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Dalla Conferenza di Genova alla fondazione del Russicum

La Santa Sede di fronte alle pressioni ed alle violenze del regime sovietico ai danni della cattolicità in Russia tentò di giungere con questo ad un accordo.

Essendo Mosca isolata in campo internazionale dopo la rivoluzione bolscevica e la guerra civile – durante la quale diversi Stati dell’Europa Occidentale oltre a Polonia, Stati Uniti e Giappone erano intervenuti contro il Governo bolscevico – questa parve ben disposta ad ottenere proprio dal Vaticano il suo primo riconoscimento diplomatico. Le trattative si svolsero a Genova durante la Conferenza internazionale per la ricostruzione economica dell’Europa tra l’aprile ed il maggio del ’22; i sovietici non ottennero alcun riconoscimento, né de jurede facto, dal Vaticano ma poterono siglare solo una convenzione riguardante l’invio di aiuti alle vittime della carestia che stava facendo tantissimi morti in URSS.

Con l’espulsione di monsignor Cieplak all’inizio del 1924, il richiamo a Roma della missione umanitaria pontificia su richiesta sovietica, la Santa Sede si ritrovò impossibilitata a difendere il clero ed il fedeli cattolici ancora presenti in URSS. Intanto quest’ultima iniziava ad uscire dall’isolamento internazionale grazie al Trattato di Rapallo siglato con la Germania il 16 aprile 1922, cui fece seguito tra il 1924 e il 1925 il ristabilimento delle relazioni diplomatiche, nell’ordine, con Gran Bretagna, Italia, Norvegia, Austria, Grecia, Svezia, Danimarca, Messico, Ungheria, Francia, Giappone.

Ancora nel 1925 le trattative tra il nunzio apostolico Pacelli e l’ambasciatore sovietico Nikolaj N. Krestinskij non sbloccarono l’impasse in cui erano finite le relazioni tra Roma e Mosca; Pio XI decise allora di aggirare i canali ufficiali per salvaguardare i cattolici russi e "ricorse alla scelta estrema della clandestinità per ricreare una gerarchia cattolica in URSS" (p. 29).

Monsignor Pacelli consacrò vescovo il gesuita francese Michel d’Herbigny il quale venne inviato nel paese dei Sovëty con il compito di ricostituirvi la gerarchia cattolica.

Il 21 aprile 1926 d’Herbigny consacrò vescovo, nella chiesa di San Luigi dei Francesi a Mosca, padre Pie Eugène Neveu oltre ad altri tre amministratori apostolici per Leningrado, Minsk e Odessa ed altri dieci per le città più importanti della Russia. Per meglio formare i futuri missionari da inviare in URSS, a Roma nel 1928 venne fondato il Pontificio Istituto Orientale e l’anno dopo il Collegio Russicum.

 

 "La croce delle croci…"

A padre Neveu non era certo estranea la realtà russa ove aveva svolto la propria missione fin dal 1906. Tra il 1918 e il 1922 fu l’unico informatore di cui disponeva il Vaticano in Russia. Dal momento della sua consacrazione episcopale e per dieci anni fu il più grande pastore ed il sostegno materiale dei cattolici dell’URSS.

La campagna contro il clero ed i fedeli cattolici in quel periodo si andava estendendo in tutta l’Unione: l’accusa comunemente diretta contro i sacerdoti era quella di "spionaggio" a favore di paesi stranieri. Alcuni di loro cedettero alle pressioni ed alle violenze dei cekisti e firmarono le più inverosimili confessioni di colpevolezza; è questo il caso, ad esempio, dei padri Nikolaj Tolstoj e Sergij Solov’ëv.

All’inizio degli anni Trenta dopo una lunga serie di arresti, processi e deportazioni non rimaneva più niente di tutte le strutture ecclesiastiche cattoliche, sia di rito latino che di quello bizantino-slavo. Neveu era l’unico amministratore apostolico ancora in libertà; il vescovo assunzionista ebbe a scrivere con amarezza: ""ci sono dei momenti in cui mi sento lo spegnitore del cattolicesimo in Russia. È la croce delle croci… "" (p. 30).

