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5. L'insegnamento di Ireneo su Maria nuova Eva

Nella grande ricapitolazione, Cristo è il nuovo Adamo: quindi Maria è la nuova Eva.

Parallelamente si trova anche la Vergine Maria obbediente quando dice: "Ecco la tua serva, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38). Eva disobbedì, e fu disobbediente mentre era ancora vergine. Come Eva che pur avendo come marito Adamo era ancora vergine [...], disobbedendo divenne causa di morte per sé e per tutto il genere umano, così Maria, che pur avendo lo sposo che le era stato assegnato era ancora vergine, obbedendo divenne causa di salvezza per sé e per tutto il genere umano. Perciò la Legge chiama colei che era fidanzata a un uomo, benché sia ancora vergine, moglie di colui che l'aveva presa come fidanzata indicando il movimento a ritroso che va da Maria a Eva. [...] Così dunque il nodo della disobbedienza di Eva trovò soluzione grazie all'obbedienza di Maria. Ciò che Eva aveva legato per la sua incredulità, Maria l'ha sciolto per la sua fede. Era dunque necessario che il Signore, venendo dalla pecora perduta, facendo la ricapitolazione di una così grande economia e cercando la sua creatura, salvasse quello stesso uomo, che era stato fatto a sua immagine e somiglianza cioè Adamo, quando avesse compiuto i tempi della condanna, che gli era stata inflitta per la disobbedienza, [...] affinché Dio non fosse vinto e la sua arte non risultasse impotente (Ireneo, Contro le eresie, III, 22,4 - 23,1: Bellini cit., pp.289-290).

 

6. L'insegnamento di lreneo sull'uomo gloria di Dio

L'unità dell'intera storia di salvezza aiuta a comprendere anche l'unità dell'uomo salvato: l'uomo, spirito e materia, è infatti "gloria di Dio".

Il Verbo divenne dispensatore della grazia paterna a vantaggio degli uomini per i quali ha stabilito così grandi economie, mostrando Dio agli uomini e presentando l'uomo a Dio: salvaguardando l'invisibilità del Padre affinché l'uomo non divenisse disprezzatore di Dio e avesse sempre un punto verso il quale progredire, ma nello stesso tempo mostrando Dio visibile agli uomini per mezzo delle molte economie, affinché l'uomo, privo totalmente di Dio, non cessasse di esistere. Infatti la gloria di Dio è l'uomo vivente e la vita dell'uomo è la manifestazione di Dio (Ireneo, Contro le eresie, IV, 20,7: Bellini cit., p. 349).

 

7. L'insegnamento di Ireneo sull'eucaristia e sulla risurrezione della carne

In questa linea l'eucaristia ci manifesta l'unità fra creazione (pane e vino) e salvezza; e all'uomo, gloria di Dio in tutta la sua realtà umana, può aprirsi un futuro di risurrezione.

Vani sono in ogni modo quanti rifiutano tutta l'economia di Dio, negano la salvezza della carne e disprezzano la sua rigenerazione, dicendo che non è capace di accogliere l'incorruttibilità. Ora se essa non riceve la salvezza, senza dubbio il Signore non ci ha riscattati con il suo sangue, e il calice dell'Eucaristia non è la comunione del suo sangue né il pane che spezziamo è la comunione del suo corpo. Il sangue infatti proviene dalle vene, dalle carni e dalla restante sostanza umana, e appunto perché è divenuto veramente tutto questo, il Verbo di Dio ci ha riscattati con il suo sangue, come dice il suo Apostolo: "In lui abbiamo il riscatto mediante il suo sangue, la remissione dei peccati" (Col 1,14). E poiché siamo sue membra e siamo nutriti mediante la creazione - egli stesso ci procura la creazione, facendo sorgere il suo sole e mandando la pioggia come vuole - dichiarò che il calice proveniente dalla creazione è il suo proprio sangue e proclamò che il pane proveniente dalla creazione è il suo proprio corpo, con il quale si fortificano i nostri corpi. Se dunque il calice mescolato e il pane preparato ricevono la parola di Dio e divengono Eucaristia, cioè il sangue e il corpo di Cristo, e, se con essi si fortifica e si consolida la sostanza della nostra carne, come possono dire che la carne non è capace di ricevere il dono di Dio che è la vita eterna: la carne che si nutre del sangue e del corpo di Cristo ed è sue membra? Come il beato Apostolo dice nella sua lettera agli Efesini: "Siamo membra del suo corpo formati dalla sua carne e dalle sue ossa" (5,30), indicando con queste parole non un certo uomo spirituale e invisibile perché lo spirito non ha né ossa né carne, ma l'organismo veramente umano, composto di carne nervi e ossa, il quale è nutrito dal calice, che è il suo sangue, ed è fortificato dal pane, che è il suo corpo. E come il legno della vite collocato nella terra porta frutto a suo tempo, e il chicco del frumento caduto nella terra e dissolto risorge moltiplicato in virtù dello Spirito di Dio che sostiene tutte le cose - e poi grazie all'abilità umana sono trasformati a uso degli uomini e ricevendo la parola di Dio divengono Eucaristia, cioè il corpo ed il sangue di Cristo; così anche i nostri corpi, che si sono nutriti di essa, sono stati collocati nella terra e vi si sono dissolti, risorgeranno al loro tempo, perché il Verbo di Dio donerà loro la risurrezione per la gloria dì Dio Padre (Ireneo, Contro le eresie, V, 2, 2-3: Bellini cit., pp. 415-416).

