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II manicheismo nel medioevo ha agito sostanzialmente in due direzioni: la spinta
potenzialmente panteista, secondo la quale l'anima
emana dalla sostanza divina ed
è quindi
necessariamente pura e impeccabile (perché se peccasse bisognerebbe dar la colpa a Dio); e la
tendenza marcatamente demonologica, che tende a vedere il male non come effetto del libero
arbitrio della creatura (per il motivo appena detto), ma come effetto necessario del "padre del
diavolo", come i catari chiamavano il principio sussistente del male, che per altri era la stesso
demonio, concepito peraltro non come creato da Dio, perché, daccapo, se cosi fosse, si dovrebbe
dare a Dio la colpa del male, ma come esistente per sé indipendentemente da Dìo e contro Dio (il
"Dio buono").
Tracce, nel primo medioevo, di questa persistente personificazione (e quindi diciamo pure:
assoluzione) del male confuso, col demonio, le troviamo in già citati documenti del Magistero: la
Lettera di S. Leone Magno del 447, nella quale il Papa così registra l'eresia demonologica:
"Diabolus numquam fuit bonus, nec natura eius opificium Dei est, sed emersit ex chao et tenebris,
quia scilicet nullum sui habet auctorem, sed omnis mali ipse est principium atque substantia".
Ma - aggiunge il Papa - la vera fede dice ben altro, e cioè che "omnium creaturarum sive
spiritualium sive corporalium bonam confitetur esse substantiam, et mali nullam esse naturam"
(ossia il male non è una sostanza, ma una "privazione", come spiegherà S. Tommaso al seguito di
Aristotele e S.Agostino): "quia Deus, qui universitatis est conditor, nihil non bonum fecit. Unde et
diabolus bonus esset, si in eo quod factus est" (a Deo) "permaneret. Sed quia naturali excellentia
male usus est, 'et in veritate non stetit' (Gv 8, 44), non in contrariam transiit substantiam, sed a
summo bono" (=Deo) ", cui debuit adhaerere, descivit, sicut ipsi qui talia asserunt" (cioè i
manichei), "a veris in falsa proruunt, et naturam in eo arguunt, in quo sponte delinquunt" (=
rimproverano quella stessa natura nella quale peccano) "ac pro sua voluntaria perversitate
damnantur. Quod utique in ipsis malum erit" (=la cattiva volontà) ", et ipsum malum non erit
substantia, sed poena substantiae" (D286).
E il concilio di Braga del 561: "Si quis dicit, diabolus non fuisse prius (bonum) angelum a
Deo factum, nec Dei opificium fuisse naturam eius et dicit eum de chao et tenebris emersisse, et
ipsum esse principium atque substantiam mali, sicut Manichaei et Priscillianus dixerunt, a. s."
(D457).
Una conseguenza di questo determinismo morale sia sulla linea del bene che su quella del
male, fa poi sorgere, sin dal primo medioevo, l'eresia della doppia predestinazione, che farà la sua
ricomparsa con luterò e Calvino. La differenza tra manichei e protestanti sarà che, mentre il
manicheismo riconduce il male ad un Dio cattivo opposto a quello buono, il protestantesimo, con
pari empietà, fa dipendere da Dio anche il male,
Il "Bambino" partorito dalla Donna viene "subito rapito verso Dio" (Ap 12, 5): il dogma
calcedonese, una volta formulato dalla Chiesa, gode della protezione divina, e nessuna astuzia o
tergiversazione ereticale, per quanto speciosi possano essere i pretesti sotto i quali si maschera,
riuscirà mai a scalfirlo o a renderlo inintellegibile per chi è disposto ad ascoltare; anzi, dal cielo
dell'anima di ogni credente, questo dogma centrale del cristianesimo continuerà sempre ad
illuminare il cammino della Donna (la Chiesa) rimasta sulla terra, pericolosa per la presenza del
Drago. Ma Dio la protegge e le prepara un "rifugio nel desertó", "per essere nutrita per
milleduecentosessanta giorni".
Così Filippo Carcione, nella conclusione del suo libro dedicato alle eresie cristologico-
trinitarie dei primi secoli17, afferma: "Con il VII secolo termina l'epoca delle grandi discussioni
sulle principali verità della fede cristiana; le formulazioni dei primi sei concili ecumenici segnano
l'esplicitazione più matura della riflessione sulla Trinità e l'Incarnazione di Dio nel cammino della
Chiesa antica". Una specie di felice conclusione di questi travagliati secoli sarà il concilio di Nicea
II del 787, nel quale sarà proclamata, contro gli iconoclasti, la legittimità del culto delle immagini,
quasi a riconoscere che, una volta che con la vittoria sulle eresie cristologiche che cercavano di
17 "Le eresie. Trinità e incarnazione nella Chiesa Antica", Ed.Paoline, 1992, p.211.
"La Donna e il Drago" di P.Giovanni Cavalcoli, OP - Bologna, 31.5.10
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sfigurare il volto di Cristo, questo volto divino appare chiaramente agli occhi della Sposa nella sua
ineffabile bellezza, la Sposa desidera contemplare e adorare questo volto nella affascinante
suggestione della raffigurazione artistica.
