00 08/05/2011 15:44
Capitolo XXIX - La riammissione dei fratelli che hanno lasciato il monastero

1.Il monaco, che, dopo aver lasciato per propria colpa il monastero, volesse ritornarvi, prometta anzitutto di correggersi definitivamente dalla colpa per la quale è uscito 2.e a questa condizione sia ricevuto all'ultimo posto per provare la sua umiltà. 3.Se poi uscisse di nuovo sia riammesso fino alla terza volta, ma sappia che in seguito gli sarà negata ogni possibilità di ritorno.



Capitolo XXX - La correzione dei ragazzi

1.Ogni età e intelligenza dev'essere trattata in modo adeguato. 2.Perciò i bambini e gli adolescenti e quelli che non sono in grado di comprendere la gravità della scomunica, 3.quando commettono qualche colpa siano puniti con gravi digiuni o repressi con castighi corporali, perché si correggano.



Capitolo XXXI - Il cellerario del monastero

1.Come cellerario del monastero si scelga un fratello saggio, maturo, sobrio, che non ecceda nel mangiare e non abbia un carattere superbo, turbolento, facile alle male parole, indolente e prodigo, 2.ma sia timorato di Dio e un vero padre per la comunità. 3.Si prenda cura di tutto e di tutti. 4.Non faccia nulla senza il permesso dell'abate 5.ed esegua fedelmente gli ordini ricevuti. 6.Non dia ai fratelli motivo di irritarsi e, 7.se qualcuno di loro avanzasse pretese assurde, non lo mortifichi sprezzantemente, ma sappia respingere la richiesta inopportuna con ragionevolezza e umiltà. 8.Custodisca l'anima sua, ricordandosi sempre di quella sentenza dell'apostolo che dice: "Chi avrà esercitato bene il proprio ministero, si acquisterà un grado onorevole". 9.Si interessi dei malati, dei ragazzi, degli ospiti e dei poveri con la massima diligenza, ben sapendo che nel giorno del giudizio dovrà rendere conto di tutte queste persone affidate alle sue cure. 10.Tratti gli oggetti e i beni del monastero con la reverenza dovuta ai vasi sacri dell'altare 11.e non tenga nulla in poco conto. 12.Non si lasci prendere dall'avarizia né si abbandoni alla prodigalità, ma agisca sempre con criterio e secondo le direttive dell'abate. 13.Soprattutto sia umile e se non può concedere quanto gli è stato richiesto, dia almeno una risposta caritatevole, 14.perché sta scritto: "Una buona parola vale più del migliore dei doni". 15.Si interessi solo delle incombenze che gli ha affidato l'abate, senza ingerirsi in quelle da cui lo ha escluso. 16.Distribuisca ai fratelli la porzione di vitto prestabilita senza alterigia o ritardi, per non dare motivo di scandalo, ricordandosi di quello che toccherà, secondo la divina promessa, a "chi avrà scandalizzato uno di questi piccoli". 17.Se la comunità fosse numerosa, gli si concedano degli aiuti con la cui collaborazione possa svolgere serenamente il compito che gli è stato assegnato. 18.Nelle ore fissate si distribuisca quanto si deve dare e si chieda quello che si deve chiedere, 19.in modo che nella casa di Dio non ci sia alcun motivo di turbamento o di malcontento.



Capitolo XXXII - Gli arnesi e gli oggetti del monastero

1.Per la cura di tutto quello che il monastero possiede di arnesi, vesti o qualsiasi altro oggetto l'abate scelga dei monaci su cui possa contare a motivo della loro vita virtuosa 2.e affidi loro i singoli oggetti nel modo che gli sembrerà più opportuno, perché li custodiscano e li raccolgano. 3.Tenga l'inventario di tutto, in maniera che, quando i vari monaci si succedono negli incarichi loro assegnati, egli sappia che cosa dà e che cosa riceve. 4.Se poi qualcuno trattasse con poca pulizia o negligenza le cose del monastero, venga debitamente rimproverato; 5.nel caso che non si corregga, sia sottoposto alle punizioni previste dalla Regola.



