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IRENEO DI LIONE (130-202 d.C.)

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    00 02/06/2011 18:23

    Ireneo di Lione

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    Sant'Ireneo di Lione
    Sant'Ireneo di Lione
     

    Vescovo e martire

     
    Nascita 130
    Morte 202

     

     

     

    Ireneo (greco, Εá¼°ρηναá¿–ος, EirÄ“náios, «pacifico»; latino: Irenaeus; Smirne, 130Lione, 202) è stato un vescovo e teologo greco. La Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa lo venerano come santo e lo considerano uno dei padri della Chiesa. È ricordato il 28 giugno.


    Vita e opere

    Nato a Smirne in Asia Minore, cresciuto in una famiglia già cristiana, ricevette alla scuola di Policarpo vescovo di Smirne (discepolo dell'apostolo Giovanni), di Papia, di Melitone di Sardi ed altri, una buona formazione, religiosa, filosofica e teologica. Fu vescovo della città di Lugdunum (attuale Lione) dal 177, in seguito alla morte, per martirio sotto Marco Aurelio, del primo vescovo della città san Potino, insieme ad altri 47 martiri. Fu anche inviato a Roma presso papa Eleuterio per dirimere questioni di ordine dottrinale. Secondo la tradizione della Chiesa fu martire a sua volta, anche se scarse sono le notizie storiche sulla sua vita e morte. Venne sepolto nella chiesa di San Giovanni, che più tardi venne chiamata di Sant'Ireneo. La sua tomba e i suoi resti vennero distrutti nel 1562 dagli Ugonotti durante le guerre di religione.

    Il suo pensiero e le sue opere furono direttamente influenzati da Policarpo, che fu a suo tempo discepolo diretto di Giovanni Evangelista. Essi sono una testimonianza della tradizione apostolica, a quei tempi impegnata contro il proliferare di varie eresie, in particolare lo gnosticismo di cui Ireneo fu un forte oppositore. Delle sue opere ci sono pervenute per intero:
    - Adversus haereses (in 5 libri, Contro le eresie): testo in latino che tenta di confutare le principali espressioni dello gnosticismo. In sintesi, l'interesse del Vescovo era quello di confutare l'esistenza di due Cristi, uno di natura divina e l'altro di natura umana originati da due diversi eoni, idea questa molto cara alla gnosi. Di conseguenza, Ireneo di Lione insisterà sull'unicità ed unità della figura del Cristo.
    - e Demonstratio apostolicae praedicationis (Dimostrazione della predicazione apostolica), sintetica e precisa esposizione in armeno della dottrina cattolica. oltre a diversi frammenti, nelle edizioni moderne in genere pubblicati in appendice alle stesse. I curatori italiani delle sue opere sono Vittorino Dellagiacoma, Ubaldo Faldati, Ermanno M. Toniolo, Enzo Bellini, Elio Peretto, Giorgio Maschio o Augusto Cosentino.

    Uno dei suoi discepoli più noti è Ippolito di Roma.

    Pensiero

    Ireneo fu il primo teologo cristiano a tentare di elaborare una sintesi globale del cristianesimo.

    All'interno di un periodo storico marcato da due eventi culturali di grande spessore:

    • l'insorgere dello gnosticismo in ambito cristiano, la prima eresia in possesso di un buon impianto dottrinale che affascinava molti cristiani colti;
    • il diffondersi nel mondo pagano del neoplatonismo, filosofia di vasto respiro, che presentava molte affinità con il cristianesimo.

    Ireneo con la sua opera tentò di dare una risposta volta ad evidenziare i presunti errori contenuti nello gnosticismo, mentre nei confronti del neoplatonismo si aprì a un dialogo e fu disposto ad accogliere alcuni principi generali di questa filosofia.

    Fu il primo teologo cristiano ad utilizzare il principio della successione apostolica, per confutare i suoi oppositori. Proprio nell'Adversus Ireneo scrive:

    • La tradizione degli apostoli, manifesta in tutto quanto il mondo, si mostra in ogni Chiesa a tutti coloro che vogliono vedere la verità e noi possiamo enumerare i vescovi stabiliti dagli Apostoli nelle Chiese e i loro successori fino a noi… (Gli Apostoli) vollero infatti che fossero assolutamente perfetti e irreprensibili in tutto coloro che lasciavano come successori, trasmettendo loro la propria missione di insegnamento. Se essi avessero capito correttamente, ne avrebbero ricavato grande profitto; se invece fossero falliti, ne avrebbero ricavato un danno grandissimo (Adversus haereses, III, 3,1: PG 7,848).

    Ireneo indica pertanto la rete della successione apostolica come garanzia del perseverare nella parola del Signore e si concentra poi su quella Chiesa “somma ed antichissima ed a tutti nota” che è stata “fondata e costituita in Roma dai gloriosissimi Apostoli Pietro e Paolo”, dando rilievo alla Tradizione della fede, che in essa giunge fino a noi dagli Apostoli mediante le successioni dei vescovi. Ed è proprio la Tradizione apostolica il punto imprescindibile per Ireneo: sono i vescovi, in comunione con il vescovo di Roma, eredi, continuatori e custodi della Tradizione che è "pubblica", "unica", "pneumatica", cioè guidata dallo Spirito Santo. L'unità della storia della salvezza aiuta a comprendere anche l'unità dell'uomo: "Infatti la gloria di Dio è l'uomo vivente e la vita dell'uomo è la manifestazione di Dio" (Contro le eresie, IV, 20,7). In tal modo, per Ireneo e per la Chiesa universale, la successione episcopale della Chiesa di Roma diviene il segno, il criterio e la garanzia della trasmissione ininterrotta della fede apostolica:

    • “A questa Chiesa, per la sua peculiare principalità (propter potiorem principalitatem), è necessario che convenga ogni Chiesa, cioè i fedeli dovunque sparsi, poiché in essa la tradizione degli Apostoli è stata sempre conservata...” (Adversus haereses, III, 3, 2: PG 7,848).