A questo concilio segue una serie di secoli durante i quali la Donna, al riparo dal Dragone
nel rifugio preparato da Dio nel deserto - pensiamo alla grande fioritura del monachesimo nei secc.
XI-XlI -, non subisce attacchi particolarmente pericolosi dal potere delle tenebre. Indubbiamente,
continua a lavorare sotterraneo lo gnosticismo nelle sue forme dualistico-panteiste, come abbiamo
accennato, ma si può dire che fino al sec.Xlll, allo scadere dei "milleduecentosessanta giorni",
l'eresia non preoccupa eccessivamente la Chiesa.
È in questo momento però che "scoppia una guerra in cielo" (Ap 12, 7), sicché negli anni
sessanta del sec. XIII, vediamo S. Michele con i suoi angeli, ossia S. Tommaso con gli altri grandi
dottori scolastici, in particolare Alessandro di Hales, S. Bonaventura e S. Alberto Magno, impegnati
in una nuova guerra contro il Drago - ossia l'eresia - e i suoi angeli - ossia gli errori ad essa
connessi.
Michele contro il Drago
La lotta si svolge in "cielo", ossia nel cielo dell'intelligenza, nell'ambito del pensiero
speculativo e della teologia dogmatica, dove si formulano le grandi idee e si prendono le grandi
decisioni, dove avvengono le svolte che decidono del destino dell'umanità. Gli uomini terreni non si
rendono neanche conto di quello che lassù sta accadendo e non gli danno alcuna importanza.
Credono che non avrà alcuna incidenza nella loro vita, e pensano di essere loro gli arbitri ultimi del
loro destino. Secondo costoro, i teologi e i metafisici sono gente che vive tra le nuvole e non capisce
nulla di come si governano le cose di questo mondo. Ma a questi uomini terreni, che si credono i
signori del mondo, direbbe S. Paolo: "L'uomo carnale non comprende le cose dello Spiri to di Dio;
esse sono follia per lui, e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo
dello Spirito. L'uomo spirituale invece giudica ogni cosa, senza poter esser giudicato da nessuno" (I
Cor 2, 14-15).
È dal cielo e stando in cielo che si può giudicare bene delle cose della terra. Per questo il
lavoro dei teologi è in certo senso uiù importante - proprio per assicurare il bene terreno - del lavoro
dei politici e degli uomini d'azione, anche se costoro indubbiamente superano i teologi nella
conoscenza pratica e dettagliata dei mezzi e dei modi per realizzare questo bene. Ma la guida
suprema dell'azione non può che venire dalla teologia, alimentata peraltro da una vita santa. Ed è
questo il caso dei santi dottori, come appunto un S. Tommaso18.
Con la fine del sec. XII e l'inizio del XIII, ci dicono gli storici delle eresie, il cielo si
rannuvola nuovamente: "scoppia una guerra in cielo". E la Provvidenza manda appunto valorosi
combattenti, adatti a superare il grave frangente che si profila all'orizzonte. Il Drago, questa volta,
agisce attraverso il catarismo, che abbiamo già visto. Ma dietro il catarismo, come pure abbiamo
visto, c'è, mai sopita, perché l'arma preferita del demonio, la gnosi dualista-panteista, dalle lontane
origini persiano-indiana-parmenidea.
Nietzsche, col suo tracotante superomismo ateo dell'uomo che si sostituisce a Dio e quindi
và "al di là del bene e del male, è in perfetta linea con Zoroastro (o Zarathustra): infatti, tanto
nell'ateismo dionisiaco nitzciano che nel manicheismo sia il bene che il male sono divini, con
l'unica differenza che mentre nel dionisismo nitzciano dell'"amor Fati" e dell'"eterno ritorno
18 Cf su S.Tommaso: R.Garrigou-Lagrange, OP, "La synthèse tomiste", Desclée de Brouwer, Paris 1947; M.-D.Chenu,
OP, "Introduction à l'étude de Saint Thomas d'Aquin", Montréal-Paris 1954; H.D.Gardeil,OP, "Initiation à la
philosophie de Saint Thomas d'Aquin", Les Editions du Cerf, Paris 1966; L.Ferretti,OP, "San Tommaso d'Aquino",
Edizioni San Sisto Vecchio, Roma 1974; M.D.Chenu,OP, "S.Tommaso d'Aquino e la teologia", Piero Gribaudi Editore,
Torino 1977; J.A.Weisheipl, "Tommaso d'Aquino. Vita, pensiero, opere", Jaca Book, Milano 1988; A.Livi, "Tommaso
d'Aquino. Il futuro del pensiero cristiano", Mondadori, Milano 1997; L.Salerno,OP, "S.Tommaso dopo il Concilio
Vaticano II", Editrice Domenicana Italiana, Napoli 2005.