Capitolo XXXIII - Il "vizio" della proprietà

1.Nel monastero questo vizio dev'essere assolutamente stroncato fin dalle radici, 2.sicché nessuna si azzardi a dare o ricevere qualche cosa senza il permesso dell'abate, 3.né pensi di avere nulla di proprio, assolutamente nulla, né un libro, né un quaderno o un foglio di carta e neppure una matita, 4.dal momento che ai monaci non è più concesso di disporre liberamente neanche del proprio corpo e della propria volontà, 5.ma bisogna sperare tutto il necessario dal padre del monastero e non si può tenere presso di sé alcuna cosa che l'abate che l'abate non abbia dato o permesso. 6."Tutto sia comune a tutti", come dice la Scrittura, e "nessuno dica o consideri propria qualsiasi cosa". 7.Se poi si scoprisse qualcuno che si compiace in questo pessimo vizio, bisognerà rimproverarlo una prima e una seconda volta 8.e, nel caso che non si corregga, infliggergli il dovuto castigo.



Capitolo XXXIV - La distribuzione del necessario

1."Si distribuiva a ciascuno proporzionatamente al bisogno", si legge nella Scrittura. 2.Con questo non intendiamo che si debbano fare preferenze - Dio ce ne liberi! - ma che si tenga conto delle eventuali debolezze; 3.quindi chi ha meno necessità, ringrazi Dio senza amareggiarsi, 4.mentre chi ha maggiori bisogni, si umili per la propria debolezza, invece di montarsi la testa per le attenzioni di cui è fatto oggetto 5.e così tutti i membri della comunità staranno in pace. 6.Soprattutto bisogna evitare che per qualsiasi motivo faccia la sua comparsa il male della mormorazione, sia pure attraverso una parola o un gesto. 7.E, nel caso che se ne trovi colpevole qualcuno, sia punito con maggior rigore.



Capitolo XXXV - Il servizio della cucina

1.I fratelli si servano a vicenda e nessuno sia dispensato dal servizio della cucina, se non per malattia o per un impegno di maggiore importanza, 2.perché così si acquista un merito più grande e si accresce la carità. 3.Ma i più deboli siano provveduti di un aiuto, in modo da non dover compiere questo servizio di malumore; 4.anzi, è bene che, in generale, tutti abbiano degli aiuti in corrispondenza alla grandezza della comunità e alle condizioni locali. 5.In una comunità numerosa il cellerario sia dispensato dal servizio della cucina, come anche i fratelli che, secondo quanto abbiamo già detto, sono occupati in compiti di maggiore utilità, 6.ma tutti gli altri si servano a vicenda con carità. 7.Al sabato il monaco che termina il suo turno settimanale, faccia le pulizie. 8.Si lavino gli asciugatoi usati dai fratelli per le mani e i piedi. 9.Tanto il monaco che finisce il servizio, quanto quello che lo comincia, lavino i piedi a tutti. 10.Il primo consegni puliti e intatti al cellerario tutti gli utensili di cui si è servito nel proprio turno. 11.A sua volta il cellerario li affidi al fratello che entra in servizio, in modo da sapere quello che dà e quello che riceve. 12.Un'ora prima del pranzo, ciascuno dei monaci di turno in cucina riceva, oltre la quantità di cibo stabilita per tutti, un po' di pane e di vino, 13.per poter poi all'ora del pranzo servire i propri fratelli senza lamentele né grave disagio; 14.ma nei giorni festivi aspettino fino al termine della celebrazione eucaristica. 15.Alla domenica, subito dopo le Lodi, quelli che iniziano e quelli che terminano il servizio della cucina si inginocchino in coro davanti a tutti, chiedendo che preghino per loro. 16.Chi ha finito il proprio turno reciti il versetto: "Sii benedetto, Signore Dio, che mi hai aiutato e mi hai consolato". 17.E quando lo avrà ripetuto tre volte e avrà ricevuto la benedizione, continui il fratello che gli succede nel servizio, dicendo: "O Dio, vieni in mio soccorso; Signore, affrettati ad aiutarmi"; 18.anche questo versetto sarà ripetuto tre volte da tutti, dopo di che il fratello riceverà la benedizione e inizierà il suo turno.