La reazione dei nazisti, che solo all’ultimo minuto seppero dell’Enciclica e non potettero bloccarne la lettura nelle 11.500 chiese parrocchiali, fu di impedirne la diffusione successiva con rappresaglia di violenza inusitata, con una violenta propaganda contro Papa e Vescovi, con la ripresa di processi sommari per immoralità verso religiosi e preti cattolici, preparando la denuncia del Concordato, ed esigendo, il 29 maggio “ripari” dalla Santa Sede, mentre si mandava in ferie l’ambasciatore presso il Vaticano.
Pacelli non si impressionò, e nella nota di risposta del 24 giugno 1937 non si scusò, respinse ancora la politica tedesca e ritorceva l’accusa. Tuttavia, la reazione violenta, che aveva reso criticissime le condizioni della Chiesa tedesca, consigliò alla Santa Sede maggior prudenza e un’azione più silenziosa, sospendendo nell’estate del 1938 la guerra delle note .
La denuncia del Concordato da parte del Reich non avvenne, per motivi non chiariti : sicuramente perché negli ambienti della Cancelleria, data la forte presenza cattolica, e il programma di espansione progettato, non si giudicò ancora giunto il momento. Si procedette ad altri atti di rottura: divieto delle associazioni giovanili, soppressione delle scuole confessionali, non estensione del concordato ad Austria e Sudeti e ricusazione di nuovi accordi.
Quando avvenne la “notte dei cristalli” contro gli ebrei nel novembre 1938, Pacelli non giudicò, allo stesso modo di molte altre potenze, opportuno procedere ad un’inutile protesta ufficiale, che avrebbe violato il Concordato e impedito qualsiasi libertà alla Chiesa, come avveniva in Austria e nei Sudeti, dove le violenze naziste erano all’ordine del giorno, ma fece arrivare ai vescovi tedeschi l’esortazione a fare quanto possibile per salvare il salvabile, con la solidarietà concreta verso gli ebrei .
Il peggioramento dei rapporti con Hitler portò ad una divergenza nella Conferenza Episcopale Tedesca : mentre Preysing e Galen volevano contro il regime una mobilitazione costante dell’opinione pubblica in seguito alle violazioni del diritto, piuttosto che una “politica del ricorso” proposta da Bertram e seguita fino a quel momento, la maggioranza dei vescovi non era d’accordo, date le dure ritorsioni. La Santa Sede non intervenne nella questione, anche se Pacelli avrebbe voluto che si prestasse più ascolto a Galen e Preysing. Innegabile, comunque, agli occhi del mondo apparve la persecuzione della Chiesa cattolica e il dissidio papa-Hitler, e la non accettazione da parte della Chiesa del regime totalitario. Chiaro è che, una vittoria di Hitler, avrebbe costretto la Chiesa in una strada senza uscita, e come in Russia, avrebbe corso il rischio della distruzione .
Diversa, anche se parimenti asfissiante, era la situazione in Italia : qui il cardinale Pacelli e papa Ratti, che avevano molta più influenza e libertà d’azione, cercarono di limitare la portata delle leggi razziali, con azioni più decise e con proteste molto più chiare ed esplicite.
Sostanzialmente, le ricostruzioni di Ernesto Rossi sono abbastanza fedeli dal punto di vista storico, ma vanno completate ed inquadrate nella stessa problematica della politica estera vaticana. In Italia le proteste furono più vibranti, ma l’ottica della Santa Sede, cioè quella di ottenere risultati concreti più che giornalistici nei confronti degli ebrei, fu predominante. Si intervenne pubblicamente dove si poteva intervenire, come nel caso di argomenti sui matrimoni misti, sugli ebrei battezzati, ma in sostanza si intervenne con migliaia di azioni private, premendo su tutti gli “amici” della Santa Sede nelle forze armate, nel regime, nella burocrazia, nella Corona, sui Vescovi, su esponenti del clero.
Così, anche la formulazione contorta e controversa delle leggi razziali del 1938/39, le loro numerose eccezioni, l’idea stramba del “discriminare” più che perseguitare, favorì in molti casi un’azione positiva della Santa Sede verso gli ebrei, grazie al clima di ambiguità vige nte. Verso il governo italiano, nei confronti delle proteste del Duce, di Ciano e degli altri, si seguì la politica della “non contraddizione” ufficiale, e del lanciare falsi segnali con il silenzio ufficiale, del “non parlare” per “non far capire”. Così come verso il Von Weizsacher e il governo tedesco.
In questa situazione difficile, in cui le comunicazioni della Santa Sede, formalmente libere, erano di fatto controllate, i canali non ufficiali fecero comunque arrivare le direttive alla periferia.