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33. Appresso, nell’esposizione di fede è scritto: E nello Spirito Santo. Le verità che qui sopra sono state tramandate in forma un po’ più particolareggiata su Cristo, riguardano il mistero della sua incarnazione e della sua passione. Poiché esse riguardano la stessa persona (del Figlio), sono inserite nella parte intermedia del Simbolo e così hanno ritardato un po’ la menzione dello Spirito Santo. Se invece si fosse tenuto conto soltanto della divinità, allo stesso modo con cui all’inizio è detto: "Credo in Dio Padre onnipotente" e subito dopo: "In Gesù Cristo unico suo Figlio nostro Signore", così subito dopo seguirebbe: "E nello Spirito Santo". Infatti tutte le altre verità che sono tramandate su Cristo, si riferiscono – come abbiamo detto – all’economia della carne. Perciò nella menzione dello Spirito Santo si completa il mistero della Trinità.

Infatti come diciamo un solo Dio e non c’è altro Padre, e come diciamo un solo Figlio unigenito e non c’è altro unigenito, così anche lo Spirito Santo è uno solo e non ci può essere un altro Spirito Santo. Pertanto a fine di distinguere le persone sono distinti i termini che indicano le relazioni, con i quali intendiamo come Padre colui dal quale derivano tutte le altre realtà e che non ha padre egli stesso; questo è il Figlio, in quanto è nato dal Padre; questo è lo Spirito Santo, in quanto procede dalla bocca di Dio e santifica ogni cosa. E per dimostrare che una sola e la stessa è la divinità della Trinità, come diciamo di credere in Dio Padre, aggiungendo, cioè, la preposizione in, così diciamo di credere anche in Cristo suo Figlio e così anche nello Spirito Santo. Ma perché risulti più chiaro ciò che diciamo, comproviamolo con ciò che segue.

34. Infatti subito appresso il Simbolo continua: La santa Chiesa, la remissione dei peccati, la resurrezione di questa carne. Non è detto: "Nella santa Chiesa" né "nella remissione dei peccati" né "nella resurrezione della carne". Se infatti fosse stata aggiunta la preposizione in, uno solo e il medesimo sarebbe stato il valore insieme con le espressioni che precedono. Invece in queste espressioni in cui si definisce la fede intorno alla divinità, si dice: "in Dio Padre" e "in Gesù Cristo suo Figlio" e "nello Spirito Santo". Invece nelle altre espressioni, che trattano non della divinità ma delle creature e dei misteri della salvezza, non si aggiunge la preposizione in sì che si dica: "nella santa Chiesa", ma si deve credere soltanto "la santa Chiesa", cioè, non come se fosse Dio, ma come Chiesa riunita insieme per Dio. Così si deve credere "la remissione dei peccati" e non "nella remissione dei peccati"; e "la resurrezione della carne" e non "nella resurrezione della carne". Così grazie a questa preposizione di una sola sillaba si distingue il Creatore dalle creature e le realtà divine sono separate da quelle umane.

Lo Spirito Santo è colui che nel Vecchio Testamento ha ispirato la legge e i profeti, e nel Nuovo i vangeli e gli apostoli. Sì che anche l’apostolo dice: "Ogni Scrittura ispirata da Dio è utile ad insegnarsi" (2Tim 3, 16). Perciò a questo punto sembra conveniente enumerare uno per uno, come ho appreso dalle testimonianze dei padri, quali siano i libri del Vecchio e del Nuovo Testamento, che secondo la tradizione dei nostri predecessori noi crediamo ispirati proprio dallo Spirito Santo.

35. Del Vecchio Testamento ci sono stati tramandati all’inizio i cinque libri di Mosè: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio. Dopo di questi Giosuè, figlio di Nave, e il libro dei Giudici insieme con Ruth. Dopo di questi i quattro libri dei Re, che gli Ebrei contano come due; quello dei Paralipomeni, che è detto libro dei Giorni, e due libri di Esdra, che presso gli Ebrei sono contati come uno solo; e il libro di Esther. I libri dei profeti sono: Isaia, Geremia, Ezechiele, Daniele; e inoltre un solo libro dei Dodici profeti. Libri isolati sono anche quello di Giobbe e i Salmi di David. Di Salomone tre libri sono stati tramandati alle Chiese: Proverbi, Ecclesiaste, Cantico dei cantici. Con questi libri è concluso il numero dei libri del Vecchio Testamento.

