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De viris illustribus

   

Il De Viris Illustribus, scritto nel 392, intendeva emulare le "Vite" svetoniane dimostrando come la nuova letteratura cristiana fosse in grado di porsi sullo stesso piano delle opere classiche. In esso sono presentate le biografie di 135 autori in prevalenza cristiani (ortodossi ed eterodossi), ma anche ebrei e pagani, che però hanno avuto a che fare con il cristianesimo, con uno scopo dichiaratamente apologetico:

  « Sappiano Celso, Porfirio, Giuliano, questi cani arrabbiati contro Cristo, così come i loro seguaci che pensano che la Chiesa non ha mai avuto oratori, filosofi e colti dottori, sappiano quali uomini di valore l'hanno fondata, edificata, illustrata, e cessino le loro accuse sommarie di semplicità rozza rivolte alla nostra fede, e riconoscano piuttosto la loro ignoranza »
 
(Prologo, 14)

Le biografie hanno inizio da Pietro apostolo e terminano allo stesso Girolamo ma, mentre nelle successive Girolamo elabora conoscenze personali, le prime 78 sono frutto di conoscenze di seconda mano non sempre completamente affidabili, tra cui Eusebio di Cesarea.

L'opera venne talora indicata da Girolamo stesso col titolo "De scriptoribus ecclesiasticis".

Altre opere

  • De Virginitate Beatae Mariae[1]

Culto

Il Martirologio romano ricorda san Girolamo il 30 settembre.

Per la sua attività di traduttore della Bibbia viene considerato santo protettore dei traduttori e per i suoi studi legati all'antichità è considerato il patrono degli archeologi.

Numerose chiese storiche sono state dedicate a san Girolamo. Vari ordini religiosi e congregazioni si sono ispirati esplicitamente al santo. Tra questi:

La figura di san Girolamo fu commemorata da papa Benedetto XV con l'enciclica Spiritus Paraclitus, scritta il 15 settembre 1920 in occasione del XV centenario della morte.

Iconografia

La Visione di san Girolamo di Louis Cretey, XVII secolo, olio su tela, 150,5 x 127 cm, collezione privata.

Esistono due iconografie principali di Girolamo: una con l'abito cardinalizio e con il libro della Vulgata in mano, oppure intento nello studio della Scrittura. Un'altra nel deserto, o nella grotta di Betlemme, dove si era ritirato sia per vivere la sua vocazione da eremita sia per attendere alla traduzione della Bibbia, in questo secondo caso viene mostrato senza l'abito e con il cappello cardinalizio gettato in terra a simbolo della sua rinuncia agli onori. Spesso si vede il leone a cui tolse la spina dal piede e, magari, un crocifisso a cui rivolgere l'adorazione, un teschio come simbolo di penitenza o la pietra con cui soleva battersi il petto.

Sebbene l'abito rosso da cardinale sia stato molto usato nelle rappresentazioni pittoriche del santo, non è storicamente confermato che egli sia stato effettivamente un cardinale.