoscendo il ruolo fondante del cristianesimo nella storia d’Europa, continuo a pensare che sia stato opportuno omettere le “radici cristiane” dal testo della Trattato costituzionale».


    Nel 2005 è arrivato a contraddirsi giustificando l’omissione delle radici cristiane perché « l’Europa è stata spesso sanguinosamente divisa dalle sue interpretazioni» sul cristianesimo, e perché «dovremmo forse cancellare dalla storia d’Europa tutto ciò che è stato fatto contro la Chiesa o a dispetto della sua volontà?». Eppure soltanto tre anni prima, riconoscendo l’origine cristiana dell’Europa, si era già risposto: «La libertà è il frutto di lotte religiose: fra il papa e l’imperatore, fra l’ortodossia e il dissenso, fra i cristiani e i musulmani, fra i cattolici e i protestanti, fra i luterani e gli anabattisti, fra la Chiesa di Stato (come nel Regno Unito) e le piccole Chiese “non conformiste”. I grandi liberali dell’Ottocento sono cattolici, anglicani o protestanti. La democrazia americana, nasce da una emigrazione religiosa, crede in Dio e ripone in lui la sua fiducia (“in God we trust”). Per lungo tempo il Parlamento britannico comincia i suoi lavori con un atto di devozione collettiva ed esige dai membri della Camera dei Comuni un certificato di battesimo. Persino la rivoluzione francese è “deista” e finisce per scimmiottare le grandi cerimonie religiose. Provatevi a togliere il cristianesimo dalla storia d’Europa e vi rimarrà tra le mani, alla fine, un povero manuale marxista, arido e insignificante».


    Dunque per Sergio Romano l’Europa ha quelle “radici”, è evidenza storica. Ma è meglio non dirlo, troppo politicamente scorretto. Pier Giorgio Liverani ha risposto affermando invece che «se un preambolo parla di radici, porta linfa vitale e orienta i principi e le norme che seguono. A una società di Paesi con storie, lingue, costumi, politiche, economie e istituzioni differenti, un richiamo a ideali e radici comuni farebbe assai più bene che la sola comunità della moneta». La pensa allo stesso modo Hans-Gert Pöttering professore onorario di Giurisprudenza presso l’Università di Osnabrück ed ex presidente del Parlamento europeo, che nel 2007 al Meeting per l’Amicizia tra i Popoli di Rimini ha affermato: «come Presidente di gruppo parlamentare, mi sono sempre impegnato affinché il riferimento a Dio venga inserito nella Costituzione e, se possibile, anche questa citazione delle radici cristiano-giudaiche». L’ebreo Joseph Weiler, prestigioso docente di diritto europeo alla New York University ha spiegato nel 2012: «Quello che è strano è che ci sia qualcuno che resiste, che vuole negare, che trova scandaloso il menzionare questo. Se per esempio qualcuno avesse detto che le radici dell’Europa sono greco-romane, nessuno avrebbe fatto obbiezione perché è chiaro che è così».


    Preambolo si, preambolo no, la cosa interessante è che per lo meno non si evita di riconoscere l’evidenza storica. Una laica evidenza storica come ha scritto Claudio Magris qualche anno fa«Le radici dell’Europa sono in buona parte ebraico-cristiane, grazie alle quali nel nostro Dna sono entrate pure molte linfe della civiltà medio-orientale; riconoscerlo non è una professione di fede ma una constatazione storica e negarlo è un’automutilazione». Se Francesco Margiotta Broglio Massucci, ordinario di Storia e sistemi dei rapporti tra Stato e Chiesa all’Università di Firenze parla di «inestirpabili radici giudeocristiane» dell’Europa il filosofo Massimo Cacciari ha affermato«come facciamo a non appartenere ad un evo che è marcato dal segno della croce? Solo uno stolto può ritenere che questo non è, per ciascuno di noi, credente o non credente, un problema, forse il problema e cioè quello della propria tradizione, delle proprie radici, del proprio linguaggio e della propria cultura».


    Un’evidenza storica per credenti e non credenti, dicevamo. Il cristiano Roger Scruton, tra i più brillanti filosofi inglesi in attività, ha affermato nel 2012«Penso che tutte le Chiese europee debbano trasmettere il messaggio che, senza di loro, l’Europa non esiste. Le nostre società sono creazioni cristiane, che dipendono su ogni singolo punto da una rivelazione che è stata mediata dalle Chiese e che ha assunto una dimensione sacramentale. Negare questo vuol dire eliminare ogni barriera rispetto a quell’entropia globale che minaccia anche l’Europa. Affermarlo, vuol dire iniziare a riscoprire le cose per cui dobbiamo lottare e che dobbiamo difendere dalla corruzione». Sulla stessa riga il filosofo non credente André Comte-Sponville, già docente della Sorbona di Parigi, ha detto a sua volta: «L’origine cristiana dell’Europa è una evidenza storica. Se l’Europa ignora le sue radici cristiane cesserà di essere una civiltà e di essere solo un mercato».


    L’agnostico Jacques Le Goff, docente nelle Università di Lille e Parigi, tra i più autorevoli storici del Medioevo viventi, ha parlato di “radici medioevali dell’Europa”, così come ripreso dalle’Enciclopedia TreccaniRémi Brague, professore di Filosofia araba alla Sorbona e anche all’Università Ludwig-Maximilian di Monaco ha sottolineato che «le due religioni che hanno segnato l’Europa sono l’ebraismo e il cristianesimo, e nessun’altra. Perché limitarsi a parlare di eredità religiosa e umanista? Un professore di storia non si accontenterebbe di tale definizione e scriverebbe in rosso, sul margine: “Troppo vago, precisate!”. Ciò che mi dà fastidio è lo stato d’animo che in questo si manifesta, e cioè l’impulso tipicamente ideologico di negare la realtà e riscrivere il passato. E negare la realtà porta necessariamente a distruggerla. La civiltà dell’Europa cristiana è stata costruita da gente il cui scopo non era affatto quello di costruire una “civiltà cristiana”. La dobbiamo a persone che credevano in Cristo, non a persone che credevano nel cristianesimo. Quella che si chiama “civiltà cristiana” non è nient’altro che l’insieme degli effetti collaterali che la fede in Cristo ha prodotto sulle civiltà che si trovavano sul suo cammino. Quando si crede alla Sua resurrezione, e alla possibilità della resurrezione di ogni uomo in Lui, si vede tutto in maniera diversa e si agisce di conseguenza, in tutti i campi. Ma serve molto tempo per rendersene conto e per realizzare questo nei fatti. Per questo, forse, noi siamo solo all’inizio del cristianesimo».


    Davanti a Gesù Cristo non ci sono molte opzioni: dicendo di essere quel che disse di essere, o era un pazzo scatenato oppure aveva ragione. Ma può un pazzo scatenato essere all’origine della civiltà occidentale e orientale, come oggi insegnano gli storici?



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    00 01/09/2016 23:16

    Le dieci bugie anticattoliche che non fanno onore agli storici.
    Intervista a Rodney Stark

    inquisizione-rodney-stark

    Articolo tratto da Tempi 

    Paradossalmente quello che è forse il più efficace apologeta vivente del ruolo della Chiesa di Roma nella storia dell’Occidente non è neanche cattolico. Anzi, come spiega lui stesso nel suo ultimo libro, è «cresciuto nei fasti della Riforma» e «come tutti i luterani» ogni domenica alla funzione veniva «illuminato sulla perversione dei cattolici». Se Rodney Stark ha deciso di scrivere Bearing False Witness: Debunking Centuries of Anti-Catholic History (“Falsa testimonianza. Sfatare secoli di storia anticattolica”), non è dunque per un impulso partigiano a difendere una bandiera che non è mai stata sua. Piuttosto «ho scritto questo libro per difendere la storia».

    Sociologo della religione e professore alla Baylor University, ateneo cristiano battista del Texas dove dirige l’Istituto di studi sulla religione, Stark è autore di decine di titoli di successo in molti paesi del mondo (apprezzati in Italia La vittoria della ragione e La vittoria dell’Occidente, dedicati alla «negletta storia» di come sia stato proprio il disprezzato cristianesimo a produrre la libertà, il progresso e la ricchezza della nostra civiltà). In Bearing False Witness ha raccolto i dieci «miti anticattolici» in cui si è imbattuto più spesso nel corso dei suoi innumerevoli studi. Dieci menzogne e false accuse che secondo Stark hanno avuto e hanno nel pensiero comune «conseguenze troppo pervasive per essere lasciate a confutazioni sparse».

    L’antisemitismo motivato teologicamente dall’accusa di deicidio; l’esistenza di vangeli “illuminati” insabbiati da un clero ottuso; lo sterminio dei pagani seguìto alla “conquista” cristiana di Roma; i “secoli bui” del Medioevo interrotti finalmente dalla rivoluzione razionale dei Lumi; le crociate come primo sanguinoso atto di colonialismo europeo; i crimini dell’Inquisizione spagnola e la caccia alle streghe; il caso Galileo, prova della fobia della Chiesa verso la scienza; la giustificazione della schiavitù; il sostegno alle dittature contro la democrazia; la superiorità sociale e civile della Riforma protestante. Facendo nomi e cognomi e decine di citazioni, Stark massacra nel libro quelli che lui chiama «illustri bigotti», i colleghi studiosi che invece di comportarsi come tali «hanno abbracciato avidamente» le bufale anticattoliche, essendo «così convinti della depravazione e della stupidità della Chiesa cattolica romana da non aver bisogno di cercare conferme ulteriori», sebbene qualcuno di loro dovesse essersi accorto che tante di quelle storie erano «saltate fuori dal nulla». Vedi per esempio la leggenda che vuole che Cristoforo Colombo abbia scoperto l’America nel tentativo di dimostrare con la navigazione che la Terra è tonda e non piatta, come invece ancora credevano i cardinali spagnoli avversari della sua impresa. Una panzana pura e semplice inventata di sana pianta nel 1828 da uno scrittore, Washington Irving, noto più che altro per avere creato il cavaliere senza testa di Sleepy Hollow, eppure rimasta «nei libri di testo e nella cultura popolare per decenni anche dopo che gli studiosi erano risaliti alle sue origini fraudolente» (in Austria e Germania nel 2009 si insegnava ancora nelle scuole).

    Un Papa non cattolico
    L’ostilità degli “illustri bigotti” alla Chiesa, spiega Stark a Tempi, viene da lontano. «La Riforma e le successive guerre di religione generarono aspri odii e false accuse» che «hanno resistito» nei secoli. «Troppo ancora ne rimane nella cultura popolare delle nazioni protestanti», aggiunge. «Invece non so quanti miti malevoli antiprotestanti permangano nelle nazioni cattoliche». E se nell’antica Roma, secondo la tesi di E. Mary Smallwood ripresa nel libro, era «l’esclusività» degli ebrei e dei cristiani a generare impopolarità e persecuzione, negli ultimi secoli «l’antagonismo del politeismo rispetto al monoteismo che motivava l’antisemitismo e l’anticristianesimo è stato sostituito dall’antagonismo laicista verso tutte le religioni che comprendano insegnamenti tradizionali e pretese di verità». Di qui anche «la richiesta che il Papa, a tutti gli effetti, smetta di essere cattolico».

    Secondo Stark «furono Voltaire e i suoi colleghi a inventare i secoli bui, e lo fecero allo scopo di poter proclamare che stavano liberando la civiltà dall’arretratezza religiosa». Mentre nella realtà un Medioevo oscurantista non è mai esistito. Al contrario, «la chiave più importante per l’ascesa della civiltà occidentale – si legge nel libro – è stata la dedizione di tante menti brillanti alla ricerca della conoscenza. Non di un’illuminazione. Non dell’illuminismo. Non della saggezza. Della conoscenza!». E per Stark è assolutamente sensato il fatto che molte di queste “menti brillanti” fossero cristiani medievali, perché, ci spiega, «il cristianesimo è una religione teologica (basata sul ragionamento intorno a Dio) che non solo è coerente con gli sforzi scientifici di spiegare il mondo, ma che ha dato vita alla scienza: la scienza non è accaduta altrove, poiché le religioni che guardavano l’universo come un mistero impenetrabile rendevano assurdo ogni sforzo scientifico». Ma nel tempo le opinioni di Voltaire e degli illuministi «furono accreditate da alcuni intellettuali che si opponevano a tutte le religioni e da molti altri che credevano erroneamente che quei filosofi stessero solo rivelando i peccati del cattolicesimo», continua lo studioso.

    rodney-stark-Bearing-False-Witness-copertinaComodi pregiudizi
    C’è un motivo se «oggi ormai perfino le enciclopedie popolari riconoscono che i secoli bui erano un mito». Significa che almeno su questa leggenda lo studio della storia ha prevalso sull’ideologia. Succede continuamente, solo che nessuno se ne accorge. Per smontare le dieci bufale storiche anticattoliche Stark stesso si appoggia sulle «opinioni prevalenti fra gli esperti qualificati», peccato che, da una parte, questi ultimi «scrivono sempre l’uno per l’altro e non si impegnano a condividere il loro sapere con il pubblico di lettori generale»; mentre, dall’altra, gli “illustri bigotti” continuano a godere di una credibilità sorprendente, almeno a livello mediatico. Anche quando le loro tesi disoneste sono state già smentite e loro stessi hanno ammesso la propria ostilità alla Chiesa. È il caso – ricostruito nel libro – di John Cornwell, celebre autore de Il Papa di Hitler, pietra miliare della propaganda anti-Pio XII, screditato abbondantemente e ripetutamente eppure ogni volta rilanciato dalla stampa o riciclato in altri testi, errori compresi. Il fatto è che, commenta amaramente Stark, «alla stampa piacciono sempre gli scandali e le notizie negative». E poi «i media sono davvero prevenuti nei confronti della religione».