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dell'uguale" - buono o cattivo che sia - il male si trova nell'unico dio, che è il superuomo
dionisiaco, nel manicheismo il male si trova nel dio del male, distinto dal dio del bene. E non per
nulla quindi Nietzsche ha scritto il famoso "Cosi parlò Zarathustra", che è di nuovo pasto, ahimè,
delle giovani generazioni: l'uomo non impara mai dalla storia.
Con Nietzsche il panteismo passa nell'ateismo e finisce nel nichilismo: l'uomo che si fa Dio,
sopprime il vero Dio, ossia il Dio trascendente; ma siccome questi è Tutto e l'uomo senza Dio è
nulla, la conclusione nichilistico è inevitabile.
Questa volta l'Apocalisse ci dice apertamente chi è il "Drago", e lo dice in maniera
inequivocabile, usando ben tre espressioni diverse: il "Serpente antico", ossia il Tentatore nel
paradiso terrestre, il "diavolo" e "Satana", "colui che seduce tutta la terra": vogliamo aggiungere i
titoli usati da Gesù? lo "spirito impuro", il "principe di questo mondo", il "padre della menzogna".
Contro chi combatte sostanzialmente S. Tommaso? Mi sembra che pochi, anche tra i tomisti,
si pongano questa questione. Il modo col quale ci appare a prima vista il pensiero dell'Aquinate è
nuello di un immenso mare pacifico, uno stupendo immenso giardino zoologico, dove è bello
recarsi in visita in una giornata di sole a passare in rassegna con soddisfazione e meraviglia tutta la
grande varietà di esseri viventi ben sistemati nelle loro gabbie ed adeguatamente custoditi dal
personale addetto. Così le migliala di articoli delle "Summae" torniste ci si presentano come un
spettacolo meraviglioso per l'intelligenza teologica, che non finisce mai di godere della luce che
Tommaso ci dona, anche se talvolta i suoi concetti certo non sono facili da capire; ma se ci
sforziamo, alla fine siamo premiati con l'acquisizione di importanti contenuti dottrinali.
Ma l'esposizione tomista ha anche un altro aspetto inapparente, che percorre tutta la sua
opera: le sue tesi non sono mai semplici affermazioni, ma sempre risposte argomentate, decise e ben
fondate a difficoltà ed obiezioni. In Tommaso c'è una lotta continuacontro l'errore, e quindi contro il
Principe della menzogna: il suo stile sereno, da gran signore, da "gentleman", si direbbe - non per
nulla apparteneva ad un nobile ed antico casato - non ci dà a tutta prima l'impressione di un Michele
che combatte contro il Drago: eppure è così: Tommaso non lo dà a vedere, ma è così. Se invece di
fermarci alla "forma", allo stile, badiamo alle cose che Tommaso dice, vedremo strali di fuoco
gettati contro la menzogna, l'inganno, l'ipocrisia, la superbia, la falsità, l'eresia. Tommaso non si
scomponeva; ma la sua parola è "spada affilata a doppio taglio", mentre il suo "volto assomiglia a
quello del sole quando splende in tutta la sua forza" (Ap 1, 16).
Quale teologo più di Tommaso sa addestrarci a riconoscere l'eresia? Quale, più di lui, ci
insegna a tenere gli occhi aperti per non essere ingannati o presi in giro da seduttori, imbonitori o
impostori, o da lupi travestiti da agnelli? Qnale più di lui, amatissimo di Cristo, fedelissimo al
Magistero, sapientissimo in filosofia, pieno di carità e zelo per le anime e per la verità,
prudentissimo nei giudizi, ci mette in mano i criteri migliori per discernere, alla luce della fede, la
verità dall'errore? Quale sa meglio di lui argomentare per la verità e confutare con persuasività
l'errore? Ouale meglio di lui va al nocciolo, alla sostanza delle questioni senza perdersi in
chiacchiere, ma col vivo senso di responsabilità non di chi vuoi fare dell'accademia o farsi bello
davanti agli altri, ma del medico che con amore vuole e sa curare le piaghe dell'intelligenza, sanare
menti e coscienze ferite e turbate dalla menzogna, dissetare chi ha sete della verità, aprire gli occhi
di chi non ci vede?
Qualche decina d'anni prima del 1260, nel 1215, un grande concilio, il Lateranense IV,
guidato da un grande Papa, Innocenze III, riprende, dopo molti secoli, lo stile altamente dottrinale e
dogmatico dei primi grandi concili cristologici dei quali abbiamo parlato. Il Drago ritorna in grande
stile, ma trova pane per i suoi denti. Di nuovo l'attacco dei dualisti, questa volta nelle vesti dei
catari. Il Lateranense IV torna sulla questione del diavolo e degli at tributi divini, e chiarisce contro
i catari qual è il rapporto del demonio con Dio. Riprende l'insegnamento di S. Leone Magno e del
concilio di Braga, ribadendo che il demonio non è una specie di anti-Dio indipendente da Dio, ma è
stato creato da Dio e, in quanto sua crea tura, è stato creato buono, perchè Dio non crea che il bene.
