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Nel giugno 1997 i ricercatori dello Human Population Laboratory della California hanno analizzato il sodalizio -già ampiamente provato- tra partecipazione alle funzioni religiose e il basso tasso di mortalità, allo scopo di determinare se questa associazione è spiegata dalla vita più salutare e le migliori relazioni sociali di cui giovano i cosiddetti “frequentanti frequenti”, cioè coloro che frequentano la chiesa più di una volta a settimana. Lo studio si è bastao su 5.386 soggetti sopra i 28 anni. Ancora una volta è emerso che i “frequentanti frequenti” hanno tassi di mortalità inferiori rispetto ai “frequentanti infrequenti” (cioè coloro che frequentano la chiesa meno di una volta a settimana). Gli scienziati hanno rilevato che le persone più religiose avevano anche più probabilità di smettere di fumare, aumentare l’esercizio fisico, aument
  • are i contatti sociali e rimanere sposati. il basso tasso di mortalità per i “frequenti frequentanti” si spiega però solo in parte con lo stile di vita più salutare, la moltiplicazione dei contatti sociali e matrimoni più stabili. La questione rimane ancora aperta[1].

 

  • Nell’aprile 1998 sono apparsi i risultati di un nuovo studio della Duke University Medical Center sugli effetti della religione sulla salute negli anziani. Avere una fede religiosa può accelerare la guarigione dalla depressione nei pazienti più anziani, dicono i ricercatori. Su 87 pazienti depressi e ospedalizzati per patologie come malattie cardiache e ictus, quelli che presentavano un forte livello di “religiosità intrinseca” hanno recuperato più velocemente rispetto ai non religiosi. I risultati dello studio, finanziato dal National Institute of Mental Health, sono stati pubblicati sull’American Journal of Psychiatry. «Questo è il primo studio che dimostra come la fede religiosa di per sé, indipendentemente da un intervento medico e dalla qualità della vita, può aiutare gli anziani a recuperare da un grave disturbo mentale», ha dichiarato il dr. Harold Koenig, uno psichiatra della Duke University e autore principale dello studio. Infatti, mentre studi precedenti a questo hanno dimostrato un forte legame tra l’attività religiosa e la buona salute fisica e mentale, nessuno fino ad ora aveva dimostrato una relazione causa-effetto, per cui la fede religiosa di fatto accelera i tempi di recupero. Lo psichiatra ha teorizzato che le credenze religiose forniscano una visione del mondo, dell’uomo e della malattia che permette di comprendere e accettare meglio la sofferenza e la morte e che le credenze religiose forniscono una base per la stima di sé che è più resistente rispetto ad altre fonti di autostima – come i beni materiali o capacità fisiche – che diminuiscono con l’aumentare dell’età e del peggioramento di salute. Gli studi si basano sull’intervallo di tempo tra il novembre 1993 e il marzo 1996[2].