    Se è vero che gli “illustri bigotti” alimentano «molto anticattolicesimo “informato”», godendo di un’immeritata copertura mediatica, come può prevalere la verità nella battaglia delle idee? Stark non ha dubbi: «Perché fidarsi dei “miei” esperti piuttosto che di quelli che hanno opinioni anticattoliche? Perché le mie opinioni si basano sul consenso di storici autorevoli e qualificati, che io cito attentamente, mentre le sciocchezze anticattoliche non hanno sostenitori qualificati». E come sono considerati, nell’ambiente accademico e dal pubblico, gli studi di Stark? «I miei libri hanno raccolto buone recensioni da parte degli studiosi. Non che mi importi davvero. Quanto al pubblico, dia un’occhiata su Amazon alle recenti recensioni di Bearing False Witness scritte dai lettori: sono sorprendentemente positive».

    Di sicuro, per sostenere le tesi di Bearing False Witness ci vuole del coraggio. Nel primo capitolo, per intenderci, l’autore si esercita nello smontare l’idea che «per secoli la persecuzione degli ebrei è stata giustificata [dalla Chiesa] nel nome di Dio». Un pregiudizio talmente radicato nell’immaginario collettivo che metterlo in dubbio risulterebbe quasi improponibile perfino ai cattolici stessi. Invece il professore della Baylor University, sulla base dei documenti storici e non certo di posizioni “papiste” precostituite, dice a Tempi di aver scoperto già molto tempo fa che, in realtà, «i cristiani che incolpavano gli ebrei per la Crocifissione tendevano anche ad accettare forme laiche di antisemitismo», e che quindi l’odio verso gli ebrei non è affatto una “invenzione” cattolica. Al contrario, continua, «quello che ho appreso in seguito è la larga misura con cui la Chiesa aveva protetto gli ebrei dalla violenza».

    Come la vede Obama
    Anche quando si arriva a lambire l’attualità, Stark non si fa molti problemi a rovesciare le visioni mainstream. Nel volume scrive che le prime offensive della civiltà cristiana (non della Chiesa) contro le altre religioni e le eresie avvennero nel secolo XI, quando cioè la supremazia cristiana si vide minacciata dall’espansione dell’islam. Ma è sbagliato teorizzare che oggi in Occidente stia accadendo qualcosa di analogo. Lo “scontro di civiltà” non è un frutto marcio della nostra islamofobia. Dice Stark a Tempi: «Non credo che l’Occidente cristiano stia diventando intollerante. Credo che l’Occidente non-cristiano stia diventando intollerante: in alcuni paesi europei ci sono leggi contro il cosiddetto hate speech che vietano la lettura in pubblico di alcuni passaggi della Bibbia».

    Nel libro c’è poi un accenno polemico a Barack Obama, che l’anno scorso ha contribuito a diffondere la lettura anticattolica delle crociate (autentico cavallo di battaglia per Stark) dichiarando che non tutta la violenza religiosa nella storia è venuta dall’islam, e che anche i cristiani «hanno compiuto azioni terribili nel nome di Cristo». Il commento di Stark è asciutto: «Se il terrorismo proseguirà, e lo farà – ci dice – le visioni come quella di Obama saranno screditate: io sono convinto che assisteremo a una rinascita del sostegno nei confronti dell’impegno giudeo-cristiano».

    E Stark, non cattolico, non battista e non più luterano, in cosa crede? «Ho perso la fede luterana quando ero un ventenne e sono rimasto senza fede (ateo mai) fino alla sessantina, quando anni passati a scrivere sulla religione mi hanno portato a concludere che il cristianesimo offre la spiegazione della vita più plausibile».



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    00 11/01/2017 21:25

    La Chiesa accettò o si oppose alla schiavitù?
    Le risposte in uno studio

    lo schiavismo e il cristianesimoPubblichiamo la conclusione del libro La Chiesa e gli schiavi (EDB 2016), ampliamento della tesi di laurea in Antropologia (UniBo 2015, col medievista prof. Leardo Mascanzoni, che ha curato la prefazione) del nostro articolista Roberto Reggi, realizzato con l’aiuto del latinista Filippo Zanini e dell’antichista Gian Battista Cairo. Il testo raccoglie tutte le fonti (circa 250) del magistero ecclesiale sul tema della schiavitù, di cui ci siamo più volte occupati, evidenziando l’efficacia della dottrina cristiana nell’abolizione di questo istituto altrimenti universale.

     

    Quanto al rapporto tra schiavitù e Chiesa cattolica, la storiografia sembra in definitiva risentire di una certa polarizzazione ideologica. Da un lato, documenti ecclesiali e monografie apologetiche e filocattoliche tendono a presentare la Chiesa come integerrima paladina della libertà, dato che fin dai suoi esordi si è battuta per la mitigazione della schiavitù, l’emancipazione degli schiavi, e poi l’abolizione vera e propria, sia nel medioevo che nell’età moderna. Dal lato opposto, testi di stampo anticlericale la presentano come pienamente connivente con la schiavitù, dato che ha più volte condannato la liberazione generalizzata e ha tratto sostentamento dal lavoro di schiavi impiegati in fondi ecclesiastici del medioevo e oltre.

    Ma in estrema sintesi come stanno le cose? La Chiesa cattolica fu schiavista o antischiavista? Dati e fonti alla mano, la risposta giusta è: dipende da cosa si intende per schiavitù. Anche se le fonti occidentali usano prevalentemente il termine servus, troppo facilmente fatto corrispondere al moderno «schiavo», la servitù non è mai stata socialmente, dottrinalmente e pastoralmente intesa come un’unica e monolitica istituzione.

    È infatti doverosa la distinzione teorica tra:
    ‒ schiavitù ingiusta: cioè l’asservimento di civili innocenti, catturati, deportati, comprati e venduti, usati e abusati. Questa non è mai stata giustificata e incoraggiata dall’insegnamento cattolico ma, anzi, è stata ripetutamente condannata, in particolare in occasione della tratta mediterranea e soprattutto della tratta atlantica;
    ‒ servitù giusta, ripartita tra: servitù penale, cioè la privazione della libertà come conseguenza di crimini, quando non esisteva ancora l’istituto carcerario; servitù bellica per i prigionieri che non venivano uccisi, quando non esistevano ancora campi di internamento per prigionieri, in particolare i nemici pagani e saraceni incontrati nell’esplorazione dell’Africa atlantica; servitù economica e volontaria, cioè il rapporto subordinato e a tempo indeterminato tra un sottoposto e un padrone che gli doveva garantire tutela giuridica, protezione militare, mezzi di produzione (in essa va inclusa la categoria storiografica dei «servi della Chiesa», che non erano affatto una forma di schiavitù, ma durante i secoli feudali hanno garantito il sostentamento a persone ed enti ecclesiali, in maniera analoga a quanto avveniva in ambito secolare).

    La schiavitù ingiusta è stata considerata illegittima dall’insegnamento cattolico principalmente sulla base di alcuni temi teologici: la naturale uguaglianza degli uomini derivati da un unico creatore; lo stato di originaria e naturale libertà; la redenzione e liberazione operata da Cristo; nonché per motivi di compassione morale che si potrebbero definire caritatevoli o filantropici. In questo senso la prima condanna contro l’ingiusta schiavitù di persone libere, cristiani o meno, può essere trovata già nel Nuovo Testamento, con la condanna paolina dei «mercanti di uomini» (1Tm 1,10); tra i padri, prima l’orientale Gregorio di Nissa († 394), poi l’occidentale Agostino († 430). Tra i concili ecclesiali la prima esplicita condanna si ha col concilio di Reims (625), tra i papi con Giovanni VIII (†882), ma per una condanna solenne, autorevole, universale, fondata sui temi antropologici e teologici suddetti, occorre attendere la Creator omnium di papa Eugenio IV (17 dicembre 1434).

    Invece la servitù giusta è stata variamente legittimata (inevitabile conseguenza, male minore, provvidenziale disposizione divina) come derivata dal peccato originale e dai peccati personali degli uomini, inclusi crimini, guerre e ingiustizie sociali; ritenuta appropriata e legittima non sul piano giuridico del diritto naturale (assoluto, originale e voluto da Dio), ma su quello del diritto delle genti (relativo, contingente e voluto dagli uomini). Questa convinzione cristiana ha segnato un radicale distacco dalla concezione classica sintetizzata da Aristotele, il quale intendeva la schiavitù (con la considerazione dello schiavo come un mero «strumento animato») come logica e naturale. Circa la servitù giusta può essere utile precisare che, pur con le debite differenze storicamente contingenti, a livello assoluto e teoretico anche le società contemporanee presentano istituzioni affini: la privazione di libertà dei criminali, eventualmente da impiegare in lavori forzati; la riduzione in prigionia di aggressori e nemici esterni alla nazione; la sottoscrizione di un contratto lavorativo a tempo indeterminato, dove il «padrone» fornisce mezzi di produzione per il mantenimento dei sottoposti.

    In entrambi i casi (schiavitù ingiusta e servitù giusta), l’insegnamento cattolico ha frequentemente esortato i sottoposti all’accettazione della condizione acquisita, i superiori al trattamento fraterno e non violento dei sottoposti, e ripetutamente valorizzato la meritoria azione di liberazione. Se non si riconosce questa distinzione tra schiavitù ingiusta e servitù giusta, non si capisce come mai in molti concili e autori sono presenti riflessioni e disposizioni al contempo sia favorevoli che contrarie alla servitù: ad esempio Agostino, Gregorio Magno, Tommaso, e i papi Alessandro III, Callisto III, Sisto IV, Paolo III, Pio V, Urbano VIII, Innocenzo XI, Pio VI, Pio IX.

     

    Questa conclusione lascia spazio a due domande non indifferenti, per le quali un’esaustiva risposta meriterebbe molte altre pagine di discussione.
    Prima domanda: se il cristianesimo ha considerato ingiusto l’asservimento di persone innocenti sulla base dei principi della comune natura e originaria libertà, perché anche l’Islam (che condivide gli stessi principi) non è riuscito a produrre simili anticorpi teorici contro la schiavitù? Nello specifico, perché per secoli truppe e flotte islamiche hanno liberamente razziato e asservito pagani e cristiani, mentre i tentativi opposti da parte di potenze cristiane sono andati incontro a (fattivamente inutili) condanne religiose? Perché sono stati presenti dal medioevo istituti di redenzione cattolici che hanno fatto la spola con le coste nordafricane per redimere centinaia di migliaia di cristiani, mentre lo stesso non è avvenuto da parte islamica? Perché sono stati moschetti e fregate occidentali a porre fine alla tratta islamica nell’oceano Indiano, mentre il contrario non è accaduto con la tratta atlantica «cristiana»?

    Una possibile risposta. È vero che le tre religioni monoteiste condividono la fede in un unico Creatore, per il quale tutti gli uomini sono naturalmente uguali. È vero anche che per esse la liberazione di uno schiavo è considerata un’azione moralmente meritoria, al pari dell’elemosina ai poveri. Ma è vero soprattutto che ad esempio Gesù, Pietro, Paolo, non possedettero schiavi, né esortarono a farlo per il presente o l’avvenire. Lo stesso non vale per Maometto e per gli insegnamenti contenuti nel Corano, i quali costituiscono l’unico piano normativo legittimo: la legge islamica (sharÄ«’a) ha valore sia religioso che civile, è impensabile una scissione (come per la tradizione cristiana) tra diritto naturale e diritto positivo.

    Seconda domanda: se il cattolicesimo ha continuamente riprovato la schiavitù ingiusta, cioè tratta, deportazione e asservimento di uomini donne e bambini innocenti, come mai in epoca moderna questa è stata la fisiologica costante dei possedimenti oltremare delle potenze cattoliche, nello specifico la nuova Spagna e soprattutto il Brasile portoghese? Il motivo può essere cercato nelle pressioni per il mantenimento della schiavitù esercitate dalle autorità civili sulla Chiesa, la quale nei secoli è stata di fatto tutt’altro che autonoma e potente. In tal senso possono essere citati tre casi paradigmatici. L’anglosassone concilio di Berkhamsted (697), unico pronunciamento ecclesiale nel quale viene accettata (non legittimata, né esortata) la tratta -cioè che un servo sia rapito e rivenduto o venduto oltremare-, precisa che questa prassi «piacerà al re» (regi placuerit). Espressione anomala nei pronunciamenti conciliari: quando in essi viene citata un’auctoritas si legge piuttosto «in questo sacrosanto concilio decretiamo e stabiliamo che…», o simili. Quasi a dire che quei vescovi legittimarono la tratta schiavista, ma obtorto collo e a compiacimento del re. Ancora, nella Roma rinascimentale, che aveva da poco patito il «protestante» sacco del 1527, papa Paolo III con la Pastorale officium (1537) condannava con scomunica la schiavitù degli amerindi. Condanna che lo stesso papa dovette revocare l’anno seguente (Non indecens videtur, 1538) per la protesta dello spagnolo Carlo I.

    Dello stesso papa, che evidentemente non era padrone neanche in casa sua, va ricordato il decreto di liberazione degli schiavi dell’urbe (Novimus quod, 1535), che fu poi costretto a ritrattare (1548) per le pressioni dei conservatori (governatori). Rodney Stark così commenta le ripetute e inconcludenti condanne: «Ciò dimostra chiaramente la debolezza dell’autorità papale in quell’epoca, non l’indifferenza della Chiesa di fronte al peccato della schiavitù». Le pressioni esercitate sui papi, che promulgarono comunque ripetuti divieti e ricorrenti condanne anche con scomunica, dovevano essere molto più forti ed efficaci sui vescovi locali che dovevano applicare tali provvedimenti, questo perché per secoli nella nomina e nel mantenimento della carica dei pastori locali un ruolo preponderante era giocato dai regnanti e dalle autorità civili (cf. la quarta delle piaghe della Chiesa descritte da Rosmini). Così i vescovi furono più attenti alle pressioni di latifondisti, fazendeiros terrieri e governatori locali, invece che alle condanne teologiche e morali del lontano vescovo di Roma. Non a caso, nel nuovo mondo i più fermi avversari di schiavitù e tratta non furono chierici diocesani ma esponenti di ordini religiosi, in primis domenicani (come Bartolomeo de las Casas) e gesuiti, legati in misura minore alle logiche secolari.

    Roberto Reggi


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    00 30/01/2017 13:45

    La “Notte dei Cristalli”,
    il nazismo e la dura opposizione della Chiesa

    ebrei notte dei cristalliTra la sera del 9 e del 10 novembre 1938 ebbe luogo in Germania il triste avvenimento conosciuto come la Notte dei Cristalli, durante il quale i nazisti distrussero migliaia di vetrine e di negozi appartenenti ad ebrei.