Tuttavia il demonio da sé (e non per colpa di Dio) si è fatto malvagio: il che è come
riconoscere quel libero arbitrio che i catari negavano. Discorso simile vien fatto per l'uomo: egli è
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creato buono, anima e corpo; e se quindi è cattivo, è colpa sua, per essersi originariamente lasciato
ingannare dal diavolo. Qui si smentisce implicitamente la tesi catara dell'anima come parte di Dio:
no, l'anima è creata dal nulla. E il corpo non appartiene al diavolo, ma anch'esso è buono e creato da
Dio. Anche l'uomo dunque ha il libero arbitrio, e, se pecca, è solo colpa sua.
Torniamo dunque a porci la domanda: qual è il nemico maggiore del pensiero tomista? Per
capirlo, dobbiamo ricordare qual è il valore attorno al quale Tommaso fa ruotare fondamentalmente
e principalmente il suo pensiero. Qual è la tesi fondamentale alla quale egli tiene di più come
massimamente vera ed importante? E' la sua famosa teoria dell'analogia dell'essere, che gli
consente di accogliere con totale adesione e disponibilità d'animo, senza alcuna riserva, ma con
piena convinzione di ragione e di fede, l'assunto dogmatico fondamentale del Lateranense IV circa
Dio creatore della sostanza materiale e della spirituale, degli angeli e dell'uomo, bontà infinita che
pertanto ha creato creature buone ma capaci di compiere il male, senza che ciò debba o possa in
alcun modo intendersi come se Dio fosse l'autore del male o possa giustificare la spiegazione
cataro-manichea dell'origine del male con un principio sostanziale malvagio indipendente da Dio (il
"diavolo" o il "padre del diavolo").
Tutto il pensiero di Tommaso non è che lo svolgimento di questa tesi dogmatica
fondamentale, estremamente ricca e densa di articolazioni e di contenuti metafisici e teologici,
nonché morali. Dunque la battaglia fondamentale di Michele contro il Drago, è contro il Drago
manicheo. In questa luce acquista tutto il suo significato un grazioso aneddoto che si racconta dell'
Aquinate, il quale, trovandosi alla mensa del Re di Francia Luigi IX, rimase improvvisamente
assorto nei suoi pensieri, ed altrettanto improvvisamente ne uscì fuori battendo il pugno sulla tavola
ed esclamando: "Ecco l'argomento decisivo contro i manichei!". Al che il Re, tutt'altro che
infastidito da questa uscita di Tommaso che poteva apparire indiscreta o irriverente: "Presto - disse
ai servitori - portate a fra' Tommaso carta e penna per permettergli di scrivere!".
E dietro al manicheismo c'è pure, come abbiamo visto, il monismo panteista (antropologico:
la divinità dell'anima; o cosmologico: la divinità del mondo). Per la verità Tommaso si misura
direttamente e apertamente contro questo Drago solo in pochissimi passi della sua immensa
produzione, perché ai suoi tempi, come ho detto, le premesse manichee non erano spinte fino a
quelle estreme conseguenze che sarebbero state ricavate dal pensiero moderno, utilizzando peraltro
il monismo idealista parmenideo ed accogliendo gli influssi del panteismo indiano.
Ma tutta la metafisica e la gnoseologia di Tommaso costituiscono di per sé implicitamente,
anche se non nelle intenzioni espresse dell'Aquinate, una poderosa confutazione del panteismo,
senza per questo ignorarne le istanze positive, sicché, quando i discepoli di Tommaso, nel sec. XIX
e XX, si troveranno a dover affrontare l'enorme ed impressionante questione dell'idealismo
panteista tedesco, non dovranno faticare molto per trovare nell'arsenale tomista le armi giuste per
combatterlo e vincerlo.
Citiamo per intero tre passi di Tommaso nei quali è affrontato esplicitamente il problema del
panteismo. Nel commento alle Sentenze ( l.II, D. 17, q.l, a.l), Tommaso si esprime così: "L'errore di
alcuni antichi filosofi fu di ammettere un'essenza comune a Dio e a tutte le cose. Supponevano,
infatti, che tutte le cose sono un solo ente e non differiscono, come ha detto Parmenide, che per
semplici apparenze, secondo il giudizio dei nostri sensi. Questa opinione degli antichi filosofi è
stata seguita da alcuni moderni, nel numero dei quali si può annoverare David de Dinant. Infatti,
egli divideva le cose in tre categorie: i corpi, le anime e le sostanze separate. Egli chiamava 'yle' il
primo indivisibile che è il fondamento dei corpi, e 'nus' o spirito il primo indivisibile che è il
fondamento delle anime; quanto al primo indivisibile tra le sostanze eterne, lo chiamava 'Dio'; e
diceva che qneste tre cose sono una sola e medesima cosa e, per conseguenza, che tutte le cose sono
per essenza una (sola cosa) ".
