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Capitolo XXXVI - I fratelli infermi

1.L'assistenza agli infermi deve avere la precedenza e la superiorità su tutto, in modo che essi siano serviti veramente come Cristo in persona, 2.il quale ha detto di sé: "Sono stato malato e mi avete visitato", 3.e: "Quello che avete fatto a uno di questi piccoli, lo avete fatto a me". 4.I malati però riflettano, a loro volta, che sono serviti per amore di Dio e non opprimano con eccessive pretese i fratelli che li assistono, 5.ma comunque bisogna sopportarli con grande pazienza, poiché per mezzo loro si acquista un merito più grande. 6.Quindi l'abate vigili con la massima attenzione perché non siano trascurati sotto alcun riguardo. 7.Per i monaci ammalati ci sia un locale apposito e un infermiere timorato di Dio, diligente e premuroso. 8.Si conceda loro l'uso dei bagni, tutte le volte che ciò si renderà necessario a scopo terapeutico; ai sani, invece, e specialmente ai più giovani venga consentito più raramente. 9.I malati più deboli avranno anche il permesso di mangiare carne per potersi rimettere in forze; però, appena ristabiliti, si astengano tutti dalla carne come al solito. 10.Ma la più grande preoccupazione dell'abate deve essere che gli infermi non siano trascurati dal cellerario e dai fratelli che li assistono, perché tutte le negligenze commesse dai suoi discepoli ricadono su di lui.



Capitolo XXXVII - I vecchi e i ragazzi

1.Benché la stessa natura umana sia portata alla compassione per queste due età, dei vecchi, cioè, e dei ragazzi, bisogna che se ne interessi anche l'autorità della Regola. 2.Si tenga sempre conto della loro fragilità e, per quanto riguarda i cibi, non siano affatto obbligati all'austerità della Regola, 3.Ma, con amorevole indulgenza, si conceda loro un anticipo sulle ore fissate per i pasti.



Capitolo XXXVIII - La lettura in refettorio

1.Alla mensa dei monaci non deve mai mancare la lettura, né è permesso di leggere a chiunque abbia preso a caso un libro qualsiasi, ma bisogna che ci sia un monaco incaricato della lettura, che inizi il suo compito alla domenica. 2.Dopo la Messa e la comunione, il lettore che entra in funzione si raccomandi nel coro alle preghiere dei fratelli, perché Dio lo tenga lontano da ogni tentazione di vanità; 3.e tutti ripetano per tre volte il versetto: "Signore apri le mie labbra e la mia bocca annunzierà la tua lode", che è stato intonato dal lettore stesso, 4.il quale, dopo aver ricevuta così la benedizione, potrà iniziare il proprio turno. 5.Nel refettorio regni un profondo silenzio, in modo che non si senta alcun bisbiglio o voce, all'infuori di quella del lettore. 6.I fratelli si porgano a vicenda il necessario per mangiare e per bere, senza che ci sia bisogno di chiedere nulla. 7.Se poi proprio occorresse qualche cosa, invece che con la voce, si chieda con un leggero rumore che serva da richiamo. 8.E nessuno si permetta di fare delle domande sulla lettura o su qualsiasi altro argomento, per non offrire occasione di parlare, 9.a meno che il superiore non ritenga opportuno di dire poche parole di edificazione. 10.Prima di iniziare la lettura, il monaco di turno prenda un po' di vino aromatico, sia per rispetto alla santa Comunione, sia per evitare che il digiuno gli pesi troppo, 11.e poi mangi con i fratelli che prestano servizio in cucina e in refettorio. 12.Però i monaci non devono leggere e cantare tutti secondo l'ordine di anzianità, ma questo incarico va affidato solo a coloro che sono in grado di edificare i propri ascoltatori.



Capitolo XXXIX - La misura del cibo

1.Volendo tenere il debito conto delle necessità individuali, riteniamo che per il pranzo quotidiano fissato - a seconda delle stagioni - dopo Sesta o dopo Nona, siano sufficienti due pietanze cotte, 2.in modo che chi eventualmente non fosse in condizioni di prenderne una, possa servirsi dell'altra. 3.Dunque a tutti i fratelli devono bastare due pietanze cotte e se ci sarà la possibilità di procurarsi della frutta o dei legumi freschi, se ne aggiunga una terza. 4.Quanto al pane penso che basti un chilo abbondante al giorno, sia quando c'è un solo pasto, che quando c'è pranzo e cena. 5.In quest'ultimo caso il cellerario ne metta da parte un terzo per distribuirlo a cena. 6.Nel caso che il lavoro quotidiano sia stato più gravoso del solito, se l'abate lo riterrà opportuno, avrà piena facoltà di aggiungere un piccolo supplemento, 7.purché si eviti assolutamente ogni abuso e il monaco si guardi dall'ingordigia. 8.Perché nulla è tanto sconveniente per un cristiano, quanto gli eccessi della tavola, 9.come dice lo stesso nostro Signore: "State attenti che il vostro cuore non sia appesantito dal troppo cibo". 10.Quanto poi ai ragazzi più piccoli, non si serva loro la medesima porzione, ma una quantità minore, salvaguardando in tutto la sobrietà. 11.Tutti infine si astengano assolutamente dalla carne di quadrupedi, a eccezione dei malati molto deboli.