    L’avvenimento ebbe origine in seguito alla decisione di Hitler di espellere nell’ottobre del ’38 circa 12mila ebrei polacchi a cui era stata revocata la cittadinanza dal loro paese di origine: condotti al confine, solo quattromila saranno accolti dalla Polonia, il resto dovette vivere alla frontiera in condizioni miserevoli al punto che si registrarono diversi casi di suicidio. Tra gli espulsi anche la famiglia di un giovane ebreo residente in Francia, Herschel Grynszpan che, per vendicarsi, sparò e uccise il 7 novembre il diplomatico Ernst vom Rath.

    Come rappresaglia, i nazisti decisero di colpire gli ebrei presenti nel Terzo Reich non solo inasprendo ulteriormente la legislazione antisemita, ma orchestrando anche violenze in tutto il territorio: oltre mille sinagoghe furono devastate, un numero incalcolabile di negozi appartenenti agli ebrei venne distrutto, oltre novanta israeliti furono uccisi e circa 30mila furono avviati nei campi di concentramento.

    L’atteggiamento della Chiesa tedesca dell’epoca verso il dramma degli ebrei è stata giudicato negativamente al punto che in un documento redatto nel 1995 dall’episcopato tedesco si esprimeva dispiacere per «il fatto che si siano avute solo sporadiche iniziative a favore degli ebrei perseguitati e non vi sia stata alcuna pubblica ed esplicita protesta neppure in occasione del pogrom del 1938». Vi è da dire, tuttavia, che non mancarono iniziative coraggiose da parte di esponenti della Chiesa, e la più importante fu quella del prelato Bernhard Litchtenberg, che condannò pubblicamente l’accaduto e, da quel giorno, terminò la celebrazione serale di ogni messa invitando a pregare «per gli ebrei e i poveri prigionieri nei campi di concentramento». Inoltre, se si esamina più a fondo l’atteggiamento assunto all’epoca dalla Santa Sede, non si può fare a meno di notare che fu ben più deciso di quanto affermano i critici.

    Già nel settembre del ’38 Pio XI aveva condannato l’antisemitismo in un discorso compiuto di fronte ad un gruppo di pellegrini belgi cattolici affermando che «è inammissibile. Spiritualmente siamo tutti semiti». Anche nei giorni successivi al pogrom il pontefice fece sentire la sua opinione: l’11 novembre il Vaticano si unì alle proteste dei leader inglesi e francesi contro la Notte dei Cristalli e, in risposta a ciò, i nazisti orchestrarono manifestazioni di massa a Monaco contro ebrei e cattolici. Il Gauleiter della Baviera, Adolf Wagner, dichiarò pubblicamente: «Ogni discorso del papa a Roma è un incitamento agli ebrei di tutto il mondo a mobilitarsi contro la Germania». A seguito delle invettive di quest’ultimo una folla assalì il palazzo vescovile del cardinale Michael Von Faulhaber, il quale aveva fornito durante il pogrom un camion per permettere al rabbino della città di mettere in salvo gli arredi sacri della sinagoga prima che questa venisse distrutta. Le persone che il giorno seguente si abbandonarono a manifestazioni di dolore di fronte alla devastazione del palazzo vescovile furono allontanate dagli agenti di polizia vestiti in abiti civili (M. Gilbert, 9 Novembre 1938. La notte dei cristalli, Milano 2008 pp. 130-131).

    Neppure nei giorni seguenti, papa Pio XI smise di attaccare l’ideologia nazista; e il 21 novembre pronunciò un discorso in cui insistette sull’unicità della razza umana. Pronunciamento che venne anche questo duramente attaccato dai leader nazisti: «Nessun sentimento di compassione sarà tollerato nei confronti degli ebrei. Rifiutiamo l’affermazione del papa secondo cui non esisterebbe che un’unica razza. Gli ebrei sono parassiti» dichiarò il ministro del lavoro tedesco Robert Ley in un discorso tenuto a Vienna il 22 novembre. Achille Ratti si era mostrato intenzionato a rompere i rapporti diplomatici con la Germania dopo i fatti accaduti il 9 novembre, ma fu dissuaso dal farlo dal segretario Pacelli che riteneva il gesto controproducente. Sulla scia della presa di posizione di Pio XI, tuttavia, eminenti prelati come il cardinale Schuster di Milano, il cardinale belga Van Roey e il cardinale Verdier di Parigi condannarono apertamente la Notte dei Cristalli (9 novembre 1938… p. 160).

    Non è difatti un caso che la morte di Achille Ratti fu salutata con dispiacere da importanti personalità israelitiche che manifestarono la loro stima nei suoi confronti per l’impegno mostrato in vita nella lotta contro il razzismo.  
    Mattia Ferrari


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    00 30/01/2017 23:19

    Il falso mito dei pagani perseguitati dai cristiani



    Qualche mese fa si è parlato di un ritorno al culto degli dèi in Grecia, con relativa diffusione del politeismo e della tradizione etnica. Ad accompagnare la notizia anche la segnalazione della distruzione di una chiesa ortodossa sull’isola di Creta da parte dei “seguaci di Zeus”: oltre ad atti di vandalismo sono state depositate feci al suo interno e sono comparsi messaggi contro il cristianesimo sulle pareti della chiesa.


    Questo perché i seguaci neo-pagani vedono il cristianesimo come una religione che ha sostituito le pratiche religiose degli antichi greci, e per certi versi, lo avrebbe fatto con la violenza. Ma è davvero andata così? Innanzitutto, bisognerebbe ricordare cosa accadde prima che il cristianesimo divenne religione predominante dell’impero romano.


    La più famosa e iniziale persecuzione ai danni dei cristiani originò dall’imperatore Nerone che, secondo la studiosa italiana Marta Sordi, ordinario di Storia greca e Storia romana all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha provocato «qualche centinaio di vittime» (M. Sordi, I cristiani e l’impero romano, Jaca Book 2011, p.31). L’oppressione continuò con l’imperatore Domiziano (81-96 d.C.), mentre sotto l’imperatore Traiano (98-117 d.C.) il cristianesimo venne considerato illecito. Nel 112 Plinio il Giovane, governatore della Bitinia, scrisse: «Io chiedo loro di persona se sono cristiani, e se loro ammettono, io ripeto la domanda una seconda e poi una terza volta, avvertendoli della punizione che li attende. Se persistono, ordino che vengano portati via per essere giustiziati» (Lettere, Rizzoli 2009, 10.96). Soltanto nel 260 venne abrogata la legge della trasgressione capitale, ma le persecuzioni ricominciarono sotto l’imperatore Galerio nel 305 d.C. che -secondo il prof. Timothy Barnes dell’University of Edinburgh-, era nientemeno che «un pagano fanatico» (T. Barnes, Constantine and Eusebius, Harvard Univeristy Press 1981, p.19), il quale fece pagare ai cristiani le avversità che avevano colpito l’impero.


    L’editto di Galerio (a nome di Diocleziano) del 303 «mise al bando tutti i raduni cristiani, comandò che tute le scritture cristiane fossero bruciate, estromise i cristiani dai pubblici uffici. In tutto, circa tremila capi e membri illustri furono giustiziati, e migliaia di altri furono condannati alla schiavitù e mandati in miniera» (M. Grant, “The History of Rome, Faber and Faber 1978, p.308). Nel 311, Galerio, sul letto di morte, revocò tutti i decreti che aveva fatto promulgare contro i cristiani e ordinò che essi pregassero per la sua guarigione. La cosa più incredibile è che, nonostante questa profonda persecuzione, «la rapida crescita della popolazione cristiana continuò!» (R. Stark, Il trionfo del cristianesimo, Lindau 2012, p.195). L’Editto di Milano, emanato nel 313 da Costantino, stabilì la libertà di culto per tutte le religioni e pose fine alle persecuzioni contro i cristiani nell’Impero romano.


    Come spiegato dal rinomato sociologo Rodney Stark, docente alla Baylor University, «moltissimi romani, sopratutto appartenenti all’èlite politica, credevano sinceramente che fossero stati gli dei a rendere Roma quel grandioso impero che era diventata. Stando così le cose, il cristianesimo costituiva un chiaro insulto nei confronti degli dei». I persecutori romani, ha proseguito, «prestarono attenzione anzitutto ai leader della Chiesa. I vescovi di Roma e Antiochia furono torturati e giustiziati quasi contemporaneamente, i vescovi di Gerusalemme e Antiochia morirono in prigione, diversi cristiani ordinari furono catturati, fra cui varie anziane inermi come Apollonia di Alessadria a cui furono rotti i pochi denti rimasti prima di essere arsa viva» (R. Stark, Il trionfo del cristianesimo, Lindau 2012, p.188-191).


    Da Costantino in poi, sopratutto quando i suoi figli presero il potere, la situazione politica si capovolse e l’opposizione antipagana arrivò con gradualità. La cosiddetta “persecuzione pagana” da parte dei cristiani si concretizzò in diversi templi e statue abbattute, testi bruciati e forte opposizione ai sacrifici cruenti, spesso umani, compiuti dai fedeli pagani e conseguente proibizione delle pratiche divinatorie che li contemplavano (l’ultimo editto dell’imperatore Teodosio, ad esempio, recitava: «È nostra volontà e piacere che nessuno dei nostri sudditi, sia magistrato o cittadino privato, nobile o plebeo, presuma in qualsiasi città o luogo, adorare un idolo inanimato col sacrificio di vittime innocenti»). Alcune cose sono però da puntualizzare: innanzitutto, la chiusura dell’Accademia di Atene da parte dell’imperatore Giustiniano nel 529, citata spesso come esempio dell’oppressione dei cristiani nei confronti dei pagani, è da ritenersi «l’azione isolata di un monarca tirannico, un evento significativo solo per i diretti interessati e ben lontano dalla fine della filosofia antica», come ha scritto lo storico inglese James Hannam, il cui lavoro è entrato nella rosa dei candidati per il premio della British Society for the History of Science. Al contrario, per quanto riguarda la distruzione della biblioteca di Alessandria«la storia che l’imperatore cristiano Teodosio la abbia distrutta»ha scritto sempre Hannam, «è chiaramente una finzione».


    Anzi, sempre lo storico inglese Hannam ha ricordato che se conosciamo la letteratura latina«dobbiamo ringraziare la Chiesa per quello che abbiamo». Furono infatti i monaci cristiani a ricopiare i testi classici, conservandoli nel tempo e permettendo la loro sopravvivenza. La sua conclusione è che «non è mai avvenuta una distruzione indiscriminata della letteratura antica da parte del cristianesimo istituzionale; non c’è stato alcun tentativo di sopprimere la scrittura pagana di per sé, le opere magiche ed esoteriche sono state trattate esattamente nello stesso modo di come lo erano sotto gli imperatori pagani, che non le apprezzavano molto; con alcune eccezioni, il rispetto per la cultura pagana era diffuso tra i cristiani; la sopravvivenza della letteratura classica è quasi interamente attribuibile agli sforzi dei monaci cristiani che hanno laboriosamente copiando a mano i testi».


    Effettivamente durante il governo degli imperatori “cristiani” (bisognerebbe poi aprire un capitolo sulla loro reale devozione, al di là della convenienza politica) non sembra si siano affatto verificate le violente stragi che hanno invece caratterizzato il dominio pagano sui cristiani. Ci fu certamente un conflitto politico-religioso -caratterizzato da azioni certamente condannabili, oggi- ma nessun dilagante spargimento di sangue. Lo storico Giovanni Filoramo, ordinario di Storia del Cristianesimo all’Università di Torino, ha infatti scritto che il cristianesimo tentò di eliminare l’errore, non coloro che erravano. Al di là di singoli episodi violenti, riconducibili ad una forma di guerriglia urbana, la legislazione degli imperatori “cristiani” imponeva e rendeva legittimo il contrasto alla religione pagana ma mai autorizzava la lotta armata per la loro eliminazione fisica (G. Filoramo, La croce e il potere, Mondadori 2011, pag. 361). Nel periodo costantinopolitano, ha spiegato ancora lo storico italiano, «l’appoggio ai cristiani non si tradusse in persecuzione antipagana, né Costantino si indusse mai a rifiutare la collaborazione dei pagani e la loro presenza a corte e nelle cariche più alte» (G. Filoramo, Storia del cristianesimo. L’antichità, Laterza 2008, p. 292). Il paganesimo venne maggiormente osteggiato dai figli di Costantino, ma le loro «non numerose leggi» a vantaggio della chiesa cristiana «non costituirono in nessun caso una dichiarazione di guerra alla vecchia religione» (p. 302). In particolare, «non avevano contenuti specificamente antipagani, ma risentivano della moralità cristiana le leggi che condannavano la pederastia (alla pena capitale) e il matrimonio tra consanguinei» (p. 303). E ancora: «il processo di cristianizzazione fu lento e talvolta desultorio», vi furono tentativi di ristabilire il vecchio culto (noto quello di Giuliano, in particolare) ma «il nuovo mondo cristiano mostrò di avere vitalità sufficiente per superare ritardi e battute di arresto» (p. 303).


    Tra il 361 e il 365 d.C. si inasprirono le sanzioni imperiali verso il culto pagano, ma «neanche in questo caso si trattò di una persecuzione antipagana» (p. 312), ha precisato ancora Filoramo. Più controverso, infine, il governo di Teodosio dove vennero promulgate durissime pene (anche la condanna a morte) verso chi celebrava i sacrifici pagani: fu «proibita ogni forma di culto non cristiano», in particolare «adorare gli idoli, innalzare loro degli altari e immolare vittime in loro onore» (p. 323). Tuttavia, uno dei pochi casi realmente cruenti verso i pagani fu la strage in seguito alla ribellione di Tessalonica (generata per non aver permesso i giochi annuali): il vescovo di Milano Ambrogio, venutone a conoscenza, scrisse sdegnato a Teodosio chiedendo di umiliarsi davanti a Dio e invitandolo a chiedere pubblicamente perdono (cfr. Epistola 51). «Ambrogio insorse a condannare l’inumano massacro e scomunicò l’imperatore», scrive Filoramo. «Abbandonò Milano e annunziò che non vi avrebbe fatto ritorno fino a quando l’imperatore non avesse fatto pubblica penitenza. Anche questa volta Teodosio cedette e, sconfessando il proprio operato, fece pubblico atto di riparazione» (p. 329).