Nella Somma Teologica, chiedendosi se Dio entri nella composizione delle cose, risponde:
"Circa hoc fuerunt tres errores. Quidam enim posuerunt quod Deus esset anima mundi, ut patet per
Augustinum, in l.VII De Civ.Dei; et ad hoc etiam reducitur quod quidam dixerunt Deum esse
animam primi caeli. Alii autem dixerunt Deum esse principium formale omnium rerum. Et haec
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dicitur esse opinio Almarianorum" (i seguaci di Amaury de Bène). Sed tertius error fuit Davide de
Dinando, qui stultissime posuit Deum esse materiam primam.
"Omnia enim haec manifestam continent falsitatem: neque enim est possibile Deum aliquo
modo in compositionem alicuius venire, nec sicut principium formale, nec sicut principium
materiale. Primo quidem, quia diximus Deum esse primam causam efficientem. Causa autem
efficiens cum forma rei factae non incidit in idem numero, sed solum in idem specie: homo enim
generat hominem. Materia vero cum causa efficiente non incidit in idem numero, nec in idem
specie, quia hoc est in potentia, illud vero in actu. Secundo, quia cum Deus sit prima causa
efficiens, eius est primo et per se agere. Quod autem venit in compositionem alicuius, non est primo
et per se agens, sed magis compositum: non enim manus agit, sed homo per manum et ignis
calefacit per calorem. Unde Deus non potest esse pars alicuius compositi. Tertio, quia nulla pars
compositi potest esse simpliciter prima in entibus, neque etiam materia et forma, quae sunt primae
partes compositorum. Nam materia est in potentia; potentia autem est posterior actu simpliciter.
Forma autem quae est pars compositi est forma participata, sicut autem participans est posterius eo
quod est per essentiam, ita et ipsum participatum, sicut ignis in ignitis, est posterior eo quod est per
essentiam. Ostensum autem quod Deus est primum ens simpliciter" (Sum. Theol., I, q.3, a.8).
Infine, nella Summa contra Gentes, l.I, c.17, Tommaso accenna al1'"insania" di Davide de
Dinant, "qui ausus est dicere Deum esse idem quod materia prima, ex hoc quod, si non esset idem,
oporteret differre ea aliquibus differentiis, et sic non essent simplicia; nam in eo quod per
differentiam ab alio differt, ipsa differentia compositionem facit. Hoc autem processit ex ignorantia
qua nescivit quid inter differentiam et diversitatem intersit. Differens enim, ut in X Metaph.
determinatur, dicitur ad aliquid, nam omne differens aliquo est differens; diversum autem aliquid
absolute dicitur, ex hoc quod non est idem. Differentia igitur in his quaerenda est quae in aliquo
conveniunt: oportet enim aliquid eis assignari secundum quod differant; sicut duae species
conveniunt in genere, unde oportet quod differentiis distinguantur. In his autem quae in nullo
conveniunt, non est quaerendum quo differant, sed seipsis diversa sunt. Sic enim et oppositae
differentiae ab invicem distinguuntur: non enim participant genus quasi partem suae essentiae; et
ideo non est quaerendum quibus differant: seipsis enim diversa sunt. Sic etiam Deus et materia
prima distinguuntur, quorum unus est actus purus, aliud potentia pura, in nullo convenientiam
habentes".
Con l'attacco di Tommaso al manicheismo, "non c'è più posto per esso in cielo" ( cf Ap 12,
8), ossia esso perde la sua capacità di sedurre gli spiriti perspicaci, che desiderano le cose celesti,
ossia le dottrine maggiormente vere e le meglio argomentate. Con la vittoria di Tommaso, il
manicheismo è gettato a terra, "è precipitato sulla terra" (v. 9): non può, non deve confondere più le
menti sagge, attente ed intelligenti. Chi persiste nel vedere nel manicheismo una realtà celeste, una
dottrina sublime e inconfutabile, è uno stolto, un attardato che non sa che l'impostore è smascherato,
che il nemico è vinto. Ma nonostante la vittoria di Tommaso c'è chi ancor oggi, si lascia sedurre dal
manicheismo19.
Il Drago precipitato sulla terra
"Or quando il Drago si vide precipitato sulla terra, si avventò contro la Donna che aveva
partorito il Figlio maschio" (Ap 12,3). La speculazione gnostica, monista o dualista che sia,
apparentemente sublime e celeste, finisce per avvilire e immiserire lo spirito nelle meschinità e
bassezze terrene: apparentemente santa e mistica, la gnosi manichea, sconfitta da Tommaso, getta la
maschera e rivela una mente carnale incapace di sollevarsi e guardare al cielo. L'uomo che vuol fare
19 Una prova della presenza ancora viva del catarismo manicheo nell'Italia della seconda metà del sec.XIII è data dalla
diffusione del "Liber de duobus principiis", composta forse da un certo Giovanni di Lugio nell'italia settentrionale.
L'opera fu pubblicata nel 1939 dallo storico domenicano Padre A.Dondaine, presso l'Istituto Storico Domenicano di
Roma. L'interesse di quest'opera è dato dal fatto che è stata scritta da un autore cataro, per cui possiamo avere
cognizioni di prima mano, le quali però non si scostano da quelle che ci erano già fornite dai suoi critici cattolici.
