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XXXI DOMENICA


Letture: Malachia 1,14b; 2,2b.8-10

1 Tessalonicesi 2,7b-9.13

Matteo 23,1-12


1. L`essenziale della Legge


In effetti, la tradizione dei loro anziani, che essi ostentavano di osservare al pari di una legge, era contraria alla Legge di Mosè. Motivo per cui Isaia dice: "I tuoi tavernieri mescolano il vino con l`acqua" (Is 1,2) per mostrare che all`austero precetto di Dio gli anziani mescolano una tradizione acquosa, cioè aggiungono una legge adulterata e contraria alla Legge. E` quanto il Signore ha chiaramente evidenziato, dicendo loro: "Perché trasgredite i comandamenti di Dio per la vostra tradizione?" (Mt 15,3). Non contenti di violare la Legge di Dio con la loro trasgressione mescolando il vino con l`acqua, hanno contrapposto ad essa la loro legge, che a tutt`oggi vien detta legge farisaica. Vi sopprimono alcune cose, ne aggiungono delle altre, ne interpretano altre ancora a loro modo: così ne usano in particolare i loro dottori. Volendo difendere queste tradizioni, non si sono sottomessi alla Legge di Dio che li orientava verso la venuta di Cristo, e sono arrivati persino a rimproverare al Signore di operare guarigioni in giorno di sabato, il che, come abbiamo già detto, la Legge non vietava, dal momento che anch`essa guariva in certo modo, facendo circoncidere l`uomo in quel giorno; tuttavia non riproveravano nulla a s‚ stessi, quando, per la loro tradizione e per la legge farisaica anzidetta, trasgredivano il comandamento di Dio e non possedevano l`essenziale della Legge, cioè l`amore verso Dio.

Quell`amore è in effetti il primo e più grande comandamento, e il secondo è l`amore verso il prossimo: lo ha insegnato il Signore, dicendo che tutta la Legge e i profeti si ricollegano a questi comandamenti (cf. Mt 22,37-40). E lui stesso non ha portato altro comandamento più grande di questo, ma ha rinnovato quello stesso comandamento ingiungendo ai suoi discepoli di amare Dio con tutto il cuore e il loro prossimo come sé stessi. Se fosse disceso da un altro Padre, mai egli avrebbe fatto uso del primo e più grande comandamento della Legge: si sarebbe sforzato in tutte le maniere di apportarne uno più grande secondo un Padre perfetto e a non fare uso di quello che aveva dato l`Autore della Legge. Perciò, Paolo dice che la carità è il compimento della Legge (cf. Rm 13,10); essendo abolito tutto il resto, restano solo la fede, la speranza e la carità, ma la più grande di tutte è la carità (cf. 1Cor 13,13); senza la carità verso Dio, né la conoscenza ha alcuna utilità, né la comprensione dei misteri, né la fede, né la profezia, ma tutto è vano e superfluo senza la carità (cf. 1Cor 13,2); la carità rende l`uomo perfetto, e colui che ama è perfetto, nel secolo presente e in quello futuro: infatti mai cesseremo di amare Dio, ma, più lo contempleremo, più lo ameremo.

Così dunque, visto che nella Legge come nel Vangelo il primo e più grande comandamento è lo stesso, cioè amare il Signore Dio con tutto il cuore, e il secondo del pari, cioè amare il prossimo come se stessi, è acquisita la prova che vi è un solo e medesimo Legislatore. I comandamenti essenziali della vita, per il fatto che sono gli stessi in un verso e nell`altro, manifestano effettivamente lo stesso Signore: infatti, se ha impartito comandi particolari adatti all`una o all`altra alleanza, per quanto attiene a comandamenti universali e più importanti, senza i quali non vi può essere salvezza, sono gli stessi da lui proposti da una parte e dall`altra.