    La successione apostolica - verificata sulla base della comunione con quella della Chiesa di Roma - è dunque il criterio della permanenza delle singole Chiese nella Tradizione della comune fede apostolica, che attraverso questo canale è potuta giungere fino a noi dalle origini:

    • “Con questo ordine e con questa successione è giunta fino a noi la tradizione che è nella Chiesa a partire dagli Apostoli e la predicazione della verità. E questa è la prova più completa che una e medesima è la fede vivificante degli Apostoli, che è stata conservata e trasmessa nella verità” (ib., III, 3, 3: PG 7,851).

    Ireneo e i Codici di Nag Hammadi

    Ireneo fornisce la prova storica dell'effettiva antichità di alcuni vangeli apocrifi, in particolare del Vangelo di Tommaso. Infatti fino al 1945, anno della scoperta dei codici di Nag Hammadi, l'unico riferimento all'esistenza di questo e di altri testi apocrifi erano le citazioni di Ireneo nelle sue polemiche contro i valentiniani.

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    00 02/06/2011 18:26
    Dal Primo libro "Contro le eresie" di s.Ireneo di Lione

    Marcione.
    I, 27,2 - Dopo di lui(Cerdone),   Marcione, uno del Ponto, andò oltre con spudorate ingiurie verso il Dio della Legge e dei profeti dicendolo autore del male, bellicoso, incostante nei suoi sentimenti e in contradizione con se stesso.
    Gesù avrebbe avuto per padre il Dio superiore al Creatore del mondo ed ai tempi in cui Ponzio Pilato, procuratore di Tiberio Cesare, era preside della Giudea, sarebbe apparso In sembianze d'uomo ai Giudei abolendo i profeti, la Legge e tutte le opere del Dio creatore che egli chiama Demiurgo.
    Inoltre, sforbiciando il Vangelo secondo Luca, togliendone tutto ciò che riguarda la genealogia davidica con la quale il Signore riconosce apertamente come suo Padre il creatore di questo universo (cfr. Lc. 10, 21), riuscì a convincere i suoi discepoli di essere più verace degli apostoli che trasmisero il vangelo, mettendo nelle loro mani un vangelo monco. Taglia pure le lettere di S. Paolo togliendo tutte le chiare affermazioni dell'apostolo riguardo a Dio creatore del mondo, che appunto è il Padre del Signore nostro Gesù Cristo e tutte le citazioni profetiche che si riferiscono all'avvento del Signore.

    I. 27, 3 - Si salverebbero solo le anime che hanno appreso la sua dottrina; i corpi non possono prender parte alla salvezza essendo composti dalla terra.
     Oltre tutte le (altre) ingiurie verso Dio aggiunga — proprio per ispirazione del diavolo che gli fa dire tutto il contrario della verità — che Caino e i suoi simili, i Sodomiti, gli Egiziani e quelli che li imitano e tutte le persone dalla condotta più perversa, sarebbero state salvate dal Signore quando discese all'inferno portando nel suo regno quelli che gli vennero incontro; invece, secondo il serpente (diavolo) che parlò in Marcione, Abele, Enoch, Noè, gli altri giusti e i discendenti da Àbramo insieme a tutti i profeti e quelli che piacquero a Dio, non sarebbero giunti alla salvezza appunto perché, sapendo che il loro Dio li tentava sempre, pensarono anche allora ad una tentazione e perciò non andarono incontro a Gesù e non credettero alla sua predicazione; e cosi le loro anime sarebbero rimaste nell'inferno.

    I, 27,4 - A costui che solo osò apertamente tagliare le Scritture e oltraggiare in modo singolarmente impudente il Dio di tutti, risponderemo a parte con i suoi stessi argomenti: con la grazia di Dio lo confuteremo con le parole degli apostoli e del Signore che egli riconosce.
    Ora dobbiamo ricordare un altro affinchè tu sappia che tutti quelli che in qualche modo adulterano la verità e contradicono alla dottrina della Chiesa sono discepoli e seguaci di Simon mago Samaritano. Benché non manifestino il nome del loro maestro per sedurre gli altri insegnano però la sua dottrina; presentando come esca il nome di Gesù introducono la empietà di Simone rovinando molti con la perversa diffusione della loro teoria sotto quel nome dolce e onorato: in questo modo presentano il veleno amaro e maligno del serpente, capo di ogni eresia.
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    00 02/06/2011 21:17

    "In realtà, la Chiesa, sebbene diffusa in tutto il mondo fino alle estremità della terra, avendo ricevuto dagli Apostoli e dai loro discepoli la fede..., conserva questa predicazione e questa fede con cura e, come se abitasse un'unica casa, vi crede in uno stesso identico modo, come se avesse una sola anima ed un cuore solo, e predica le verità della fede, le insegna e le trasmette con voce unanime, come se avesse una sola bocca", Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 1, 10, 1-2 (SC 264, 154-158; PG 7, 550-551).

    "Infatti, se le lingue nel mondo sono varie, il contenuto della Tradizione è però unico e identico. E non hanno altra fede o altra Tradizione né le Chiese che sono in Germania, né quelle che sono in Spagna, né quelle che sono presso i Celti (in Gallia), né quelle dell'Oriente, dell'Egitto, della Libia, né quelle che sono al centro del mondo", Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 1, 10, 2 (SC 264, 158-160; PG 7, 531-534).

    "Il messaggio della Chiesa è dunque veridico e solido, poiché essa addita a tutto il mondo una sola via di salvezza", Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 5, 20, 1 (SC 153, 254-256; PG 7, 1177).

    "Conserviamo con cura questa fede che abbiamo ricevuto dalla Chiesa, perché, sotto l'azione dello Spirito di Dio, essa, come un deposito di grande valore, chiuso in un vaso prezioso, continuamente ringiovanisce e fa ringiovanire anche il vaso che la contiene", Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses, 3, 24, 1 (SC 211, 472; PG 7, 966).