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l'angelo - diceva con acutezza Pascal - finisce col fare la bestia. E tutti noi conosciamo il mito di
Icaro. "Chi si innalza, sarà abbassato". È il castigo degli empi e dei superbi. Il loro trionfo è
effimero. La loro menzogna prima o poi viene smascherata ed essi sono svergognati. Quanto insiste
la Scrittura su questo punto! Tutta la storia biblica è la storia di umili innalzati e di superbi
abbassati. Il grande si rivela abbietto, e il disprezzato sale al cielo e trionfa sui suoi nemici.
Dopo la grande fioritura del sec.XIII, la teologia scolastica, come è noto, comincia a
decadere dalle sue sublimità celesti e gradualmente comincia ad assumere un'impostazione terrena
rozza e mondana. La teologia comincia a perdere il suo orientamento speculativo e lo sguardo di
aquila improntato alla cristologia giovannea, e comincia invece a dare il primato agli interessi
pratici, l'uomo comincia a ripiegarsi su di sé, tende a darsi il primo posto. Continua a credere in Dio
e in Cristo, ma Dio e Cristo gli interessano non più in se stessi, ma in quanto gli procurano la sua
grandezza, e la grandezza dell'uomo - sia pure cristiano - comincia ad essere esaltata oltre misura.
La religiosità comincia a diventare anarchica, individualistica e soggettivistica, troppo
interioristica e troppo ripiegata su se stessa. L'io comincia a gonfiarsi e a vedere Dio e Cristo non
più in cielo, ma nel proprio intimo, al servizio dell'io e per divinizzare l'io, per conseguire una
"libertà" che tende a rifiutare i legami con l'autorità (civile ed ecclesiastica); l'io pretende di
comunicare direttamente con Dio nella sua "coscienza", senza la mediazione della comunità
ecclesiale e dei suoi pastori e, al limite, senza far uso dei sacramenti della Chiesa e ritenendosi
libero dalle sue leggi e dalle sue norme; comincia a credere di ricevere da Dio nella propria
"coscienza" illuminazioni superiori a quelle del Magistero della Chiesa, ed anzi comincia a
convincersi che la Chiesa con i suoi pastori possa sbagliarsi nell'indicargli la verità e la via della
salvezza, e a pensare che la via sicura sia quella di una interpretazione privata della Scrittura, nelle
particolari risonanze "mistiche" che essa provoca nel suo "cuore" e nella sua soggettiva coscienza.
È sempre la vecchia gnosi a1 lavoro: permane la convinzione del la divinità dell'anima, in
particolare della propria anima (quella degli altri comincia ad interessare di meno o interessa ma in
funzione della propria); e permane il pessimismo manicheo nei confron ti della corporalità soggetta
al male e principio di male, per cui, nella convinzione di non poter riscattare la corporeità con le sue
tendenze carnali ed egoistiche, si comincia a cadere in una rovinosa accondiscendenza alle loro
brame e in una perversa rassegnazione alla loro tirannia, che così vengono ad essere in qualche
modo scusate e addirittura giustificate come cose "naturali".
Così il dualismo si accentua: nell'anima ci si convince di essere dei "mistici" o addirittura di
possedere già da adesso la visione beatifica e la beatitudine celeste (vedi i beguardi); ma dall'altra si
è attaccati agli onori del mondo, agli interessi terreni e ai piaceri della carne pensando di godere la
"libertà dei figli di Dio", giacché, come diceva Abelardo, basta la "buona intenzione": l'oggetto
dell'azione ha importanza relativa: se hai la "buona intenzione", ciò è sufficiente e puoi fare tutto
quello che ti pare. In realtà non si pensa più "alle cose di lassù, ma a quelle della terra", al di là delle
quali non c'è nulla. Resta la "fisica"; ciò che è "oltre"("metà") la fisica - la meta-fisica -, comincia a
impallidire.Ma questo diventa evidente solo attraverso un lungo processo storico, all'inizio del quale
la apparenza - almeno - mantiene aspetti di ortodossia e di alta spiritualità.
La saggia utilizzazione di Aristotele fatta da S.Tommaso non viene compresa; si riprende a
credere che per interpretare la verità di fede sia meglio Platone, ed anzi, come avverrà nel
Quattrocento (per esempio Marsilio Ficino), siano meglio i neoplatonici, i quali più di Platone si
avvicinano al panteismo (almeno antropologico) e si darà un'enorme, esagerata e pericolosa
importanza al "Corpus Hermeticum" del leggendario Ermete Trismegisto, che più tardi si scoprirà
non essere neppure esistito (vedi gli studi in merito del domenicano Festugière), nascono
aspirazioni alla magia e il desiderio di ottenere, sulla, natura e sugli uomini, un potere che
appartiene solo a Dio, con vane distinzioni tra "magia bianca" (o "naturale") e "magia nera"
("diabolica") portate avanti per esempio, da Giovanni Pico della Mirandola, giovane dalla cultura
certamente prodigiosa, il quale, in un primo tempo disapprovato dalla S.Sede, ottenne purtroppo
successivamente un'eccessiva benevolenza da parte di Papa Alessandro VI.