Chi non avrebbe confuso il Signore, quando affermava, insegnando alla folla e ai discepoli, nei termini seguenti, che la Legge non veniva da un altro Dio: "Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei: osservate dunque e fate tutto ciò che essi vi dicono, ma non fate secondo le loro opere, perchè dicono e non fanno; legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle degli uomini, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito (Mt 23,2-1)? Egli non condannava perciò la legge di Mosè, dal momento che li invitava ad osservarla fintanto che sussistesse Gerusalemme: ma erano essi che egli biasimava, perchè, pur proclamando le parole della Legge, erano vuoti d`amore e, per questo, violatori della Legge rispetto a Dio e al prossimo. Come dice Isaia: "Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me, è invano che mi rendono culto, mentre insegnano dottrine e comandamenti di uomini" (Is 29,13). Non è la Legge di Mosè che egli chiama «comandamenti di uomini», bensì le tradizioni dei loro anziani, inventate di sana pianta, per difendere i quali essi rigettavano la Legge di Dio e, come conseguenza non si sottomettevano neppure al suo Verbo. E` quanto Paolo sottolinea a loro proposito: "Ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio: infatti, il termine della Legge è Cristo, per la giustificazione di ogni credente" (Rm 10,3-1). Come Cristo sarebbe il termine della Legge, se non ne fosse stato anche il principio? Infatti, colui che ha portato a termine è anche colui che ha realizzato il principio. E` lui che diceva a Mosè: "Ho visto l`afflizione del mio popolo in Egitto, e sono disceso per liberarlo" (Es 3,7-8). Fin dal principio, infatti, era solito salire e scendere per la salvezza degli afflitti.


(Ireneo di Lione, Adv. Haer. IV, 12, 1-4)



2. La suprema sventura


Guai a noi, sventurati, se abbiamo ereditato i vizi dei farisei!


(Girolamo, In Matth. IV, 23, 5-7)



3. Necessità delle opere


E poiché sono pochi quelli che trovano la via stretta, egli espone l`inganno di quelli che fanno finta di cercarla: "Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore" (Mt 7,15), ecc. Bisogna notare che le parole adulatrici e la finta dolcezza devono essere giudicate dai frutti delle azioni, di modo che non ci aspettiamo da qualcuno che sia così come si dipinge a parole, ma come si comporta a fatti, perch‚ molti uomini hanno la rabbia del lupo nascosta sotto una veste di pecora. Così, siccome le spine non producono uva e i rovi non [ producono ] fichi, siccome gli alberi cattivi non portano frutti mangerecci,egli ci insegna che presso tali uomini non c`è più posto per la realizzazione di un`opera buona e che, perciò, è dai suoi frutti che bisogna riconoscere ciascuno. Non si ottiene, infatti, il regno dei cieli soltanto a forza di parole, e non sarà chi avrà detto "Signore, Signore" (Mt 7,21) ad aver parte con lui. Che merito c`è, infatti, nel dire al Signore: "Signore?" Forse che non ci sarà il Signore, se noi non lo nominiamo? Quale dovere sacro c`è nel chiamare un nome, dal momento che è piuttosto l`obbedienza alla volontà di Dio, e non il fatto di chiamare il suo nome, che farà trovare la via del regno dei cieli?

"Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome?" (Mt 7,22), ecc. Egli condanna ora l`inganno degli pseudoprofeti e le simulazioni degli ipocriti, che trovano nella potenza della parola di che attribuirsi una gloria nella profezia della dottrina, nel cacciare i demoni e in siffatte azioni miracolose, e da ciò promettono a sè stessi il regno dei cieli - come se veramente ciò che dicono e ciò che fanno fosse proprio di loro e non fosse invece la virtù di Dio quando è invocata, a compiere tutto -, mentre è la lettura che dà la scienza della dottrina ed è il nome di Cristo che provoca la cacciata dei demoni; dobbiamo dunque meritare a nostre spese questa eternità beata, e intraprendere qualcosa da noi stessi per volere il bene, evitare ogni male, obbedire di tutto cuore ai precetti celesti e adempiere tutti questi doveri per essere conosciuti da Dio e far ciò che egli desidera, piuttosto che gloriarci di ciò che sta in suo potere, lui che respinge e scarta coloro che per le opere inique non hanno potuto conoscerlo.


(Ilario di Poitiers, In Matth. 6, 4-5)