    Parlare di “persecuzione” violenta dei pagani è altamente scorretto dal punto di vista storico, sopratutto quando si finge di dimenticare la vera persecuzione, fatta di morte e sangue, che subirono sistematicamente i cristiani fino all’arrivo dell’imperatore Costantino (indipendentemente dalla veridicità o meno della sua conversione).



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    00 04/02/2017 16:39

    La peste nera e gli ebrei:
    a proteggerli ci provò l’Inquisizione

    peste nera 
     
    di Francesco Agnoli*
    *scrittore e saggista

     
    da Libertà e Persona, 17/01/16
     

    Nel 1347-1350, come è noto, l’Europa fu devastata dalla peste nera. Si trattò di una ecatombe senza precedenti, tanto che alcuni storici sostengono che quella epidemia pose fine ad un’epoca, per aprirne una nuova. La mortalità oscillava tra i 40 e il 70% a seconda della forza degli individui colpiti e delle loro condizioni. Fu effettivamente una iraddiddio travolgente, che portò da una parte a grandi interrogativi sull’uomo e su Dio, dall’altra a splendide opere di carità e di dedizione ai fratelli, e, infine, a paure inenarrabili, a fobie ed incubi ben comprensibili.

    Circa un terzo degli abitanti dell’Europa morì. Ebbene, fu in questa occasione che le comunità ebraiche conobbero una aggressione senza precedenti: molti ebrei furono accusati di avvelenare i pozzi, di essere in qualche modo la causa di questo disastro. Il meccanismo psicologico è semplice: di fronte ad un disastro, rintracciare un colpevole, un capro espiatorio, non cambia le cose ma almeno serve a fornire una “spiegazione” all’accaduto.

    In verità il capro espiatorio variava da paese a paese, da epoca a epoca. In Spagna si diffuse la voce che gli avvelenatori erano, per lo più, i musulmani; in Francia gli inglesi; altrove e in altre occasioni, gli avvelenatori erano i lebbrosi, oppure gli “stranieri poveri”, considerati potenziali portatori di malattie, oppure ancora coloro che si occupavano di mestieri “in cui si producevano cattivi odori o rifiuti” … Nella Atene del V secolo, anch’essa colpita dalla peste, era accaduto lo stesso, dal momento che Tucidide ci racconta che molti ateniesi accusavano i loro nemici spartani di…avvelenare i pozzi.

    Se torniamo alla peste del Trecento, e in particolare alla persecuzione degli ebrei, il luogo dove costoro furono identificati maggiormente come colpevoli, o comunque dove subirono le angherie peggiori, furono alcune aree germaniche. Scrive Rodney Stark nel suo Un unico vero Dio (Lindau 2009), che «i massacri iniziarono nella regione intorno al lago di Ginevra» e poi «l’ondata dei massacri si abbattè lungo il Reno, attraverso le città ormai familiari a questi eccidi: Spira, Magonza, Worms, Colonia. E almeno in altre sette città gli ebrei si suicidarono in massa». Nota dunque Stark che la regione lungo il fiume Reno fu la più colpita. E aggiunge che ciò è connesso con un fatto: «la prevalente debolezza sia della Chiesa che dello Stato in quella regione». Infatti proprio in queste zone sia i vertici laici che quelli religiosi con insistenza tentarono di frenare ed impedire che «le folle uccidessero gli ebrei», ma se i principi, in quei luoghi, erano deboli, anche la Chiesa lo era, vista la «concentrazione di movimenti eretici cristiani nelle stesse comunità renane».

    Per comprendere meglio questo concetto, si deve pensare che più avanti, durante la caccia alle streghe di età moderna, fu ancora una volta la zona del Reno la più colpita dalle fobie popolari, e quindi la più segnata dai roghi. Ebbene, anche in questo caso, la spiegazione principale sembra questa: spesso laddove il potere statale era più forte, i panici di massa erano tenuti sotto controllo. Ancora più efficace era l’Inquisizione, dal momento che le terre in cui essa operava realmente, furono le meno colpite dalla caccia alle streghe (e agli stregoni, visto che gli uomini bruciati sul rogo furono una discreta percentuale). E’ opinione ormai diffusa tra gli storici, infatti, che l’Inquisizione abbia sostituito “la violenza della folla”, irrazionale e incontrollabile, “con il principio di legalità”, frenando così spesso gli imbestialimenti popolari.

    Durante le peste del 1347, dunque, autorità religiose e civili – molto deboli – delle zone germaniche, non riuscirono nel loro intento di spegnere gli eccessi popolari. In altre zone invece, il loro intervento ebbe maggior successo. Scrive G.S Barras nella sua “Storia generale della Chiesa”«alcuni ebrei vinti dal dolore confessarono questo delitto sotto tortura ed in un pozzo fu trovato realmente veleno; tanto bastò perché i sospetti assumessero tosto l’indole di fatto vero, ed allora in Svizzera, in Alsazia e in tutte le contrade in riva al Reno cominciò un eccidio generale di ebrei». Nella Francia meridionale, invece, Clemente VI «interpose a loro difesa (degli ebrei, ndr) la sua autorità pontificia, e con bolla del 4 luglio 1348 vietò di ascrivere agli ebrei delitti immaginari o toccarne vita o sostanze prima di sentenza del legittimo giudice». Il papa dovette nuovamente intervenire il 26 settembre con un’altra bolla, in cui spiegava che gli ebrei morivano di peste esattamente come gli altri, e che la peste si era diffusa anche laddove non vi erano comunità ebraiche. Inoltre «ordinava a tutti i vescovi di pubblicare nelle chiese una sentenza di scomunica contro coloro che li molestassero, in qualunque modo ciò fosse».

    William Naphy e Andrew Spicer, nel loro “La peste in Europa” (Il Mulino 2006) aggiungono che «molti eminenti uomini di chiesa condannarono questi attacchi ispirandosi agli insegnamenti di sant’Agostino di Ippona, per il quale gli ebrei dovevano essere tollerati in quanto parte essenziale della storia cosmica del cristianesimo». Ma se in alcuni posti ebbero ascolto, in altri, soprattutto nelle regioni del Reno, non fu così. Non è un caso che le autorità civili e religiose fallirono laddove pullulavano i movimenti ereticali, portatori di una specifica visione non solo religiosa, ma anche politica e sociale. «Era a Magonza – scrive ancora Stark – che Teuda aveva riunito un seguito e aveva proclamato la data della Seconda Venuta. Solo in Renania, e soprattutto a Magonza e Colonia, i catari avevano creato delle congregazioni nel XII secolo, ed era principalmente in Renania che i valdesi tedeschi avevano trovato sostegno nel XIII secolo, in particolare a Magonza, Spira, Worms e Wurzburg. Nel XIII e nel XIV secolo fu in queste stesse città renane che fiorì l’eresia del Libero Spirito…Nel XV secolo fu qui che gli ussiti trovarono un seguito tedesco, e città come Norimberga, Magonza, Worms, Spira e Ratisbona furono nuovamente tetro di scontri. E, ovviamente, fu a Spira che per la prima volta venne usato il termine ‘protestante’ per definire coloro che seguivano Martin Lutero, e a Worms che lo stesso Lutero disse alla Dieta ‘Non posso fare altrimenti. Che Dio mi aiuti’».

    Chiosiamo queste considerazioni. Contro chi se la prendevano i catari, i fratelli del Libero Spirito, i flagellanti (l’eresia più diffusa e più violentemente antisemita in Germania), gli Hussiti? Contro gli ebrei, si è detto; ma anche contro i sacerdoti cattolici e la Chiesa. Scrive G. Fourquin nel suo “Le sommosse popolari nel Medioevo”«Il movimento dei flagellanti dei paesi germanici si scontrò violentemente contro la Chiesa e si impadronì dei suoi beni temporali, trattò brutalmente gli ecclesiastici che osarono contraddirlo, cosa considerata inammissibile dagli inviati di Dio. Ma i demoni non erano soltanto i preti, erano anche gli ebrei. Il grande massacro di israeliti dell’Occidente, che incrudelì in occasione della grande peste, fu responsabilità, in buona parte, dei flagellanti…». A confermare questa ricostruzione, due studi imprescindibili sulla violenza anti-cattolica degli eretici medievali: quello di Igor Safarevic“Il socialismo come fenomeno storico mondiale” e quello, più celebre, di Norman Cohn“I fanatici dell’Apocalisse”. Ricorda il Cohn che gli eresiarchi tedeschi, per lo più millenaristi fanatici, erano «nemici intransigenti della Chiesa, decisi non solo a condannare il clero, ma anche a respingere completamente la sua pretesa di autorità soprannaturale». Per questo non di rado tiravano giù dal pulpito ecclesiastici e predicatori, per bruciarli sul rogo o per lapidarli.

    Cohn ricorda che papa Clemente VI scriveva che la maggioranza degli eretici «o dei loro seguaci, sotto un’apparenza di pietà, pongono mano a imprese crudeli ed empie, spargendo il sangue di ebrei che la pietà cristiana accoglie e sostiene»; aggiunge che in Germania «dovunque le autorità avevano protetto gli ebrei», sia i principi che i tribunali inquisitorali, ma spesso senza alcun successo. «Gli ebrei – scrive ancora il Cohn – non erano comunque i soli a venire uccisi: molti membri del clero perirono per mano delle orde escatologicamente ispirate» che credevano di eliminare l’Anticristo stesso, visto spesso come un ebreo, ma anche come il figlio di un vescovo e di una monaca cattolici. Non fu dunque Lutero “il primo a battere sull’idea dell’Anticristo” ma ereditò un luogo comune tra i movimenti ereticali tedeschi del periodo a lui precedente.


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    00 21/08/2017 17:26

    RIVOLUZIONE FRANCESE, e
    IL TERRORE GIACOBINO SCATENATO CONTRO PRETI E SUORE

    Rivoluzione Francese, in un documentario il Terrore giacobino scatenato contro preti e suore

    di Marco Respinti
    su La nuova Bussola Quotidiana

     Sarebbe un errore imperdonabile isolare il Terrore giacobino (luglio 1793-27 luglio 1794) dal resto della Rivoluzione Francese (1789-1799), accusando il primo di ogni crimine solo per assolvere la seconda dai suoi misfatti. Ma fu indubitabilmente quello il periodo in cui l’orrore - portando a compimento le mille premesse precedenti che indicano la strada per il futuro - raggiunse il culmine. E fu sempre quello il momento in cui l’odio anticristiano giunse al massimo e dunque la persecuzione dei cattolici fu più tremenda. 


    La documentazione di questi misfatti è vasta, ma ora un nuovo strumento di divulgazione intelligente è disponibile per il grande pubblico. Si tratta del documentario Prêtres sous la Terreur (“Sacerdoti durante il Terrore”), scritto da Jean-Pier Delaume-Myard e Marieke Aucante (vedi a fine articolo). Realizzato da Jean-Batiste Martin attraverso la CasaDei Productions, l’etichetta di Boulogne-Billancourt che ha fondato nel 1994 con Marie Mitterand, il documentario si avvale dell’expertise dello storico Philippe Delorme, dello specialista della diocesi del Périgueux Gautier Mornas, dello storico e scrittore vandeano Dominique Lambert de la Douasnerie, delle testimonianze di don Ludovic Danto e don Thierry Laurent, della stessa coautrice Aucante - che ha firmato un romanzo storico sull’argomento, Moi Augustin, prêtre martyr de la Révolution française (Salvator, Parigi 2015) -, nonché di Alain Gérard, già direttore del Centre vendéen de recherches historiques di La Roche-sur-Yon.

    La Rivoluzione Francese causò migliaia di vittime, ma durante il Terrore furono i sacerdoti e i religiosi il target preferito. La persecuzione contro il clero iniziò subito e si manifestò presto attraverso angherie e soprusi. Poi l’11 agosto 1789 venne soppressa la decima e il 2 novembre furono confiscati e nazionalizzati i beni ecclesiastici messi all’asta il mese successivo. Quindi il 13 febbraio 1790 furono aboliti i voti monastici e soppressi gli ordini religiosi. Ma è la Costituzione Civile del Clero a segnare il punto di non ritorno: venne approvata il 12 luglio 1790 e mirò a staccare la Chiesa di Francia dalla cattedra di Pietro, onde farne uno strumento di presa rivoluzionaria sul popolo e in ultima analisi annientarla. La Santa Sede la condanna il 10 marzo 1791 e il 27 novembre successivo viene imposto ai sacerdoti un giuramento di fedeltà al governo.

    I sacerdoti che rifiutano di giurare (la stragrande maggioranza) vengono arrestati, deportati, ridotti a vivere in condizioni di prigionia ignominiose e alla fine consegnati a morti il più delle volte assurde e atroci. La lontana Guiana è l’esilio a cui sono destinati i sacerdoti, ma la maggior parte non ci arriva, morendo di stenti e percosse su battelli ex negrieri. Durante il Terrore tutto questo divenne pratica quotidiana e strumento di governo in un oceano di sangue infinito.

    In Vandea, poi, l’efferatezza raggiunge il sadismo quando il comandante della piazza di Nantes, Jean-Baptiste Carrier (1756-1794), un vero e proprio mostro, si divertì a legare assieme sacerdoti e suore, spesso nudi, spinti a forza su certe barcacce che poi venivano affondante nella Loira. E perché tutto questo? Perché tanto livore nei confronti dei cattolici, e in specie nei riguardi dei consacrati?

    Ragioni politiche, certo, seguite da giustificazioni ideologiche. Il clero - si diceva - è da sempre alleato del potere politico e in questa veste ha costretto “il popolo” nell’ignoranza e nella sudditanza, dunque “è giusto” che paghi. Ma da solo questo movente non può certo spiegare tanto ribrezzo e vergogna. Vi fu certamente di più. 