Capitolo XL - La misura del vino

1."Ciascuno ha da Dio il proprio dono, chi in un modo, chi in un altro" 2.ed è questo il motivo per cui fissiamo la quantità del vitto altrui con una certa perplessità. 3.Tuttavia, tenendo conto della cagionevole costituzione dei più gracili, crediamo che a tutti possa bastare un quarto di vino a testa. 4.Quanto ai fratelli che hanno ricevuto da Dio la forza di astenersene completamente, sappiano che ne riceveranno una particolare ricompensa. 5.Se però le esigenze locali o il lavoro o la calura estiva richiedessero una maggiore quantità, sia in facoltà del superiore concederla, badando sempre a evitare la sazietà e ancor più l'ubriachezza. 6.Per quanto si legga che il vino non è fatto per i monaci, siccome oggi non è facile convincerli di questo, mettiamoci almeno d'accordo sulla necessità di non bere fino alla sazietà, ma più moderatamente, 7.perché "il vino fa apostatare i saggi". 8.I monaci poi che risiedono in località nelle quali è impossibile procurarsi la suddetta misura, ma se ne trova solo una quantità molto minore o addirittura nulla, benedicano Dio e non mormorino: 9.è questo soprattutto che mi preme di raccomandare, che si guardino dalla mormorazione.



Capitolo XLI - L'orario dei pasti

1.Dalla santa Pasqua fino a Pentecoste i fratelli pranzino all'ora di Sesta, cioè a mezzogiorno, e cenino la sera. 2.Invece da Pentecoste in poi, per tutta l'estate, se non sono impegnati nei lavori agricoli o sfibrati dalla calura estiva, al mercoledì e al venerdì digiunino sino all'ora di Nona, cioè fin dopo le 14 3.e negli altri giorni pranzino all'ora di Sesta. 4.Ma nel caso che abbiano da lavorare nei campi o che il caldo sia eccessivo, potranno pranzare tutti i giorni alle 12, secondo quanto stabilirà paternamente l'abate. 5.Così questi regoli e disponga tutto in modo che le anime si salvino e i monaci possano compiere il proprio dovere senza un motivo fondato di mormorazione. 6.Dal 14 settembre fino all'inizio della Quaresima pranzino sempre all'ora di Nona. 7.Durante la Quaresima, poi, fino a Pasqua pranzino all'ora di Vespro: 8.questo Ufficio però dev'essere celebrato a un'ora tale da non aver bisogno di accendere il lume durante il pranzo e poter terminare mentre è ancora giorno. 9.Anzi, in ogni stagione, sia l'ora del pranzo che quella della cena devono essere fissate in maniera che tutto si possa fare con la luce del sole.



Capitolo XLII - Il silenzio dopo compieta

1.I monaci devono custodire sempre il silenzio con amore, ma soprattutto durante la notte. 2.Perciò in ogni periodo dell'anno, sia di digiuno oppure no, si procederà nel modo seguente: 3.se non si digiuna, appena alzati da cena, i monaci si riuniscano tutti insieme e uno di loro legga le Conferenze o le Vite dei Padri o qualche altra opera di edificazione, 4.ma non i primi sette libri della Bibbia e neppure quelli dei Re, perché ai temperamenti impressionabili non fa bene ascoltare a quell'ora i suddetti testi scritturistici, che però si dovranno leggere in altri momenti; 5.se invece fosse giorno di digiuno, dopo la celebrazione dei Vespri e un breve intervallo, vadano direttamente alla lettura di cui abbiamo parlato 6.e leggano quattro o cinque pagine o quanto è consentito dal tempo a disposizione, 7.perché durante questo intervallo della lettura possano radunarsi tutti, compresi quelli che fossero eventualmente stati occupati in qualche incombenza. 8.Quando saranno tutti riuniti, dicano insieme Compieta, all'uscita dalla quale non sia più permesso ad alcuno di pronunciare una parola. 9.Chiunque sia colto a trasgredire questa regola del silenzio venga severamente punito, 10.eccetto il caso in cui sopraggiungano degli ospiti o l'abate abbia dato un ordine a un monaco; 11.ma anche in questa eventualità bisogna procedere con la massima gravità e il debito riserbo.



