00 12/09/2014 19:35
PRIMA CONTROVERSIA ORIGENISTA
A questo punto mi sembra importante accennare alla prima controversia origenista, sia perché – a giudizio degli esperti – è considerata la più importante (sono coinvolti i più grandi teologi del tempo) e sia perché ci permette di capire meglio la seconda controversia.
Questa controversia – “breve ma assai accesa” – secondo lo Jedin1 si colloca tra la fine del IV secolo e gli inizi del V.
Comincia essenzialmente qui quel processo che alla fine della seconda controversia porterà Origene ad essere annoverato fra gli eretici.
La disputa comincia con Epifanio di Salamina, famoso per il suo zelo nel combattere le eresie. Epifanio considerava Origene come il padre dell’eresia ariana e l’origenismo come la fonte di tutte le eresie2.
Egli quindi chiede al vescovo Giovanni di Gerusalemme la condanna di Origene, ma egli – da sostenitore dell’Alessandrino – ovviamente rifiuta. Viene così a formarsi uno schieramento: contro Origene ci sono Epifanio e Girolamo (che in precedenza invece lo sosteneva tenacemente); a favore, il vescovo Giovanni e Rufino di Aquileia.
Nella controversia – ormai allargatasi – prese parte, su invito di Giovanni, Teofilo di Alessandria che inizialmente favorevole ad Origene lo fece poi condannare in un sinodo locale del 400.
La controversia proseguì con alterne vicende, soprattutto legate ai due amici-nemici Girolamo e Rufino, ma coinvolse anche Roma con Papa Anastasio e Costantinopoli con Giovanni Crisostomo, che per aver accolto dei monaci origenisti, fu fatto esiliare dallo stesso Teofilo.
“La controversia si concluse con la vittoria degli antiorigeniani. Girolamo nella sua “Apologia” contro Rufino aveva scritto d’aver intrapreso una traduzione assolutamente letterale del “Perì archòn” di Origene ‘per consegnare alla chiesa l’autore eretico, che la chiesa stessa avrebbe giudicato’. La sua meta era raggiunta. Roma ed Alessandria avevano condannato le dottrine e la persona di Origene, a Costantinopoli il vescovo contrario a tale sentenza aveva dovuto cedere, e infine un decreto imperiale vietava la lettura degli scritti dell’alessandrino”3.
Cosa dire di questa vicenda?
Già qui, a giudizio dei critici, l’accusa ad Origene, così come è stata concepita e formulata, sembra ingiusta.
Afferma il Crouzel:
“Le loro proposizioni debbono passare al vaglio della critica, poiché mancano soprattutto di senso storico, il che è abbastanza normale per la loro epoca: non avevano alcuna nozione sullo sviluppo del dogma, di cui si è raggiunta la consapevolezza abbastanza di recente, e non giudicavano Origene partendo dalla situazione del suo tempo. Di più, non eccellevano né per la comprensione filosofica né per quella teologica.
Non hanno affatto colto il cambiamento di mentalità che separava la chiesa in minoranza, perseguitata, del tempo di Origene, e la chiesa trionfante della loro epoca, specie per quanto riguarda l’importanza di una cristianizzazione della filosofia per la pastorale del mondo intellettuale, e la necessità di una teologia ‘in esercizio’ (gymnasìa)4, cioè in ricerca. Essi accusano Origene partendo dalle eresie del loro tempo, specie dall’arianesimo, senza domandarsi quali erano quelle che Origene dovette affrontare e che determinarono la sua peculiare problematica. Non hanno assolutamente consapevolezza del progresso dottrinale provocato, nella chiesa, dalla reazione all’arianesimo in confronto alla succinta regola di fede del III sec., quella che Origene espone nella prefazione del “De Principiis”; né dell’evoluzione del vocabolario, e così essi intendono i termini usati dall’Alessandrino nel significato che tali termini avevano assunto nel IV sec. e che, in alcuni casi teologicamente importanti, era molto più preciso di quello del III sec. Hanno letto Origene proiettando su di lui l’origenismo del loro tempo, il terzo momento, appunto, perché era quello che in effetti avevano di mira. Non hanno mai fatto studi sistematici dell’opera di Origene e fondano le loro accuse partendo da testi isolati senza tener conto delle spiegazioni che si trovano spesso in altri passi dello stesso libro e, a volte, a poche righe di distanza. Tutto quanto Origene scrive in forma di esercizio (gymnastikòs), essi lo intendono come detto in forma di dottrina (dogmatikòs), con una concezione dell’ortodossia e della regola di fede che via via si è sempre più modellata su quella della legge civile ed espressa in ‘definizioni’ nella lotta contro l’eresia”5.
Questo brano sembra mettere chiaramente in evidenza come già qui ciò che gli antiorigeniani combattono non è il vero pensiero di Origene preso nel suo insieme, ma un origenismo già inficiato dalla sistematizzazione parziale di Evagrio Pontico. Quest’ultimo infatti riunisce la dottrina dell’Alessandrino “in un sistema grandioso, nel quale lascia cadere tutto ciò che mantiene in equilibrio quegli insegnamenti. Quest’origenismo certamente eretico, che era stato inoltre compromesso dalla crisi ariana, provoca gli attacchi di Epifanio contro Giovanni di Gerusalemme, di Gerolamo contro Rufino, di Teofilo di Alessandria contro Isidoro: Origene fu ora interpretato e condannato secondo l’unilaterale sistematizzazione di Evagrio”6.
Insomma, già in questa fase si nota la superficialità e parzialità con cui si attaccava un Origene già travisato da un origenismo non fedele alla sua fonte.
Concludendo questa sommaria esposizione della prima controversia origenista possiamo affermare – mi sembra con obiettività – che “limitandosi a considerare le concezioni teologiche effettivamente contestabili del teologo alessandrino non si guardò più all’immensa ricchezza teologica e religiosa che restava nella sua opera e, soprattutto nella chiesa orientale, gli venne negata una fruttuosa efficacia sulla vira religiosa e sull’attività teologica”7.