    La Rivoluzione Francese vide nel cattolicesimo il nemico dei nemici, dunque nella Chiesa il nemico da sconfiggere. Ovvio che se la sia presa allora con sacerdoti, suore e religiosi. Ma ancora ciò non basterebbe in quanto andò macabramente in scena ai danni dei cattolici durante la Rivoluzione se non lo si leggesse anche sotto una luce teologica. Fu uno scontro, infatti, fra due visioni della realtà inconciliabili, e per i giacobini colpire il clero significò cercare di detronizzare Dio stesso. La cristianofobia fu inventata allora e rivelò immediatamente tutto il proprio volto demoniaco. Un uomo al di sopra di ogni sospetto, il filosofo tedesco Immanuel Kant (1724-1804), che fu il più lucido codificatore del pensiero illuministico, finì per giudicare la Rivoluzione Francese – che pure prima aveva sostenuto – come il regno dell’«anticristo», ovvero «[…] la fine (perversa) di tutte le cose». Lo scrisse nell’opuscolo Das Ende aller Dinge (“La fine di tutte le cose”), pubblicato nel 1794 in pieno Terrore e citato da Papa Benedetto XVI nella lettera enciclica Spe salvi, del 2007.

    Prêtres sous la Terreur  è un documentario che racconta questo martirio enorme con precisione e mestiere. Andrebbe tradotto, mostrato nelle scuole, passato in televisione. Il tributo di sangue pagato dal clero all’epoca non lascia traccia nei libri di testo e non fa audience, ma la nostra memoria ha il dovere d’inchinarsi.


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    00 03/01/2018 17:51

    L’orribile verità dietro la Rivoluzione francese

    illuminismo terroreE’ curioso come pochi sappiano che l’evento madre da cui è nata l’ideologia laicista nella società europea, cioè la Rivoluzione francese, nei dieci anni della sua durata ha registrato una media di quasi 200 morti al giorno.

    Lo ha fatto presente Vito Mancuso qualche tempo fa ironizzando -perfino lui che è editorialista del quotidiano che più incarna l’ideologia illuminista-, sul fantomatico motto liberté, égalité fraternité. Per gran parte della società europea la Rivoluzione francese è sinonimo di liberazione, di faro di civiltà, di progresso. Ma si tratta di un’opera di disinformazione nata paradossalmente proprio dai libri di storia, sopratutto in Francia è impossibile raccontare qualcosa di diverso.

    Ci ha provato lo storico Reynald Secher, membro dell’Académie de recherche, specializzato nella guerra di Vandea. Il suo libro, Le génocide franco-français: la Vendée-Vengé (Presses universitaires de France 1986), divenuto bestseller, ha scatenato un polverone mediatico e un enorme successo popolare. Con prefazione degli storici Jean Meyer e Pierre Chaunu, ha ampliato la sua ricerca per la tesi di dottorato alla Sorbona di Parigi, dimostrando che la repressione attuata in Vandea da parte dei rivoluzionari corrisponde ad un vero e proprio genocidio di un popolo cattolico, che non volle piegarsi alla dittatura anticlericale.

    Intervistato recentemente, Secher ha raccontato: «ho subito una reazione apertamente ostile perché il principio della Rivoluzione non deve essere macchiato. Dire che le conseguenze sono state per me molto difficili è un eufemismo: ho dovuto rinunciare alla mia cattedra e non ho più potuto insegnare in università. Gli attacchi sono stati estremamente violenti, addirittura mio nonno è stata accusato di essere stato una collaboratore durante la Seconda guerra mondiale, quando tutti tutti sanno che era un noto membro della Resistenza». Ancora oggi lo storico francese è bandito dai convegni.

    «Contrariamente a quanto si è sempre voluto credere», ha proseguito Secher, «quello che è successo in Vandea non è stata una gaffe causata da iniziative locali, ma il risultato di ordini emessi dal più alto livello statale. Nel 2011 ho dimostrato che dietro a tutto c’era il Comitato centrale della sanità pubblica». Età del Terrore la si chiama, dove la ghigliottina era l’unica alternativa alla sudditanza. Il genocidio vandeano è solamente uno degli eventi più noti e tragici: «l’obiettivo è stato sterminare tutti gli abitanti e radere al suolo le loro proprietà, a partire dalle donne e dai bambini, “futuri briganti”».

    Ma il negazionismo sul genocidio vandeano ha vita breve anche grazie all’opera di un altro storico, Alberto Bárcena, professore di Storia all’Università CEU San Pablo. Egli ha confermato che a fondamento dell’odio dei rivoluzionari per i vandeani era la religione da loro praticata, il cattolicesimo. Dal febbraio 1790, infatti, vennero soppressi tutti gli ordini religiosi e oltre 4000 parrocchie, chiusi i conventi che non avevano fine caritativo e avvenne l’esproprio forzato dei beni della Chiesa. Tutti i membri del clero divennero funzionari pubblici, senza legame con il Papa, i sacerdoti che si rifiutarono di giurare fedeltà alla Rivoluzione dovevano essere perseguitati e sacrificati.

    Pochi giorni fa un altro libro ha chiesto il riconoscimento ufficiale del genocidio, l’autore è il diplomatico e avvocato francese Jacques Villemain, che ha a sua volta raccontato la distruzione sistematica da parte delle autorità della Rivoluzione francese verso gli abitanti cattolici della Vandea. Nel 2009 a Le Mans è stata rinvenuta una fossa comune (vedi foto in alto) con corpi dei vandeani mutilati e massacrati.

    «Il secolo dei lumi, l’età d’oro dell’illuminismo, terminò con un massacro», ha scritto lo storico tedesco Michael Hesemann. «Nel nome della gloriosa rivoluzione francese, che portava sui suoi stendardi il motto: “libertà, uguaglianza e fraternità”, nel giro di un anno furono uccise più persone di quante erano morte nella crociata contro i catari, nei “secoli bui” del Medioevo, e di quante erano state le vittime dell’Inquisizione nei suoi cinquecento anni di storia in Europa. Questi morti furono uomini e donne che facevano parte della Chiesa: vescovi e preti, monaci e suore. Il loro unico “crimine” fu la fedeltà alla loro fede» (M. Hesemann, Contro la Chiesa, San Paolo 2009, p. 276-279).


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    00 01/05/2018 17:17

    LA DISFATTA DELLA "INVINCIBILE ARMADA"

    Alcuni narratori vorrebbero far risultare che fu la Chiesa e il Papa a spingere Filippo II di Spagna ad entrare in guerra contro la regina d'Inghilterra.
    Alla fine del XVI secolo, i rapporti tra Spagna ed Inghilterra risultavano sempre più contrastanti: alla base dell’insofferenza reciproca vi era un  dissenso religioso: Filippo di Spagna era un cattolico convinto, mentre Elisabetta I d’Inghilterra era protestante, ed aveva già ricevuto la scomunica da parte di Papa Pio V.

    Ma questo non costituiva motivo per un attacco contro l'Inghilterra che invece fu  di natura economica:
    Elisabetta aveva concesso alla ricca borghesia inglese il diritto di assoldare briganti e pirati per derubare ed assalire le navi straniere.

     I mari attorno all’Inghilterra erano solcati da navi per lo più spagnole; il momento era infatti particolarmente fortunato per il commercio iberico, soprattutto dopo la recente scoperta del Nuovo Continente. Un Intervento spagnolo contro gli Inglesi fu ritenuto inevitabile, e così verso la fine del Maggio 1588, Filippo radunò la sua Invincibile Armata, pronta a salpare per l’Inghilterra.

    L’invincibile armata era la flotta più potente del mondo: poteva godere di 130 navi, quasi 33000 uomini e circa 2500 cannoni.

     Essa salpò da Lisbona il 30 Maggio 1588, ma le condizioni meteorologiche avverse costrinsero le navi ad una sosta forzata presso La Coruna, sulle coste spagnole che si affacciano sull’Atlantico.

     Il 22 Giugno, una volta effettuate le riparazioni alla flotta danneggiata dalla tempesta, l’Armata salpò nuovamente per l’Inghilterra.

     Dopo vari giorni di navigazione e altri di strategica attesa, all’inizio di Agosto la battaglia entrò nel vivo. Tra le file degli Inglesi si distinse anche il famoso Sir Francis Drake.

     Il conflitto sembrava volgere al peggio per gli spagnoli, i quali decisero di ritornare in patria per riorganizzare l’attacco: ma sulla via del ritorno, in prossimità della Scozia, incapparono in una violentissima tempesta nord-atlantica, la quale durò 5 interminabili giorni e spinse la flotta pericolosamente vicino alle rocciose coste scozzesi, distruggendo molte navi e danneggiandole altre.

     Una volta riorganizzato ciò che rimaneva della flotta, l’Armata ripartì per la Spagna pochi giorni dopo: ancora una volta, quasi come se il destino avesse voluto accanirsi contro di essa, l’Armata andò incontro ad un’altra severa tempesta di vento, che fece crollare a picco numerose imbarcazioni.

     Quando a fine Settembre la flotta raggiunse le coste spagnole, il bilancio era divenuto ormai catastrofico: dei 30000 uomini più della metà aveva perso la vita più per il maltempo che per la battaglia contro gli Inglesi; delle 130 navi salpate, 8 furono affondate durante il conflitto, ma ben 65 furono distrutte dalle tempeste.

     Quella che doveva essere una ritirata strategica si era trasformata in una clamorosa sconfitta.
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    Conclusioni
    In questo conflitto non risulta il coinvolgimento nè l'incitamento papale a intervenire militarmente per eliminare o fiaccare i protestanti inglesi.
    Inoltre non può essere affermato un intervento divino a favore o sfavore di questa o quella coalizione.
    Gli eventi sono il più delle volte il risultato del concorso di fattori di natura ambientale, atmosferica, organizzativa, strategica, di risorse umane, di intelligenza, di esperienza ecc... (cf Lc 14,31) e solo in qualche caso di natura soprannaturale, quando il SIgnore vuole favorire un determinato risultato, come nel caso del crollo delle mura di Gerico.(cf Ebrei 11,30)


    [Modificato da Credente 01/05/2018 18:00]
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    00 21/07/2018 22:35

    “False testimonianze”: come ti smaschero i miti anticattolici



    È stato pubblicato dalle Edizioni Lindau, uno degli ultimi libri di Rodney Stark, False testimonianze Come smascherare alcuni secoli di storia anticattolica. Il noto e apprezzato sociologo della religione, e docente di Scienze sociali presso la Baylor University (Texas), nella sua prefazione spiega il perché di questa ricerca storica, volta a smascherare i mitidiffamatori perpetrati nei secoli contro la Chiesa cattolica: «Non sono cattolico e non ho scritto questo libro per difendere la Chiesa. L’ho scritto per difendere la storia».


    Ed è con questo nobile scopo, che Stark, «indipendent Christian» di famiglia luterana, «edotto sulla malvagità cattolica e su come Martin Lutero ci aveva resi liberi di pensare con la nostra testa e di andare alla ricerca del sapere» (p. 281), e docente a Baylor, «la più grande università battista del mondo … fino a non molto tempo fa … focolaio di anticattolicesimo militante» (p. 311), ha esaminato la storiografia di «storici non-allineati» -indipendenti dal main stream illuminista-, e basandosi su tali fonti storiche ha dedicato dieci capitoli ai temi più discussi e discutibili, cioè, a quei falsi miti con cui si è etichettata la Chiesa cattolica: l’accusa di antisemitismo, la sparizione dei vangeli apocrifi, la persecuzione cristiana contro i pagani dell’impero, i “Secoli Bui”, le Crociate, l’Inquisizione, i rapporti con la scienza e la schiavitù, l’accusa di appoggiare regimi autoritari e la questione della modernità.


    Ciò che desta meraviglia è come sia stato possibile metter su tanti falsi storici e mantenerli in vita, quando moltissime fonti storiche e ricerche serie dimostravano – e dimostrano tutt’oggi – l’esatto contrario. Il merito di Stark, oltre a fornire dati statistici significativi, è di aver riportato alla luce documenti e studi “dimenticati” in quanto scomodi ad un’ideologia preconcetta, instaurata da Voltaire e colleghi, volta a distruggere o, dove non fosse possibile, a coprire, tutto ciò che di buono viene dal cattolicesimo. Leggendo il libro di Stark, si scopre con grande meraviglia, che molti dei luoghi comuni, proposti anche in molti manuali di storia, non sono altro che menzogne progettate a tavolino con un disegno politico ben preciso: far fuori la Chiesa cattolica, minando la sua autorità morale, al fine di poter ridisegnare un mondo ad immagine e somiglianza di «infermi onnipotenti» – usando le parole di Morin – dotati di un’«intelligenza cieca» e narcotizzati da una «razionalizzazione demente». Quale miglior modo di mettere a tacere una Chiesa, che alza la voce per la liberazione degli schiavi, se non quello di accusarla di schiavismo? O neutralizzare la sua forza morale contro i totalitarismi, soprattutto atei (URSS), se non accusandola di collaborazionismo con i nazisti e, dunque, di antisemitismo?


    Per quanto riguarda l’antisemitismo, Stark dimostra come questo preesistesse al cristianesimo, già in epoca classica, a causa dell’esclusivismo ebraico che generò impopolarità, come, d’altronde «l’esclusivismo cristiano generò l’ostilità romana anche nei confronti dei seguaci di Cristo. […] Con la scomparsa di questi culti pagani e la nascita del cristianesimo, l’antisemitismo rimase l’unico superstite degli antichi pregiudizi» (p. 25). Circa le affermazioni antigiudaiche dei primi cristiani, esse non possono essere etichettate come antisemite in quanto scritte da una minoranza ancora ebraica (perseguitata dagli stessi correligionari giudei), la quale denunciava, per lo più, le autorità corrotte del Tempio, che avevano condannato a morte Gesù Cristo. E’ vero che la teologia cristiana rispose alle accuse di adulterio rivolte alla madre di Dio e di stregoneria rivolte a Cristo, contenute nel Talmud, con toni avversi al giudaismo, ma, «contrariamente a quanto affermano storici fuorvianti o fuorviati, la Chiesa non tradusse mai l’ostilità del Nuovo Testamento in una autorizzazione a compiere attacchi antisemiti» (p. 32). Anzi, molto spesso le autorità ecclesiastiche si trovarono a dover difendere gli ebrei dalle folle inferocite, e, soprattutto in Germania, la presenza dei vescovi sul territorio ne evitò l’uccisione.