    "Dunque la tradizione degli apostoli manifestata in tutto quanto il mondo, possono vederla in ogni Chiesa tutti coloro che vogliono riscontrare la verità, così possiamo enumerare i vescovi stabiliti dagli apostoli nelle Chiese e i loro successori fino a noi. Ora essi non hanno insegnato né conosciuto misteri segreti, che avrebbero insegnato a parte e di nascosto ai perfetti, ma certamente prima di tutto li avrebbero trasmessi a coloro ai quali affidavano le Chiese stesse. Volevano infatti che fossero assolutamente perfetti e irreprensibili (cf. 1 Tm 3,2) in tutto coloro che lasciavano come successori, trasmettendo loro la propria missione di insegnamento. Se essi avessero capito correttamente, ne avrebbero ricavato grande profitto; se invece fossero falliti, ne avrebbero ricavato un danno grandissimo. Ma poiché sarebbe troppo lungo in quest'opera enumerare le successioni di tutte le Chiese, prenderemo la Chiesa grandissima e antichissima e a tutti nota, la Chiesa fondata e stabilita a Roma dai due gloriosi apostoli Pietro e Paolo. Mostrando la tradizione ricevuta dagli apostoli e la fede (cf. Rm 1,8) annunciata agli uomini che giunge fino a noi attraverso le successioni dei vescovi… Infatti con questa Chiesa, in ragione della sua origine più eccellente, deve necessariamente essere d'accordo ogni Chiesa, cioè i fedeli che vengono da ogni parte — essa nella quale per tutti gli uomini è sempre stata conservata la tradizione che viene dagli apostoli.

    Dunque, dopo aver fondato ed edificato la Chiesa, i beati apostoli affidarono a Lino il servizio dell'episcopato; di quel Lino Paolo fa menzione nelle lettere a Timoteo (cf. 2Tm 4, 21). A lui succede Anacleto. Dopo di lui, al terzo posto a partire dagli apostoli, riceve in sorte l'episcopato Clemente, il quale aveva visto gli apostoli stessi e si era incontrato con loro ed aveva ancora nelle orecchie la predicazione e davanti agli occhi la loro tradizione. E non era il solo, perché allora restavano ancora molti che erano stati ammaestrati dagli apostoli. Dunque, sotto questo Clemente, essendo sorto un contrasto non piccolo tra i fratelli di Corinto, la Chiesa di Roma inviò ai Corinzi un'importantissima lettera per riconciliarli nella pace, rinnovare la loro fede e annunciare la tradizione che aveva appena ricevuto dagli apostoli…

    A questo Clemente succede Evaristo e, ad Evaristo, Alessandro; poi, come sesto a partire dagli apostoli, fu stabilito Sisto; dopo di lui Telesforo, che dette la sua testimonianza gloriosamente; poi Igino, quindi Pio e dopo di lui Aniceto. Dopo che ad Aniceto fu succeduto Sotere, ora, al dodicesimo posto a partire dagli apostoli, tiene la funzione dell'episcopato Eleutero. Con quest'ordine e queste successioni è giunta fino a noi la tradizione che nella Chiesa a partire dagli apostoli è la predicazione della verità.

    E questa è la prova più completa che una e medesima è la fede vivificante degli apostoli, che è stata conservata e trasmessa nella verità", Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses 3, 3, 1-3.

    "La gloria di Dio dà la vita; perciò coloro che vedono Dio ricevono la vita. E per questo colui che é inintelligibile, incomprensibile e invisibile, si rende visibile, comprensibile e intelligibile dagli uomini, per dare la vita a coloro che lo comprendono e vedono. E' impossibile vivere se non si é ricevuta la vita, ma la vita non si ha che con la partecipazione all'essere divino. Orbene tale partecipazione consiste nel vedere Dio e godere della sua bontà. Gli uomini dunque vedranno Dio per vivere, e verranno resi immortali e divini in forza della visione di Dio. Questo, come ho detto prima, era stato rivelato dai profeti in figura, che cioé Dio sarebbe stato visto dagli uomini che portano il suo Spirito e attendono sempre la sua venuta. Così Mosé afferma nel Deuteronomio: Oggi abbiamo visto che Dio può parlare con l'uomo e l'uomo aver la vita (cfr. Dt 5, 24). Colui che opera tutto in tutti nella sua grandezza e potenza, é invisibile e indescrivibile a tutti gli essere da lui creati, non resta però sconosciuto; tutti infatti, per mezzo del suo Verbo, imparano che il Padre é unico Dio, che contiene tutte le cose e dà a tutte l'esistenza, come sta scritto nel vangelo: "Dio nessuno lo ha mai visto; proprio il Figlio Unigenito, che é nel seno del Padre, lui lo ha rivelato" (Gv 1, 18). Fin dal principio dunque il Figlio é il rivelatore del Padre, perché fin dal principio é con il Padre e ha mostrato al genere umano nel tempo più opportuno le visioni profetiche, la diversità dei carismi, i ministeri e la glorificazione del Padre secondo un disegno tutto ordine e armonia. E dove c'é ordine c'é anche armonia, e dove c'é armonia c'é anche tempo giusto, e dove c'é tempo giusto c'è anche beneficio. Per questo il Verbo si é fatto dispensatore della grazia del Padre per l'utilità degli uomini, in favore dei quali ha ordinato tutta l'economia della salvezza, mostrando Dio agli uomini e presentando l'uomo a Dio. Ha salvaguardato però l'invisibilità del Padre, perché l'uomo non disprezzi Dio e abbia sempre qualcosa a cui tendere. Al tempo stesso ha reso visibile Dio agli uomini con molti interventi provvidenziali, perché l'uomo non venisse privato completamente di Dio, e cadesse così nel suo nulla, perché l'uomo vivente é gloria di Dio e vita dell'uomo é la visione di Dio. Se infatti la rivelazione di Dio attraverso il creato dà la vita a tutti gli esseri che si trovano sulla terra, molto più la rivelazione del Padre che avviene tramite il Verbo é causa di vita per coloro che vedono Dio", Sant'Ireneo di Lione, Adversus haereses 4, 20, 5-7 (SC 100, 640-642. 644-648).
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    Coordin.
    00 07/06/2011 09:03