Capitolo XLIII - La puntualità nell'Ufficio divino e in refettorio

1.All'ora dell'Ufficio divino, appena si sente il segnale, lasciato tutto quello che si ha tra le mani, si accorra con la massima sollecitudine, 2.ma nello stesso tempo con gravità, per non dare adito alla leggerezza. 3.In altre parole non si anteponga nulla all'opera di Dio". 4.Se qualcuno arriva all'Ufficio notturno dopo il Gloria del salmo 94, che proprio per questo motivo vogliamo sia cantato molto lentamente e con pause, non occupi il proprio posto nel coro, 5.ma si metta all'ultimo o in quella parte che l'abate avrà destinato per questi negligenti, perché siano veduti da lui e da tutti, 6.e vi rimanga fino a quando, al termine del l'Ufficio divino, avrà riparato dinanzi a tutta la comunità con una penitenza. 7.Abbiamo ritenuto opportuno far rimanere questi ritardatari all'ultimo posto o in un canto, perché si correggano almeno per la vergogna di essere visti da tutti. 8.Se, infatti, rimanessero fuori del coro, ci potrebbe essere qualcuno che ritorna a dormire o si siede fuori o si mette a chiacchierare, dando così occasione al demonio; 9.è bene invece che entrino, in modo da non perdere tutto l'Ufficio e correggersi per l'avvenire. 10.Nelle Ore del giorno, invece, il monaco che arriva all'Ufficio divino dopo il versetto o il Gloria del primo salmo, che segue lo stesso versetto, si metta all'ultimo posto, secondo la norma precedente, 11.e non si permetta di unirsi al coro dei fratelli che salmeggiano, fino a che non avrà riparato, a meno che l'abate gliene dia il permesso con il suo perdono; 12.ma anche in questo caso il ritardatario dovrà riparare la sua mancanza. 13.Per quanto riguarda il refettorio, chi non arriva prima del versetto in modo che tutti uniti dicano il versetto stesso, preghino e poi siedano insieme a mensa, 14.se la mancanza è dovuta a negligenza o cattiva volontà, sia rimproverato fino a due volte. 15.Ma se ancora non si corregge, sia escluso dalla mensa comune 16.e mangi da solo, separato dalla comunità e senza la sua razione di vino, fino a che non abbia riparato e si sia corretto. 17.Lo stesso castigo sia inflitto al monaco che non si trovi presente al versetto che si recita dopo il pranzo. 18.Nessuno poi si permetta di mangiare o di bere qualcosa prima dell'ora stabilita. 19.Ma il monaco che non avesse accettato ciò che gli era stato offerto dal superiore, quando desidererà quello che ha rifiutato in precedenza o altro, non ottenga assolutamente nulla fino a che non dimostri di essersi debitamente corretto.



Capitolo XLIV - La riparazione degli scomunicati

1.Il monaco che per colpe gravi è stato escluso dal coro e della mensa comune, al termine dell'Ufficio divino si prostri in silenzio davanti alla porta del coro, 2.rimanendo lì disteso con la faccia a terra dinanzi a tutti quelli che escono 3.e continui a fare in questo modo fino a quando l'abate non giudichi che ha sufficientemente riparato. 4.Quando poi sarà chiamato dall'abate, si getti ai piedi di lui e di tutti i fratelli per chiedere le loro preghiere. 5.Allora, se l'abate vorrà, potrà essere riammesso in coro al suo posto o a quello designato dallo stesso abate, 6.senza permettersi, però, di recitare un salmo, una lezione o altro, a meno che l'abate glielo ordini. 7.Inoltre al termine di tutte le Ore dell'Ufficio divino, si prostri a terra lì dove si trova 8.e faccia così la sua riparazione, finché l'abate non metterà fine a questa penitenza. 9.Quelli, invece, che per colpe più leggere sono stati esclusi solo dalla mensa, facciano penitenza in coro per il tempo stabilito dall'abate 10.e la ripetano fin tanto che questi li benedica e dica: Basta!



Capitolo XLV - La riparazione per gli errori commessi in coro

1.Se un monaco commette un errore mentre recita un salmo, un responsorio, un'antifona o una lezione e non si umilia davanti a tutti con una penitenza, sia sottoposto a una punizione più severa, 2.perché non ha voluto correggersi umilmente dell'errore commesso per negligenza. 3.Nel caso dei ragazzi, invece, per una colpa di questo genere si ricorra al castigo corporale.



Capitolo XLVI - La riparazione per le altre mancanze

1.Se, mentre è impegnato in un qualsiasi lavoro in cucina, in dispensa, nel proprio servizio, nel forno, nell'orto, in qualche attività o si trova in un altro luogo qualunque, un monaco commette uno sbaglio, 2.rompe o perde un oggetto o incorre comunque in una mancanza 3.e non si presenta subito all'abate e alla comunità per riparare spontaneamente e confessare la propria colpa, 4.sarà sottoposto a una punizione più severa, quando il fatto verrà reso noto da altri. 5.Ma se il movente segreto del peccato fosse nascosto nell'intimo della coscienza, lo manifesti solo all'abate o a qualche monaco anziano, 6.che sappia curare le miserie proprie e altrui senza svelarle e renderle di pubblico dominio.