 

8. I martiri di Lione

In chiusura qualche espressione dalla lettera sui martiri di Lione: Ireneo fu testimone di questi atteggiamenti, e ci sembra che anche per questo la sua stessa fede ci si sia rivelata così viva e forte.

Santo (diacono di Vienne) rispondeva, in lingua latina: "Sono cristiano". Questo, e soltanto questo, egli invariabilmente dichiarava quale nome, cittadinanza, stirpe, tutto: altro accento non udirono da lui i gentili. [...] Sicché applicarono alle sue parti più delicate lamine di bronzo incandescenti. Ed esse lo ustionavano, ma lui rimaneva diritto e inflessibile, saldo nella sua confessione di fede, irrorato e corroborato dalla fonte celeste dell'Acqua della Vita che sgorga dal ventre di Cristo (cfr. Gv 7,38; 19,34). La sua povera carne, tuttavia, portava testimonianza di quel che le veniva inflitto: era tutt'una piaga, tutt'un coagulo, tutta aggrinzita e irriconoscibile nella sua forma umana. E Cristo, patendo nella carne di lui, conseguì gloria grande, annientando l'Avversario e mostrando, quale esempio per tutti gli altri, che nulla è temibile dove c'è amore del Padre, che nulla è doloroso dove c'è gloria di Cristo. Dopo alcuni giorni gli empi torturarono di nuovo il martire, pensando che, se avessero applicato i medesimi strumenti di supplizio sulle sue carni che erano enfie e ustionate, avrebbero avuto ragione di lui, visto che non poteva sopportare neppure di essere sfiorato con la mano; e che altrimenti, se fosse perito sotto le torture, il fatto avrebbe atterrito gli altri. Quanto a lui, non gli accadde, invece, proprio niente del genere; anzi, contro ogni umana aspettativa, il misero corpo gli si sollevò e raddrizzò sotto i successivi tormenti e riacquistò il primitivo aspetto e l'uso delle membra, cosicché quella seconda tortura gli fu, per grazia di Cristo, non già supplizio ma rimedio. [...] Il beato Potino, cui era stato affidato il ministero vescovile di Lione, aveva superato i novant'anni di età, ed era alquanto debilitato nella persona: per infermità fisica di lunga data egli respirava a stento, eppure, rinvigorito dall'empito dell'animo suo che ardentemente bramava il martirio, lasciò che lo traducessero davanti al tribunale, il corpo affranto dalla vecchiaia così come dalla malattia, eppure l'anima entr'esso battagliava, perché attraverso di lei Cristo trionfasse. Scortato dinanzi al tribunale dai soldati e seguito dalle autorità civili e dall'intera moltitudine che gli levava contro ogni sorta di clamori quasi fosse Cristo in persona, egli pronunciò la retta testimonianza. [...] Lo gettarono in carcere che a stento respirava; dopo due giorni spirò. [...] Blandina dal canto suo, fu sospesa a una traversa e così offerta in selvaggia pastura alle fiere che le saltavano addosso. La sua figura sospesa sembrava, allo sguardo, aver forma di croce ed ella inoltre, col suo pregare vibrante, ispirava grande esaltazione nei compagni di martirio, che durante l'agone scorgevano anche con gli occhi del corpo, nella figura della consorella quella di colui che per loro era stato crocifisso, a convincere quanti hanno fede in lui che chiunque patisca per la gloria di Cristo ha perenne comunanza con il Dio vivente. E poiché sino a quel momento nessuna delle fiere era riuscita a toccarla, ella fu sciolta dalla trave e ricondotta in carcere e tenuta in serbo per un altro agone. [...] L'ultimo giorno dei ludi gladiatori fu di nuovo scortata al supplizio. [...] E dopo le sferze, dopo le fiere, dopo la graticola, ella fu infine imprigionata in una rete e gettata alla mercé di un toro; e, lanciata in alto diverse volte dall'animale, aveva perso ogni cognizione di quanto stava patendo, sospesa nella speranza e nell'aspettazione di ciò in cui confidava e assorbita nel colloquio con Cristo. E anch'ella fu fortificata, e gli stessi gentili riconobbero che mai e poi mai nella loro storia una donna aveva sopportato tali e tanti tormenti (Eusebio di Cesarea, Storia della Chiesa, V, 1,20-24.29.31.41-42.53.56: Atti e passioni dei martiri, Milano, Fondazione Lorenzo Valla - Arnoldo Mondadori Editore, 1987, pp.70-73, 74-77, 80-81, 86-89).