    4. Nello Spirito invochiamo il Padre

    Ma ora, è solo una parte del suo Spirito che noi riceviamo, per disporci in anticipo e prepararci all`incorruttibilità, abituandoci a poco a poco a comprendere e a portare Dio. E` ciò che l`Apostolo chiama «caparra» - cioè una parte soltanto di quell`onore che ci è stato promesso da Dio -, allorché nella lettera agli Efesini dice: "E` in lui che anche voi, dopo aver ascoltato la parola di verità, il vangelo della vostra salvezza, è in lui che, dopo aver creduto, voi siete stati segnati con il sigillo dello Spirito Santo della promessa, che è la caparra della vostra eredità" (Ef 1,13-14). Se dunque questa caparra, dimorando in noi ci rende già spirituali e se ciò che è mortale è assorbito dall`immortalità (cf. 2Cor 5,4) - infatti "quanto a voi", dice egli, "non siete nella carne, ma nello Spirito, se è vero che lo Spirito di Dio abita in voi" (Rm 8,9) -, e se, d`altra parte, ciò si realizza non con il rifiuto della carne, bensì per la comunione dello Spirito - in effetti coloro a cui egli scriveva non erano degli esseri disincarnati, ma persone che avevano ricevuto lo Spirito di Dio "nel quale gridiamo: Abba, Padre" (Rm 8,15) -; se dunque, fin da ora, per aver ricevuto questa caparra, noi gridiamo "Abba, Padre", che sarà quando, risuscitati, "lo vedremo a faccia a faccia" (1Cor 13,12)? Quando tutte le membra, a fiotti straripanti, faranno sgorgare un inno di esultanza, glorificando colui che li ha risuscitati dai morti e li ha gratificati della vita eterna? Infatti, se già una semplice caparra, avvolgendo in se stessa l`uomo da ogni parte, lo fa gridare: "Abba, Padre", cosa non farà la grazia intera dello Spirito, una volta data agli uomini da Dio? Essa ci renderà simili a lui e compirà la volontà del Padre, poichè farà l`uomo ad immagine e somiglianza di Dio (cf. Gen 1,26).

    (Ireneo di Lione, Adv. Haer. V, 8, 1)
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    00 11/04/2012 12:59

    Ireneo di Lione e la sua lotta contro lo Gnosticismo

     

    1. Ireneo di Lione e la sua vita

    Con il vescovo Ireneo entriamo nella Gallia: Lione è infatti la capitale delle Gallie (Belgica, Celtica, Aquitania). Del cristianesimo a Lione abbiamo testimonianza già nel 177, quando le Chiese di Lione e di Vienne sono soggette a una grave rivolta popolare: Eusebio di Cesarea ci ha conservato una lettera di questi martiri, testimonianza di prima mano che cita fra l'altro una dozzina di nomi di martiri. Troviamo Santo, diacono di Vienne, e Potino, vescovo di Lione, di cui Ireneo sarà successore. Ireneo, in quanto originario di Smirne ebbe in gioventù contatti con il vescovo Policarpo. Presbitero a Lione all'epoca della persecuzione, succede a Potino. Della sua vita gli storici ricordano il suo intervento pacificatore a Roma per la questione della data della Pasqua. Di lui ci sono pervenuti due scritti (in traduzione): in latino il Contro le eresie e in armeno la Dimostrazione della predicazione apostolica.

     

    2. Lo gnosticismo

    Con Ireneo prendiamo contatto con una delle più gravi crisi che la Chiesa antica dovette affrontare, cioè lo gnosticismo (da gnosi, cioè conoscenza). Lo gnosticismo è un movimento ampio e complesso, conosciuto proprio grazie alla descrizione dettagliata che ne ha dato Ireneo nella sua opera; da più di mezzo secolo (nel 1946) le nostre conoscenze sono state completate dalla scoperta di un'intera biblioteca gnostica a Nag-Hammadi. Lo gnosticismo, come dice il nome, è una conoscenza perfetta, ottenuta per rivelazione e illuminazione nel corso di una esperienza interiore. Questa rivelazione procura la salvezza, intesa come una rigenerazione, un ritorno al primitivo stato di integrità spirituale, libero dai legami del corpo e della materia, un ritorno all'"io originale" e al principio divino che lo costituisce: nonostante il suo esilio nel mondo materiale decaduto che cerca di catturarlo. Nello gnosticismo si crede a una caduta originaria avvenuta in un tempo precedente alla storia: l'anima divina (spirituale) originaria avrebbe infatti commesso una colpa mescolandosi col mondo di quaggiù, con la materia cattiva del corpo. Cogliamo in questa dottrina due aspetti errati e assai pericolosi: il dualismo (di stampo platonico) che vede il male nella materia (per cui lo gnostico non appartiene veramente a questo mondo, ma di lui, solo l'uomo interiore e spirituale può attingere la salvezza, liberandosi dalla materialità: altro che risurrezione dei corpi!), la redenzione che si attua secondo una conoscenza (comunque si intenda e ci si raffiguri il Cristo Salvatore, non interessa che abbia sparso il suo sangue per redimere l'umanità perché suo compito è rivelare ai predestinati la conoscenza salvifica che risvegli le loro coscienze addormentate sotto la materia). In più, questo procedimento è elitario: anzitutto perché pensa all'umanità divisa in tre tipi deterministicamente stabiliti: alcuni, gli spirituali, sono predestinati alla salvezza, alla luce; gli ilici (materiali) non possono attendersi alcuna "redenzione"; solo gli psychici ("animali") possono scegliere: questi ultimi (identificati con i credenti della "Grande Chiesa") appartengono a una categoria intermedia e possono aderire al bene o al male; "lo gnosticismo è elitario anche perché attinge a rivelazioni nascoste, in una trasmissione esoterica, privata non della "Grande Chiesa": si spiega qui la presenza nello gnosticismo di Scritture sacre specifiche del movimento, rivelazioni concesse solo agli iniziati... Nella complessità della faccenda, emerge un punto chiaro: Cristo, secondo loro, ha parlato a tutti nella sua vita quotidiana, mentre predicava in Palestina (e da queste sue parole sono nate le Scritture abitualmente accolte nelle Chiese), ma la vera rivelazione "illuminante" e spirituale Gesù la diede dopo, da risorto, e l'hanno raccolta appunto gli gnostici, lasciandola nei loro scritti segreti! Si comprende qui il fondamento della letteratura apocrifa di ispirazione gnostica. In analogia si comprende come, connesso al movimento gnostico, potesse sorgere Marcione di Sinope (Asia Minore), che rifiutava in blocco l'Antico Testamento: come si faceva a leggere le Scritture di quel Dio (Demiurgo) che aveva creato il mondo? Degli apocrifi gnostici si conoscono, fra l'altro, dei vangeli (provenienti da Nag-Hammadi): di Tommaso, di Maria (di Magdala), della verità di Filippo, poi il Libro segreto di Giovanni, l'Apocalisse di Pietro, La Rivelazione di Adamo al figlio Seth. Qualche espressione (iniziale) dal Vangelo della Verità:

