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Il biologo Bizzarri:
«creazionisti e post-darwiniani, identici errori»

darwin day 2017Oggi, 12 febbraio, si festeggia l’anniversario di Charles Darwin, padre della teoria evolutiva. Pubblichiamo qui sotto il contributo che ci ha inviato il dott. Mariano Bizzarri, docente di Patologia e direttore del Systems Biology Group dell’Università La Sapienza di Roma.

 
 
di Mariano Bizzarri*
*docente del Dipartimento Medicina Sperimentale – Università Sapienza Systems Biology Group Lab
 
 

È alquanto paradossale che la Chiesa Cattolica – nei suoi documenti e tramite le affermazioni dei suoi più alti esponenti, inclusi numerosi pontefici – abbia da sempre sostenuto la conciliabilità della fede Cattolica con la teoria dell’evoluzione, mentre il mondo Protestante, pur con differenze nelle sue plurime manifestazioni, ha da subito ferocemente avversato l’evoluzionismo.

Questo rilievo non è peregrino se solo si considerano alcune peculiarità dell’ideologia protestante che, in modo del tutto contraddittorio, da un lato proclama il diritto alla autonoma e libera interpretazione delle Scritture da parte di ciascun fedele, e dall’altro, a seconda dei casi, impone invece una lettura strettamente letterale. Il sottolineare la centralità della “lettera” assume in questo contesto un significato critico. È proprio l’adesione alla “lettera” della scrittura biblica che ha portato il mondo protestante anglosassone in un duplice cul de sac. Per i credenti affiliati ad una delle tante confessioni protestanti, l’adesione alla “lettera” ha necessariamente imposto il doversi conformare ad una vulgata della creazione che inevitabilmente assume i contorni del racconto magico e favolistico (“In sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra, il mare, e tutto ciò che è in essi”, Esodo, 20,11). Per coloro che non credono, l’adesione alla medesima “lettera” ha fatalmente ispirato le ridicolizzazioni e le critiche più triviali, considerato quanto facile è stato argomentare come il racconto della creazione sia insostenibile dal punto di vista scientifico.

Invero questo atteggiamento – noto come “creazionismo biblico” – è tipico di alcune confessioni cristiane protestanti ed evangeliche che professano l’inerranza biblica, diffuse specialmente negli Stati Uniti d’America. Il mondo cattolico è essenzialmente estraneo a questa diatriba alimentata dal nulla, se non altro perché da sempre educato alla lezione paolina, per la quale “la lettera uccide, lo spirito vivifica” (2Cor, 3,6). Un richiamo analogo è quello che fa Dante quando, a proposito di scritture sacre, ricorda come sia necessaria una loro “interpretazione”, articolata su quattro livelli di significato possibili (Dante Alighieri, Convivio, Libro II, cap. primo, 2-15). Peraltro, la necessità di collocare lo sforzo ermeneutico in un contesto adeguato, individuando preliminarmente il “genere letterario” della Scrittura, sarà poi affermato da Pio XII nell’Enciclica Divino Afflante Spiritu (1943). In ultima istanza, la Bibbia non è un trattato scientifico, ma un libro sapienziale e come tale andrebbe rispettato.

Credo che proprio da questa confusione tra “spirito” e “lettera” nascano la maggior parte dei fraintendimenti moderni che, vogliamo sottolinearlo, sono venuti emergendo solo in tempi relativamente recenti. È infatti solo a partire dall’età dei Lumi che ci si è affannati a cercare tra le righe dei testi sacri la conferma e la legittimazione di quel corpus di conoscenze che andava costituendosi come “scienza”, cercando nei primi una impossibile concordanza con quanto veniva emergendo a valle della sperimentazione. Lo stesso caso di Galilei è stato tramandato in modo artatamente falsato, e con il chiaro intento di mostrare la inconciliabilità tra fede e scienza[1].

Tutto ciò è particolarmente vero nel contesto del dibattito sull’evoluzionismo, dove la posizione prevalente – riassunta in modo estremamente chiaro da Richard Dawkins (L’Orologiaio cieco, Mondadori 2003) – fa leva sulla teoria evoluzionistica per demolire qualunque ipotesi antropocentrica, e affermare l’inesistenza di Dio sulla base del fatto che l’emergere della Vita e dell’Uomo discendono da processi “ciechi”, assolutamente casuali. È alquanto paradossale, notiamolo en passant, come questi risoluti credenti nelle verità assolute della Scienza finiscano con il supportare teorie altrettanto inverosimili – sul piano dell’evidenza empirica – nel momento stesso in cui tanto si affannano a proclamare la loro assoluta adesione al manifesto ateo. È il caso, per esempio, di Francis Crick (Life itself, Simon & Schuster 1981), che, per spiegare la vita sulla Terra, ha elaborato la teoria della Panspermia (per la quale i “semi” vitali sarebbero stati diffusi da intelligenze extraterrestri).

