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Il martirio

L'impero era circondato da orde di barbari che si riversavano dentro da tutte le direzioni. Il pericolo fu il segnale di partenza per una recrudescenza della persecuzione dell'imperatore Valeriano. Ad Alessandria, San Dionisio fu mandato in esilio. Il 30 agosto 257, Cipriano fu condotto di fronte al Proconsole Paterno nel suo secretarium. Il suo interrogatorio è tuttora esistente e forma la prima parte degli Acta proconsularia del suo martirio. Cipriano si proclamò cristiano e vescovo. Disse che serviva un solo Dio che pregava giorno e notte per tutti gli uomini e per la salvezza dell'imperatore. "Perseveri in questo?" gli chiese Paterno. "Una buona volontà che conosce Dio non può essere cambiata." "Vuoi, quindi, andare in esilio a Curubis?" "Vado." Paterno, allora, gli chiese i nomi degli altri presbiteri, ma Cipriano rispose che la delazione era proibita dalle leggi e che comunque non sarebbe stato difficile trovarli nelle loro città. A settembre si recò a Curubis, accompagnato da Ponzio. La città era isolata, ma Ponzio riportava che era assolata e piacevole, che vi si recavano molti visitatori e che i cittadini erano pieni di gentilezze. In un lungo brano narrava anche del sogno fatto da Cipriano la prima notte di esilio: era al cospetto del proconsole e veniva condannato a morte, ma, su sua richiesta, l'esecuzione veniva rimandata al giorno successivo. Si risvegliò nel terrore, ma una volta sveglio attese quel giorno, che giunse nell'anniversario del sogno, con calma. In Numidia le misure erano più severe. Cipriano scrisse a nove vescovi condannati ai lavori forzati, con la metà dei loro capelli tagliati e con cibo e vestiario insufficienti. Era ancora ricco ed in grado di aiutarli. Le loro risposte si sono conservate ed esistono anche gli Atti autentici di parecchi martiri africani che patirono il martirio poco dopo Cipriano.

Nell'agosto 258, Cipriano seppe che papa Sisto II era stato messo a morte nelle catacombe il giorno 6 dello stesso mese, insieme a quattro dei suoi diaconi. In conseguenza del nuovo editto i vescovi, i presbiteri ed i diaconi avrebbero dovuto essere immediatamente messi a morte; i senatori, i cavalieri e gli altri notabili avrebbero dovuto perdere i loro beni e, qualora persistessero, avrebbero dovuto essere messi a morte; le matrone avrebbero dovuto essere esiliate; i Caesarianes (ufficiali del fiscus) avrebbero dovuto essere resi schiavi. Galerio Massimo, il successore di Paterno, fece tornare Cipriano a Cartagine e qui, nei suoi giardini, il vescovo attese la sentenza finale. Molti personaggi in vista lo invitarono a scappare, ma il suo sogno non aveva previsto questa eventualità ed inoltre voleva soprattutto rimanere per esortare gli altri. Tuttavia, piuttosto che obbedire alla convocazione del proconsole ad Utica, si nascose. Aveva, infatti, dichiarato che per un vescovo era giusto morire nella propria città. Al ritorno di Galerio a Cartagine, Cipriano fu tradotto dai suoi giardini da due Principes in un carro, ma il proconsole era malato e Cipriano passò la notte nella casa di uno dei due principes in compagnia dei suoi amici. Di quanto accadde in seguito esiste una vaga descrizione di Ponzio ed un dettagliato resoconto negli "Atti proconsolari". La mattina del 14, per ordine delle autorità, una folla si riunì presso "la villa di Sesto". Cipriano fu processato in quel luogo. Si rifiutò di sacrificare agli dei pagani ed aggiunse che in questa materia non si doveva pensare alle conseguenze. Il proconsole lesse la sua condanna e la moltitudine pianse, "Lascia che siamo decapitati insieme a lui!"

Fu gettato a terra in una cavità circondata da alberi, su cui molte persone si erano arrampicate. Cipriano si tolse il mantello ed inginocchiatosi iniziò a pregare. Poi si tolse la dalmatica e la diede ai suoi diaconi. Rimase in piedi vestito della sola tunica in attesa del carnefice, al quale ordinò fossero dati 25 pezzi d'oro. I confratelli lanciarono panni e fazzoletti davanti a lui per assorbire il suo sangue. Egli si bendò gli occhi con l'aiuto di un presbitero e di un diacono, entrambi chiamati Giulio. Così avvenne il suo martirio. Per il resto del giorno il suo corpo fu esposto per soddisfare la curiosità dei pagani. Ma la notte, i confratelli, con candele e torce, lo portarono pregando al cimitero di Macrobius Candidianus nei sobborghi di Mapalia. Fu il primo vescovo di Cartagine ad ottenere la corona del martirio.