    Il Vangelo di verità è gioia per coloro che dal Padre della verità hanno ricevuto la grazia di conoscerlo attraverso la potenza del Logos venuto dal Pleroma: il Logos è nel pensiero e nella mente del Padre, egli è chiamato "Salvatore" essendo questo il nome dell'opera che ha da portare a compimento per la salvezza di coloro che non conoscevano il Padre. Il nome del Vangelo è, infatti, un proclama di speranza, è una scoperta per coloro che lo cercano. Tutti infatti erano alla ricerca di colui dal quale erano usciti, e i tutti erano in lui, l'inafferrabile, l'incomprensibile, colui che è al di sopra di qualsiasi pensiero. L'ignoranza del Padre fu sorgente di angoscia e di paura. L'angoscia si è condensata come una caligine, sicché nessuno ha potuto vedere. [...] Mistero nascosto, Gesù Cristo, per mezzo del quale ha illuminato coloro che, a motivo dell'oblio, si trovavano nell'oscurità: li ha illuminati, ha indicato loro la via. E questa via è la verità che ha insegnato loro. Per questo motivo, l'errore si adirò contro di lui, lo perseguitò, lo maltrattò lo annichilì. Fu inchiodato a un legno, divenne frutto della conoscenza del Padre; ma per coloro che ne hanno mangiato non divenne causa di perdizione. Al contrario, per coloro che ne mangiarono divenne causa di gioia, a motivo della scoperta. Egli infatti li trovò in sé stesso, ed essi trovarono lui in se stessi (I vangeli gnostici. Vangeli di Tomaso, Maria, Verità, Filippo. A cura di Luigi Moraldi, Milano, Adelphi, 1984, pp.29-30).

    Queste dottrine costituivano una poderosa tentazione soprattutto per l'élite colta del mondo ellenistico di allora. Tutta una teologia sorgerà per arginarle e soprattutto per approfondire in senso "cristiano" le grandi verità della fede: ce ne interesseremo parlando di Origene. Ma prima si doveva "riassestare" la stessa compagine ecclesiale minata alla sua base: come garantire le Scritture autentiche? e, se le garantiamo a partire dalle comunità come identificare le comunità autentiche? È quanto si premura di chiarire Ireneo.

     

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    00 11/04/2012 13:00

    3. L'insegnamento di Ireneo sulla Tradizione degli apostoli

    La contestazione fondamentale di Ireneo allo gnosticismo riguarda la Tradizione della Chiesa: i garanti dell'autenticità della predicazione evangelica sono i vescovi, eredi e continuatori della missione degli apostoli e custodi della Tradizione da essi inaugurata.

    Il Signore di tutte le cose dette ai suoi apostoli il potere di annunziare il vangelo e attraverso di loro noi abbiamo conosciuto la verità cioè l'insegnamento del verbo di Dio. A loro il Signore disse: "Chi ascolta voi ascolta me e chi disprezza voi disprezza me e colui che mi ha inviato" (Lc 10,16). Non attraverso altri noi abbiamo conosciuto l'economia della nostra salvezza, ma attraverso coloro attraverso i quali il vangelo è giunto fino a noi. Quel vangelo essi allora lo predicarono, poi per la volontà di Dio ce lo trasmisero in alcune Scritture perché fosse "fondamento e colonna" (1 Tm 3,15) della nostra fede. Non si può dire che lo predicarono prima di aver ricevuto la "gnosi perfetta", come alcuni osano dire, vantandosi di essere correttori degli Apostoli. Infatti, dopo che il Signore fu risuscitato dai morti ed essi "furono investiti della potenza proveniente dall'alto grazie alla discesa dello Spirito Santo" (Lc 24,49), allora furono pieni di certezza su tutte le cose ed ebbero quindi anche la "gnosi perfetta"; andarono allora fino alle estremità della terra a predicare il Vangelo dei beni che ci vengono da Dio e ad annunciare agli uomini la pace celeste; essi avevano tutti insieme e ciascuno singolarmente il Vangelo di Dio (Ireneo Contro le eresie, III Prol.; I, 1; Ireneo di Lione, Contro le eresie e gli altri scritti. Introduzione, traduzione, note e indici a cura di Enzo Bellini, Milano, Jaca Book, 1981, p.216).

    Dalla predicazione degli Apostoli nelle varie Chiese, nasce quindi la Tradizione e la sua garanzia all'interno delle Chiese fondate dagli Apostoli: a partire dalla Chiesa di Roma fondata dagli apostoli Pietro e Paolo.

    La tradizione degli Apostoli, manifesta in tutto il mondo, può essere riscontrata in ogni Chiesa da coloro che vogliono conoscere la verità. Potremmo qui enumerare i vescovi stabiliti dagli Apostoli e i loro successori fino a noi: essi non insegnarono e non conobbero affatto ciò che costoro vanno delirando. Ora se gli Apostoli avessero conosciuto i "misteri segreti" e li avessero insegnati ai "perfetti" all'insaputa degli altri, li avrebbero confidati prima di tutto a quelli ai quali affidavano la Chiesa stessa. Volevano infatti che i loro successori, ai quali trasmettevano il loro stesso ufficio di maestri, fossero perfetti e in tutto irreprensibili, poiché, agendo bene, ne sarebbe venuta grande utilità a tutta la Chiesa mentre se fossero venuti meno ne sarebbero provenuti gravi danni. Ma poiché sarebbe troppo lungo enumerare in un volume come questo le successioni di tutte le Chiese, ci limiteremo alla Chiesa più grande e antica, a tutti nota fondata e costituita in Roma dai gloriosissimi Apostoli Pietro e Paolo e, indicando la sua tradizione, ricevuta dagli Apostoli e giunta fino a noi attraverso la successione dei suoi vescovi, confondiamo tutti quelli che per compiacenza di sé o vanagloria, per cecità o errore si allontanano dall'unità della Chiesa. Con questa Chiesa infatti, in ragione della sua origine più eccellente (propter potentiorem principalitatem), deve necessariamente accordarsi ogni Chiesa, cioè i fedeli di tutto il mondo, poiché in essa sempre è stata conservata la tradizione apostolica per tutti gli uomini (Ireneo, Contro le eresie, III, 3, 1-2: S.Ireneo di Lione, Contro Le eresie. A cura di V. Dellagiacoma, Cantagalli, Siena, 1993, I, pp. 231-227).