 

Decostruzione del termine “evoluzione”.
Un primo problema si pone inevitabilmente quando ci si confronta con la necessità di assegnare un preciso significato al termine ‘evoluzione’, la cui decodificazione è oggi gravata dalla sovrapposizione di diversi livelli di analisi e dall’esigenza di coniugare la teoria evoluzionistica con sovrastrutture ideologiche meta-scientifiche. Per evoluzione si intende “il progressivo ed ininterrotto accumularsi di modificazioni successive, fino a manifestare, in un arco di tempo sufficientemente ampio, significativi cambiamenti morfologici, strutturali e funzionali negli organismi viventi” (Wikipedia). In questa ampia accezione si ritrovano un po’ tutti – con la significativa esclusione dei creazionisti, un movimento ambiguo attualmente prosperante pressoché esclusivamente nei paesi di cultura protestante.

La Chiesa Cattolica ha da sempre considerato verosimile che la vita sulla Terra sia riconducibile ad un “processo”, e non sia uno stato emerso improvvisamente dalle brume del caos. Già Sant’Agostino riteneva che, pur avendo Dio creato il mondo secondo un abbozzo rudimentale, gli avesse conferito delle “proprietà seminali”, principi per i quali la Natura avrebbe potuto svilupparsi ed evolversi nei modi in cui oggi lo conosciamo[2]. Questo è quanto, in modo più articolato, ripropone Papa Francesco quando sottolinea che “L’evoluzione nella natura non contrasta con la nozione di Creazione, perché l’evoluzione presuppone la creazione degli esseri che si evolvono” (Discorso del Santo Padre Francesco in occasione dell’inaugurazione di un busto in onore di Papa Benedetto XVI, casina Pio IV, 27 ottobre 2014).

Sant’Agostino non manca inoltre di sottolineare che: “Supporre che Dio creò l’uomo dalla polvere con le mani è molto infantile … Dio non plasmò l’uomo con le mani né soffiò su di lui con la gola e le labbra”[3]. Nel solco di queste prime anticipazioni si sono mossi San Tommaso e innumerevoli altri autori di fede cattolica. Il tema è stato recentemente affrontato anche da alcuni pontefici, tra cui Papa Benedetto XVI, per il quale “La dottrina dell’evoluzione è per certo un’ipotesi importante, che però presenta decisamente molti problemi, i quali necessitano ancora di un’ampia discussione”. La chiosa di Papa Francesco prima ricordata si colloca pertanto in modo perfettamente coerente all’interno di una tradizione che, senza soluzione di continuità, può essere fatta risalire fino a Sant’Agostino.

Non si comprende quindi il livore con cui queste parole sono state stigmatizzate in ambito protestante, soprattutto grazie alla lettura distorta operata dal pastore Ken Harn, e successivamente auto-alimentatasi grazie alla diffusione via internet. Non vogliamo inseguire il Sig. Harn sul suo terreno – cominciando per esempio contestandogli l’equiparazione del Papa ad un ‘mago’ – ma riteniamo preferibile rimarcare le criticità evidenziate dal Santo Padre. Perché, infatti, il punto è precisamente questo. L’evoluzione è una teoria – parte di complessiva teoria della Biologia ancora di là da venire – di cui dobbiamo ancora capire quale sia il “motore”. Le “novità” sono realmente tali o sono variazioni su alcuni temi formali, discreti? Sono dovute a modifiche genetiche o intervengono altri fattori, come il condizionamento biofisico imposto dall’ambiente? Sono imposte dal “caso” o si dipanano lungo un percorso predefinito?

 

I limiti dell’Evoluzionismo.
Quello che la dottrina cattolica rifiuta è che il processo dell’evoluzione dipenda esclusivamente da mutazioni genetiche, emerse per caso e selezionate in base al fatto che queste, determinando un diverso fenotipo, gli conferiscano maggiori probabilità di adattamento e sopravvivenza. In sintesi, l’evoluzione non può essere guidata dal caso, definizione che in se è già un ossimoro dato che in linea di principio non si capisce come la stocasticità, da sola, possa conferire ordine e direzione ad un processo.

Questa è la critica di fondo che viene rivolta oggi, non tanto a Darwin (che era ben consapevole dei limiti della sua teoria), quanto ai suoi zelanti epigoni che, come spesso accade, si rivelano essere più “realisti del re”. Di fatto, la teoria evoluzionistica così come ci viene consegnata dai post-darwiniani viene oggi estesamente criticata e discussa in ambito scientifico – basti pensare ai contributi apportati in tale direzione da Steven Jay Gould, Stuart Kauffman o Carl Woese, tanto per citarne alcuni. La riscoperta di una eredità di tipo Lamarkiano, del trasferimento orizzontale dei geni o delle modificazioni ereditate per via epigenetica materna, hanno inoltre contribuito a modificare in modo sensibile l’impianto della teoria di Darwin e ne impongono una profonda rivisitazione.