La sua lotta contro la corruzione e il suo carattere caritatevole e incline al buon senso facilitarono la sua santificazione, avvenuta pochi mesi dopo il suo decesso. Sant'Agostino d'Ippona lo ammirò profondamente sia sotto il profilo umano che sotto quello teologico (di lui scrisse: Beatus Cyprianus velut olĕum decurrens in omnem suavitatem).

Le opere

Nelle sue opere, Cipriano si rivolgeva ad un pubblico cristiano; il suo fervore aveva libero gioco, il suo stile era semplice, anche se impetuoso ed a volte poetico, per non dire fiorito. Pur senza essere classico, il suo stile era corretto per la sua epoca ed il ritmo con cui cadenzava le frasi era rigoroso e comune a tutte le sue opere migliori. Nel complesso, la bellezza del suo stile raramente fu eguagliata dai padri latini e fu sorpassata solo dall'energia e dallo spirito di San Girolamo. San Cipriano fu il primo grande scrittore cristiano in latino, dato che Tertulliano cadde nell'eresia ed il suo stile era aspro e complesso. Fino ai giorni di Girolamo e di Agostino, le opere di Cipriano non ebbero rivali in tutto l'occidente.

  • La prima opera cristiana di Cipriano fu Ad Donatum, un monologo rivolto ad un amico, seduto sotto una pergola di vite. Qui narrava di come, fino a che la Grazia divina non lo aveva illuminato e rafforzato, gli era sembrato impossibile vincere il vizio; descriveva la decadenza della società romana, gli spettacoli gladiatorii, il teatro, i tribunali ingiusti, la vuotezza del successo politico; e forniva come unica soluzione la mite vita di studio e di preghiera del cristiano. All'inizio dell'opera dovrebbero essere, probabilmente, posizionate le poche parole di Donato a Cipriano, che Hartel classificò come lettera spuria. Lo stile di questo pamphlet è influenzato da quello di Ponzio. Non è brillante come quello di Tertulliano, ma riflette i preziosismi di Apuleio.
  • Una seconda opera degli inizi fu il Testimonia ad Quirinum, in tre libri. L'opera è composta da brani Scritturali organizzati in capitoli per illustrare il superamento dell'Antico Testamento ed il relativo compimento in Cristo. Un terzo libro, aggiunto successivamente, contiene testi sull'etica cristiana. L'opera riveste un'importanza fondamentale per lo studio della storia delle vecchie versioni latine della Bibbia. Essa fornisce un testo africano strettamente correlato a quello del manoscritto di Bobbio noto come K (Torino). L'edizione del Hartel proviene da un manoscritto che contiene una versione modificata, ma la versione di Cipriano può essere ragionevolmente desunta dal manoscritto citato nelle note come L.
  • Un altro libro di brani sul martirio fu Ad Fortunatum, il cui testo esiste solo in antichi manoscritti.
  • Un'opera sulla semplicità degli abiti propria delle vergini consacrate (De habitu virginum).
  • Un pamphlet intitolato "Della mortalità", composto in occasione della peste che colpì Cartagine nel 252, quando Cipriano organizzò un gruppo di persone e trovò molti fondi per la cura dei malati e la sepoltura dei morti.
  • Un'altra opera intitolata "Dell'elemosina", in cui spiegava il suo carattere cristiano, la sua necessità ed il suo valore appagante, forse scritta, secondo Watson, in risposta alla calunnia che i suoi regali sontuosi erano tentativi di corruzione per portare le persone dalla sua parte.
  • Soltanto una delle sue opere si caratterizza come pungente, quella intitolata Ad Demetrianum, con la quale rispondeva in maniera piuttosto stizzita all'accusa di un pagano che i cristiani avevano portato la peste sul mondo.
  • Una breve opera intitolata "Della pazienza", scritta durante la polemica battesimale.
  • Una breve opera intitolata "Della rivalità e dell'invidia", scritta durante la polemica battesimale.
  • La corrispondenza di Cipriano consiste di 81 lettere, 62 delle quali sono sue e tre scritte a nome di concili. Da questa ampia raccolta si ottiene una chiara fotografia dei suoi tempi. La prima raccolta dei suoi scritti dovette essere fatta poco prima o subito dopo la sua morte, poiché era nota a Ponzio. Era composta da dieci trattati e da sette lettere sul martirio. A questi furono aggiunte, in Africa, una serie di lettere sulla questione battesimale e, a Roma, sembra, la corrispondenza con Cornelio, tranne l'Ep. XLVII. Altre lettere furono aggiunte successivamente, comprese le lettere a Cipriano o altre a lui collegate, le sue raccolte di testimonianze e molte altre opere spurie.