Fanno parte del Nuovo Testamento i quattro vangeli: di Matteo, Marco, Luca, Giovanni; gli Atti degli apostoli, che scrisse Luca; quattordici lettere dell’apostolo Paolo; due lettere dell’apostolo Pietro; una di Giacomo, fratello del Signore e apostolo; una di Giuda; tre di Giovanni, l’Apocalisse di Giovanni. Questi sono i libri che i nostri padri hanno riunito nel canone e sui quali hanno voluto che fossero fondate le verità della nostra fede.

36. È opportuno però sapere che ci sono anche altri libri, che i nostri predecessori hanno chiamato non canonici bensì ecclesiastici: la Sapienza, ch’è detta di Salomone; e un’altra Sapienza, ch’è detta del figlio di Sirach; questo libro presso i latini con termine generico è chiamato Ecclesiastico, col quale nome non si indica l’autore del libro bensì la qualità del contenuto. Della stessa categoria fanno parte il libro di Tobia, quello di Giuditta e i libri dei Maccabei. Relativi al Nuovo Testamento sono il libro ch’è detto del Pastore ovvero di Erma, e quello ch’è intitolato Due vie o Giudizio di Pietro.

Tutti questi libri i nostri padri vollero che fossero letti nelle Chiese ma non che fossero addotti per confermare l’autorità della fede. Tutti gli altri scritti li hanno chiamati apocrifi e hanno proibito che fossero letti nelle Chiese. Queste norme, che – come ho detto – ci sono state tramandate dai nostri padri, mi è sembrato opportuno riportare in questo punto del libro per istruzione di quelli che imparano i primi rudimenti della fede, perché sappiano da quali fonti essi debbano attingere la bevanda della parola di Dio.

37. Poi la tradizione di fede afferma: la santa Chiesa. Già sopra abbiamo spiegato il motivo perché non sia detto anche qui: "nella santa Chiesa", ma "la santa Chiesa". Perciò coloro che sopra hanno appreso a credere in un solo Dio nel mistero della Trinità, debbono credere anche questo: che una soltanto è la santa Chiesa, nella quale una sola è la fede, uno solo il battesimo, nella quale si crede in un solo Dio Padre e in un solo Signore Gesù Cristo Figlio suo e in un solo Spirito Santo. Questa perciò è la santa Chiesa, che non ha macchia né ruga (Ef 5, 27). Infatti anche molti altri hanno riunito chiese intorno a sé, come Marcione Valentino Ebione Mani e tutti gli altri eretici. Ma quelle chiese non sono senza macchia e ruga di perfidia; perciò di loro diceva il profeta: "Ho odiato la chiesa dei malvagi e non siederò insieme con gli empi" (Sal 25, 5). Invece di questa Chiesa, che conserva integra la fede di Cristo, ascolta che cosa dice lo Spirito Santo nel Cantico dei cantici: "Una sola è la mia colomba, una sola la perfetta per sua madre" (Ct 6, 8). Perciò chi riceve questa fede nella Chiesa, non si volga ai concili di vanità e non si metta con quelli che fanno il male (Sal 25, 4).

Infatti concilio di vanità è quello che fa Marcione, il quale nega che il Padre di Cristo sia il Dio creatore, che per mezzo di suo Figlio ha creato il mondo. Concilio di vanità è ciò che insegna Ebione, che bisogna credere in Cristo in modo tale da praticare la circoncisione della carne, l’osservanza del sabato, la solennità dei sacrifici e tutte le altre osservanze secondo la lettera della Legge. Concilio di vanità è ciò che insegna Mani, che per prima cosa ha affermato di essere proprio lui il paracleto; poi dice che il mondo è stato fatto dal male, nega che Dio sia il creatore, respinge il Vecchio Testamento; afferma che ci sono una natura buona e una cattiva, reciprocamente coeterne; sostiene secondo la dottrina dei Pitagorici che le anime degli uomini secondo diversi cicli di generazione passano nelle pecore, nelle bestie feroci e in altri animali; nega la resurrezione della nostra carne, sostiene che la nascita e la passione di Cristo sono avvenute non nella realtà della carne ma in apparenza.