 

Considerazioni di un “credente sperimentale”.
È veramente curioso che le posizioni più estreme ed intransigenti oggi sul tappeto – il post-darwinismo alla Dawkins e il creazionismo dei tanti predicatori di intolleranza, come il Sig. Ken Harn – militino entrambe nel campo anglosassone protestante. In entrambi i casi si riafferma la fede in un principio deterministico assoluto, centrato sul caso o su un “dio” meccanico, responsabile di ogni sia pur infinitesimale dettaglio. Si comprende subito come l’impostazione filosofica soggiacente sia la medesima. In entrambi i casi viene negata alla Vita quella Libertà che, seppur vincolata alle leggi del creato, costituisce il messaggio primo della Sacra Scrittura. Sia per Dawkins quanto per Harn, la Vita e l’Uomo sono regolati da un “orologiaio”: comunque cieco, perché sia esso il Caso o Dio, procede indifferente al decorso della Storia dell’Uomo. L’intuizione di Sant’Agostino è oggi invece più feconda che mai: perché preserva la libertà dell’Uomo nel contesto di un processo evolutivo che si dipana in accordo alle leggi della Natura che, in se stesse, non hanno nulla di arbitrario.

Il mio lavoro quotidiano è propriamente centrato sulla ricerca e la comprensione di quelle leggi che riescono a coniugare la “libertà” con la “necessità”. Non c’è nulla di arbitrario e casuale – ed aveva quindi ragione Einstein nel ricordare come “a Dio non piaccia giocare ai dadi” – ma neanche nulla di “preordinato”: l’organismo vivente ‘esplora’ uno spazio di possibilità, ristretto ad un numero ‘discreto’ di potenzialità ammesse dalle leggi di Natura. Entro questi limiti si svolge l’evoluzione e gli stessi processi che ricapitolando la filogenesi, portano alla ontogenesi. Questa evidenza è per me constatazione quotidiana, emergendo dal vivo della stessa sperimentazione scientifica. Come tale non solo mi riconferma nella bontà dell’impianto teorico che permette di riconciliare aspetti apparentemente contrapposti in Biologia – come si fa a coniugare evoluzione e permanenza di alcune forme ‘fondamentali’? Come conciliare cambiamento e omeostasi? Come fa un organismo a rimanere se stesso pur cambiando continuamente? – ma mi ribadisce nella sapienza delle Scritture, quando correttamente interpretate nel rispetto della loro complessità ermeneutica. Soprattutto mi aiuta a riscoprire, ogni giorno, dietro ogni fenomeno quella mano invisibile che ci fa sentire vicino Dio. Anche nel mio laboratorio.

 

Note
[1]^ Galilei non si limita a rivendicare l’autonomia della scienza dalla religione, afferma anche che essa è infallibile, se rettamente intesa (secondo criteri da lui stesso definiti); e che, mentre gli scienziati, se applicano fedelmente il metodo sperimentale, non possono sbagliare, possono invece sbagliare quei teologi che pretendono di leggere le Scritture prendendole alla lettera, laddove esse parlano un linguaggio figurato, specialmente riguardo alle verità naturali. In altri termini Galilei sembrerebbe voler mettere la Teologia sotto tutela della Scienza. Non solo, ma il ragionamento galileiano implica che la matematica permetta agli uomini di raggiungere la verità con la medesima grado di certezza di Dio, proprio perché Dio conosce in modo “matematico” e pone all’origine del mondo leggi conoscibili grazie alla matematica.

 

[2]^ Alcune citazioni di Sant’Agostino sono particolarmente illuminanti al riguardo: “Nel granello dunque erano già presenti invisibilmente tutti insieme gli elementi che nel corso del tempo si sarebbero sviluppati per formare l’albero; allo stesso modo dobbiamo immaginare il mondo, quando Dio creò simultaneamente tutte le cose, conteneva simultaneamente tutti gli elementi creati in esso e con esso quando fu fatto il giorno […]. Conteneva inoltre gli esseri che l’acqua e la terra produssero virtualmente e causalmente, prima che comparissero nel corso dei tempi e che noi ora conosciamo come opere che Dio continua a compiere fino al presente” (De Genesi ad litteram, V, 23,44. “[…] un’altra cosa sono i [semi] misteriosi con i quali, al comando del Creatore, l’acqua ha prodotto i primi pesci e i primi volatili, la terra i primi suoi germogli ed i suoi primi animali secondo la loro specie. E nella realizzazione di queste prime nascite non si esaurì la forza vitale di quei semi […]”. De Trinitate, III, 8, 13. [Le creature] acquistano e perdono perfezioni, secondo l’esigenza e il movimento delle realtà, […] perché per Divina Provvidenza tendono a quel risultato che il razionale ordinamento dell’Universo implica”. Ibidem, XII, 5.

 

[3]^ De Genesis contra Manicheos, cit. in Andrew Dickson White, Project Gutenberg A History of the Warfare of Science with Theology in Christendom, vol. 1, New York, Londra, D. Appleton & Companyc, 1922 [1896].