Dottrina

Il poco che può essere desunto da san Cipriano sulla Trinità e sull'Incarnazione, in base agli standard successivi, era corretto. Sulla rigenerazione battesimale, sulla reale presenza di Cristo nell'Eucaristia e sul sacrificio della messa, la sua fede veniva confessata chiaramente e ripetutamente, particolarmente nell'Ep. LXIV sul battesimo infantile e nell'Ep. LXIII sul calice misto, scritta contro l'abitudine sacrilega di usare acqua senza vino per la messa. Sulla penitenza è chiaro, come in tutti gli antichi, che per coloro che furono separati dalla chiesa dal peccato non ci potesse essere ritorno senza un'umile confessione (exomologesis apud sacerdotes), seguita dalla remissio facta per sacerdotes. Il ministro di questo sacramento era il sacerdos per eccellenza, il vescovo; ma i presbiteri potevano amministrarlo in conformità a quanto da lui stabilito e, in caso di necessità, i lapsi potevano essere riabilitati da un diacono. Non aggiungeva, come dovremmo fare oggi, che, in questo caso, non ci sarebbe sacramento; tali distinzioni teologiche non gli erano confacenti. Nella chiesa occidentale del III secolo non c'era che un abbozzo di legge canonica. Secondo Cipriano, ogni vescovo rispondeva solamente a Dio delle sue azioni, anche se si sarebbe dovuto avvalere della consulenza del clero e del laicato in tutte le questioni importanti. Il vescovo di Cartagine aveva una posizione privilegiata come capo onorario di tutti i vescovi delle province dell'Africa Proconsolare, di Numidia e della Mauretania, che erano circa cento; ma non aveva una reale giurisdizione su di loro. Sembra, inoltre, che si riunissero ad ogni primavera a Cartagine, ma le loro decisioni conciliari non avevano forza di legge. Se un vescovo fosse caduto nell'apostasia, fosse diventato eretico o avesse commesso un peccato grave, poteva essere deposto dai suoi comprovinciali o dal papa stesso. Cipriano, probabilmente, riteneva che le questioni sull'eresia fossero sempre troppo evidenti per avere bisogno di molte discussioni. È certo che dove era interessata la disciplina interna pensava che Roma non dovesse interferire e che l'uniformità non era desiderabile.

Analizzando la sua dottrina, tuttavia, si deve tenere sempre presente che la sua esperienza come cristiano era di breve durata: era diventato vescovo subito dopo la conversione, non aveva avuto da studiare opere cristiane oltre alle Sacre Scritture ed a quelle di Tertulliano. Evidentemente non comprendeva il greco e, probabilmente, non era a conoscenza della traduzione di Sant'Ireneo di Lione. Roma, per lui, era il centro dell'unità della chiesa; era inaccessibile alle eresie che avevano inutilmente battuto alla sua porta per oltre un secolo. Era la sede di Pietro, che era il prototipo del vescovo, il primo degli Apostoli. Le divergenze di opinione fra i vescovi sul legittimo occupante della sede di Arles o di Emerita non portavano ad una frattura, ma vescovi rivali a Roma dividevano la chiesa ed essere in comunione con quello sbagliato significava essere scismatici. È controverso se ai suoi tempi la castità dei presbiteri fosse obbligatoria o soltanto fortemente auspicabile. Le vergini consacrate, comunque, erano, per lui, il fiore all'occhiello del suo gregge, i gioielli della chiesa in mezzo all'immoralità del paganesimo.

Culto

Dal Martirologio Romano:

  « 14 settembre - A Cartagine, passione di S. Cipriano, vescovo, illustre per santità e dottrina, che resse con maestria la Chiesa in tempi funestissimi, incoraggiò i confessori della fede nelle tribolazioni, e, dopo un duro esilio, regnanti Valeriano e Gallieno, consumò il suo martirio di fronte a moltissime persone, ucciso con la spada per volontà del proconsole. La sua memoria si celebra il giorno seguente. »

Il Santo è patrono del paese di Oliveto Lucano, in provincia di Matera, che in suo onore ogni anno nei giorni che vanno dal 10 al 12 Agosto celebra l'antichissima tradizione del "Maggio" [2].