 

 "Come acciughe nel barile"

Nell’estate del 1928 venne internato alle Solovki anche l’ultimo sacerdote cattolico di rito bizantino ancora in libertà, padre Potapij Emel’janov, già sacerdote ortodosso, convertitosi al cattolicesimo dieci anni prima, che aveva svolto la propria missione nella regione di Doneck. Nel 1924 padre Emel’janov conobbe padre Neveu, allora ancora semplice parroco di Makeevka, nella regione di Doneck, e divennero grandi amici ma, come di consueto nella Russia sovietica, i loro incontri e la loro corrispondenza vennero tenuti d’occhio da vari "collaboratori volontari". Ecco un passo di una deposizione di uno di questi relativa al 1926 ed allegata all’istruttoria di padre Potapij:

 

"Emel’janov era strettamente legato… al vescovo Neveu, che si occupava e si occupa di spionaggio economico e aveva legami strettissimi con il consolato francese a Mosca. Su incarico di Neveu, Emel’janov cercava con vari mezzi di diffondere l’‘unione’ e di far diventare cattolici gli ortodossi. In nome di ciò Emel’janov si occupava di propaganda antisovietica e corrompeva i contadini" (p. 106).

Sempre nel 1928 venne internato alle Solovki un gruppo di sacerdoti polacchi fra i quali vi era anche padre Feliks Lubczynski. Intanto il Vaticano inasprì le proprie proteste contro le continue e pesanti persecuzioni ai danni dei cattolici in tutta l’URSS e nel 1930 papa Pio XI inviò un appello a tutti gli Stati che intrattenevano rapporti con questa affinché gli interrompessero fino a quando Mosca non avesse concesso vera e sostanziale libertà religiosa ai propri cittadini. Da parte sovietica, in risposta alle mosse vaticane, si procedette ad un inasprimento ulteriore della politica verso la religione e, soprattutto, delle condizioni di vita degli internati cattolici nei lager.

Alle Solovki, ad esempio, i ventitré sacerdoti cattolici vennero tutti radunati in un’unica baracca ""di 3-4 metri di lunghezza e circa 2 metri di larghezza. Una parte dormiva sul pavimento, un’altra sui pancacci, a circa un metro di altezza rispetto al pavimento, proprio come ‘acciughe nel barile’"" (p. 109-110).

Dalle memorie di padre Donat Novockij – ancora inedite e custodite presso l’Archivio del Centro di Studi Russi a Meudon, in Francia, citate dalla Osipova – si apprende che ""a padre Feliks la reclusione pesava enormemente... Improvvisamente, senza che ce lo aspettassimo, padre Feliks nell’agosto 1931 si ammalò, cadde in uno stato di quieta malinconia, di oblio… Per la maggior parte del tempo rimaneva coricato, oppure vagava solitario per la brughiera"" (pp. 111-112). Gli altri sacerdoti, per parte loro, cercarono di aiutare padre Feliks svolgendo anche la sua parte di lavoro riuscendo a farlo esonerare almeno dai lavori più pesanti. Verso la fine di ottobre le sue condizioni peggiorarono e venne ricoverato in infermeria ove venne accudito soprattutto da padre Potapij. Al sacerdote polacco venne diagnosticata un’"infiammazione della parte anteriore del cervello". ""Per alleviare il più possibile la sorte del povero fratello malato, - cito ancora dalle memorie di padre Donat – padre Potapij riuscì ad ottenere di essere trasferito nella camerata di padre Feliks che lo accudiva come una madre… vedendo che si avvicinava la fine della vita terrena, padre Potapij gli accennò alla possibilità di confessarsi. Il malato fu profondamente felice di questa commovente attenzione di padre Potapij e dopo la confessione gli baciò le mani, trattenendole fra le sue"". Il 17 novembre padre Feliks morì e gli altri sacerdoti si attivarono immediatamente per dargli una degna sepoltura. Padre Donat e padre Potapij si occuparono del rito funebre; così ricorda padre Donat: ""Non dimenticherò mai l’espressione di padre Feliks nella bara. Sul suo volto aleggiava un lieve sorriso. Non era un’illusione. Sembrava che ci ringraziasse per le attenzioni avute nei suoi confronti, e in primo luogo per la confessione, il rito funebre e la stola sacerdotale"" (p. 112 e p. 113)

Questo il commento della Osipova: "Fu un vero e proprio atto di eroismo, perché alle Solovki non era facile dare una sepoltura, non solo cristiana, ma anche semplicemente umana". (p. 113).

continua.........