    Segue l'elenco dei vescovi di Roma da Pietro sino ai giorni di Ireneo. Poi Ireneo conclude:

    Con questo ordine e successione perviene fino noi nella Chiesa la tradizione apostolica e la predicazione della verità. Ciò prova pienamente che è stata conservata e trasmessa fedelmente dagli Apostoli la stessa unica vivifica fede (Ireneo, Contro le eresie, III, 3,3: Dellagiacoma cit., I, pp.231-237).

    Accanto a Roma, Ireneo ricorda altre Chiese apostoliche, cominciando da Smirne e da Policarpo:

    Possiamo riferirci anche a Policarpo. Egli non solo fu discepolo degli Apostoli e amico intimo di molti che avevano visto il Signore, ma fu dagli Apostoli stessi costituito vescovo della chiesa di Smirne in Asia. Io lo potei conoscere nella mia fanciullezza poiché ebbe una vita longeva ed era assai vecchio quando morì con glorioso e illustre martirio. Ora egli insegnò sempre ciò che aveva appreso dagli Apostoli e questa è ancora la dottrina trasmessa dalla Chiesa ed è l'unica vera. Questo affermano concordemente tutte le chiese dell'Asia e quelli che fino ad oggi succedettero a Policarpo (Ireneo, Contro le eresie, III, 3, 4: Dellagiacoma cit., I, pp. 231-237).

    Infine un'affermazione sulla garanzia della Tradizione apostolica in ordine alla verità della fede:

    Essendo le nostre prove così solide non è necessario cercare presso altri la verità che possiamo trovare facilmente nella Chiesa. Gli Apostoli, infatti, recarono come ad un ricco deposito tutto ciò che appartiene alla verità affinché chiunque lo desidera trovi qui la bevanda della vita (cfr. Ap 22,17). Di qui soltanto si entra nella vita: tutti gli altri dottori sono ladri e briganti che occorre evitare. Si deve invece amare ciò che viene dalla Chiesa e custodire la tradizione della verità. E se sorgesse qualche questione di dettaglio non si deve forse ricorrere alle Chiese più antiche, fondate dagli Apostoli, per sapere da loro quello che è certo e quello che è da abbandonare? E se gli Apostoli non ci avessero lasciato le Scritture, non si sarebbe forse dovuto seguire l'ordine della Tradizione da essi trasmessa a quelli ai quali affidavano le Chiese? (Ireneo, Contro le eresie, III, 4, 1: Dellagiacoma cit, I, pp. 237-237).

    Ricevendo il messaggio evangelico,la Chiesa ha tre compiti: fedeltà (custodire), adesione (credere), trasmissione (proclamare, insegnare, trasmettere).

    La Chiesa benché disseminata su tutto il mondo fino ai confini della terra, ricevette dagli apostoli e dai loro discepoli la fede in un solo Dio, Padre onnipotente, che ha fatto il cielo, la terra i mari e tutto ciò che è in essi; e in un solo Gesù Cristo, il Figlio di Dio incarnatosi per la nostra salvezza; e nello Spirito Santo, che per mezzo dei profeti ha annunciato le economie, le venute, la nascita della Vergine, la passione, il risveglio dai morti, l'assunzione al cielo nella carne del diletto Gesù Cristo nostro Signore e il ritorno dal cielo nella gloria del Padre, per "ricapitolare tutte le cose"  (Ef 1,10) e risuscitare ogni carne di tutta l'umanità. [...]  Ricevuto questo messaggio e questa fede, la Chiesa, benché disseminata in tutto il mondo, lo custodisce con cura come se abitasse una sola casa; allo stesso modo crede in queste verità; in pieno accordo queste verità proclama, insegna e trasmette, come se avesse una sola bocca. Le lingue del mondo sono diverse, ma la potenza della Tradizione è unica e la stessa. Né le Chiese fondate nelle Germanie hanno ricevuto o trasmesso una fede diversa; né quelle fondate nelle Spagne o tra i Celti o nelle regioni orientali o in Egitto o in Libia o nel centro del mondo. Ma come il sole, la creatura di Dio, è in tutto il mondo il solo e il medesimo, così la luce spirituale, il messaggio della verità dappertutto risplende e illumina tutti gli uomini che vogliono giungere alla conoscenza della verità. Né, tra i capi delle Chiese, colui che è molto abile nel parlare insegnerà dottrine diverse da queste (nessuno infatti è al di sopra del Maestro), né chi non è abile nel parlare impoverirà la Tradizione. Siccome la fede è una sola e sempre la stessa, né chi è molto abile nel parlare di essa l'arricchisce, né chi è poco abile la impoverisce (Ireneo, Contro le eresie ,I, 10, 1-2: Bellini cit., pp.73,74).

     

    4. L'insegnamento di Ireneo sulla ricapitolazione di Cristo nuovo Adamo

    Raccogliamo anche qualche testo di approfondimento sulle varie tematiche, che rispondono all'impostazione gnostica. Allo gnosticismo che divide Antico e Nuovo Testamento (il Dio creatore dal Dio Padre di Cristo), Ireneo oppone una meravigliosa teologia della storia che si articola dal primo al nuovo Adamo e che si impernia sul concetto di ricapitolazione.