Concilio di vanità è anche ciò che ha sostenuto Paolo di Samosata e poi il suo successore Fotino: che Cristo non è nato prima dei tempi dal Padre ma ha avuto inizio da Maria; e ritiene non che egli Dio sia nato come uomo ma che da uomo sia diventato Dio. Concilio di vanità è anche ciò che hanno insegnato Ario ed Eunomio, i quali sostengono che il Figlio di Dio non sia nato dalla stessa sostanza del Padre, ma sia stato creato dal nulla. Concilio di vanità è anche quello che fanno coloro i quali affermano, sì, che il Figlio deriva dalla sostanza del Padre, ma separano e distaccano lo Spirito Santo, mentre invece il Salvatore nel vangelo ha dimostrato che una sola e la stessa è la potenza e la divinità della Trinità, dicendo: "Battezzate tutte le genti nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo" (Mt 28, 19). Ed è evidentemente empio che l’uomo separi ciò che è unito in forza della divinità. Concilio di vanità è anche quello che non molto tempo fa ha riunito una ostinazione tenace e perversa, affermando che Cristo certo ha assunto carne umana, ma non anche un’anima razionale, mentre invece una sola e la stessa salvezza è stata apportata da Cristo alla carne e all’anima e alla sensibilità e alla mente. È concilio di vanità anche quello che Donato ha riunito in Africa accusando falsamente la Chiesa di aver consegnato i libri sacri; e quello che ha messo su Novaziano rifiutando la penitenza ai peccatori e condannando le seconde nozze, anche se talvolta la necessità abbia costretto a contrarle.

Perciò tutte queste fuggile quali riunioni di malvagi. E anche quelli, se ce ne sono, di cui si dice che affermino che il Figlio di Dio non vede e conosce il Padre allo stesso modo con cui è conosciuto e visto dal Padre, che il regno di Cristo dovrà finire e che la carne non risorgerà conservando intatta la sostanza della sua natura, che non ci sarà il giusto giudizio di Dio nei riguardi di tutti gli uomini e che il diavolo sarà assolto dalla meritata punizione: tutti costoro – lo ripeto – i fedeli rifiutino di ascoltarli. Tieniti invece ben saldo alla santa Chiesa, che afferma Dio Padre onnipotente e l’unigenito suo Figlio Gesù Cristo nostro Signore e lo Spirito Santo nell’unità di una medesima sostanza; che crede che il Figlio di Dio è nato dalla Vergine e ha patito per la salvezza degli uomini ed è risuscitato dai morti con la medesima carne con la quale è nato; che spera che egli stesso verrà giudice di tutti; e in lui predica la remissione dei peccati e la resurrezione della carne.

38. Quanto alla remissione dei peccati, dovrebbe bastare il solo credere. A che infatti ricercare cause e motivazioni là dove è fondamentale il perdono? E invece, mentre non è soggetta a critiche la generosità del re terreno, la liberalità divina è messa in discussione dalla temerarietà degli uomini. Infatti i pagani sono soliti irriderci dicendo che noi inganniamo noi stessi ritenendo che possano essere espiati con parole delitti che sono stati commessi con l’azione. E dicono: Che forse può non essere omicida colui che ha commesso un omicidio o non essere adultero chi ha fatto adulterio? In che modo uno che sia reo di tali crimini vi sembra diventare d’un tratto santo e puro? Ma a tali obiezioni, come ho detto, rispondo meglio con la fede che con la ragione. Infatti colui che ci ha fatto questa promessa è re di tutti, signore del cielo e della terra. E a colui che mi ha creato uomo dalla terra non vuoi che io creda che da peccatore mi può rendere innocente? E colui che, quando ero cieco, mi ha fatto vedere e, quando ero sordo, mi ha fatto sentire e che mi ha fatto camminare quando ero zoppo, egli non potrà ridarmi l’innocenza che ho perduto?

E tuttavia veniamo anche alla testimonianza della stessa natura. Non sempre è criminoso uccidere un uomo: ma è criminoso ucciderlo per malvagità e non secondo le leggi. Perciò, dato che talvolta questa azione è giusta, se io mi trovo in tale situazione, non è l’azione che mi condanna ma l’anima che mi ha mal consigliato. Ma allora, se in me viene corretta l’anima che è diventata peccatrice e nella quale c’è stata l’origine del crimine, perché tu non credi che io possa diventare innocente, così come prima sono stato peccatore? Infatti, come sopra abbiamo detto, tutti sanno che il peccato sta non nell’azione ma nella intenzione. E allora, come la cattiva volontà, per malvagia istigazione del demonio, mi ha assoggettato al peccato e alla morte, così la stessa volontà, volta al bene per il buon volere di Dio, mi restituisce all’innocenza e alla vita. Simile ragionamento vale anche per tutti gli altri peccati; e così vediamo che la nostra fede non è in contrasto con la ragione naturale, in quanto la remissione dei peccati è accordata non alle azioni, che non possono essere cambiate, bensì all’anima, che certamente può passare dal male al bene.