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Ma la magia, bianca o nera che sia, è sempre legata esplicitamente o implicitamente, come
già aveva spiegato S. Tommaso, alle opere e ai suggerimenti del demonio. È vero tuttavia che la
Chiesa del Quattrocento e soprattutto il Cinquecento sarà esageratamente preoccupata del problema
della magia e della stregoneria, tanto da infierire ingiustamente, come si sa, su molte persone,
specialmente donne, credute indemoniate, mentre probabilmente in molti casi si trattava di povere
malate mentali, che si sarebbe dovuto trattare con ben altri metodi.
Il Drago, precipitato sulla terra, provoca così, una "terrenizzazione" o mondanizzazione o
profanazione del cristianesimo (cf il moderno fenomeno del secolarismo o la "svolta antropologica"
di Rahner o la "teologia della liberazione" o il naturalismo di Schillebeeckx). Questa
terrenizzazione si attua, come abbiamo detto, con l'emergere dell'io in primo Piano - 1'"avvento
dell'io", come disse Maritain -, il qua le io prende due direzioni: o una meramente terrena, pagana e
materialista, e si giungerà al materialismo dei secc.XVlll-XIX; oppure quest'io si gonfierà sempre
più di superbia, fino a che non si giungerà all'"Io assoluto" di Fichte, identico con Dio,
estromettendo il Dio trascendente.. L'io vuole tutto in sé e nulla fuori di sé, tutto attorno a sé, tutto
in funzione di sé, anche Dio.
La "differenza", come dirà Lévinas nel Novecento e l'"alterità", come dirà oggi Bruno Forte,
scompariranno, o saranno semplicemente un "non-Io" prodotto dall'Io all'interno del l'Io, perché l'Io
possa essere Io. Sorge, per dirla con un'espressione di Padre Fabro, il "principio di immanenza" o il
"bisogno di immanenza": l'io non sopporta che ci sia un'"alterità" che non gli appartenga e che non
sia sua. Non accetta un essere "fuori del pensiero", ma tutto l'essere , l'essere legittimo è solo
quello pensato da lui. L'essere è l'essere pensato (da me). L'"altro", esterno all'io, fosse il mondo o
uomo o fosse Dio, è semplicemente un "estraneo", è un nemico da eliminare o da soggiogare,
perché l'io possa essere "libero". Ma qui siamo all'Otto e Novecento; per ora la teologia non è
giunta a questo punto, ma si stanno ponendo le premesse filosofico-gnoseologiche (Cartesio), dalle
quali si giungerà a questo punto.
Nel Tre e Quattrocento, invece, e anche nel periodo rinascimentale, si tratti degli spiritualisti
(come i "fratelli del lìbero spirilo" in Germania, condannati da Bonifacio V, o i beguardi condannati
dal concilio di Viennes, o i "fraticelli" e gli "spirituali" condannati da Giovanni XXll) o dei
secolaristi-individualisti (come Guglielmo di Ockham, Marsilio da Padova e gli Umanisti), tutti, in
un modo o nell'altro e in diverse misure, aspirano a un interiorismo e ad "libertà cristiana" che
tendono a rifiutare ogni norma esterna ed oggettiva, per seguire una "legge evangelica" che si i
dentifica con l'arbitrio della propria coscienza sìngola. La stessa famosa "Imitazione di Cristo",
opera indubbiamente di alta ispirazione religiosa, oggetto di venerazione da parte di S.Teresa di
Gesù Bambino, mostra uno scarso interesse per i valori terreni e la vita di relazione sociale ed
ecclesiale.
Cominciano ad apparire segnali più consistenti di panteismo, benchè si tratti ancora di casi
isolati, come quello tragico e patetico di Margherita Porète20, un personaggio pressoché ignorato
fino a poco tempo fa, ma oggi emerso alla ribalta a causa dell'attuale diffondersi di mistica
panteista.
Margherita fu l'autrice di un libretto, "Lo specchio delle anime sem piici", di sapore appunto
panteista, ma non è facile sapere quanto essa, certamente digiuna di studi teologici scolastici, fosse
in grado di misurare il peso delle parole che diceva. Sta di fatto che essa, processata
dall'Inquisizione, fu giustiziata a Parigi nel 1310.
Famosa fu pure l'accusa di panteismo rivolta da Giovanni Gerson, dotto cancelliere
dell'università di Parigi, contro il mistico Giovanni Ruijsbroek, probabilmente anch'egli tradito da
alcune espressioni imprudenti, ma in realtà sostanzialmente e dichiaratamente nemico del
panteismo. Accenti panteistici di vago sapore parmenideo-plotiniano si trovano nel famoso libro
"La teologia dei tedeschi", scritto da uno sconosciuto, probabilmente sacerdote, della Germania del
20 Notizie di lei nel Dictionnaire de Spiritualité, vol.V, coll.1252-1268, passim; P.Dinzelbacher-D.R.Bauer, curatori,
"Movimento religioso e mistica femminile nel Medioevo", c.8, Edizioni Paoline 1993; G.Epiney-B.E.Zum Brunn, "Le
poetesse di Dio. L'esperienza mistica femminile nel Medioevo", Mursia, Milano 1994, c.IX;
"La Donna e il Drago" di P.Giovanni Cavalcoli, OP - Bologna, 31.5.10
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Ouattrocento. In quest'opera appare evidente anche l'accentuato interiorismo soggettivo proprio
della spiritualità del tempo, con una certa sottovalutazione della pratica sacramentale e del rapporto
con la gerarchia ecclesiastica. Il libro piacque a Lutero, che ne fece fare un'edizione, ma esso è ben
lontano dagli estremismi dell'ex-monaco agostiniano.