    Tra gli altri miti, quello per cui Pio XII si sarebbe alleato con il nazismo, vera e propria campagna diffamatoria realizzata dall’Unione Sovietica, «nella speranza di neutralizzare il Vaticano nelle vicende post-seconda guerra mondiale» (p. 47), e poi ripresa in libri e film contemporanei, da personalità anticattoliche, come l’ex-prete James Carroll (La spada di Costantino: la Chiesa e gli ebrei) o il cristiano apostata John Cornwell (Il papa di Hitler: la storia segreta di Pio XII). A tale riguardo Stark, riporta il giudizio del rabbino David G. Dalin: «L’Olocausto è semplicemente il randello più poderoso che, nel loro tentativo di colpire il papato e di conseguenza distruggere il tradizionale insegnamento cattolico, i cattolici progressisti possono sfruttare per agire contro i cattolici tradizionalisti. [Queste] polemiche di cattolici apostati o progressisti arrabbiati sfruttano la tragedia del popolo ebraico durante l’Olocausto per favorire la propria agenda politica» (p. 52).


    I vangeli apocrifi, che – secondo la vulgata corrente – sarebbero stati nascosti dalla Chiesa per imporre il proprio pensiero e, dunque, il dominio sulle masse, furono in realtà scritti del III-IV secolo e scartati dalla Chiesa «come palesi falsificazioni e assurdità […] Una lettura onesta dei principali vangeli gnostici rivela che, nonostante qualche tema cristiano, sono essenzialmente scritture pagane e che pertanto si tratta esattamente delle bizzarre eresie che gli antichi Padri della Chiesa dissero che erano!» (pp. 65-66). In riferimento al mito dei «Secoli Bui», secondo Stark, «l’idea che l’Europa sarebbe precipitata nei “Secoli Bui” è frutto di un imbroglio, ordito da intellettuali fortemente antireligiosi come Voltaire e Gibbon, determinati a sostenere che la loro era “l’Età dei Lumi”. Un altro fattore sta nel fatto che troppo spesso gli intellettuali provano interesse soltanto per le questioni letterarie»(p.112). In realtà, proprio nel Medioevo cristiano ci furono grandi rivoluzioni: progresso tecnologico (meccanizzazione della manifattura dei tessuti, mulini, aratro pesante, incroci selettivi, canna fumaria, occhiali, cavalleria pesante, navi armate con cannoni); progresso morale (il bando della schiavitù, matrimonio tra liberi e schiavi); progresso culturale (musica polifonica, arte e architettura romanica e gotica, pittura ad olio, poeti come Dante e Chaucer, la nascita delle università); sviluppo della teologia legata alla ragione: «Convenzionalmente si è stabilito che l’Età della Ragione sia iniziata nel XVII secolo. A dire il vero, di fatto iniziò nel II secolo, grazie ai primi teologi cristiani. Talvolta descritta come “scienza della fede”, la teologia consiste nel ragionamento formale su Dio. L’accento è sullo scoprire la natura, le intenzioni e le richieste di Dio e sul capire come esse definiscano il rapporto tra gli esseri umani e Dio. E i pensatori cristiani hanno fatto questo non tramite nuove rivelazioni, la meditazione o l’ispirazione, ma mediante la ragione» (p. 127).


    Allo stesso modo, il mito dei crociati, come uomini violenti e sanguinari, avidi, assetati di potere, asserviti al volere del Papa, per la colonizzazione europea dell’oriente, non trova alcun fondamento storico. In verità, innanzi alle continue aggressioni e all’incalzante avanzata dei musulmani, l’imperatore di Bisanzio chiese aiuto ai re cristiani per difendere le popolazioni cristiane. Questi, a proprie spese, per spirito evangelico, e spesso per espiare i propri peccati, aderirono alla chiamata, sapendo che con molta probabilità non avrebbero fatto più ritorno a casa. Inoltre, la necessità di mettere in sicurezza i pellegrini era sentito con un dovere, a cui non ci si poteva sottrarre. Conclude Stark: «Non è vero che le crociate non furono la conseguenza di provocazioni. Non è vero che si trattò della prima mossa del colonialismo europeo. Non è vero che furono combattute per terre, bottino e conversioni. I crociati non furono barbari che infierirono su musulmani raffinati. Le crociate non sono una macchia sulla storia della Chiesa cattolica. Non c’è alcun bisogno di scuse» (p. 164).


    L’Inquisizione, creata nel 1478 in Spagna, si dice che «aveva il compito di liberare la Spagna dalla presenza di eretici, soprattutto ebrei e musulmani, che fingevano di essere cristiani. Tuttavia l’Inquisizione tenne d’occhio anche tutti i protestanti, nonché streghe, omosessuali e quanti non rispettavano la dottrina e le leggi morali» (p. 165). Tale leggenda nera nacque in Inghilterra, per screditare la Spagna. «Che menzogne simili abbiano prosperato in un’epoca di guerre di religione non è poi così sorprendente. Ma non esiste una scusa analoga per gli irresponsabili “studiosi” moderni, che continuano ad avvalorare tali affermazioni, ignorando i notevoli studi sull’Inquisizione compiuti durante la scorsa generazione. Per quanto possa sembrare stupefacente, i nuovi storici hanno rivelato che, a differenza delle corti secolari dell’intera Europa, l’Inquisizione spagnola fu un notevole strumento di giustizia, moderazione, giusto processo e saggezza» (p. 169).


    Il mito più comune è quello che esalterebbe l’incompatibilità tra fede e ragione. Molto spesso, si sente dire, che il credente non può essere uno scienziato. Niente di più falso! I più grandi uomini di scienza erano per lo più persone di fede, tra cui, molti sacerdoti, vescovi e cardinali. Copernico era un prete polacco che apportò un tassello importante ma non tale da poter parlare di rivoluzione, poiché continuò sulla strada indicata da altri, come, per esempio, Roberto Grossatesta (1168-1253), Alberto Magno(ca 1200-1280), Ruggero Bacone (1214-1294), Guglielmo di Ockham (1285-1347), Nicola d’Oresme (1325-82), che scoprì la rotazione della Terra intorno al proprio asse. Copernico ipotizzò un sistema solare con il sole al centro e, attorno, la Terra e gli altri pianeti che giravano su orbite circolari. La sua ipotesi non saltò fuori dal cilindro ma fu il risultato delle teorie formulate nelle università dove studiò. Keplero (un fervente cristiano protestante), a sua volta, apportò un contributo decisivo al modello copernicano sostituendo le orbite circolare con quelle ellittiche. Stark prende in esame i migliori scienziati che ci furono tra il 1543, data di pubblicazione del De Revolutionibus, ed il 1680. Su 52, solo 1 era ateo: Edmond Halley. Tra questi il 25% erano ecclesiastici e 9 cattolici. Diversi illustri storici hanno mostrato come alla base della ricerca del sapere c’era la teologia, che è l’applicazione della ragione ai misteri della fede, portata in auge dagli Scolastici, «brillanti studiosi, che fondarono le grandi università europee e furono i primi a formulare e insegnare il metodo sperimentale; furono loro a dare inizio all’ascesa della scienza occidentale» (p. 193).


    Per quanto riguarda l’affaire Galilei, cosa successe veramente? Davvero la Chiesa lo mise in prigione? La risposta di Stark è netta. Mai! Galileo fu messo agli arresti domiciliari, con tanto di servitù, non per le sue ipotesi scientifiche, quanto per la sua «doppiezza». Era tipico di Galilei «attribuirsi falsamente il merito di invenzioni altrui, come il telescopio, e di verifiche empiriche che probabilmente non aveva mai fatto, come lasciar cadere pesi dalla torre di Pisa», come, anche, «sfidare il papa in un modo piuttosto offensivo», ridicolizzando lo stesso pontefice e gli altri scienziati. Inoltre, «gran parte di quello che Galileo descriveva nel suo libro [Dialogo dei massimi sistemi, NDR] come verità scientifica non lo era affatto; per esempio, la teoria delle maree era assurda, come fece notare Albert Einstein nella prefazione a una traduzione del 1953 del celebre testo di Galileo» (p. 228). Sulla schiavitù la posizione della Chiesa cattolica è sempre stata chiaramente contraria, fin dalle origini. Purtroppo, anche qui, la maggior parte degli storici ha voluto dimenticare i duri pronunciamenti dei papi e, soprattutto, il fatto che in quei Paesi cattolici in cui vigeva la schiavitù, nonostante le scomuniche della Chiesa, si è sempre cercato di migliorarne le condizioni di vita. Secondo le statistiche elaborate da Stark (disponibili dal 1833!), nella Luisiana, che fu sotto l’Amministrazione francese (cattolica), il 41,7%degli schiavi neri erano liberi, mentre nel Mississippi (Inglese, protestante) solo lo 0,5%. «Per molti secoli la Chiesa cattolica fu sola nel suo sforzo di mitigare gli orrori della schiavitù. Basta dunque con le affermazioni secondo cui la Chiesa insegnava che la schiavitù era moralmente legittima» (p. 245).


    Se si passa all’accusa rivolta alla Chiesa di essere a favore dei regimi totalitari e, dunque, contraria ad ogni forma di democrazia, Stark con grande precisione riporta il pensiero dei Padri della Chiesa, mostrandone l’avversione verso la tirannia. «I teologi cristiani divennero sempre più critici circa l’autorità morale dello Stato. Nella “Città di Dio”, Sant’Agostino affermava che, se lo Stato era essenziale per una società ordinata, era pur sempre privo di una fondamentale legittimazione» (p. 261). Di qui, l’incompatibilità di fondare il potere dello stato sul «diritto divino dei re», principio, questo, non cattolico ma, nato in ambiente protestante nel XVII secolo. «È semplicemente falso che la Chiesa si oppone alla libertà e alla democrazia», conclude Stark. «Semmai, tende a opporsi ai tiranni, specialmente a quelli che cercano di distruggerla» (p. 280).


    Riguardo, infine, alle origini della modernità e al dogma weberiano dello spirito del capitalismo come frutto dell’etica protestante, Stark ribadisce quanto già dimostrato da eminenti storici: il capitalismo nacque nei monasteri cattolici. Furono, infatti, i monaci i protagonisti del dissodamento dei terreni, della concentrazione di terra e della produttività agricola, elementi, questi, che trasformarono l’economia di baratto, incentrata sull’autosussistenza, in un’economia capitalista, basata su specializzazione e commercio. Per tale motivo, tale rivoluzione è stata definita «capitalismo religioso». I monasteri, gestiti secondo i principi di un «management complesso e lungimirante», secondo i sensi della meritocrazia e dell’etica, divennero, piano piano, veri e propri borghi, che acquisirono, più tardi, forza lavoro libera salariata. Gli scambi portarono alla nascita dell’economia monetaria e allo sviluppo del credito. È nei monasteri che prende forma il mutuo ipotecario, cioè, il «mort-gage (letteralmente «pegno morto») in cui chi riceveva il prestito come garanzia dava in pegno della terra e chi il prestito lo concedeva incassava tutta la rendita di quella terra per tutta la durata del prestito, senza che la suddetta rendita venisse detratta dalla somma dovuta» (p. 297). È in tale contesto che emerge una nuova visione del lavoro come intrinsecamente virtuoso, e la pratica della frugalità, elementi capaci di generare surplus e reinvestimento. Anche l’applicazione dell’interesse come remunerazione per la rinuncia al consumo nasce nei monasteri, che divennero centri di erogazione di prestiti alla nobiltà, a re, ma, anche, a vescovi e cardinali. In quei luoghi fu sviluppata la teologia del giusto prezzo e del legittimo interesse. «Anche se il capitalismo si sviluppò nelle grandi tenute monastiche, ben presto trovò un ambiente ricettivo nelle nuove città-stato democratiche della penisola italiana, che nel X secolo cominciarono a emergere diventando i centri bancari e commerciali d’Europa, esportando una grande quantità di beni acquistati da fornitori nell’Europa settentrionale, soprattutto nelle Fiandre, in Olanda e in Inghilterra, mentre i loro acquirenti principali erano Bisanzio e gli stati islamici, soprattutto quelli della costa nord-africana» (p. 307). «Molto probabilmente la conseguenza più profonda e duratura della Riforma protestante fu aver causato la Riforma Cattolica, o Controriforma» (p. 309).



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    00 20/12/2019 13:55

    La cintura di castità: un mito usato contro il Medioevo



    Cintura castità 
     
    di Federica Garofalo*
    *laureata in Beni Culturali, studiosa del Medioevo e blogger

     
    dal blog Il Palazzo di Sichelgaita
     

    «In tempo d’estate, un mattino, giaceva la Dama accanto al meschino. La bocca gli baciò e il viso, poi così gli disse: “Bello e dolce amico, il mio cuore dice che vi perderò: colti saremo e scoperti. Se voi morrete, io voglio morir; e se vivo potrete partire, voi troverete un altro amore e io rimarrò nel dolore. – Dama, fece lui, manco il dite! Ch’io non abbia gioia né pace, se ad altra lo sguardo volgerò! Non abbiate di ciò alcuna paura! – Amico, di ciò m’assicurate! La vostra camicia mi date; nel lembo di sotto farò un nodo: libertà vi dono, ovunque voi siate, d’amare colei che lo scioglierà e che disfar lo saprà.” Egli gliela dà, così l’assicura. Un nodo ella fece in tal misura che donna alcuna scioglierebbe se la forbice o il coltello non vi metta. La camicia gli dona e rende. Egli la riceve ad una condizione, che anch’ella lo renda sicuro; con una cintura a sua volta la sua carne nuda cinge, attorno ai fianchi forte la stringe; chi la fibbia potrà aprir senza spezzarla né strapparla, il solo sarà ch’ella potrà amare. Poi la bacia, e così rimane». E pensare che questa scena d’amore così delicata, tratta dal Lai de Guigemar di Maria di Francia, ha suscitato le congetture più assurde da parte degli storici dell’Ottocento e dei primi del Novecento.