    Quando il Figlio di Dio si incarnò e divenne uomo, ricapitolò in se stesso la lunga storia degli uomini, procurandoci in compendio la salvezza, affinché ricuperassimo in Cristo Gesù ciò che avevamo perduto in Adamo, cioè l'essere a immagine e somiglianza di Dio. Infatti, non essendo possibile che l'uomo, una volta vinto e spezzato dalla disobbedienza fosse plasmato di nuovo e ottenesse il premio della vittoria, ed essendo ugualmente impossibile che ricevesse la salvezza colui che era caduto sotto il peccato, il Figlio ha operato l'una e l'altra cosa: egli che era il Verbo di Dio, discese dal Padre e si incarnò, discese fino alla morte e portò a compimento l'economia della nostra salvezza. [...] Ora, se appariva come carne senza essere divenuto carne, la sua opera non era vera. Ma egli era ciò che appariva: Dio che ricapitola in sé la sua antica creatura, che è l'uomo, per uccidere il peccato, distruggere la morte e vivificare l'uomo. E per questo le sue opere sono vere. [...] Come il medico dà prova di sé in coloro che sono malati, così Dio si manifesta negli uomini. Perciò appunto Paolo dice: "Dio ha rinchiuso tutte le cose nell'incredulità per essere misericordioso con tutti" (Rm 11,32).  Questo lo diceva [...] dell'uomo che fu disobbediente a Dio e fu allontanato dall'immortalità, ma poi ottenne misericordia mediante il Figlio di Dio ricevendo l'adozione filiale che viene da lui. L'uomo infatti, avendo, senza orgoglio e iattanza, una giusta concezione delle cose che sono state create e di colui che le ha create - che è il Dio più potente di tutte le cose e che a tutte le cose ha concesso di esistere - e rimanendo nel suo amore nella sottomissione e nel ringraziamento, riceverà da lui una gloria maggiore, progredendo sino a divenire simile a Colui che è morto per lui. Infatti egli stesso si è fatto a somiglianza della carne del peccato per condannare il peccato e, dopo averlo così condannato, allontanarlo dalla carne e richiamare l'uomo alla sua somiglianza, assegnandolo a Dio come suo imitatore e riconducendolo al regno del Padre e augurandogli di vedere Dio e di comprendere il Padre: egli, il Verbo di Dio che abitò nell'uomo e divenne Figlio dell'uomo per abituare l'uomo ad accogliere Dio e abituare Dio ad abitare nell'uomo secondo il beneplacito del Padre. [...] Perciò Luca presenta una genealogia che va dalla nascita del Signore nostro fino ad Adamo e comprende settantadue generazioni: congiunge la fine al principio e dimostra che egli stesso ha ricapitolato in se stesso tutte le genti disseminate fin dal tempo di Adamo e tutte le lingue e generazioni umane insieme ad Adamo stesso (Ireneo, Contro le eresie, III, 18, 1-2.7; 20,2; 22,3: Bellini cit., pp.273,277-278,281,289).

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    00 11/04/2012 13:01

    5. L'insegnamento di Ireneo su Maria nuova Eva

    Nella grande ricapitolazione, Cristo è il nuovo Adamo: quindi Maria è la nuova Eva.

    Parallelamente si trova anche la Vergine Maria obbediente quando dice: "Ecco la tua serva, avvenga di me quello che hai detto" (Lc 1,38). Eva disobbedì, e fu disobbediente mentre era ancora vergine. Come Eva che pur avendo come marito Adamo era ancora vergine [...], disobbedendo divenne causa di morte per sé e per tutto il genere umano, così Maria, che pur avendo lo sposo che le era stato assegnato era ancora vergine, obbedendo divenne causa di salvezza per sé e per tutto il genere umano. Perciò la Legge chiama colei che era fidanzata a un uomo, benché sia ancora vergine, moglie di colui che l'aveva presa come fidanzata indicando il movimento a ritroso che va da Maria a Eva. [...] Così dunque il nodo della disobbedienza di Eva trovò soluzione grazie all'obbedienza di Maria. Ciò che Eva aveva legato per la sua incredulità, Maria l'ha sciolto per la sua fede. Era dunque necessario che il Signore, venendo dalla pecora perduta, facendo la ricapitolazione di una così grande economia e cercando la sua creatura, salvasse quello stesso uomo, che era stato fatto a sua immagine e somiglianza cioè Adamo, quando avesse compiuto i tempi della condanna, che gli era stata inflitta per la disobbedienza, [...] affinché Dio non fosse vinto e la sua arte non risultasse impotente (Ireneo, Contro le eresie, III, 22,4 - 23,1: Bellini cit., pp.289-290).

     

    6. L'insegnamento di lreneo sull'uomo gloria di Dio

    L'unità dell'intera storia di salvezza aiuta a comprendere anche l'unità dell'uomo salvato: l'uomo, spirito e materia, è infatti "gloria di Dio".

    Il Verbo divenne dispensatore della grazia paterna a vantaggio degli uomini per i quali ha stabilito così grandi economie, mostrando Dio agli uomini e presentando l'uomo a Dio: salvaguardando l'invisibilità del Padre affinché l'uomo non divenisse disprezzatore di Dio e avesse sempre un punto verso il quale progredire, ma nello stesso tempo mostrando Dio visibile agli uomini per mezzo delle molte economie, affinché l'uomo, privo totalmente di Dio, non cessasse di esistere. Infatti la gloria di Dio è l'uomo vivente e la vita dell'uomo è la manifestazione di Dio (Ireneo, Contro le eresie, IV, 20,7: Bellini cit., p. 349).

     

    7. L'insegnamento di Ireneo sull'eucaristia e sulla risurrezione della carne

    In questa linea l'eucaristia ci manifesta l'unità fra creazione (pane e vino) e salvezza; e all'uomo, gloria di Dio in tutta la sua realtà umana, può aprirsi un futuro di risurrezione.