A titolo di esempio delle eresie caratteristiche del Trecento, citiamo alcune tesi dei beguardi
condannate dal concilio di Viennes nel 1312:
1. Homo in vita presenti tantam et talem perfectionis gratiam potest acquirere, quod
redditur penitus impeccabilis, ut possit Christo perfectior inveniri.
2. Postquam gradum perfectionis huiusmodi fuerit assecutus, tunc sensualitas est ita
perfecte spiritui et rationi subiecta, quod homo potest libere corpori concedere quidquid
placet (tesi tipicamente catara).
3. Qui sunt in praedicto gradu perfectionis et spiritus libertatis, non sunt humanae subiecti
oboedientiae, nec ad aliqua praecepta Ecclesiae obligantur.
4. Homo potest finalem beatitudinem secundum omnem gradum perfectionis in presenti
assequi.
5. Quaelibet intellectualis natura in seipsa naturaliter est beata, quodque anima non indiget
lumine gloriae, ipsam elevante ad Deum videndum et eo beate fruendum.
6. Se in actibus exercere virtutum" (l'ascetica) "est hominis imperfecti; perfecta anima"
(mistica) "licentiat se a virtutibus.
7. Esset alicui imperfectionis" (contemplationis), "si a puritate et altitudine suae
contemplationis tantum descendat, quod circa sacramentum Eucharistiae aut circa
passionem humanitatis Christi aliqua cogitet"; concezione, questa, tificamente gnostica,
la quale pretende di poter conseguire una contemplazione divina superiore a quella
assicurata dal dogma e dalla pratica sacramentale e, nella fattispecie, superiore a quella
che si può attuare nell'adorazione eucaristica.
Con l'ambiente dei "beguardi" è connesso il termine popolare "bigotto" ( dall'ingl. "Beg-
God"="prega-Dio") il "bigotto", appellativo giustamente spregiativo, è un soggetto che
sopravvaluta la propria pratica religiosa o esagera nelle pratiche religiose, pensando che esse siano
sufficienti a renderlo così perfetto, da esentarlo da ogni altro serio impegno morale nei confronti del
prossimo e da non aver bisogno di perfezionarsi o di correggersi dai difetti.
Il caso più interessante di questa persistenza dello gnosticismo panteista nella teologia e
nella mistica cattolica, persistenza che tende in fin dei conti, al di là della sua apparente sublimità, a
far deviare sul terrestre il vero messaggio celeste del cristianesimo, nel periodo che va da Tommaso
a Lutero, è, secondo me, il caso Eckhart, autore anche questo oggi di gran moda, sempre per il vasto
interesse suscitato dalle mistiche panteiste, occidentali od orientali.
A tal riguardo, Rudolf Otto, il famoso autore de "Il Sacro", ha fatto a suo tempo un
interessante e approfondito paragone fra la mistica eckhartiana e la mistica indiana21, mettendo in
luce le sorprendenti convergenze idealistico-panteiste, che denotano in fondo l'esistenza di una
spontanea, ricorrente tendenza dello spirito umano in questo senso, giacchè è impensabile che l'
Eckhart fosse a conoscenza delle teorie indiane, anche se, come si sa, gli storici del pensiero parlano
o quanto meno ipotizzano una sottile e sotterranea presenza indiana già nel neoplatonisno e nello
gnosticismo dei primi secoli - pensiamo a Piotino, che ebbe come maestro quell'Ammonio Sacca
che per alcuni studiosi avrebbe appartenuto ad una casta indiana ("Sakhya"). E si sa come Clemente
Alessandrino conoscesse quelli che egli chiamava i "gimnosofisti", ossia i "filosofi-nudi", dato il
sobrio abbigliamento degli asceti e dei guru indiani.
Una fonte immediata, invece, indubitalmente presente nell'opera dell'Eckhart, è il già visto
Dionigi l'Areopagita, che già l'Eriugena aveva sfruttato in senso panteistico, contro l'interpretazione,
come abbiamo visto, che invece ne darà S. Tommaso, il quale non vede in lui nessun panteismo, se
non qualche volta puramente verbale, e che pertanto si può interpretare in senso teista.
21 "Mistica orientale, mistica occidentale", Ed.Marietti 1985
"La Donna e il Drago" di P.Giovanni Cavalcoli, OP - Bologna, 31.5.10
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