    Cos’altro avrebbe potuto fare il cavaliere in esilio Guigemar, parto di quel Medioevo così oscuro e misogino, per garantirsi la fedeltà assoluta della sua dama, se non serrarla in una morsa di ferro che castrasse chiunque osasse toccarla, così che appartenesse a lui soltanto? Sembra che a nessuno degli storici di cui sopra sia passato per la testa che quello evocato da Maria di Francia fosse semplicemente un giuramento di fedeltà incondizionata l’uno all’altra, suggellato da un gesto concreto, uno di quei segni di cui la società feudale (stavolta sì) non può fare a meno: il nodo con cui sono legati sia la camicia del cavaliere sia la cintura della dama, infatti, richiama i tre nodi che si vedono sulle cinture di tessuto portate dai novizi degli ordini religiosi, tre quanti sono i voti che dovranno pronunciare, tra cui anche quello della castità. Non solo, il nodo e la fibbia che rappresentano il legame tra i due amanti saranno anche il mezzo che permetterà loro di ritrovarsi alla fine della storia.

    A leggere le affermazioni degli storici dell’Ottocento (e anche gli articoli su certe riviste “divulgative” con tanto di titoloni a caratteri cubitali), c’è davvero di che far venire la pelle d’oca: secondo quanto si legge, a fare uso della cintura di castità sarebbero stati soprattutto i crociati, i quali, partendo per liberare il Santo Sepolcro dagli infedeli, si sarebbero premurati di evitare qualsiasi rischio di ritrovarsi al ritorno in patria con un bel paio di corna, chiudendo letteralmente in cassaforte “l’onore” delle mogli; cosa che non ha molta consistenza già di per sé, perché l’obbligo di tenere un arnese di ferro a così stretto contatto con le parti intime avrebbe presto provocato una strage di donne per setticemia o per tetano.

    Per giunta, nessuna delle fonti sulle Crociate, nemmeno da parte musulmana o bizantina, fa mai riferimento a questa pratica. Al contrario, Anna Comnena, nella sua Alessiade, sottolinea come, all’indomani dell’appello di papa Urbano II nel 1089 per difendere il Santo Sepolcro e i Cristiani di Gerusalemme dalle vessazioni dei Turchi, non sono solo gli uomini a mobilitarsi, ma anche le donne: «Si produsse allora un movimento di uomini e di donne come non si ricorda di averne mai visto l’uguale: le persone più semplici erano davvero animate dal desiderio di venerare il Sepolcro del Signore e di visitare i Luoghi Santi. […] L’ardore e lo slancio di questi uomini era tale, che tutte le strade ne furono coperte; i soldati franchi erano accompagnati da una moltitudine di gente senz’armi più numerosa dei granelli di sabbia e delle stelle del cielo, che portava palme e croci sulla spalla: uomini, donne e bambini che lasciavano i loro paesi».

    Dunque non solo non c’è traccia di “segregazioni”, ma è documentato che le donne possono perfino seguire i mariti nei “pellegrinaggi armati”, come vengono chiamate all’epoca le Crociate; a volte intere famiglie di alto lignaggio partono per la Terra Santa. Ed esempi ne abbiamo a iosa: nel 1147, ad esempio, Eleonora d’Aquitania, regina di Francia, è al fianco del marito Luigi VII nella seconda crociata, portandosi dietro un seguito monumentale che fa storcere il naso a parecchi. Fanno tappa a Costantinopoli, e lo storico Niceta Coniata annota come al seguito di questa “dama dagli speroni d’oro” vi siano nobildonne in abiti maschili, e per giunta abili nel maneggiare la lancia e l’ascia da guerra. Non basta, troviamo donne fin sui campi di battaglia, come nella battaglia di Dorileo, durante la prima crociata, dove rischiano la vita per portare l’acqua ai combattenti spossati dal caldo di giugno; i cronachisti arabi, soprattutto durante la terza crociata, riportano perfino di nobildonne a cavallo, rivestite della cotta di maglia, armate di tutto punto, che si gettano nella mischia, combattendo come uomini e a fianco di uomini. È pur vero che molte restano in patria, ma non certo per starsene chiuse in casa: in assenza dei loro uomini, sono loro “il capofamiglia”, signore dei feudi e responsabili dei vassalli, e come tali sono trattate.

    C’è da dire, comunque, che la cintura compare sì nei testi medievali in riferimento alla castità, ma in maCintura fedeltàniera del tutto simbolica: ad esempio nel Decretum Gratiani, raccolta di norme di diritto canonico risalente al XII secolo, in una delle cui miniature che riguardano il matrimonio, vediamo consegnare alla sposa una cintura (una cintura assolutamente comune), come segno del suo nuovo stato di “consacrata” allo sposo, un simbolo simile a quello che si scambiano come pegno di fedeltà reciproca gli amanti del Lai de Guigemar. La scelta della cintura come simbolo di castità, per le donne ma soprattutto per gli uomini, non è casuale: la predicazione del XIII secolo cerca di dire chiaro e tondo che il matrimonio è un sacramento, un “ordine sacro”, la cui importanza è pari a quella degli ordini religiosi, e che dunque ha anch’esso delle regole, molto esigenti, sia per l’uomo sia per la donna.

    La prima menzione di qualcosa che somiglia alla “cintura di castità” come la concepiamo noi, cioè come arnese
    per impedire rapporti sessuali, è del 1405, e viene dall’ingegnere militare tedesco Konrad Kyeser von Eichstätt, che la inserisce all’interno di un trattato sulle varie tecniche di guerra, il Bellifortis; ad un certo punto troviamo il disegno di una specie di mutandoni di metallo, accompagnato da una scritta in Latino, “Est florentinarum hoc bracile dominarum ferreum et durum ab antea sic reseratum”, “Queste sono le brache di ferro pesante delle donne fiorentine chiuse sul davanti in questo modo”. La cosa viene presentata dunque come un’usanza specifica delle donne di Firenze, e per giunta descritta nel contesto di un trattato militare. C’è da capirle, le povere Fiorentine: la guerra, in pieno Quattrocento, è divenuta affare di bande di mercenari comandate da capitani di ventura, e, quando una città cade nelle loro mani, ci si può aspettare ogni tipo di barbarie, compresa quella di veder violentate perfino le monache; ancora peggio, poi, se si tratta della Toscana, dove infuria la guerra tra le grandi famiglie come i Cavalcanti, i Pazzi, i Medici. A mali estremi, estremi rimedi, e le donne di Firenze, perlomeno, possono contare su questa specie di “armatura” per evitare se non altro le conseguenze dei saccheggi nella propria carne.

    Presto la notizia di questi arnesi si diffonde, e diventa materia succulenta per la letteratura satirica tanto di moda soprattutto nella Francia del Cinquecento: le cinture di castità sono le armi comiche dei soliti Barbablù da novella che alla fine si ritrovano immancabilmente “cornuti e mazziati”, ad esempio nella raccolta Le dame galanti di Brantôme o nel romanzo Pantagruele di Rabelais. Il guaio è che queste storielle finiscono per esser prese alla lettera da letterati e storici di Settecento e Ottocento, e la storia di signori del Medioevo dispotici e violenti che, partendo per la guerra, impongono alle mogli la cintura di castità, della quale soltanto loro hanno la chiave, per scongiurare qualsiasi tradimento, viene data per buona; non solo, alimenta un mercato di “riproduzioni” ad uso dei collezionisti (in realtà veri e propri falsi inventati di sana pianta), sostanzialmente quelle che riempiono ancora oggi i vari “musei della tortura” sparsi per l’Europa. Nel 1889, addirittura, l’archeologo austriaco Maximilian Anton Pachinger annunciò la scoperta di una tomba femminile a Linz, da lui datata tra il Cinquecento e il Seicento, il cui scheletro avrebbe avuto l’osso pelvico cinto da una fascia di cuoio e ferro chiusa da ben due lucchetti, e possiamo facilmente immaginare quali fantasie avesse suscitato all’epoca un simile ritrovamento; purtroppo lo scheletro, con relativo arnese, è andato perduto, ma qualcuno ha recentemente ipotizzato che la defunta soffrisse semplicemente di una qualche deformazione al bacino e che la “cintura di castità” fosse in realtà soltanto una protesi per sostenerlo.

    L’unico esemplare autentico conosciuto di braga de fero” è custodito nell’armeria del Palazzo Ducale di Venezia, e si dice appartenuto ai da Carrara, signori di Padova (XV-XVI secolo): la sua analisi ha permesso di chiarire molte cose. La sua fattura corrisponde in pieno alle braghe di ferro fiorentine anti-stupro descritte dal von Eichstätt: una fascia “a croce” relativamente sottile che avvolgeva sia la vita sia il pube, rivestita di cuoio per una maggiore comodità. Interessante è il fatto che la braga in questione sia chiusa da un lucchetto cosiddetto “romano”, fermato cioè da una sorta di fibbia, completamente inadatta ad una “cassaforte” ma che non permette un’apertura immediata. Insomma, questo arnese non poteva certo esser strappato con violenza di dosso a colei che lo indossava da un potenziale stupratore, ma, a emergenza passata, la signora avrebbe potuto toglierselo da sola in tutta tranquillità.

     

    Bibliografia:
    Albrecht Classen, The Medieval Chastity Belt: A Myth-Making Process, New York, Palgrave Macmillan, 2007;
    Régine Pernoud, La femme au temps des croisades, Parigi, Librairie generale francaise, 1992;
    James A. Brundage, Law, Sex, and Christian Society in Medieval Europe, University of Chicago Press, 2009;
    Umberto Franzoi, L’armeria del Palazzo ducale a Venezia, Treviso, Canova, 1990.


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    00 08/01/2021 15:04
    COPERNICO ERA UN SACERDOTE CATTOLICO

    Del resto la teoria eliocentrica (la Terra e i pianeti ruotano attorno al sole) non fu inventata da Galileo. Fu compiutamente enunciata da Copernico, sacerdote cattolico polacco, morto 21 anni prima della nascita di Galileo. Se Copernico decise di pubblicare i suoi studi solo l’anno della sua morte fu per timore di essere dileggiato dai colleghi di studi, non certo da uomini di Chiesa (i papi Clemente VII e Paolo III, cui l’opera di Copernico era dedicata), dai quali ebbe favori e incoraggiamenti.
    Cammilleri ha infine ricordato che Galileo non portò alcuna prova scientifica che potesse sostenere senza ombra di dubbio la teoria eliocentrica. Per "provare" che la Terra ruotava intorno al sole sosteneva che le maree erano dovute allo "scuotimento" delle acque causato dal movimento terrestre. Ma questo argomento era scientificamente insostenibile. Avevano ragione i suoi "giudici inquisitoriali", i quali sapevano bene che le maree sono dovute all’attrazione lunare.
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    00 17/03/2022 16:05

    IPAZIA DI ALESSANDRIA

    La filosofa iPAZIA d’Alessandria venne tragicamente uccisa da alcuni fanatici (probabilmente cristiani) a seguito di una diatriba  tra il vescovo Cirillo ed il prefetto della città, il cristiano Oreste. La donna pagò con la vita la vicinanza a quest’ultimo.

    L’unica fonte contemporanea ai fatti è quella del cristiano Socrate Scolatico, ammiratore di Ipazia, che parla di movente politico e non accenna ad alcuna responsabilità diretta da parte del vescovo Cirillo.

    Tuttavia, dopo 13 secoli, a partire dal XVIII secolo, gli illuministi trasformarono Ipazia in un mito razionalista vittima del fanatismo cristiano. Un grande contributo lo diede il falsario Edward Gibbon nel suo celebre (quanto storicamente screditato) Declino e caduta dell’Impero romano (1776), dove inventò l’agiografia di Ipazia “martire della scienza”.

    Le bugie sulla morte di Ipazia.

    A questa leggenda anticattolica ha creduto perfino Luciano Canfora, che definì Ipazia una «scienziata alessandrina», morta in quanto «donna e notevole scienziata, colpevole di non voler essere cristiana ma assertrice della filosofia e della scienza greca»1.

    Per sostenere questo, Canfora fu costretto a scartare l’unica fonte contemporanea per appoggiarsi a Damascio, che scrisse un secolo dopo i fatti. Eppure è noto che tale autore falsificò il resoconto e scrisse un romanzo più che una ricostruzione storica, inventandosi perfino l’aspetto estetico di Ipazia, descrivendola come bellissima e giovane (peccato che al momento della morte avesse circa 60 anni).

    Oltretutto, come dimostriamo nel dossier, Ipazia non fu affatto una “scienziata” (scrisse solo commenti su pensatori precedenti), si inspirava alla dottrina neoplatonica che influenzò notevolmente proprio lo sviluppo della filosofia cristiana (nessuna contraddizione dunque con il pensiero cristiano), tanto che tra i suoi discepoli vi furono alcuni futuri vescovi, come Sinesio di Cirene (e continuarono a stimarla anche da vescovi).

    Infine, Ipazia non fu né la prima né l’ultima studiosa donna (tanto meno “la prima donna matematica”). Secoli prima di lei vissero Aspasia, Diotima, Arete, Ipparchia e Panfila di Epidauro. Più vicino a lei, si può citare Sosipatra. Dopo di lei Asclepigenia ed Edesia insegnarono ad Atene e Alessandria, non provocando alcun turbamento nel popolo cristiano.

    Come ha spiegato Moreno Morani, direttore del Dipartimento di Scienze dell’Antichità e del Medioevo all’Università degli Sudi di Genova, Ipazia venne semplicemente identificata (a ragione o torto) come la causa principale dell’attrito tra due autorità cristiane (quella religiosa e quella politica) e pagò con la vita, in una città in cui era abituale risolvere per strada le questioni spinose, spesso con la violenza (il patriarca cristiano Proterio d’Alessandria morì anch’egli in un agguato avvenuto nel 457 d.C.).

     


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    00 10/04/2022 15:30

    Lo storico canadese: «Nessun nativo ucciso nelle scuole residenziali»



    La nostra intervista a Jacques Rouillard, docente di Storia all’Università di Montreal ed esperto delle scuole residenziali canadesi. Smentisce il genocidio culturale e quello fisico verso gli indigeni canadesi: non esistono scavi, né fosse comuni né, tanto meno, resti ritrovati. Dietro a tutto c’è un tentativo di risarcimento milionario. 
     