    Vani sono in ogni modo quanti rifiutano tutta l'economia di Dio, negano la salvezza della carne e disprezzano la sua rigenerazione, dicendo che non è capace di accogliere l'incorruttibilità. Ora se essa non riceve la salvezza, senza dubbio il Signore non ci ha riscattati con il suo sangue, e il calice dell'Eucaristia non è la comunione del suo sangue né il pane che spezziamo è la comunione del suo corpo. Il sangue infatti proviene dalle vene, dalle carni e dalla restante sostanza umana, e appunto perché è divenuto veramente tutto questo, il Verbo di Dio ci ha riscattati con il suo sangue, come dice il suo Apostolo: "In lui abbiamo il riscatto mediante il suo sangue, la remissione dei peccati" (Col 1,14). E poiché siamo sue membra e siamo nutriti mediante la creazione - egli stesso ci procura la creazione, facendo sorgere il suo sole e mandando la pioggia come vuole - dichiarò che il calice proveniente dalla creazione è il suo proprio sangue e proclamò che il pane proveniente dalla creazione è il suo proprio corpo, con il quale si fortificano i nostri corpi. Se dunque il calice mescolato e il pane preparato ricevono la parola di Dio e divengono Eucaristia, cioè il sangue e il corpo di Cristo, e, se con essi si fortifica e si consolida la sostanza della nostra carne, come possono dire che la carne non è capace di ricevere il dono di Dio che è la vita eterna: la carne che si nutre del sangue e del corpo di Cristo ed è sue membra? Come il beato Apostolo dice nella sua lettera agli Efesini: "Siamo membra del suo corpo formati dalla sua carne e dalle sue ossa" (5,30), indicando con queste parole non un certo uomo spirituale e invisibile perché lo spirito non ha né ossa né carne, ma l'organismo veramente umano, composto di carne nervi e ossa, il quale è nutrito dal calice, che è il suo sangue, ed è fortificato dal pane, che è il suo corpo. E come il legno della vite collocato nella terra porta frutto a suo tempo, e il chicco del frumento caduto nella terra e dissolto risorge moltiplicato in virtù dello Spirito di Dio che sostiene tutte le cose - e poi grazie all'abilità umana sono trasformati a uso degli uomini e ricevendo la parola di Dio divengono Eucaristia, cioè il corpo ed il sangue di Cristo; così anche i nostri corpi, che si sono nutriti di essa, sono stati collocati nella terra e vi si sono dissolti, risorgeranno al loro tempo, perché il Verbo di Dio donerà loro la risurrezione per la gloria dì Dio Padre (Ireneo, Contro le eresie, V, 2, 2-3: Bellini cit., pp. 415-416).

     

    8. I martiri di Lione

    In chiusura qualche espressione dalla lettera sui martiri di Lione: Ireneo fu testimone di questi atteggiamenti, e ci sembra che anche per questo la sua stessa fede ci si sia rivelata così viva e forte.

    Santo (diacono di Vienne) rispondeva, in lingua latina: "Sono cristiano". Questo, e soltanto questo, egli invariabilmente dichiarava quale nome, cittadinanza, stirpe, tutto: altro accento non udirono da lui i gentili. [...] Sicché applicarono alle sue parti più delicate lamine di bronzo incandescenti. Ed esse lo ustionavano, ma lui rimaneva diritto e inflessibile, saldo nella sua confessione di fede, irrorato e corroborato dalla fonte celeste dell'Acqua della Vita che sgorga dal ventre di Cristo (cfr. Gv 7,38; 19,34). La sua povera carne, tuttavia, portava testimonianza di quel che le veniva inflitto: era tutt'una piaga, tutt'un coagulo, tutta aggrinzita e irriconoscibile nella sua forma umana. E Cristo, patendo nella carne di lui, conseguì gloria grande, annientando l'Avversario e mostrando, quale esempio per tutti gli altri, che nulla è temibile dove c'è amore del Padre, che nulla è doloroso dove c'è gloria di Cristo. Dopo alcuni giorni gli empi torturarono di nuovo il martire, pensando che, se avessero applicato i medesimi strumenti di supplizio sulle sue carni che erano enfie e ustionate, avrebbero avuto ragione di lui, visto che non poteva sopportare neppure di essere sfiorato con la mano; e che altrimenti, se fosse perito sotto le torture, il fatto avrebbe atterrito gli altri. Quanto a lui, non gli accadde, invece, proprio niente del genere; anzi, contro ogni umana aspettativa, il misero corpo gli si sollevò e raddrizzò sotto i successivi tormenti e riacquistò il primitivo aspetto e l'uso delle membra, cosicché quella seconda tortura gli fu, per grazia di Cristo, non già supplizio ma rimedio. [...] Il beato Potino, cui era stato affidato il ministero vescovile di Lione, aveva superato i novant'anni di età, ed era alquanto debilitato nella persona: per infermità fisica di lunga data egli respirava a stento, eppure, rinvigorito dall'empito dell'animo suo che ardentemente bramava il martirio, lasciò che lo traducessero davanti al tribunale, il corpo affranto dalla vecchiaia così come dalla malattia, eppure l'anima entr'esso battagliava, perché attraverso di lei Cristo trionfasse. Scortato dinanzi al tribunale dai soldati e seguito dalle autorità civili e dall'intera moltitudine che gli levava contro ogni sorta di clamori quasi fosse Cristo in persona, egli pronunciò la retta testimonianza. [...] Lo gettarono in carcere che a stento respirava; dopo due giorni spirò. [...] Blandina dal canto suo, fu sospesa a una traversa e così offerta in selvaggia pastura alle fiere che le saltavano addosso. La sua figura sospesa sembrava, allo sguardo, aver forma di croce ed ella inoltre, col suo pregare vibrante, ispirava grande esaltazione nei compagni di martirio, che durante l'agone scorgevano anche con gli occhi del corpo, nella figura della consorella quella di colui che per loro era stato crocifisso, a convincere quanti hanno fede in lui che chiunque patisca per la gloria di Cristo ha perenne comunanza con il Dio vivente. E poiché sino a quel momento nessuna delle fiere era riuscita a toccarla, ella fu sciolta dalla trave e ricondotta in carcere e tenuta in serbo per un altro agone. [...] L'ultimo giorno dei ludi gladiatori fu di nuovo scortata al supplizio. [...] E dopo le sferze, dopo le fiere, dopo la graticola, ella fu infine imprigionata in una rete e gettata alla mercé di un toro; e, lanciata in alto diverse volte dall'animale, aveva perso ogni cognizione di quanto stava patendo, sospesa nella speranza e nell'aspettazione di ciò in cui confidava e assorbita nel colloquio con Cristo. E anch'ella fu fortificata, e gli stessi gentili riconobbero che mai e poi mai nella loro storia una donna aveva sopportato tali e tanti tormenti (Eusebio di Cesarea, Storia della Chiesa, V, 1,20-24.29.31.41-42.53.56: Atti e passioni dei martiri, Milano, Fondazione Lorenzo Valla - Arnoldo Mondadori Editore, 1987, pp.70-73, 74-77, 80-81, 86-89).