    Questa settimana i rappresentanti delle popolazioni indigene canadesi sono stati ricevuti in Vaticano (oggi si attendono le scuse da parte del Papa).

    Papa Francesco ha ascoltato i leader dei popoli originari Métis e Inuit percependo la sofferenza subita di queste persone vissute all’interno del sistema scolastico residenziale.

    Occorre però prestare attenzione alla narrativa: un conto è parlare di inculturazione, di cambio di lingua, di insegnamento della religione cattolica al posto della spiritualità indigena.

    Un altro è sostenere che in queste scuole governative, ma gestite da missionari cristiani (anche cattolici), sia avvenuto un genocidio fisico con l’uccisioni di bambini, sotterrati poi in fosse comuni.

    Si tratta di piani diversi che non vanno confusi: il primo è vero, il secondo no.

    La stessa Commissione d’indagine canadese che ha avvallato il “genocidio culturale”, ha tuttavia smentito quello fisico e biologico.

    A Kamloops niente fosse comuni, né resti ritrovati.

    Il mese scorso avevamo già parlato della fake news internazionale sul ritrovamento di una presunta fossa comune alla Kamloops Indian Residential School. E’ un falso, ovviamente.

    La dimostrazione più facile? Non esistono fotografie né degli scavi, né della fossa e né tanto meno dei resti umani riesumati.

    Tutto nasce il 27 maggio 2021 da un comunicato stampa della giovane antropologa Sarah Beaulieu che, dopo aver analizzato con un georadar il terreno vicino alla scuola avrebbe rilevato depressioni e anomalie. Da qui l’ipotesi di una fossa comune, senza aver fatto nemmeno uno scavo.

    Alcune comunità indigene hanno aggiunto il riferimento a tombe non contrassegnate e sui media si è trasformata nella notizia del ritrovamento di una fossa comune e di 215 resti umani. Il premier Justin Trudeau ha subito avallato l’idea del “capitolo oscuro e vergognoso” della storia canadese, scatenando il putiferio.

    Scuole residenziali, gli ex studenti: «Anche ricordi belli»

    Gli stessi ex studenti delle scuole residenziali, come le sorelle Pearl Lerat e Linda Whiteman, hanno dichiarato ai media canadesi che l’idea di tombe appartenenti ai bambini che frequentavano queste scuole «vive di vita propria, è bastato che i media raccogliessero queste storie».

    Si tratta di semplici cimiteri, in cui venivano sepolti i membri della comunità ed anche i bambini che morivano di malattie. Gli stessi nonni e genitori delle due sorelle canadesi sono sepolti lì.

    «I più vecchi tra noi sanno che non ci sono solo bambini», affermano. «Furono sepolti i contadini e anche membri della comunità Métis seppellivano persone nel nostro cimitero». Così, ammettono, «è stato molto sconvolgente, per non dire altro», veder strumentalizzata la notizia. «Si è diffusa a livello nazionale quasi subito, dall’oggi al domani. Spero che ne venga fuori qualcosa di buono e che le persone imparino la verità al riguardo».

    Sostengono che avrebbe dovuto essere stata consultata la generazione più anziana prima che gli attuali leader indigeni tenessero le conferenze stampa. «Chiedi il loro consiglio, chiedi loro la storia per come la ricordano. Eravamo lì. L’abbiamo vissuta. Dovremmo saperlo», ha detto l’ex studentessa. «Non pretendo di avere 110 anni, di sapere tutto, ma penso di aver sperimentato abbastanza quanto accadde nella scuola residenziale per ricordare non solo i momenti brutti ma anche quelli belli».

    La nostra intervista allo storico canadese.

    Uno dei primi ad aver sottolineato il grande equivoco dietro a tutta questa storia è stato il prof. Jacques Rouillard, docente emerito di Storia all’Università di Montreal e tra i massimi esperti di storia del Quebec.

    Nel febbraio scorso ha pubblicato un lungo approfondimento sulla rivista canadese L’Action nationale, intitolato per l’appunto: Dove sono i resti dei bambini sepolti alla Kamloops Indian Residential School?.

    UCCR lo ha intervistato, ecco cosa ci ha detto (le risposte sono integrate con quanto ha scritto nella sua ricerca indipendente).

    DOMANDA – Prof. Rouillard, è storicamente corretto parlare di abusi avvenuti nelle scuole residenziali in Canada, considerando la Chiesa cattolica artefice di una “colonizzazione” e di un “genocidio culturale”?

    RISPOSTA – Naturalmente i francesi e gli inglesi colonizzarono il Canada come molti altri paesi europei fecero altrove e la Chiesa cattolica volle convertire i popoli incontrati per assicurarne la salvezza.

    La parola genocidio culturale mi sembra però decisamente forte.

    Vi fu invece il desiderio di assimilare le lingue indigene, di favorire un’integrazione nella società industriale e di trasformare certi valori che erano loro specifici. Questo è inevitabile per tutte le società preindustriali e continua ad essere fatto anche oggi nelle scuole gestite da autoctoni.

    I bambini imparano a parlare, leggere e scrivere in inglese, apprendono la matematica e la geografia, così come viene loro insegnato ad inserirsi nella società e proseguire con l’università. Inoltre, ci sono corsi di storia e lingue aborigene. E va bene, è giusto.

    I nativi non avevano le risorse per adattarsi. A differenza di quanto fecero gli Stati Uniti con i popoli autoctoni, le élite canadesi non vollero rifiutarli o emarginarli, ma renderli canadesi come gli altri.

    Lo storico Henri Goulet, nel suo lavoro sulla storia delle scuole residenziali in Quebec, spiega che il desiderio dei Missionari oblati di Maria Immacolata del Quebec (come padre Jean-Marie Raphaël Le Jeune) era conoscere le lingue aborigene e riferisce che le loro pubblicazioni in lingua indigena «testimoniano il loro desiderio di mantenere il linguaggio nativo»1. La loro azione era ispirata dallo sforzo di evidenziare gli aspetti positivi della cultura aborigena e di favorire una “transizione più armoniosa”.

    Gli sforzi degli Oblati per mitigare lo shock culturale non sono stati riconosciuti nel rapporto della Commission de vérité et réconciliation (CVR). Questo contribuisce ad alimentare il punto di vista iper-critico verso le scuole residenziali, sostenendo che le comunità religiose avrebbero avuto poco riguardo per la cultura indigena.

    I ricercatori della Commissione non hanno consultato gli archivi della comunità oblata, limitandosi quasi esclusivamente a quelli governativi. Per giustificarsi sostengono che si tratti di istituzioni private ma è una scusa logora in quanto hanno impiegato sei anni per scrivere un rapporto che è costato 71 milioni di dollari.

    Eppure nei loro diari, gli Oblati registravano fedelmente gli avvenimenti significativi della giornata, dopo aver consultato le cronache di 8 collegi di Alberta conservati negli archivi della provincia, abbiamo trovato ricche informazioni, in francese o inglese, tra cui la morte di studenti con i loro nomi. Nessun segreto.

    «I nativi canadesi? Nessun genocidio»

    DOMANDA – Eppure i media (anche quelli cattolici) continuano a riprendere la notizia di fosse comuni in Canada vicino alle scuole cattoliche. E’ vero o si tratta di una finzione, com’è stato dimostrato per quella della Kamloops Indian Residential School?

    RISPOSTA – E’ falso, non c’è nessuna fossa comune dietro a questi collegi come invece alcuni vorrebbero far credere.

    A volte si incontrano semplici cimiteri, come vicino alla missione di Marieville. In essi venivano sepolti gli studenti delle scuole, ma anche i membri della comunità locale e gli stessi missionari una volta che morivano. L’invenzione del genocidio fisico nasce con lo scopo di ottenere un risarcimento monetario dalla Chiesa cattolica.

    D’altra parte, è mai pensabile che monaci e monache, che conoscono i bambini e vogliono la loro conversione, li possano aver assassinati e seppelliti nelle tombe senza che i loro genitori ed i Conseil de bande [i rappresentanti dei comitati indiani] reagissero? È finzione. Questi monaci e monache, oltretutto, provenivano principalmente dal Quebec di lingua francese.

    Nello stesso rapporto della CVR si legge che «per quasi tutti i collegi un funerale cristiano era la norma» e che il cimitero della chiesa attigua «può fungere da luogo di sepoltura per gli studenti che muoiono nel collegio così come per i membri della comunità locale e gli stessi missionari». Questo è quello che è effettivamente successo anche a Kamloops.

    Non è credibile che 200 bambini siano stati sepolti clandestinamente in una fossa comune, nella riserva stessa, senza alcuna reazione da parte del Conseil de bande. Oltretutto queste congregazioni religiose hanno lavorato in Quebec per anni in varie opere sociali, inclusi gli orfanotrofi e, per quanto ne so, non sono mai state mosse loro accuse del genere.

    Nelle interviste ai “sopravvissuti” leggiamo che la semplice presenza di una fornace nel seminterrato delle scuole suggerirebbe che i corpi dei bambini sarebbero stati bruciati lì. Si tratta sempre di ipotesi e speculazioni, i cosiddetti “sopravvissuti” non hanno mai assistito in prima persona a nulla di quanto affermano. Queste dicerie si sono perpetuate nel corso degli anni tra gli indigeni di Kamloops,

    Nessuno sottolinea che siamo ancora nella fase delle ipotesi e che non sono stati ancora trovati resti, eppure il governo ed i media consentono l’accreditamento della tesi della scomparsa di migliaia di bambini dai collegi. Da un’accusa di “genocidio culturale” avallata dalla Commission de vérité et réconciliation (CVR), si è passati al “genocidio fisico”, una conclusione che la Commissione stessa rifiuta esplicitamente nel suo rapporto.

    Tutto si basa sulla semplice scoperta di anomalie del suolo, disturbi che potrebbero essere stati causati dai movimenti delle radici, come ha ricordato la stessa antropologa durante la conferenza stampa del 15 luglio. Occorrono prove concrete prima che le accuse mosse contro gli Oblati e le Suore di Sant’Anna siano iscritte nella storia. Le esumazioni non sono ancora iniziate e non sono stati trovati resti. Un crimine commesso richiede prove verificabili.

    «Gli indigeni del Canada morivano per tubercolosi»

    DOMANDA – Recentemente James C. McCrae, ex procuratore generale di Manitoba e Tom Flanagan, professore emerito di Scienze politiche all’University of Calgary, hanno messo in dubbio anche l’affidabilità del National Student Memorial Register, il registro che elenca i bambini mai rientrati a casa dalle scuole residenziali. Viene definita una «lista fraudolenta» in quanto sono state inserite persone che non frequentavano queste scuole e gli stessi responsabili del NCTR ammettono di non verificare la storia dei bambini, inseriti su richiesta delle famiglie per «ricordare i loro figli perduti tra i nomi dei loro compagni di scuola». Cosa ne pensa?

    RISPOSTA – Ho poca esperienza di questa specifica cosa ma so per certo che non bisogna assolutamente fidarsi dell’NCTR che è soggetto alla guida di alcuni membri della comunità indigena e ha dimostrato più volte di aderire a teorie cospiratorie verso lo Stato canadese e la Chiesa cattolica.

    Secondo gli stessi dati forniti dalla Commission de vérité et réconciliation (CVR) il tasso di mortalità nei giovani che frequentavano le scuole residenziali era in media di circa 4 decessi all’anno ogni 1.000 giovani e la causa principale era dovuta a tubercolosi ed influenza.

    Nonostante fonti d’informazione parziali, la commissione si concede però affermazioni sorprendenti sostenendo che «non era pratica comune per la maggior parte delle scuole residenziali restituire i resti alle comunità di origine» e che «i loro genitori spesso non sono stati informati della malattia o del decesso». La fonte sono archivi lacunosi ed è grave se provengono da una commissione d’inchiesta ufficiale. Comprendo chi invoca la necessità di ulteriori indagini.

    La realtà è lontana da queste affermazioni, laddove le informazioni sono disponibili apprendiamo invece che i genitori sono stati informati e che i bambini sono sepolti nel cimitero della loro riserva. Dal 1935 il Department of Indian Affairs ha imposto una procedura specifica in caso di morte di uno studente.

    «Più che le scuse del Papa, risarcimenti milionari»

    DOMANDA – Ad inizio marzo, altri due studiosi delle scuole residenziali canadesi hanno scritto a loro volta: «Non c’è traccia di un solo studente ucciso nei 113 anni di storia delle scuole residenziali». Questa affermazione corrisponde alla verità storica?

    RISPOSTA – Sono d’accordo con quanto scrivono. In Canada non abbiamo mai perseguito una comunità religiosa per aver ucciso un solo bambino. D’altra parte non vengono offerti nomi di bambini presumibilmente sepolti in una fossa comune, né i nomi dei loro genitori che si sono lamentati della scomparsa.

    Con la visita al Papa, i media canadesi si stanno facendo portavoce delle comunità indigene ma nessuna critica, anche minima, viene accettata anche se a volte vengono addotte delle assurdità. Si ripete solo che le comunità religiose sono colpevoli ed il Papa dovrebbe chiedere scusa.

    Sembra che si siano autorizzati gli scavi a Kamloops, è una buona notizia. Sarebbe però stato meglio si fossero svolti lo scorso autunno, così da conoscere la verità ed impedire a papa Francesco di venire a Kamloops per scusarsi sulla base di ipotesi non provate. Molti dubitano però che gli scavi avranno mai luogo, data l’importanza della posta in gioco bisognerebbe che fossero condotti sotto la supervisione di una commissione indipendente.

    DOMANDA – Sostanzialmente sembra che l’obbiettivo sia un risarcimento milionario a fronte però di evidenze tutt’altro che accertate

    RISPOSTA – Il governo canadese ha pagato ai “sopravvissuti” delle scuole residenziali somme enormi, si comprende di più perché i leader indigeni vogliano ottenere lo stesso dalla Chiesa cattolica.

    Al netto di ciò, tuttavia, gli aborigeni hanno certamente molte lamentele da rivolgere al governo ed al popolo canadese.

    fonte UCCR


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